Ordinanza n. 32 del 2022

ORDINANZA N. 32

ANNO 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Giuliano AMATO; Giudici : Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito dell’omesso esame da parte della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica della petizione ex art. 50 della Costituzione, presentata alle Camere il 18 ottobre 2021 dall’avv. prof. Daniele Granara, in proprio e nella qualità di procuratore e difensore dei 101 sottoscrittori, cittadini italiani, appartenenti al personale della Polizia di Stato, e avente ad oggetto la conversione del decreto-legge 21 settembre 2021, n. 127 (Misure urgenti per assicurare lo svolgimento in sicurezza del lavoro pubblico e privato mediante l’estensione dell’ambito applicativo della certificazione verde COVID-19 e il rafforzamento del sistema di screening), promosso da Daniele Granara, in proprio e in qualità di rappresentante dei firmatari della petizione, con ricorso depositato in cancelleria il 1° dicembre 2021 e iscritto al n. 9 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2021, fase di ammissibilità.

Udito nella camera di consiglio del 26 gennaio 2022 il Giudice relatore Francesco Viganò;

deliberato nella camera di consiglio del 26 gennaio 2022.


Ritenuto che, con ricorso depositato in cancelleria il 1° dicembre 2021 (reg. confl. poteri n. 9 del 2021), l’avvocato Daniele Granara, in proprio e in qualità di procuratore e difensore di 101 cittadini italiani appartenenti al personale della Polizia di Stato, firmatari della petizione ex art. 50 della Costituzione, presentata il 18 ottobre 2021, rispettivamente alla Camera dei deputati (n. 839) – assegnata alla XII Commissione permanente (Affari sociali) – e al Senato della Repubblica (n. 939) – assegnata alla I Commissione permanente (Affari costituzionali) – e relativa al procedimento di conversione del decreto-legge 21 settembre 2021, n. 127 (Misure urgenti per assicurare lo svolgimento in sicurezza del lavoro pubblico e privato mediante l’estensione dell'ambito applicativo della certificazione verde COVID-19 e il rafforzamento del sistema di screening), convertito, con modificazioni, nella legge 19 novembre 2021, n. 165, ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Camera dei deputati; della I Commissione permanente (Affari costituzionali) e della XII Commissione permanente (Affari sociali) della Camera dei deputati; del Comitato per la legislazione della Camera dei deputati; del Senato della Repubblica; della I Commissione permanente (Affari costituzionali) del Senato della Repubblica; della Commissione parlamentare questioni regionali; del Consiglio dei ministri; del Presidente del Consiglio dei ministri; del Presidente della Repubblica, in riferimento agli artt. 1, 2, 3, 4, 9, 10, 11, 13, 16, 17,  21 32, 33, 35, 36,  5067, 7071  e 72 – in relazione all’art. 109 del regolamento della Camera dei deputati 18 febbraio 1971 e s.m.i. e agli artt. 140 e 141 del regolamento del Senato della Repubblica 17 febbraio 1971 e s.m.i.–, 77 e 117, primo comma, Cost. quest’ultimo in relazione agli artt. 3, 13, 21 e 52 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), al regolamento (UE) n. 953/2021, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2021, «su un quadro per il rilascio, la verifica e l’accettazione di certificati interoperabili di vaccinazione, di test e di guarigione in relazione alla COVID-19 (certificato COVID digitale dell’UE) per agevolare la libera circolazione delle persone durante la pandemia di COVID-19» e all’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU);

che la petizione all’origine del conflitto, sottoscritta da 101 cittadini italiani appartenenti al personale della Polizia di Stato, aveva ad oggetto la conversione in legge del d.l. n. 127 del 2021, che ha esteso l’obbligo della certificazione verde COVID-19 – cosiddetto green pass – per accedere ai luoghi di lavoro nelle pubbliche amministrazioni e, tra gli altri, a quelli ove i firmatari prestano il loro servizio;

che i firmatari della petizione sostenevano, in particolare, «la comune necessità di non sottoporsi alla certificazione verde Covid-19 – cd. Green Pass – per accedere ai luoghi di lavoro», chiedendo alle Camere di denegare la conversione in legge del citato decreto-legge, in quanto in contrasto con le disposizioni costituzionali e del diritto europeo richiamate anche nell’odierno ricorso e, in subordine, di apportare modifiche alla disciplina introdotta dal medesimo decreto-legge in modo che siano rispettati il diritto fondamentale alla salute, la libertà di cura e il diritto di autodeterminazione dei dipendenti pubblici, e segnatamente del personale della Polizia di Stato;

che i ricorrenti espongono che l’iter di conversione in legge del d.l. n. 127 del 2021 ha preso avvio in Senato (A.S. 2394), ove la discussione in Assemblea è iniziata il 9 novembre 2021 e si è conclusa il giorno successivo con la votazione della questione di fiducia posta dal Governo, ed è quindi proseguito alla Camera dei deputati (A.C. 3363), dove – a seguito dell’esame in Commissione tra 1’11 e il 16 novembre 2021 – è stato approvato definitivamente il 17 novembre 2021, all’esito dell’apposizione della questione di fiducia da parte del Governo, senza che sia stata presa in alcun modo in considerazione la loro petizione;

che i ricorrenti sollevano conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, delle Commissioni parlamentari assegnatarie della petizione, dei loro rispettivi presidenti, nonché del Comitato per la legislazione della Camera dei deputati e della Commissione parlamentare questioni regionali, in quanto la petizione non sarebbe da essi stata adeguatamente esaminata;

che il conflitto è altresì promosso nei confronti del Consiglio dei ministri e del Presidente del Consiglio dei ministri, ai quali non sarebbe spettato porre la questione di fiducia sulla legge di conversione del d.l. n. 127 del 2021, in ragione del mancato recepimento da parte di quest’ultima legge delle istanze sollevate con la petizione, nonché del Presidente della Repubblica, a cui non sarebbe spettato emanare il d.l. n. 127 del 2021 e promulgare la legge di conversione dello stesso;

che, in riferimento alla legittimazione dei proponenti, sarebbe evidente l’eadem ratio della petizione e del referendum abrogativo, riguardo a cui questa Corte ha affermato la sussistenza dei requisiti di ordine soggettivo e oggettivo per sollevare conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato in capo al Comitato promotore (è richiamata la sentenza n. 69 del 1978);

che, infatti, il diritto di petizione sarebbe un diritto funzionalizzato alla partecipazione del cittadino alla formazione della volontà statale e, quindi, all’esercizio di un’attribuzione costituzionale;

che, in ragione della funzione della petizione quale forma di controllo diretto del popolo sovrano sull’operato dei propri rappresentanti, la qualificazione dei sottoscrittori come potere riconducibile allo Stato-comunità potrebbe altresì ricollegarsi, per analogia, al potere di iniziativa legislativa ed emendativo del singolo parlamentare, legittimato a presentare conflitto di attribuzione nei confronti della Camera di appartenenza;

che ulteriore analogia si rinverrebbe tra il diritto di petizione e il potere di iniziativa attribuito a ciascun membro delle Camere dall’art. 71, primo comma, Cost., prerogativa che questa Corte ha già ritenuto – proprio quanto al profilo soggettivo del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato – «divers[a] e distint[a] da quelle di cui dispone in quanto componente dell’assemblea, che gli [spetta] come singolo rappresentante della Nazione, individualmente considerato» (è citata l’ordinanza n. 17 del 2019, a sua volta richiamata dall’ordinanza n. 186 del 2021);

che, nel caso di specie, i firmatari della petizione sarebbero mossi dalle « “comuni necessita`” che l’art. 50 Cost. esige», in quanto l’onere del green pass inciderebbe sull’esercizio delle loro liberta` fondamentali e si porrebbe in contrasto con le disposizioni costituzionali che le garantiscono (artt. 13, 16, 17, 21, 32, 35 e 36 Cost.) e, prima ancora, con i principi fondamentali della Costituzione (artt. 1, 2, 3, 4, 10 e 11 Cost.), nonché con gli artt. 3 e 21 CDFUE e con il regolamento n. 953/2021/UE;

che, pertanto, le Camere avrebbero avuto l’obbligo di esaminare la petizione e di pronunciarsi su di essa, al punto da legittimare, in difetto, i cittadini medesimi alla proposizione di un conflitto di attribuzione innanzi a questa Corte;

che l’omesso esame della petizione, dunque, determinerebbe una violazione, oltre che dei parametri costituzionali poc’anzi evocati, anche degli artt. 67, 70, 71 e 72 Cost., ledendo nello specifico gli artt. 140 e 141 regol. Senato e l’art. 109 regol. Camera, che imporrebbero l’esame delle petizioni attinenti ai progetti di legge in abbinamento ai medesimi progetti, richiedendo, allo stesso modo degli emendamenti presentati dai parlamentari, non solo tale esame, ma anche una pronuncia delle Camere sul punto, cosa non avvenuta nel caso di specie;

che secondo i ricorrenti, al fine di decidere sul conflitto di attribuzione, questa Corte dovrebbe sollevare innanzi a sé questione di legittimità costituzionale (è richiamata l’ordinanza n. 22 del 1960) dell’art. 1, comma 6, del d.l. n. 127 del 2021 e della legge di conversione medio tempore approvata, di cui sarebbe evidente la contrarietà al diritto europeo, agli obblighi internazionali e a plurime disposizioni costituzionali;

che, infatti, il d.l. n. 127 del 2021, come convertito, nel richiedere il possesso della certificazione verde per coloro che accedono ai luoghi di lavoro del personale della Polizia di Stato, imporrebbe surrettiziamente un obbligo vaccinale di cui non sussisterebbero i presupposti, in quanto di detti vaccini non sarebbero garantite né la sicurezza, né l’efficacia, essendo la comunità scientifica unanime nel ritenere insufficiente la sperimentazione eseguita;

che la scarsa sicurezza dei vaccini sarebbe confermata dalla pretesa di condizionare la somministrazione del vaccino al rilascio di una totale esenzione da responsabilità per danni che dal vaccino stesso dovessero derivare, nonché dalla conseguente mancata previsione di un indennizzo, ritenuto invece dalla giurisprudenza costituzionale condizione essenziale e imprescindibile per l’imposizione di un obbligo vaccinale e, in generale, di un trattamento sanitario obbligatorio (sono richiamate le sentenze n. 118 del 2020, n. 107 del 2012 e n. 307 del 1990);

che ulteriore riprova si trarrebbe dalle determinazioni dell’Agenzia italiana del farmaco (AIFA) richiamate nel ricorso, dalla risoluzione del Consiglio d’Europa del 27 gennaio 2021, n. 2361, recante «Considerazioni sulla distribuzione e somministrazione dei vaccini contro il COVID-19») e dal regolamento n. 953/2021/UE;

che da ciò risulterebbe la concorrente violazione degli artt. 1, 2, 3, 4, 9, 13, 21, 32, 35, 36, 70, 72 e 77 Cost. nonché degli artt. 3, 13, 21 e 52 CDFUE, dell’art. 8 CEDU e del regolamento n. 953/2021/UE;

che l’art. 1 Cost. sarebbe violato in quanto la previsione dell’impossibilità di accesso ai luoghi di lavoro troverebbe «il suo deleterio precedente solo nell’epoca autoritaria e totalitaria che ha preceduto la Liberazione e la susseguente Costituzione repubblicana di un’Italia libera e democratica fondata sul lavoro»;

che gli artt. 2 e 32 Cost. sarebbero violati in quanto un ordinamento, che possa definirsi democratico, non potrebbe imporre un trattamento sanitario di cui siano incerte – se non addirittura ignote – le conseguenze sulla persona che vi si sottopone, posto che ai sensi dell’art. 32 Cost. un trattamento sanitario potrebbe divenire obbligatorio con una disposizione di rango legislativo solo se di tale trattamento siano garantite sicurezza ed efficacia, poiché la tutela della collettività non potrebbe mai imporre il sacrificio del singolo, esponendolo a danni o a pericoli, salvo che il sacrificio medesimo non sia assunto dal singolo con il di lui consenso (e` richiamata la sentenza di questa Corte n. 118 del 1996);

che parimenti risulterebbe violato l’art. 32 Cost. in combinato disposto con l’art. 13 Cost., da cui sarebbe ricavabile il principio di autodeterminazione, che impone l’acquisizione di un consenso informato rispetto a un trattamento sanitario, mentre quello alla somministrazione del vaccino non sarebbe né un consenso, essendo «estorto» con la minaccia del mancato accesso al luogo di lavoro e della sospensione senza retribuzione, né informato, in quanto non sarebbero note le controindicazioni che potrebbero derivare dalla somministrazione dei vaccini;

che sarebbero altresì lesi i principi di uguaglianza, ragionevolezza e proporzionalità, con conseguente violazione degli artt. 2, 3 e 32 Cost., dal momento che l’obbligatorietà del green pass non sarebbe idonea al raggiungimento del fine di tutela della salute pubblica e sarebbe in ogni caso sproporzionata, importando un eccessivo sacrificio ai contrastanti interessi meritevoli di tutela (diritto alla salute e all’autodeterminazione), tenuto tra l’altro conto che l’AIFA e la Commissione europea avrebbero ufficialmente dichiarato, in plurime occasioni e sedi istituzionali, di non sapere se la somministrazione del vaccino elimini o meno la contagiosità del soggetto vaccinato;

che l’art. 9 Cost. sarebbe violato in quanto «la Repubblica, propugnando (financo obbligandone l’impiego) alcuni trattamenti sanitari, non promuove la ricerca scientifica con riferimento ad altre plausibili e possibili soluzioni, precludendone il progresso»;

che sarebbe altresì conculcata la libertà di scienza, e dunque la liberta` di manifestazione del pensiero, garantita come inviolabile dall’art. 21 Cost.;

che il surrettizio obbligo vaccinale, rendendo impossibile o eccessivamente oneroso l’accesso al luogo di servizio, confliggerebbe con la tutela del principio lavoristico, valore fondante della Costituzione repubblicana, con conseguente violazione dell’art. 4 Cost., nonché con il diritto a un trattamento economico proporzionato alla quantità e qualità del lavoro svolto e in ogni caso sufficiente ad assicurare a tutti i lavoratori e alle loro famiglie le risorse necessarie per un’esistenza libera e dignitosa, in contrasto con gli artt. 35 e 36 Cost.;

che violati sarebbero altresì gli artt. 3, 21 e 52 CDFUE, il regolamento n. 953/2021/UE e l’art. 8 CEDU, poiché il d.l. n. 127 del 2021, come convertito, introdurrebbe una discriminazione delle persone non vaccinate per scelta, mentre l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (con la citata risoluzione n. 2361 del 2021) e il regolamento n. 953/2021/UE avrebbero chiarito che il possesso di un certificato di vaccinazione non potrebbe costituire una condizione preliminare per l’esercizio del diritto di libera circolazione o per l’utilizzo di servizi di trasporto;

che l’obbligo di green pass contrasterebbe ancora con l’art. 3 CDFUE, secondo cui ogni individuo ha diritto alla propria integrità fisica e psichica, nel rispetto del consenso libero e informato della persona interessata nelle pratiche mediche; diritto al quale il d.l. n. 127 del 2021, come convertito, apporterebbe limitazioni non necessarie e che non risponderebbero effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione europea o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà, come invece esige l’art. 52 CDFUE;

che, poiché quest’ultimo rinvia anche alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, potrebbe apprezzarsi altresì una violazione dell’art. 8 CEDU, disposizione che secondo la giurisprudenza della Corte di Strasburgo verrebbe in gioco in relazione alle ipotesi di obbligo vaccinale (è richiamata Corte europea dei diritti dell’uomo, grande camera, sentenza 8 aprile 2021, Vavricka e altri contro Repubblica Ceca) e la cui eventuale violazione andrebbe apprezzata alla luce della sussistenza o meno della necessità di controllare la diffusione di malattie infettive o di considerazioni di salute pubblica, senza mai poter sconvolgere l’equilibrio tra salute della collettività e salute del singolo, che non dovrebbe subire conseguenze pregiudizievoli, irreversibili o comunque di grave entità (è richiamata Corte europea dei diritti dell’uomo, prima sezione, sentenza 24 settembre 2012, Solomakhin contro Ucraina, in punto di requisiti della legittimità dell’interferenza);

che l’obbligo del green pass sarebbe inoltre lesivo del patrimonio costituzionale comune degli Stati membri dell’Unione europea, in riferimento al principio personalista, al principio democratico, alla separazione dei poteri e al sistema di giustizia costituzionale;

che sarebbe infine violato l’art. 77 Cost., richiamato in combinato disposto con gli artt. 70 e 72 Cost., con l’art. 15 della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri), con gli artt. 23, 24, 73, 81, 85-bis, 92, 96-bis e 119 regol. Camera e con gli artt. 35, 36, 37, 78 e 120 regol. Senato, nella parte in cui disciplinano il procedimento di conversione dei decreti-legge;

che, in particolare, un decreto-legge che disponga la sua efficacia dopo quasi un mese dalla sua entrata in vigore – il d.l. n. 127 del 2021 e` stato emanato e pubblicato il 21 settembre 2021 ed e` entrato in vigore il giorno successivo, mentre l’obbligo di certificazione verde per i dipendenti pubblici previsto dall’art. 1 ha acquistato efficacia solo il 15 ottobre 2021 e, per quanto ivi previsto, fino al 31 dicembre 2021 – sarebbe vistosamente privo dei presupposti costituzionali di necessita` ed urgenza, prescritti dall’art. 77 Cost.;

che la violazione di quest’ultima disposizione costituzionale si evincerebbe anche dall’utilizzo, nel preambolo del d.l. n. 127 del 2021, di mere clausole di stile inidonee a giustificare l’incisione su diritti fondamentali dei dipendenti pubblici (è richiamata la sentenza n. 171 del 2007), senza che la mera conversione del decreto-legge possa di per sé sanare i vizi di quest’ultimo (sono richiamate ancora la sentenza n. 171 del 2007, nonché la sentenza n. 22 del 2012);

che, in conclusione, il ricorrente chiede a questa Corte di accertare il diritto di presentare la citata petizione innanzi alle Camere, nonché di accertare e dichiarare che non spettava: alla Camera dei deputati, al Senato della Repubblica, alle Commissioni permanenti I e XII della Camera dei deputati e I del Senato della Repubblica, e ai loro rispettivi presidenti, nonché al Comitato per la legislazione della Camera dei deputati e alla Commissione parlamentare questioni regionali non esaminare la suddetta petizione; al Consiglio dei ministri e al Presidente del Consiglio dei ministri, porre la questione di fiducia sulla legge di conversione del d.l. n. 127 del 2021; al Presidente della Repubblica emanare il d.l. n. 127 del 2021 e promulgare la legge di conversione dello stesso;

che, per effetto, la parte ricorrente, previa disposizione di idonee misure cautelari ex art. 40 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), chiede di annullare: il d.l. n. 127 del 2021 e la legge di conversione n. 165 del 2021; i pareri non ostativi e/o favorevoli resi dalle Commissioni permanenti e dalla Commissione parlamentare questioni regionali in sede istruttoria, nonché dal Comitato per la legislazione della Camera dei deputati; l’atto di approvazione del Senato della Repubblica del 10 novembre 2021; l’atto di approvazione della Camera dei deputati del 17 novembre 2021; ogni altro atto, provvedimento o determinazione dei poteri dello Stato intimati in relazione alla petizione presentata.

Considerato che, in questa fase del giudizio sui conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato, ai sensi dell’art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), questa Corte è chiamata a verificare, in camera di consiglio e senza contraddittorio, con sommaria delibazione limitata alla sola ammissibilità, la sussistenza della materia del conflitto, ossia che il ricorso sia stato effettivamente promosso da organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà dei poteri cui appartengono e per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali;

che il ricorso odierno deve essere ritenuto inammissibile, per le medesime ragioni esposte nella recente ordinanza n. 254 del 2021, avente ad oggetto un ricorso per conflitto di attribuzione promosso dallo stesso avvocato Daniele Granara, in proprio e in qualità di rappresentante di 27.252 cittadini italiani firmatari di un’analoga petizione presentata alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica, nella quale si dolevano del procedimento di conversione di altro decreto-legge recante misure urgenti connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19;

che nella menzionata ordinanza questa Corte ha qualificato il diritto di petizione quale «diritto individuale, sebbene esercitabile collettivamente, regolato nella Parte I della Costituzione tra i rapporti politici, e non quale attribuzione costituzionale», mentre «le attribuzioni suscettibili di generare un conflitto, invece, non possono che essere quelle previste nella Parte II della Costituzione, dedicata all’ordinamento della Repubblica»;

che anche il presente conflitto è pertanto privo tanto del requisito soggettivo quanto di quello oggettivo, risultando in realtà promosso al solo scopo di portare impropriamente all’attenzione di questa Corte gli asseriti vizi di legittimità costituzionale del decreto-legge 21 settembre 2021, n. 127 (Misure urgenti per assicurare lo svolgimento in sicurezza del lavoro pubblico e privato mediante l’estensione dell’ambito applicativo della certificazione verde COVID-19 e il rafforzamento del sistema di screening), convertito, con modificazioni, nella legge 19 novembre 2021, n. 165 e della relativa legge di conversione;

che deve altresì ribadirsi che «la presentazione di una petizione, a differenza di quanto preteso dal ricorrente, non determina un obbligo per le Camere di deliberare sulla stessa, né tantomeno di recepirne i contenuti, bensì un mero dovere di acquisirne il testo e assegnarlo alle commissioni competenti» (ordinanza n. 254 del 2021): ciò che peraltro nel caso di specie risulta puntualmente avvenuto, dal momento che in Senato la petizione risulta ricevuta, numerata con il n. 939, assegnata alla I Commissione permanente (Affari costituzionali) il 19 ottobre 2021, annunciata nella seduta n. 368 dell’Assemblea del medesimo giorno, mentre alla Camera essa risulta ricevuta, numerata con il n. 839 e assegnata il 19 ottobre 2021 alla XII Commissione permanente (Affari sociali);

che la mancanza dei requisiti di ammissibilità del conflitto preclude l’esame della richiesta di autorimessione delle questioni di legittimità costituzionale del d.l. n. 127 del 2021, come convertito, comunque manifestamente irrilevanti per la carenza del necessario nesso di pregiudizialità tra la risoluzione della questione medesima e la definizione del giudizio (si vedano la sentenza n. 313 del 2013 e l’ordinanza n. 101 del 2000, entrambe richiamate dall’ordinanza n. 254 del 2021);

che resta assorbita l’istanza di sospensione cautelare (ordinanza n. 254 del 2021 e precedenti ivi richiamati).

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 gennaio 2022.

F.to:

Giuliano AMATO, Presidente

Francesco VIGANÒ, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria l'8 febbraio 2022.