SENTENZA N.
45
ANNO 2021
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Giancarlo CORAGGIO; Giudici: Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,
ha pronunciato la
seguente
SENTENZA
nei giudizi di
legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 7, del decreto-legge
6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria),
convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111, promossi
dalla Corte di appello di Reggio Calabria con tre ordinanze del 16 giugno 2020,
iscritte, rispettivamente, ai numeri 135, 136 e
140
del registro ordinanze 2020 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell’anno 2020.
Visti gli atti di
costituzione dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), nonché
gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza
pubblica del 10 febbraio 2021 il Giudice relatore Giulio Prosperetti;
uditi l’avvocato Mauro
Sferrazza per l’INPS e l’avvocato dello Stato Alfonso Peluso per il Presidente
del Consiglio dei ministri;
deliberato nella camera
di consiglio del 10 febbraio 2021.
1.– Con tre ordinanze
(iscritte al registro ordinanze 2020 con i numeri 135, 136 e 140), emanate in
data 16 giugno 2020, la Corte di appello di Reggio Calabria solleva questioni
di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 24 e 117, primo comma, della
Costituzione, in relazione all’art. 47 della Carta
dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7
dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, dell’art. 38,
comma 7, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la
stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 15
luglio 2011, n. 111, nella parte in cui prevede che «[i]n caso di
riconoscimento o di disconoscimento di giornate lavorative intervenuti dopo la
compilazione e la pubblicazione dell’elenco nominativo annuale, l’INPS provvede
alla notifica ai lavoratori interessati mediante la pubblicazione, con le
modalità telematiche previste dall’articolo 12-bis del regio decreto 24
settembre 1940, n. 1949, di appositi elenchi nominativi trimestrali di
variazione».
Ad avviso della Corte
rimettente, la modalità di notifica in via telematica ai lavoratori interessati
del provvedimento di riconoscimento/disconoscimento delle giornate lavorative,
contemplata dalla disposizione censurata, pone a carico del lavoratore agricolo
il gravoso onere di venire a conoscenza del provvedimento amministrativo di
cancellazione dall’elenco nominativo trimestrale; conoscenza dalla quale
decorre il termine per la contestazione del provvedimento, con conseguenti
effetti negativi sull’esercizio del diritto di difesa, volto a conseguire le
prestazioni previdenziali, correlate all’iscrizione stessa, negate
dall’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS).
In tal modo la disposizione
violerebbe l’art. 117, primo comma, Cost., «per mancata conformazione del
diritto interno ai vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario», in
relazione all’art. 47 CDFUE e al principio di effettività, rendendo
eccessivamente difficile l’esercizio del diritto di difesa del lavoratore
attraverso la tempestiva impugnazione del provvedimento, ritenuto lesivo della
sua situazione giuridica soggettiva; e, contestualmente l’art. 24 Cost.,
determinando una «irragionevole compressione del diritto di agire in giudizio
per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi».
1.1.– La questione è
sorta nell’ambito di giudizi di appello relativi a controversie in materia di
indennità di disoccupazione per i lavoratori agricoli a tempo determinato.
1.1.1.– La prima
ordinanza (reg. ord. n. 135 del 2020) è stata
pronunciata nell’ambito del giudizio volto alla riforma della sentenza del
Tribunale di Palmi, sezione lavoro, 12 ottobre 2017, n. 1337.
La Corte rimettente
riferisce che il giudizio di primo grado è stato instaurato separatamente da C.
G. e C. S. con atti depositati il 20 gennaio 2014. Nel lamentare ciascuno il
mancato riconoscimento dell’indennità di disoccupazione agricola per l’anno
2011, in relazione all’attività lavorativa espletata per 102 giornate, di cui
51 per la cooperativa G. R. e 51 per la cooperativa F. R. i ricorrenti
chiedevano la condanna dell’INPS all’erogazione della denegata prestazione
previdenziale.
Il Tribunale adito, non
ammessa la prova per testi richiesta dai ricorrenti, aveva rigettato le domande
ritenendo non dimostrata la prestazione lavorativa: in relazione all’annualità
2010 aveva rilevato la mancanza di prova dell’iscrizione negli elenchi dei
lavoratori agricoli per l’anno 2010; per l’annualità 2011, aveva riscontrato
l’iscrizione per sole 51 giornate.
Il giudice a quo
rappresenta che in sede di impugnazione i ricorrenti hanno chiesto di provare
l’effettività dei periodi lavorativi legittimanti la prestazione previdenziale
richiesta e che l’INPS ha riproposto l’eccezione, già sollevata in primo grado,
di inammissibilità della domanda «per essere i ricorrenti incorsi nella
decadenza ex art. 22 comma 1 D.L. 7 del 1970, che impone al lavoratore di
proporre l’azione giudiziaria entro 120 giorni dalla presa di conoscenza del
provvedimento di cancellazione dagli elenchi». Ciò in quanto l’Istituto ha
affermato di aver notificato le cancellazioni attraverso la pubblicazione sul
proprio sito internet del terzo elenco trimestrale di variazione dal 15 al 31
dicembre 2013, come previsto dall’art. 38, comma 7, del d.l.
n. 98 del 2011 e che, pertanto, al momento della proposizione dell’azione
giudiziaria il predetto termine decadenziale era decorso.
La Corte di appello di
Reggio Calabria rappresenta, altresì, che i ricorrenti hanno affermato di «non
avere mai avuto conoscenza di queste cancellazioni e di conseguenza contestano
di essere incorsi in decadenza», e che, prospettata, in ogni caso, la
illegittimità costituzionale del citato art. 38, comma 7, del d.l. n. 98 del 2011, hanno insistito per ottenere
l’accertamento in via giudiziale della prestazione.
1.1.2.– La seconda
ordinanza (reg. ord. n. 136 del 2020) è intervenuta
nel corso del giudizio instaurato dall’INPS avverso la sentenza del Tribunale
di Locri, sezione lavoro, 21 dicembre 2016, n. 1087.
Il giudice rimettente
riferisce che in primo grado la ricorrente I. M. – premesso di aver lavorato
quale bracciante alle dipendenze di un’azienda agricola per 102 giornate nel
2008, venendo iscritta negli elenchi dei lavoratori agricoli del comune di
Bovalino – lamentava che l’INPS, con lettera notificata il 24 marzo 2015, le
aveva richiesto la restituzione di 1.215,03 euro per disoccupazione agricola
relativa all’anno 2008, ritenendo non spettante la prestazione per avvenuta
cancellazione dagli elenchi. Pertanto la ricorrente chiedeva di dichiararsi
l’illegittimità della cancellazione e conseguentemente l’esistenza del titolo
per l’erogazione dell’importo ripetuto dall’INPS.
Costituitosi l’ente
previdenziale nel giudizio di primo grado, il Tribunale adito, esperita la
prova testimoniale, in accoglimento della domanda attorea, aveva annullato la
cancellazione dall’elenco e disposto la reiscrizione della lavoratrice,
dichiarando non dovute le somme richieste dall’Istituto.
La Corte di appello
calabrese prosegue rappresentando che, nell’impugnare la predetta sentenza,
l’INPS aveva dedotto che il Tribunale era entrato direttamente nel merito,
senza esaminare la preliminare eccezione di decadenza dall’impugnazione della
cancellazione dagli elenchi, e che la appellata, nel resistere al gravame,
aveva sul punto ribadito quanto già dedotto in primo grado, ovvero «di avere
avuto conoscenza della cancellazione non prima del 24 marzo 2015, sicché il ricorso
giudiziale proposto il 3 luglio sarebbe ampiamente tempestivo».
Il rimettente espone,
altresì, che «[l]’INPS aveva tuttavia evidenziato di avere notificato il
provvedimento con le forme previste dall’art. 38 comma 7 D.L. 98 del 2011, conv. legge 111/2011, attraverso la pubblicazione
telematica del terzo elenco trimestrale di variazione 2013 sul proprio sito dal
15 al 31 dicembre 2013», e che, pertanto, rispetto a tale notifica il termine
decadenziale era ampiamente decorso.
La lavoratrice,
resistendo nel giudizio di appello, aveva contestato l’efficacia della predetta
notifica, confutando tuttavia solo genericamente l’adempimento degli oneri
procedimentali a carico dell’Istituto, e comunque negando che la disciplina
dell’art. 38, comma 7, potesse esserle applicata.
1.1.3.– La terza
ordinanza (reg. ord. n. 140 del 2020) è stata
pronunciata nel corso del giudizio promosso da I. M. avverso la sentenza
pronunciata dal Tribunale di Locri, sezione lavoro, 21 dicembre 2016, n. 1088.
Il giudizio di primo
grado era stato instaurato da I. M. con ricorso depositato il 27 luglio 2015,
nel quale, premesso di avere lavorato quale bracciante alle dipendenze di
un’azienda agricola per 102 giornate nel 2009, venendo iscritta negli elenchi
dei lavoratori agricoli del comune di Bovalino, lamentava che l’INPS, con
lettera notificata il 24 marzo 2015, le aveva richiesto la restituzione di
1.215,03 euro per disoccupazione agricola relativa all’anno 2008, assumendo che
la prestazione non spettava per avvenuta cancellazione dagli elenchi. La
ricorrente chiedeva, pertanto, dichiararsi l’illegittimità della cancellazione,
con condanna alla reiscrizione, e conseguentemente accertarsi l’esistenza di un
titolo per l’erogazione dell’importo di cui l’INPS chiedeva la ripetizione.
Costituitosi l’INPS, il
giudice di primo grado aveva dichiarato la domanda improcedibile per mancato
espletamento del procedimento amministrativo prodromico.
Nel rappresentare che
in sede di appello la lavoratrice ha lamentato l’errata applicazione da parte
del Tribunale dell’art. 443 del codice di procedura civile «che non prevede la
dichiarazione diretta di improcedibilità ma l’assegnazione di un termine», la
Corte di appello di Reggio Calabria afferma che, ritenendo «[p]alesemente fondata questa argomentazione», «deve
sostituirsi al primo giudice nella valutazione dell’insieme delle domande».
La Corte rimettente
riferisce altresì: che «[l]’Inps aveva evidenziato di avere notificato il
provvedimento con le forme previste dall’art. 38 comma 7 D.L. 98 del 2011, conv. legge 111/2011, attraverso la pubblicazione
telematica del terzo elenco trimestrale di variazione 2013 sul proprio sito dal
15 al 31 dicembre 2013», sicché rispetto a tale notifica il termine
decadenziale era ampiamente decorso; ma che sul punto la appellata si è difesa
sostenendo di avere avuto conoscenza della cancellazione non prima del 24 marzo
2015, con la conseguenza che il ricorso giudiziale proposto il 3 luglio
«sarebbe ampiamente tempestivo». In ogni caso la ricorrente contesta
l’efficacia della notifica telematica, «confutando solo genericamente
l’adempimento degli oneri procedimentali a carico dell’istituto ma negando che
la disciplina dell’art. 38 comma 7 possa esserle applicata».
2.– A sostegno della
questione di legittimità costituzionale sollevata nei confronti della
disposizione in esame, è addotto nelle tre ordinanze un identico ordine di
considerazioni.
Premesse le fonti
normative applicabili alla fattispecie e la loro consolidata interpretazione
giurisprudenziale, il giudice a quo rappresenta che «[n]el
diritto vivente espresso dalla consolidata interpretazione giurisprudenziale,
il termine di 120 giorni previsto dall’art. 22 D.L. 7 del 1970 conv. legge 83 del 1970 per impugnare i provvedimenti
definitivi in tema di iscrizione alle liste dei lavoratori agricoli ha natura
sostanziale, in quanto relativo al compimento di un atto di esercizio di un
diritto soggettivo, ed è insuscettibile di sanatoria», e che «l’iscrizione alle
liste costituisce, ai sensi del R.D. 1949 del 1940, presupposto sostanziale
indefettibile per ottenere prestazioni previdenziali in agricoltura, non
bastando a tal fine neanche l’accertamento giudiziale dell’effettività del
rapporto di lavoro, ove non accompagnato dall’iscrizione».
Il rimettente ricorda
che «[a] mente del previgente art. 17 D.L. 7/70, convertito in legge 83/70,
anche dopo le modifiche apportate dal D.L. 510 conv.
legge 608 del 1996 e dal D.Lgs. 375 del 1993, la
decorrenza del termine decadenziale per l’impugnazione dei provvedimenti di
cancellazione partiva dal momento in cui il provvedimento era comunicato
personalmente all’interessato, a mezzo di messo comunale o del servizio
postale». In proposito richiama la sentenza della Corte di cassazione, sezione
lavoro, 16 gennaio 2007, n. 813, nella parte in cui afferma che «La speciale
disciplina che compiutamente regola la materia dell’accertamento dei lavoratori
agricoli dipendenti […] si caratterizza per essere l’iscrizione negli elenchi
nominativi, come pure la non iscrizione ovvero la cancellazione oggetto di
provvedimenti espressi (il primo collettivo, gli altri individuali) e tutti
comunicati agli interessati mediante notifica (eseguita, per l’iscrizione, con
l’affissione dell’elenco nell’albo pretorio del comune di residenza ovvero
personalmente al lavoratore in caso di mancata iscrizione, totale o parziale, o
di cancellazione)».
Nell’evidenziare che
tale soluzione è stata costantemente ribadita dalla successiva giurisprudenza
di legittimità, la Corte di appello di Reggio Calabria afferma che «la notifica
personale non è stata invece mai ritenuta necessaria in relazione ai
provvedimenti di iscrizione, bastando pertanto, ai fini della decorrenza dei
termini di decadenza, la pubblicazione dell’elenco, quale comunicazione
collettiva e impersonale ma sufficientemente efficace».
Il descritto quadro
normativo è stato, dunque, modificato dal censurato art. 38, comma 7, del d.l. n. 98 del 2011, secondo cui la notifica dei
provvedimenti avviene con le modalità telematiche stabilite dall’art. 12-bis
del r.d. 29 settembre 1940, n. 1949, introdotto dal
comma 6 del medesimo art. 38 del d.l. n. 98 del 2011.
In particolare la
disposizione stabilisce che con riferimento alle giornate di occupazione
successive al 31 dicembre 2010, dichiarate dal datore di lavoro e comunicate
all’INPS ai sensi dell’art. 6 del decreto legislativo 11 agosto 1993, n. 375,
recante «Attuazione dell’art. 3, comma 1, lettera aa), della L. 23 ottobre
1992, n. 421, concernente razionalizzazione dei sistemi di accertamento dei
lavoratori dell’agricoltura e dei relativi contributi», per gli operai agricoli
a tempo determinato, per i compartecipanti familiari, e per i piccoli coloni,
gli elenchi nominativi annuali di cui all’art. 12 sono notificati ai lavoratori
interessati mediante pubblicazione telematica effettuata dall’INPS nel proprio
sito internet entro il mese di marzo dell’anno successivo secondo specifiche
tecniche stabilite dall’Istituto stesso.
Per effetto della
disposizione sospettata di illegittimità costituzionale, dunque, secondo la
Corte rimettente, «non è più prevista una notificazione individuale al
lavoratore interessato, bensì l’inserimento della cancellazione del singolo
lavoratore in un elenco di variazione pubblicato telematicamente dall’INPS nel
proprio sito, secondo specifiche tecniche stabilite dall’Istituto stesso».
In tal modo, prosegue
il rimettente, la previsione «pone sul soggetto iscritto nell’elenco dei
lavoratori agricoli un onere di consultazione degli elenchi trimestrali di
variazione pubblicati periodicamente sul sito on line dell’INPS, secondo
modalità che – tra l’altro – non sono fissate per legge ma rinviate alle
specifiche tecniche stabilite dall’Istituto», che vi ha provveduto con la
circolare 14 giugno 2012, n. 82 (Disposizioni in materia di contenzioso
previdenziale ed assistenziale. Articolo 38, commi 6 e 7: pubblicazione degli
elenchi nominativi dei lavoratori dell’agricoltura), disponendo che: gli
elenchi di variazione verranno pubblicati secondo il seguente calendario: entro
il 15 giugno primo elenco di variazione; entro il 15 settembre secondo elenco
di variazione; entro il 15 dicembre terzo elenco di variazione; entro il 10
marzo dell’anno successivo quarto elenco di variazione; i suddetti elenchi
saranno pubblicati sul sito internet dell’Istituto accessibile all’indirizzo
www.inps.it, nella sezione "Avvisi e Concorsi”, sotto la voce "Avvisi”, e
rimarranno in pubblicazione per quindici giorni consecutivi; la consultazione
sarà possibile mediante libero accesso e senza utilizzo del P.I.N.; decorsi
quindici giorni consecutivi dalla pubblicazione gli elenchi non saranno più
visualizzabili; la pubblicazione degli elenchi avrà, ad ogni effetto di legge,
valore di notifica alla parte interessata e, pertanto, al lavoratore non verrà
inviata la notifica individuale della variazione di giornate; gli elenchi
saranno consultabili per singola Provincia e singolo Comune e ognuno di essi
sarà accompagnato da un frontespizio riportante il periodo di validità, il
numero dei lavoratori contenuti, i riferimenti normativi e procedurali a base
delle variazioni, l’organo e i termini per gli eventuali ricorsi
amministrativi.
Il Collegio a quo
evidenzia che né la legge, ma neanche le circolari dell’INPS, «indicano delle
date precise nelle quali essi vanno pubblicati, ma solo i termini entro i quali
ciò va fatto, sicché non è prevedibile a priori con certezza, ma solo in
termini approssimativi, quando cadranno i quindici giorni durante i quali gli
stessi resteranno pubblicati sul sito dell’Istituto».
Ciò comporta che grava
sul lavoratore agricolo l’onere «di un costante controllo sul sito on line
dell’istituto sulle pubblicazioni degli elenchi di variazione che potrebbero –
in ipotesi come quella in esame – contenere la cancellazione della sua
iscrizione risalente anche ad anni precedenti, verifica che – tra l’altro, per
effetto della rimessione all’INPS delle modalità di pubblicazione – va
condotta, quantomeno, con cadenza quindicinale, posto che quella è la durata
della pubblicazione di ogni singolo elenco».
In ordine alla
rilevanza della questione il rimettente afferma che l’applicazione della
disposizione censurata è decisiva per la definizione dei giudizi a quibus, in quanto interviene «a monte, sulla stessa
configurabilità del diritto alla prestazione e, pertanto, confermando la natura
indebita della stessa».
Quanto alla non
manifesta infondatezza, la Corte di appello calabrese svolge diffuse
argomentazioni a sostegno della dedotta violazione dei parametri evocati.
Riguardo alla lesione
dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 47 CDFUE, il
rimettente, premesso che tale articolo sancisce il cosiddetto principio di
effettività, riconoscendo che «Ogni individuo i cui diritti e le cui libertà
garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso
effettivo dinanzi a un giudice...», afferma che «dunque, il sistema dell’Unione
Europea intende garantire a ogni cittadino una tutela effettiva dei propri
diritti, che rimuova ostacoli di ordine processuale che rendano eccessivamente
oneroso l’esercizio del diritto di difesa» e che «sulla medesima linea si muove
la giurisprudenza della Corte Costituzionale, che ha costantemente utilizzato,
quale parametro alla cui stregua valutare la legittimità delle norme
processuali, la idoneità delle stesse a rendere effettiva la possibilità di
esercizio del diritto cui esse si riferiscono, non frapponendo ostacoli che
producano eccessive e irragionevoli difficoltà» (viene ricordata in particolare
la sentenza n.
44 del 2016).
Il giudice rimettente
rappresenta che il «medesimo parametro di valutazione è stato utilizzato anche
per scrutinare la conformità a costituzione di norme che impongono termini per
l’esercizio del diritto, statuendosi il principio secondo cui l’incongruità del
termine rilevante sul piano della violazione degli indicati parametri
costituzionali si registra solo qualora esso sia non idoneo a rendere effettiva
la possibilità di esercizio del diritto cui si riferisce e di conseguenza tale
da rendere inoperante la tutela accordata al cittadino (Corte Cost. n. 94/2017,
così in motivazione)».
In ordine alla
specifica problematica che assume rilievo nel giudizio a quo, ossia la verifica
della ragionevolezza dell’adozione del sistema di comunicazione attraverso
pubblicazione di atti, il rimettente evidenzia che sia la giurisprudenza
costituzionale che quella di legittimità hanno declinato il medesimo criterio
dell’eccessiva difficoltà dell’esercizio del diritto di difesa. Vengono
richiamate, rispettivamente, la sentenza della
Corte costituzionale n. 223 del 1993 e la sentenza della Corte di
cassazione, sezioni unite, 10 maggio 1996, n. 4394.
Ad avviso del
rimettente, nella fattispecie in esame la rilevata esigenza di garantire
l’effettività dell’esercizio del diritto di difesa si ripropone «con ancora
maggiore pregnanza».
Ciò in quanto «il
lavoratore agricolo sa solo di essere iscritto negli elenchi dei lavoratori
agricoli, ma non è necessariamente a conoscenza di eventuali accertamenti
ispettivi e del loro esito, essendo tutt’altro che infrequenti i casi di
indagini ispettive su aziende agricole compiute senza assumere informazioni dai
lavoratori interessati e anche a distanza di anni da quando il rapporto di
lavoro agricolo si è svolto. Il lavoratore dunque non soltanto non conosce i
tempi dell’emissione del provvedimento di cancellazione che farà scattare il
termine di impugnazione, ma neppure ha motivo di ritenere che un simile
provvedimento verrà mai in essere e non ha perciò motivo di tenersi
costantemente aggiornato».
La Corte d’appello di
Reggio Calabria assume che «la menomazione del diritto di difesa – già
rinvenibile per il solo fatto di far decorrere il dies
a quo per impugnare dal momento della pubblicazione telematica degli elenchi di
variazione senza comunicazione individuale ai singoli braccianti interessati
dalla cancellazione – è ulteriormente aggravata dal fatto che, secondo la
circolare INPS 82/2012 sopra citata, le variazioni restano pubblicate per soli
quindici giorni, decorsi i quali gli eventuali interessati non avranno
possibilità di venire a conoscenza delle rispettive cancellazioni».
In proposito, il giudice
a quo deduce che «dalle due fasi nelle quali si sviluppa l’attività che è
chiamata a svolgere la parte interessata a proporre ricorso avverso la
cancellazione – quella percettiva, consistente nel prendere cognizione
dell’atto da impugnare, e quella volitiva, consistente nella elaborazione e
predisposizione dell’atto di impugnazione – la prima finisce per soggiacere non
al termine fissato dalla legge (come avverrebbe se, conformemente all’id quod plerumque accidit, l’atto, una volta pubblicato, restasse a
disposizione a tempo indefinito), bensì al minor termine di 15 giorni stabilito
dall’Istituto previdenziale, con evidente, irragionevole compressione del
diritto di difesa, non potendosi conculcare il diritto dell’interessato a
usufruire dell’intero termine di legge anche per la presa di conoscenza del
provvedimento, nulla escludendo che lo stesso possa predisporre il ricorso
tempestivamente nell’imminenza della scadenza».
Il rimettente confuta
poi che la diffusione dell’utilizzo degli strumenti telematici possa
giustificare la previsione censurata poiché «quel che rende eccessivamente
oneroso l’esercizio del diritto di difesa rispetto all’osservanza del termine
di decadenza è la stessa necessità di un controllo periodico, frequente e con
cadenza non preventivamente stabilita con esattezza del sito dell’INPS, volto a
verificare l’eventuale adozione di provvedimenti che potrebbero riguardare
anche annualità risalenti e che sarebbero destinati a incidere non su
un’aspettativa, ma su un diritto, quello all’iscrizione negli elenchi dei
lavoratori agricoli, già entrato a far parte del patrimonio del soggetto».
Sul punto evidenzia che
«non risultano nell’ordinamento, del resto, ipotesi di pubblicazione
generalizzata per casi in cui il provvedimento incida su situazioni giuridiche
già entrate nel patrimonio di un soggetto, che si trovi dunque in posizione di
mera difesa», non potendosi invocare la previsione dell’art. 32, comma 1, della
legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione,
la competitività nonché in materia di processo civile), secondo cui «a far data
dal 1° gennaio 2010, gli obblighi di pubblicazione di atti e provvedimenti
amministrativi aventi effetto di pubblicità legale si intendono assolti con la
pubblicazione nei propri siti informatici da parte delle amministrazioni e
degli enti pubblici obbligati».
Il giudice a quo
ritiene che la riportata disposizione deve, difatti, essere interpretata quale
«forma di agevolazione per le amministrazioni che debbano portare a conoscenza
di una generalità di soggetti non preventivamente identificati e potenzialmente
interessati (bandi di gara, concessioni etc.), non quando si tratta di atti che
incidono direttamente sulla singola posizione giuridica di soggetti determinati»,
come, del resto, affermato dalla giurisprudenza amministrativa (viene
richiamata la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia,
sezione quarta, 13 dicembre 2011, n. 3148, secondo cui l’articolo sopra citato
«[...] appare inequivoco nel determinare una presunzione assoluta di conoscenza
in capo ai soggetti interessati all’emanazione di atti da parte delle pubbliche
amministrazioni, qualora gli stessi non debbano ricevere una comunicazione
individuale legata alla loro peculiare posizione»).
Inoltre, rappresenta
che «l’esigenza di una utilizzazione restrittiva delle forme di pubblicazione
telematica è stata avvertita anche dal Consiglio di Stato [sezione terza,
sentenza 28 settembre 2018, n. 5570], che pure si occupava non di un atto direttamente
lesivo di singole posizioni giuridiche, bensì di un provvedimento
amministrativo rispetto al quale vi era una platea indifferenziata di
potenziali interessati». In tale decisione si afferma, difatti, che «...le
norme in tema di pubblicazione telematica degli atti devono essere applicate
con particolare cautela e, quindi, sottostare ad un canone di interpretazione
restrittiva, in particolare modo nel momento in cui si tratta di determinare
(in via interpretativa) gli effetti di conoscenza legale associabili o meno a
siffatta tipologia di esternazione comunicativa».
Il giudice rimettente
ritiene dunque che la norma in questione non garantisce l’effettivo esercizio
del diritto di difesa, «reso eccessivamente difficoltoso, sotto il profilo
della gravosità di un costante controllo telematico degli elenchi (inesigibile
per se stesso e reso ancor più gravoso dal fatto che – secondo le disposizioni
adottate dall’INPS, cui la norma rinvia, tali elenchi restano pubblicati solo
per quindici giorni, senza che l’interessato sia in grado di conoscere con
precisione la collocazione cronologica dei periodi di pubblicazione), onde
evitare che diventi definitivo un provvedimento che può portare alla perdita di
diritti patrimoniali anche rilevanti (si pensi alle ripercussioni che una
cancellazione può avere sul requisito contributivo ai fini pensionistici), e
ciò oltretutto, come sovente accade, con riguardo a iscrizioni negli elenchi
risalenti a molti anni prima».
Da ultimo, il
rimettente conclude escludendo la possibilità un’interpretazione adeguatrice della norma in questione alla luce del suo
tenore letterale e del richiamato diritto vivente.
3.– Nei tre giudizi si
è costituito l’INPS con atti depositati il 22 ottobre 2020, di identico
contenuto.
3.1.– Preliminarmente,
l’Istituto solleva plurime eccezioni in ordine alla ammissibilità della
questione: per difetto di motivazione sulla rilevanza; per carenze
motivazionali in ordine alle norme processuali o di diritto sostanziale in
ipotesi violate e alle ragioni che impedirebbero all’interessato di ricorrere
in via giudiziale; per omesso esperimento, da parte del giudice a quo,
dell’effettuazione «anche solo in via ipotetica, una possibile interpretazione
costituzionalmente conforme della norma censurata»; per irrilevanza della
questione a seguito della intervenuta abrogazione della disposizione censurata
ad opera dell’art. 43, comma 7, del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76 (Misure
urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale), convertito, con
modificazioni, nella legge 11 settembre 2020, n. 120.
3.2.– Nel merito,
L’INPS assume la (manifesta) infondatezza della questione, poiché «appare
evidente che la novella legislativa di cui all’art. 38, commi 6 e 7, del D.L.
n. 98/2011 si pone in perfetta armonia con una generale tendenza
all’informatizzazione della P.A. iniziata già dagli anni ‘90 – cfr. l’art. 2,
comma 1, lett. m), della L. n. 412/1992; il D.Lgs. n.
3971993; l’art. 15, comma 2 della L. n. 59/1997 – e poi proseguita con sempre
maggiore enfatizzazione nei decenni successivi».
Secondo l’Istituto «la
evidente ratio della norma sospettata di illegittimità costituzionale –
facilmente individuabile nelle estese dimensioni di un fenomeno variegato e
complesso anche per la sua parcellizzazione soggettiva e topografica, e,
quindi, nella oggettiva necessità di esternare giuridicamente gli aggiornamenti
in tempi ragionevoli e, comunque, compatibili con la tutela concreta delle
situazioni connesse a dette variazioni, la pone, per la sua chiara specificità,
al riparo da astratte censure di irrazionalità e/o irragionevolezza portate in
emersione, fra l’altro, in uno scenario epocale a sua volta avulso dalla realtà
quotidiana che, contrariamente a quanto opinato dal rimettente, vede lo
strumento della comunicazione via internet tutt’altro che abnorme».
L’ente previdenziale
afferma che «il legislatore, con le disposizioni normative censurate, ha dunque
solo introdotto una variazione delle modalità di pubblicazione che tiene conto
delle innovazioni tecnologiche, alle quali l’onere informativo dei lavoratori,
già previsto in precedenza, deve necessariamente adeguarsi», evidenziando che
«il lavoratore agricolo era, infatti, già onerato di un controllo relativo alla
pubblicazione degli elenchi secondo la normativa precedente, in quanto nel
sistema delineato dal D.L. n. 510/96, convertito in legge n. 608/96, era
previsto che la notifica agli interessati degli elenchi annuali di cui all’art.
12 R.D. n. 1949/1940 avvenisse mediante affissione degli elenchi stessi per 15
giorni consecutivi all’albo pretorio del comune di residenza dei lavoratori
interessati».
Nel rappresentare che
«la novella in materia non ha apportato alcuna modifica alle norme di carattere
sostanziale e/o processuale del nostro ordinamento giuridico in materia di azioni
giudiziali a tutela del lavoro agricolo e rimette all’Istituto previdenziale
l’indicazione delle sole "specifiche tecniche” in ordine alla pubblicazione
telematica», l’INPS deduce che del resto la «valutazione circa le modalità di
conoscenza da parte degli interessati di atti e provvedimenti della P.A., in
prospettiva di una maggiore efficienza e semplificazione dell’azione ed
attività amministrativa, non può che essere rimessa alla scelta discrezionale
del legislatore, che tenga conto, come nella specie, del contemperamento dei
diversi interessi in gioco».
Ad avviso della difesa
dell’ente, dunque, «con l’introduzione della modalità telematica della notifica
delle variazioni trimestrali il lavoratore agricolo non può ritenersi
defraudato né del diritto di azionare in sede giudiziale le tutele
apprestatogli dall’ordinamento (ove lo stesso si ritenga leso dai provvedimenti
adottati dall’amministrazione relativi all’iscrizione/cancellazione dagli
elenchi), né, tantomeno, del diritto di difesa, sia in caso di eventuale
ricorso in sede amministrativa, che in sede giudiziaria».
Viene, poi, confutato
l’assunto del giudice rimettente relativo alla onerosità per il lavoratore
agricolo del costante controllo sul sito dell’Istituto, «dal momento che la
pubblicazione telematica è prevista sia per far conoscere al lavoratore
l’avvenuta iscrizione negli elenchi, sia per far conoscere la sua avvenuta
cancellazione, con l’ovvia conseguenza che se la suddetta modalità di
notificazione consente al lavoratore agricolo di venire a conoscenza della sua
iscrizione negli elenchi annuali, non appare comprensibile perché la suddetta
modalità di conoscenza diventi impraticabile, particolarmente difficoltosa e
addirittura costituzionalmente illegittima ove il lavoratore agricolo debba
successivamente verificare la sua permanenza negli elenchi stessi, al fine di
poter conseguire le connesse prestazioni previdenziali a carico dell’Istituto».
L’Istituto afferma,
inoltre, che «quanto sopra appare tanto più incomprensibile ove si consideri che
la cancellazione dagli elenchi, contrariamente a quanto ritenuto nell’ordinanza
di rimessione, avviene spesso a seguito di accertamento ispettivo da parte
dell’INPS, all’esito del quale emerge la non corrispondenza tra quanto
denunciato dal datore di lavoro (ai fini dell’iscrizione negli elenchi) e la
riscontrata "fittizietà” dei rapporti di lavoro
subordinato dichiarati dallo stesso; "fittizietà” che
di certo non può ritenersi sconosciuta al presunto lavoratore agricolo».
La modalità di
notificazione mediante pubblicazione telematica degli elenchi non sarebbe,
pertanto, penalizzante, «in considerazione della ormai notoria diffusività
degli strumenti informatici e delle relative conoscenze, nonché della
semplicità di effettuazione della consultazione (non sono richieste nemmeno
credenziali di accesso); al contrario, tale modalità, appare apportare
significativi vantaggi agli interessati, sia in termini di rapidità che di
costi, non richiedendo spostamenti fisici e potendo consentire la consultazione
anche in orari di chiusura degli Uffici al pubblico (vantaggio non irrilevante
per i lavoratori). Le modalità di verifica sono altresì agevolate, oltre che
dalla possibilità di avvalersi di intermediari qualificati (Enti di patronato,
associazioni sindacali, CAF e simili) che apprestano gratuitamente attività di
assistenza e consulenza ai cittadini che alle medesime si rivolgano, anche
dalla permanenza di quindici giorni della pubblicazione degli elenchi sul sito
internet dell’Istituto».
L’Istituto prosegue
affermando che la disciplina in oggetto deve essere valutata in un’ottica di
bilanciamento di valori costituzionali, tenendo presente le esigenze di
assicurare una maggiore speditezza dell’azione amministrativa, di deflazionare
il contenzioso in materia, di prevenire abusi e indebiti previdenziali
conseguenti alla difficoltà di notifica al singolo operaio agricolo, a motivo
della sua reperibilità, e che in tale contesto «la progressiva attività di
informatizzazione della pubblica amministrazione e dell’attività della stessa,
nella prospettiva di una sempre maggiore efficienza dei servizi e delle
prestazioni (e della tempestività della erogazione delle medesime) offerte al
cittadino ed al lavoratore, è ormai tale che – proprio con specifico
riferimento, in particolare, all’INPS – per gran parte delle domande volte ad
ottenere il riconoscimento di un diritto o la liquidazione di una indennità, è
prescritto per legge l’utilizzo della sola modalità telematica, con esclusione
della modalità "cartacea” anche per ciò che concerne le relative
comunicazioni».
Altresì infondata
sarebbe la censura svolta dal rimettente in ordine all’asserita discrezionalità
dell’INPS circa i tempi e i modi cui realizzare tale notifica, in quanto «le
relative specifiche tecniche di cui alla circolare n. 82/2012 dell’Istituto,
sono improntate in modo tale da prevenire proprio il rischio di eccessiva
discrezionalità nella tempistica».
Riguardo alla
conoscibilità da parte del lavoratore del provvedimento attraverso la notifica
telematica, la difesa dell’ente previdenziale sostiene che stante il chiaro
dettato normativo il lavoratore agricolo è ben edotto che la notifica delle
variazioni trimestrali avviene mediante pubblicazione telematica sul sito
internet dell’INPS e vi rimarranno in pubblicazione per quindici giorni
consecutivi e che la pubblicazione dei citati elenchi di variazione avrà, ad
ogni effetto di legge, valore di notifica alla parte interessata.
Ancora, l’Istituto
previdenziale rileva che «d’altra parte non mancano nel nostro ordinamento
norme relative alla attribuzione di legale conoscenza alla pubblicazione di
atti con decorrenza dei relativi termini (cfr., ad esempio, l’art. 15 del D.P.R
n. 484/1987 in tema di pubblicazione di graduatorie, l’art. 58 del D.L. n.
112/2008 in tema di pubblicazioni di elenchi immobiliari; l’art. 47 del D.L. n.
269/2003); nonché disposizioni in materia di notificazioni e comunicazione di
atti e provvedimenti che riconducono gli effetti alla "presunzione di
conoscenza” da parte dei diretti interessati (ad esempio artt. 140 e 150 c.p.c )».
Quanto al richiamo
operato dal giudice rimettente all’art. 47 CDFUE e ai relativi principi come
delineati nella giurisprudenza della Corte di Giustizia, l’Istituto ne assume
la non pertinenza e la non suscettibilità «ad essere assunto a parametro di
comparazione nella questione all’esame concernente la legittimità
costituzionale della notifica telematica di provvedimenti amministrativi».
Ciò perché «il
principio di "equivalenza” e di "effettività” in cui si sostanzia, secondo
l’interpretazione della Corte di giustizia, il dettato di cui all’art. 47 della
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, attengono alle modalità
"procedurali dei ricorsi” che devono essere tali da non rendere impossibile la
tutela giurisdizionale dei diritti e libertà garanti dal diritto dell’Unione
e/o dal diritto interno»; la giurisprudenza della Corte di Lussemburgo ritiene,
inoltre, che tali principi «si applicano alle domande destinate a garantire
l’esercizio di un diritto conferito ad un soggetto dal diritto dell’Unione ed
ai ricorsi giurisdizionali intesi a garantire la tutela di un diritto
siffatto».
Nel richiamare in
proposito alcune decisioni della Corte di Giustizia europea, la difesa
dell’INPS conclude affermando che «la norma censurata, in quanto diretta a
disciplinare la sola modalità di notificazione telematica delle variazioni
nominative degli elenchi, non appare in alcun modo idonea a porsi in contrasto
con l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, né con
norme di rango costituzionale», tanto più «in assenza di una disciplina
comunitaria in materia di notificazione e comunicazione degli atti e
provvedimenti amministrativi».
3.3.– In prossimità dell’udienza,
la difesa dell’Istituto previdenziale ha depositato nei tre giudizi memorie
nelle quali ha ribadito quanto già argomentato in ordine alla inammissibilità
delle questioni per difetto di rilevanza e, comunque, alla loro infondatezza.
4.– È intervenuto in
giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, con atti in data 26/27 ottobre 2020 del
medesimo tenore.
In riferimento alla
violazione dell’art. 117 Cost., la difesa statale ne eccepisce
l’inammissibilità «in quanto nella fattispecie non rilevano profili di diritto eurounitario trattandosi di controversia relativa a diritti
riconosciuti dall’ordinamento nazionale. Né d’altronde vengono evidenziati tali
profili nella ordinanza di rimessione».
Quanto alla prospettata
lesione dell’art 24 Cost., ne viene affermata l’insussistenza.
L’Avvocatura generale
sostiene che «la dichiarata finalità della norma de qua, onde realizzare una
maggiore economicità dell’azione amministrativa (comma 1), risponde allo scopo
di semplificazione ed informatizzazione dell’attività amministrativa,
considerata l’ampia discrezionalità del Legislatore nello stabilire specifiche
modalità tecniche di comunicazione degli atti mediante pubblicazione telematica
con effetti di pubblicità legale», e che la previsione normativa di
comunicazione telematica è del tutto coerente con la generale disposizione di
cui all’art. 32 della legge n. 69 del 2009.
Rileva poi che, se «non
può sottacersi che, seppure alcune categorie di lavoratori o di soggetti deboli
possono avere difficoltà nell’utilizzo degli strumenti informatici», tuttavia
«l’ordinamento vigente prevede che apposite istituzioni (Enti di patronato,
associazioni sindacali, CAF e simili) apprestino gratuitamente attività di
assistenza e consulenza ai cittadini che alle medesime si rivolgano», e,
inoltre, «il lavoratore può in ogni momento consultare il proprio estratto
conto individuale che riporta la situazione aggiornata a seguito della
pubblicazione degli elenchi».
In conclusione, la
difesa statale afferma che «la norma non appare affatto irragionevole avendo il
legislatore contemperato le contrapposte esigenze di celerità/semplificazione
ed informatizzazione dell’attività amministrativa con quella di conoscenza da
parte del lavoratore interessato» e che «di conseguenza, la conoscibilità
legale assicurata dalla norma non pare costituire alcuna irragionevole
compressione del diritto di difesa degli amministrati avverso provvedimenti di
variazione degli elenchi trimestrali».
1.– Con le tre
ordinanze indicate in epigrafe (iscritte al registro ordinanze 2020 con i
numeri 135, 136 e 140), la Corte di appello di Reggio Calabria solleva
questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 24 e 117,
primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 47 della
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza
il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, dell’art. 38,
comma 7, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la
stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 15
luglio 2011, n. 111, nella parte in cui prevede che «[i]n caso di
riconoscimento o di disconoscimento di giornate lavorative intervenuti dopo la
compilazione e la pubblicazione dell’elenco nominativo annuale, l’INPS provvede
alla notifica ai lavoratori interessati mediante la pubblicazione, con le
modalità telematiche previste dall’articolo 12-bis del regio decreto 24 settembre
1940, n. 1949 di appositi elenchi nominativi trimestrali di variazione».
Le questioni sono sorte
nell’ambito di giudizi di appello relativi a controversie in materia di
indennità di disoccupazione agricola. I rispettivi ricorrenti hanno contestato
la loro cancellazione dagli elenchi dei lavoratori agricoli, che ha comportato
la perdita del diritto alla indennità di disoccupazione per effetto del mancato
riconoscimento delle giornate lavorative utili alla prestazione, nonché
l’obbligo di restituire quanto già indebitamente percepito a tale titolo.
In tutti i giudizi
l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) ha opposto l’intervenuta
decadenza dalla possibilità di promuovere l’azione giudiziaria essendo decorso
il termine, previsto dall’art. 22 del decreto-legge 3 febbraio 1970, n. 7
(Norme in materia di collocamento e accertamento dei lavoratori agricoli),
convertito, con modificazioni, nella legge 11 marzo 1970, n. 83, di centoventi
giorni dalla notifica agli interessati del provvedimento di cancellazione,
avvenuta, ai sensi della disposizione impugnata, con la pubblicazione sul sito
internet dell’Istituto.
Per contro, i
ricorrenti hanno affermato di non aver avuto conoscenza dei provvedimenti in
oggetto e negato di essere pertanto incorsi nella decadenza eccepita dall’ente
previdenziale.
1.1.– Va premesso che
l’art. 12 del regio decreto 24 settembre 1940, n. 1949 (Modalità di
accertamento dei contributi dovuti dagli agricoltori e dai lavoratori
dell’agricoltura per le associazioni professionali, per l’assistenza malattia,
per l’invalidità e vecchiaia, per la tubercolosi, per la nuzialità e natalità
per l’assicurazione obbligatoria degli infortuni sul lavoro in agricoltura e
per la corresponsione degli assegni familiari, e modalità per l’accertamento
dei lavoratori dell’agricoltura), richiamato dalla disposizione impugnata, nel
prevedere la compilazione di elenchi nominativi dei lavoratori in agricoltura,
stabilisce che ogni tre mesi possono essere compilati elenchi suppletivi con le
variazioni che riportano l’indicazione della data di decorrenza della
iscrizione o cancellazione di ciascun nominativo.
A sua volta, l’art.
12-bis del medesimo regio decreto, inserito dall’art. 38, comma 6, del d.l. n. 98 del 2011, e richiamato dalla disposizione impugnata,
stabilisce che «[c]on riferimento alle giornate di occupazione successive al 31
dicembre 2010, dichiarate dai datori di lavoro e comunicate all’Istituto
nazionale della previdenza sociale (INPS) ai sensi dell’articolo 6, commi 1, 3
e 4, del decreto legislativo 11 agosto 1993, n. 375, per gli operai
agricoli a tempo determinato, per i compartecipanti familiari e per i piccoli
coloni, gli elenchi nominativi annuali di cui all’articolo 12 sono notificati
ai lavoratori interessati mediante pubblicazione telematica effettuata
dall’INPS nel proprio sito internet entro il mese di marzo dell’anno successivo
secondo specifiche tecniche stabilite dall’Istituto stesso».
1.2.– La Corte
rimettente ritiene che la modalità di notifica ai lavoratori interessati tramite
la pubblicazione sul sito dell’INPS degli elenchi nominativi trimestrali di
variazione del provvedimento di riconoscimento/disconoscimento delle giornate
lavorative, prevista dalla disposizione sospettata di illegittimità
costituzionale, renda eccessivamente difficoltoso l’esercizio del diritto di
difesa.
Ciò perché porrebbe a
carico dei lavoratori il gravoso onere di un costante controllo telematico
degli elenchi, al fine di evitare che decorra il termine perentorio per
contestare il provvedimento e promuovere il giudizio volto a conseguire le
prestazioni previdenziali negate dall’Istituto.
In tal modo la
disposizione impugnata violerebbe l’art. 117, primo comma, Cost. «per mancata
conformazione del diritto interno ai vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario»,
in relazione all’art. 47 CDFUE e al principio di effettività, nonché
contestualmente l’art. 24 Cost., determinando una «irragionevole compressione
del diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi
legittimi».
1.3.– Nel merito, la
Corte di appello di Reggio Calabria rileva che l’onere posto a carico del
lavoratore dalla modalità di notificazione telematica contemplata dalla
disposizione censurata rende difficoltoso il tempestivo esercizio del diritto
di difesa attraverso l’impugnazione del provvedimento ai sensi dell’art. 22 del
d.l. n. 7 del 1970, come convertito, ed è tanto più
grave in quanto, nella fattispecie, l’esercizio dell’azione giudiziale è
rivolto a far valere situazioni giuridiche soggettive concernenti diritti a
prestazioni previdenziali.
Il rimettente ritiene
che la gravosità di un tale onere è ulteriormente accentuata dalle previsioni
della circolare 14 giugno 2012, n. 82 (Disposizioni in materia di contenzioso
previdenziale ed assistenziale. Articolo 38, commi 6 e 7: pubblicazione degli
elenchi nominativi dei lavoratori dell’agricoltura) con cui l’INPS, in
attuazione della disposizione censurata, ha dettato le "specifiche tecniche”
della pubblicazione in modalità telematica; in particolare, la previsione della
circolare secondo cui «decorsi quindici giorni consecutivi dalla pubblicazione,
i medesimi elenchi non saranno più visualizzabili» compromette in modo
irragionevole il diritto di difesa, non potendosi inibire il diritto
dell’interessato a utilizzare l’intero termine di legge previsto per
l’impugnazione anche per la conoscenza del provvedimento. Ciò perché il
lavoratore ben potrebbe predisporre il ricorso comunque tempestivamente
nell’imminenza della scadenza del termine stesso; il lavoratore interessato non
ha di norma conoscenze giuridiche adeguate, né ragione di farsi assistere da un
legale; la diffusione dell’utilizzo agli strumenti telematici non giustifica
l’utilizzo della modalità di notificazione in esame, che costituisce una
eccezione nell’ordinamento.
2.– L’identità delle
questioni prospettate nei tre giudizi promossi dalla Corte di appello di Reggio
Calabria ne comporta la riunione.
3.– Vanno
preliminarmente esaminate le plurime eccezioni di inammissibilità delle
questioni sollevate dall’INPS e quella prospettata dalla difesa statale.
3.1.– Nessuna delle
eccezioni avanzate dall’Istituto previdenziale è meritevole di accoglimento.
3.1.1.– In punto di
rilevanza, l’INPS eccepisce che il giudice a quo non avrebbe in alcun modo
motivato circa la ritenuta «idoneità della norma censurata a porre nel nulla
gli esiti dell’istruzione svolta in primo grado, intervenendo a monte sulla
stessa configurabilità del diritto alla prestazione e pertanto confermando la
natura indebita della stessa».
L’assunto non è
fondato, poiché le motivazioni addotte dal giudice rimettente risultano
plausibili e, dunque, idonee a superare il vaglio di ammissibilità.
In tutte e tre le
vicende la Corte di appello prospetta, difatti, che la intervenuta decadenza
dalla possibilità per il lavoratore interessato di promuovere l’azione
giudiziaria essendosi compiuto il termine decadenziale, decorrente dalla
pubblicazione in via telematica dei rispettivi provvedimenti di variazione
degli elenchi, precluderebbe lo stesso esame nel merito in ordine alla
sussistenza del diritto alle prestazioni richieste. Ciò pertanto anche nei casi
di cui alle ordinanze n. 136 e n. 140, in cui si controverte, altresì, del
diritto dell’INPS a ripetere il preteso indebito previdenziale, con la
conseguenza che la rilevata preclusione verrebbe meno in caso di declaratoria
di illegittimità costituzionale della disposizione censurata, aprendo la strada
alla verifica nel merito della sussistenza dei requisiti per il conseguimento
delle prestazioni previdenziali in oggetto.
3.1.2.– È altresì
infondata l’eccezione di inammissibilità sollevata dall’INPS in riferimento
alle asserite carenze in cui sarebbe incorso il rimettente circa la indicazione
delle norme processuali e di diritto asseritamente violate.
Risulta, difatti, con
chiarezza che il giudice rimettente censura la disposizione impugnata in quanto
viene a fissare il momento (notifica all’interessato del provvedimento di
variazione dell’elenco) da cui decorre il termine per ricorrere all’autorità giudiziaria,
ai sensi dell’art. 22 del d.l. n. 7 del 1970.
3.1.3.– Ancora, l’INPS
eccepisce l’omesso esperimento del tentativo di interpretazione
costituzionalmente orientata della disposizione censurata da parte della Corte
rimettente.
L’eccezione non è accoglibile
in quanto il giudice a quo ha dato atto di avere escluso la possibilità di
esperire un tale tentativo esegetico in considerazione del tenore letterale
della disposizione normativa e della giurisprudenza in materia. In particolare
ha osservato che «la giurisprudenza di merito formatasi dopo l’entrata in
vigore dell’art. 38 comma 7, vincolata dalla inequivocabile formulazione
legislativa, ha «costantemente ritenuto che, una volta completata la procedura
ora descritta, l’interessato ha legale conoscenza della cancellazione e che da
quel momento decorre il termine per l’impugnazione amministrativa, ai sensi
dell’art. 11 D.Lgs. 375/1993, in assenza della quale
il provvedimento diventa definitivo, con conseguente applicazione del termine
di centoventi giorni per l’introduzione del giudizio innanzi al tribunale».
Le argomentazioni così
addotte dal giudice rimettente consentono dunque di ritenere assolto l’onere di
previo esperimento del tentativo di interpretazione conforme della disposizione
censurata.
3.1.4.– Da ultimo, la
difesa dell’Istituto eccepisce la irrilevanza della questione a seguito della
abrogazione della norma censurata intervenuta successivamente alla emanazione
delle ordinanze in esame da parte della Corte di appello di Reggio Calabria.
Anche tale eccezione
non è fondata.
L’art. 43, comma 7, del
decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76 (Misure urgenti per la semplificazione e
l’innovazione digitale), convertito, con modificazioni, nella legge 11
settembre 2020, n. 120, ha disposto: «[a]ll’articolo 38,
comma 7, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni,
dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, al secondo periodo, le parole da "l’INPS” a
"di variazione” sono sostituite dalle seguenti: "l’INPS provvede alla notifica
ai lavoratori interessati mediante comunicazione individuale a mezzo
raccomandata, posta elettronica certificata o altra modalità idonea a garantire
la piena conoscibilità” e il terzo periodo è soppresso».
La novella normativa
ripristina, dunque, la notifica mediante comunicazione individuale al
lavoratore agricolo del provvedimento di riconoscimento o di disconoscimento di
giornate lavorative intervenuto dopo la compilazione e pubblicazione
dell’elenco nominativo annuale, ma la norma non è retroattiva, sicché permane l’interesse
alla pronuncia di illegittimità costituzionale della disposizione censurata.
3.2.– Merita invece
accoglimento l’eccezione di inammissibilità della questione sollevata dalla
difesa statale per la dedotta violazione dell’art. 117, primo comma, Cost. in
relazione all’art. 47 CDFUE.
Difatti nella
problematica in esame non emergono aspetti riferibili al diritto eurounitario in quanto la controversia attiene a situazioni
giuridiche soggettive riconosciute dall’ordinamento nazionale tanto che le
argomentazioni dedotte dal rimettente in riferimento a tale parametro risultano
svolgere una funzione meramente integrativa e di supporto alla violazione
dell’art. 24 Cost., avente carattere decisamente prioritario nell’iter
argomentativo del rimettente stesso.
4.– Nel merito la
questione in riferimento all’art. 24 Cost. non è fondata.
4.1.– La normativa in
materia di prestazioni a sostegno del reddito, come l’indennità di
disoccupazione, ha caratteristiche di specificità, conseguenti alla natura
dell’attività lavorativa con riguardo: al suo accentuato carattere stagionale,
alla esposizione a fenomeni metereologici, alla stessa sede in cui essa è
prestata, e al correlato, non infrequente riscontro della natura fittizia dei
rapporti di lavoro dichiarati.
Esemplificative di tale
accentuata peculiarità sono proprio le disposizioni secondo cui le prestazioni
previdenziali in oggetto dei lavoratori agricoli a tempo determinato
richiedono, oltre allo svolgimento effettivo dell’attività per un numero minimo
di giornate coperte da contribuzione, l’iscrizione dei lavoratori stessi negli
appositi elenchi nominativi previsti dall’art. 12 del r.d.
n. 1949 del 1940.
La Corte di cassazione
ha stabilito che tale iscrizione espleta «una funzione di agevolazione
probatoria che viene meno una volta che l’Inps, a seguito di un controllo,
disconosca l’esistenza del rapporto di lavoro ai fini previdenziali,
esercitando una propria facoltà (che trova conferma nell’art. 9 del D.Lgs. n. 375 del 1993), con la conseguenza che […] il
lavoratore ha, in tal caso, l’onere di provare l’esistenza, la durata e la
natura onerosa del rapporto dedotto a fondamento del diritto all’iscrizione –
e/o di ogni altro diritto consequenziale di carattere previdenziale – fatto
valere in giudizio» (sezione lavoro, sentenza 19 maggio 2003, n. 7845).
Contro i provvedimenti
di cancellazione il lavoratore interessato può proporre ricorso in sede
amministrativa, ai sensi dell’art. 11 del decreto legislativo 11 agosto 1993,
n. 375, recante «Attuazione dell’art. 3, comma 1, lettera aa), della L. 23
ottobre 1992, n. 421, concernente razionalizzazione dei sistemi di accertamento
dei lavoratori dell’agricoltura e dei relativi contributi».
Avverso il
provvedimento che abbia assunto carattere di definitività, l’art. 22 del d.l. n. 7 del 1970 prevede la possibilità di promuovere
azione giudiziaria entro il termine di decadenza di centoventi giorni dalla
notifica del provvedimento definitivo o, comunque, dal momento in cui
l’interessato ne abbia avuto conoscenza.
La Corte di cassazione
ha evidenziato che tale peculiare sistema è funzionale e coerente con la
specificità del settore agricolo in ragione delle esigenze di celerità della
procedura di accertamento e definizione delle controversie (ex plurimis, sezione lavoro, ordinanza 21 novembre 2014, n.
24901 e sentenza 26 luglio 2009, n. 15814).
Anche questa Corte ha
rilevato la specificità del lavoro agricolo, nel dichiarare la compatibilità
con gli artt. 3 e 38, secondo comma, Cost. (evocati in quel giudizio) del
sistema degli elenchi e del regime della decadenza previsto dal citato art. 22
del d.l. n. 7 del 1970. In particolare, ha affermato
che la finalità della decadenza «è da rinvenire nella esigenza di accertare nel
più breve tempo possibile la sussistenza del diritto all’iscrizione ed alle
conseguenti prestazioni, avuto riguardo alla circostanza che l’atto di
iscrizione negli elenchi costituisce presupposto per l’accesso alle prestazioni
previdenziali collegate al solo requisito assicurativo, quali la indennità di
malattia o di maternità, e titolo per l’accredito, per ciascun anno, dei
contributi corrispondenti al numero di giornate di iscrizione negli elenchi
stessi» (sentenza
n. 192 del 2005).
4.2.– Ora, va ricordato
che, fino all’entrata in vigore della disposizione censurata l’INPS, in caso di
riconoscimento o di disconoscimento di giornate lavorative, intervenuti dopo la
compilazione e pubblicazione dell’elenco nominativo annuale, doveva provvedere
alla «diretta notifica al lavoratore interessato», ai sensi dell’art.
9-quinquies, comma 4, del decreto-legge 1° ottobre 1996, n. 510 (Disposizioni
urgenti in materia di lavori socialmente utili, di interventi a sostegno del
reddito e nel settore previdenziale), convertito, con modificazioni, nella
legge 28 novembre 1996, n. 608.
L’art. 38 del d.l. n. 98 del 2011, nel sopprimere gli elenchi nominativi
trimestrali previsti dal comma 2 del medesimo art. 9-quinquies del d.l. n. 510 del 1996, ha dunque sostituito la comunicazione
individuale con la pubblicazione telematica sul sito Internet dell’INPS sia
dell’elenco annuale, sia delle sue variazioni trimestrali, prevedendo che essa
valga come notificazione agli interessati del provvedimento: il comma 6 in
relazione agli elenchi annuali, il comma 7 – che è la previsione
specificatamente censurata dal rimettente – in relazione agli elenchi
nominativi trimestrali di variazione conseguenti al riconoscimento o
disconoscimento di giornate lavorative intervenuti dopo la compilazione e
pubblicazione dell’elenco nominativo annuale.
A sua volta, come già
si è rilevato, la censurata previsione dell’art. 38, comma 7, del d.l. n. 98 del 2011 è stata, successivamente all’emanazione
delle ordinanze di esame, novellata dall’art. 43, comma 7, del d.l. n. 76 del 2020, nel senso di reintrodurre la notifica,
al lavoratore interessato, tramite comunicazione individuale, dei provvedimenti
di variazione intervenuti dopo la compilazione e la pubblicazione dell’elenco
nominativo annuale.
5.– Il thema decidendum del presente
giudizio è, dunque, costituito dalla verifica della compatibilità con il
diritto di difesa, assicurato dall’art. 24 Cost., della modalità di notifica
tramite la pubblicazione del provvedimento in questione sul sito internet
dell’INPS, contemplato dalla disposizione censurata. Ciò sotto il profilo della
concreta possibilità per il lavoratore interessato di venire a conoscenza del
provvedimento stesso e, dunque, di agire tempestivamente per il riconoscimento
delle prestazioni previdenziali negate dall’Istituto.
5.1.– Questa Corte ha
riconosciuto al legislatore un’ampia discrezionalità nella conformazione degli
istituti processuali (sentenze n. 44 del
2016 e n. 23
del 2015) con il limite della manifesta irragionevolezza della disciplina
ogni qual volta emerga un’ingiustificata compressione del diritto ad agire (sentenza n. 335 del
2004), costituito dal sostanziale impedimento all’esercizio del diritto di
azione (sentenza
n. 117 del 2012) o dall’aver reso oltremodo difficoltosa la tutela
giurisdizionale.
Ha chiarito che è parte
integrante del diritto di difesa che i soggetti interessati abbiano tempestiva
conoscenza degli atti impugnabili, in modo che possano essere utilizzati nella
loro interezza i termini di decadenza previsti per l’esperimento del gravame (sentenza n. 3 del
2015).
Ha, altresì,
specificato che l’interessato deve essere, quindi, posto in condizione di
conoscere la decorrenza del termine senza l’imposizione di oneri eccedenti la
normale diligenza (ex plurimis, sentenza n. 446 del
1997).
5.2.– La giurisprudenza
amministrativa ha avuto modo di pronunciarsi sugli effetti della pubblicazione
telematica degli atti amministrativi, ove sia prevista e prescritta da
specifiche disposizioni normative, stabilendo che essa costituisce una forma di
pubblicità idonea ad integrare gli estremi della conoscenza erga omnes
dell’atto e far decorrere il termine decadenziale di impugnazione,
privilegiando, «in presenza di dubbi esegetici aventi effetti sul regime decadenziale dall’azione impugnatoria,
l’opzione meno sfavorevole per l’esercizio del diritto di difesa e, quindi,
maggiormente conforme ai principi costituzionali espressi dagli artt. 24, 111 e
113 Cost., nonché al principio di effettività della tutela giurisdizionale»
(Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza 28 settembre 2018, n. 5570).
6.– Alla luce
dell’illustrato quadro normativo e giurisprudenziale la disposizione censurata
risulta immune da vizi di legittimità costituzionale, laddove le censure del
giudice rimettente investono la circolare n. 82 del 2012 (relative sia alla
pubblicazione degli elenchi annuali che di quelli trimestrali di variazione),
con la quale l’INPS ha definito, in attuazione della disposizione censurata, le
"specifiche tecniche” della pubblicazione in modalità telematica, con
particolare riferimento alla previsione secondo cui «[d]ecorsi
quindici giorni consecutivi dalla pubblicazione, i medesimi elenchi non saranno
più visualizzabili». Ciò perché, nell’argomentazione del giudice a quo, è tale
previsione a compromettere in modo irragionevole il diritto di difesa, in
quanto incide sul diritto dell’interessato a utilizzare l’intero termine di
legge previsto per l’impugnazione anche per la conoscenza del provvedimento,
potendo egli predisporre il ricorso comunque tempestivamente nell’imminenza
della scadenza del termine stesso.
Il predetto ristretto
ambito temporale non è difatti previsto dalla disposizione di legge impugnata
né la sua indicazione, contrariamente a quanto affermato dalla difesa
dell’Istituto, è necessario effetto del rinvio operato dal ricordato art. 12-bis
del r.d. n. 1949 del 1940 al precedente art. 12,
poiché tale ultimo articolo è richiamato non già per la procedura di
notificazione, ma solo con riferimento agli elenchi nominativi annuali.
Ne consegue che i dubbi
espressi dal rimettente circa l’irragionevole compressione del diritto di
difesa dedotta dal rimettente vanno riferiti alle modalità con le quali la
circolare INPS n. 82 del 2012 ha definito le specifiche tecniche di
notificazione agli interessati tramite pubblicazione sul proprio sito Internet
degli elenchi di variazione trimestrali.
In effetti il
legislatore ha rimesso a tale atto amministrativo la composizione degli
interessi coinvolti, in funzione del nuovo strumento tecnologico individuato,
contemperando in modo equilibrato le diverse esigenze: da un lato, la necessità
di assicurare efficienza e speditezza dell’attività della pubblica
amministrazione, che è la ragione ispiratrice della disposizione sospettata di
illegittimità costituzionale, dall’altro, la garanzia di un’adeguata
conoscibilità del provvedimento impugnabile da parte del lavoratore
interessato, assicurando tempi ragionevoli per poter acquisirne la conoscenza
tramite la visione del sito istituzionale. E ciò tenendo anche conto che tali
provvedimenti incidono su diritti relativi a prestazioni previdenziali e,
dunque, su situazioni giuridiche soggettive di rilievo costituzionale (art. 38
Cost.), connotate da alta sensibilità sociale.
A questo fine,
l’amministrazione competente deve porre particolare attenzione all’esigenza di
cautela che, come evidenziato dal Consiglio di Stato nella richiamata sentenza
n. 5570 del 2018, impronta il ricorso alla pubblicazione attraverso strumenti
informatici di atti e provvedimenti della pubblica amministrazione, esigenza
tanto più forte, nel caso di specie, per le ragioni innanzi evidenziate.
Pertanto, spetta,
eventualmente, alla competente sede giudiziaria valutare gli eventuali profili
di illegittimità della circolare INPS n. 82 del 2012 con cui l’Istituto ha
definito le specifiche tecniche della peculiare modalità di notifica prevista
dalla disposizione censurata.
7.– Conclusivamente
deve escludersi che la disposizione censurata possa essere considerata ex se
lesiva dell’art. 24 Cost.
LA CORTE
COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 7,
del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la
stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 15
luglio 2011, n. 111, nella parte in cui, nel testo previgente alla modifica
recata dall’art. 43, comma 7, del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76 (Misure
urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale), convertito, con
modificazioni, nella legge 11 settembre 2020, n. 120, prevede che «[i]n caso di
riconoscimento o di disconoscimento di giornate lavorative intervenuti dopo la
compilazione e la pubblicazione dell’elenco nominativo annuale, l’INPS provvede
alla notifica ai lavoratori interessati mediante la pubblicazione, con le
modalità telematiche previste dall’articolo 12-bis del regio decreto 24
settembre 1940, n. 1949 di appositi elenchi nominativi trimestrali di
variazione», sollevata – in riferimento all’art. 117, primo comma, della
Costituzione, in relazione all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a
Strasburgo il 12 dicembre 2007 – dalla Corte di appello di Reggio Calabria con
le tre ordinanze indicate in epigrafe.
2) dichiara non fondata
la questione di legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 7, del d.l. n. 98 del 2011, nella parte in cui, nel testo
previgente alla modifica recata dall’art. 43, comma 7, del d.l.
n. 76 del 2020, prevede che «[i]n caso di riconoscimento o di disconoscimento
di giornate lavorative intervenuti dopo la compilazione e la pubblicazione
dell’elenco nominativo annuale, l’INPS provvede alla notifica ai lavoratori
interessati mediante la pubblicazione, con le modalità telematiche previste
dall’articolo 12-bis del regio decreto 24 settembre 1940, n. 1949 di appositi
elenchi nominativi trimestrali di variazione», sollevata, in riferimento
all’art. 24 Cost., dalla Corte di appello di Reggio Calabria con le tre ordinanze
indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma,
nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 febbraio
2021.
F.to:
Giancarlo CORAGGIO,
Presidente
Giulio PROSPERETTI,
Redattore
Roberto MILANA,
Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria
il 23 marzo 2021.