SENTENZA N. 229
ANNO 2019
Commento alla decisione di
Silvia Bernardi
per g.c. di Sistema Penale
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Giorgio LATTANZI;
Giudici: Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 58-quater, comma 4, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), promossi dal Magistrato di sorveglianza di Padova, nella procedura di sorveglianza ad istanza di G. C., con ordinanza del 3 dicembre 2018, iscritta al n. 55 del registro ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell’anno 2019, e dal Magistrato di sorveglianza di Milano, nella procedura di sorveglianza ad istanza di A. C., con ordinanza del 14 maggio 2019, iscritta al n. 131 del registro ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 34, prima serie speciale, dell’anno 2019.
Visto l’atto di costituzione di A. C.;
udito nell’udienza pubblica e nella camera di consiglio del 9 ottobre 2019 il Giudice relatore Francesco Viganò;
udito nell’udienza pubblica l’avvocato Corrado Limentani per A. C.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 14 maggio 2019 (r. o. n. 131 del 2019), il Magistrato di sorveglianza di Milano ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 58-quater, comma 4, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui prevede che i condannati a pena detentiva temporanea per il delitto di cui all’art. 630, secondo comma, del codice penale, che abbiano cagionato la morte del sequestrato, non sono ammessi ad alcuno dei benefici indicati dall’art. 4-bis, comma 1, ordin. penit. se non abbiano effettivamente espiato almeno due terzi della pena irrogata.
1.1.– Espone il giudice rimettente di essere chiamato a decidere sull’istanza, formulata dalla detenuta A. C., di concessione del primo permesso premio al fine di coltivare i propri affetti familiari e, in particolare, con il figlio minorenne.
Riferisce il giudice a quo:
– che la detenuta è stata condannata in via definitiva alla pena di ventiquattro anni di reclusione per concorso in sequestro di persona a scopo di estorsione, aggravato dalla morte della persona sequestrata come conseguenza non voluta, ai sensi dell’art. 630, secondo comma, cod. pen., in relazione al ruolo da lei assunto nel rapimento di un bimbo, conclusosi con la sua uccisione da parte di altri correi;
– che, al momento della presentazione dell’istanza, la detenuta aveva espiato effettivamente tredici anni, un mese e dodici giorni di reclusione, avendo altresì maturato due anni, sette mesi e cinque giorni di liberazione anticipata;
– che nell’istanza la condannata aveva asserito la propria totale estraneità a contesti di criminalità organizzata e aveva dedotto, altresì, l’evidente impossibilità di una sua collaborazione “attiva”, in quanto le condotte a lei ascritte erano state integralmente accertate con sentenza passata in giudicato.
Il rimettente ritiene, tuttavia, che alla stregua della disposizione censurata l’istanza dovrebbe essere ritenuta inammissibile, non avendo la condannata ancora espiato i due terzi della pena detentiva inflitta. Non avrebbe infatti pregio l’argomento dell’istante secondo cui la preclusione posta dall’art. 58-quater, comma 4, ordin. penit. non si applicherebbe all’ipotesi aggravata di cui all’art. 630, secondo comma, cod. pen., dal momento che – ad avviso del giudice a quo – l’espressione «che abbiano cagionato la morte del sequestrato» sarebbe riferibile tanto all’ipotesi – contemplata dall’art. 630, terzo comma, cod. pen. – in cui il reo abbia volontariamente cagionato l’evento letale, quanto a quella – prevista dal secondo comma di tale disposizione – in cui la morte del sequestrato costituisca conseguenza non voluta della sua condotta.
1.2.– Il rimettente dubita, tuttavia, della compatibilità di tale preclusione con gli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost.
1.3. – Le questioni sarebbero, anzitutto, rilevanti, in quanto soltanto la rimozione della preclusione in parola – non superabile in via interpretativa – consentirebbe di esaminare nel merito l’istanza proposta dalla condannata.
1.4.– Le questioni non potrebbero, d’altra parte, ritenersi manifestamente infondate.
1.4.1.– La preclusione posta dall’art. 58-quater, comma 4, ordin. penit. si esporrebbe, infatti, a tutte le censure di illegittimità costituzionale già ritenute fondate da questa Corte, sotto il profilo dell’art. 27, terzo comma, Cost., con la sentenza n. 149 del 2018, censure richiamate per intero dal giudice a quo.
1.4.2.– La disciplina risultante dalla sentenza n. 149 del 2018 si porrebbe, inoltre, in contrasto con l’art. 3 Cost., risultando irragionevole – ed anzi paradossale – che per i condannati all’ergastolo sia oggi vigente una disciplina più favorevole di quella applicabile ai condannati a una mera pena detentiva temporanea.
2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri non è intervenuto nel giudizio.
3.– La detenuta istante A. C. si è costituita in giudizio chiedendo che – ove questa Corte non ritenga possibile una interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione censurata nel senso di escludere l’operatività della preclusioni nei confronti dei condannati per il delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione che abbiano cagionato la morte del sequestrato come conseguenza non voluta – sia accolta la questione di legittimità costituzionale prospettata per i medesimi argomenti già sviluppati nell’ordinanza di rimessione.
4.– Con ordinanza del 3 dicembre 2018 (r. o. n. 55 del 2019), il Magistrato di sorveglianza di Padova ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 58-quater, comma 4, ordin. penit., in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., nella parte in cui prevede che i condannati a pena detentiva temporanea per il delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione, che abbiano cagionato la morte del sequestrato, non siano ammessi ad alcuno dei benefici penitenziari indicati nel primo comma dell’art. 4-bis ordin. penit. se non abbiano effettivamente espiato almeno i due terzi della pena irrogata.
4.1.– Espone il rimettente di essere chiamato a decidere sull’istanza, formulata dal detenuto G. C., di un permesso premio presso l’abitazione della madre per coltivare gli affetti familiari, e in particolare con il figlio, portatore di grave patologia invalidante.
Riferisce il giudice a quo:
– che il detenuto è stato condannato in via definitiva alla pena complessiva di venti anni e due mesi di reclusione, nonché di cinque mesi di arresto, di cui diciotto anni per il delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione aggravato ai sensi dell’art. 630, terzo comma, cod. pen., per avere egli cagionato volontariamente la morte del sequestrato;
– che, al momento della presentazione dell’istanza, il detenuto aveva espiato effettivamente la pena di nove anni, cinque mesi e venticinque giorni, avendo altresì maturato 630 giorni di liberazione anticipata;
– che nel 2014 lo stesso Magistrato di sorveglianza aveva riconosciuto che G. C. aveva prestato piena collaborazione con la giustizia.
Ritiene tuttavia il rimettente che alla concessione del beneficio richiesto osti il disposto dell’art. 58-quater, comma 4, ordin. penit., che preclude ai condannati a pena temporanea per il delitto di sequestro a scopo di estorsione che abbiano cagionato la morte del sequestrato di accedere a qualsiasi beneficio penitenziario ove non abbiano effettivamente espiato i due terzi della pena irrogata.
4.2.– Il giudice a quo dubita, tuttavia, della compatibilità di tale disciplina con gli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost.
4.3.– Le questioni sarebbero anzitutto rilevanti, dal momento che – in assenza della preclusione posta dalla disposizione censurata – l’istanza del condannato potrebbe senz’altro essere accolta. Avendo egli attivamente collaborato con la giustizia, l’accesso ai permessi premio gli sarebbe consentito una volta scontato il quarto della pena, ai sensi del combinato disposto degli artt. 58-ter, comma 1, e 30-ter, comma 4, lettera b), ordin. penit.: termine, questo, ormai abbondantemente scaduto. Il condannato avrebbe, inoltre, serbato regolare condotta all’interno dell’istituto penitenziario, come attestato anche dalla relazione favorevole del direttore del carcere e dalle molteplici evidenze relative alla partecipazione alle offerte trattamentali, alla rivisitazione critica del reato, ai tentativi di risarcimento posti in essere in favore dei familiari della vittima, al mantenimento di rapporti costanti con i familiari e in particolare con il figlio disabile, nonché all’assenza di elementi che lo colleghino alla criminalità organizzata.
4.4.– Le questioni sarebbero, altresì, non manifestamente infondate.
4.4.1.– Il rimettente rileva anzitutto che la disposizione censurata risulterebbe incompatibile con l’art. 3 Cost., sotto il profilo dell’irragionevole disparità di trattamento venutasi a creare, in seguito alla sentenza n. 149 del 2018 di questa Corte, tra i condannati all’ergastolo e i condannati a pena detentiva temporanea, per i quali vigerebbe ormai un regime deteriore, potendo i primi essere ammessi a godere dei permessi premio una volta espiati dieci anni di pena (ulteriormente riducibili per effetto dei periodi di liberazione anticipata maturati), a fronte della necessità di espiazione effettiva dei due terzi della pena per i secondi – e dunque di un periodo superiore a dieci anni, ogniqualvolta la pena irrogata sia superiore ai quindici anni di reclusione, come nel caso del detenuto istante.
Di tale disparità di trattamento creata dalla sentenza n. 149 del 2018 sarebbe stata, del resto, consapevole anche questa Corte, che proprio per porre rimedio a tale effetto aveva invocato l’intervento correttivo del legislatore, a tutt’oggi non verificatosi.
4.4.2.– La disposizione censurata si esporrebbe, inoltre, a una seconda censura di irragionevole disparità di trattamento ex art. 3 Cost., sottoponendo a un trattamento marcatamente deteriore i condannati per il delitto di cui all’art. 630, terzo comma, cod. pen. che abbiano collaborato con la giustizia rispetto a quello riservato alla generalità dei condannati per taluno dei delitti previsti dall’art. 4-bis ordin. penit. che parimenti abbiano collaborato con la giustizia, e per i quali vigono – per effetto dell’art. 58-ter, comma 1, ordin. penit. – gli ordinari termini per l’accesso ai benefici penitenziari applicabili a qualsiasi condannato, e non già quelli più gravosi previsti per i condannati per i delitti previsti dallo stesso art. 58-quater, comma 4, ordin. penit.
4.4.3.– Infine, la disposizione censurata si esporrebbe a tutti i profili di contrasto con l’art. 27, terzo comma, Cost. già riscontrati da questa Corte, con riferimento alla preclusione in precedenza vigente per i condannati all’ergastolo, nella sentenza n. 149 del 2018, la cui motivazione viene diffusamente richiamata dall’ordinanza di rimessione.
5. – Il Presidente del Consiglio dei ministri non è intervenuto nel giudizio.
Considerato in diritto
1.– Con ordinanze rispettivamente rubricate al n. 131 e al n. 55 del r. o. 2019, il Magistrato di sorveglianza di Milano e il Magistrato di sorveglianza di Padova hanno sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 58-quater, comma 4, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), in riferimento agli artt. 3 e 27, comma terzo, della Costituzione, nella parte in cui prevede che i condannati a pena detentiva temporanea per il delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione, che abbiano cagionato la morte del sequestrato, non siano ammessi ad alcuno dei benefici penitenziari indicati nel primo comma dell’art. 4-bis ordin. penit., se non abbiano effettivamente espiato almeno i due terzi della pena irrogata.
2.– Deve preliminarmente disporsi la riunione dei predetti giudizi, che pongono questioni identiche e si fondano su argomenti in larga misura comuni.
3.– Le questioni sono ammissibili, avendo entrambi i rimettenti puntualmente chiarito che soltanto la preclusione posta dalla disposizione censurata impedisce l’esame nel merito, e l’eventuale accoglimento, dell’istanza di concessione di un permesso premio formulata da entrambi i detenuti nei giudizi a quibus.
3.1.– Il Magistrato di sorveglianza di Milano ha ritenuto d’altra parte che tale preclusione si estenda anche al condannato per sequestro di persona che abbia cagionato per mera colpa la morte del sequestrato ai sensi dell’art. 630, secondo comma, del codice penale. Tale conclusione è contrastata dalla parte privata e dalla dottrina sinora espressasi sul punto, a parere delle quali il tenore letterale dell’art. 58-quater, comma 4, ordin. penit. farebbe inequivoco riferimento all’ipotesi dolosa, prevista dall’art. 630, terzo comma, cod. pen., in cui «il colpevole cagiona la morte del sequestrato», e non già a quella, prevista dal secondo comma, in cui «dal sequestro deriva comunque la morte, quale conseguenza non voluta dal reo, della persona sequestrato». Il giudice a quo, tuttavia, motiva in maniera non implausibile la propria scelta ermeneutica, argomentando nel senso della riconducibilità all’area semantica del verbo “cagionare” anche dell’ipotesi in cui la morte del sequestrato sia comunque “derivata”, in termini eziologici, dalla condotta dell’autore del reato, ancorché quest’ultimo non fosse animato dalla volontà di uccidere la vittima.
Tanto basta ai fini dell’ammissibilità delle questioni prospettate dal Magistrato di sorveglianza di Milano, sotto il profilo della loro rilevanza nel giudizio a quo.
4.– Le questioni sono fondate, con riferimento a entrambi i parametri evocati.
4.1.– Anche per i condannati a pena temporanea per il delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione qualificato dalla causazione della morte della vittima vale anzitutto il rilievo, già svolto dalla sentenza n. 149 del 2018 in riferimento ai condannati all’ergastolo per il medesimo reato, che la rigida preclusione temporale posta dalla disposizione censurata all’accesso ai benefici sovverte irragionevolmente la logica gradualistica sottesa al principio della «progressività trattamentale e flessibilità della pena», già enucleato da numerose pronunce di questa Corte (sentenze n. 257 del 2006, n. 255 del 2006, n. 445 del 1997 e n. 504 del 1995) come corollario del mandato costituzionale secondo cui la pena deve tendere alla rieducazione del condannato, fissando l’unica e indifferenziata soglia dell’espiazione effettiva dei due terzi della pena irrogata quale condizione per l’accesso a tutti i benefici penitenziari. In tal modo, la disposizione opera in senso distonico rispetto all’obiettivo, costituzionalmente imposto, di consentire alla magistratura di sorveglianza di verificare gradualmente e prudentemente, anzitutto attraverso la concessione di permessi premio e l’autorizzazione al lavoro all’esterno, l’effettivo percorso rieducativo compiuto dal soggetto, prima di ammetterlo in una fase successiva dell’esecuzione – sulla base anche dell’esito positivo di quelle prime sperimentazioni – alla semilibertà e poi alla liberazione condizionale. Il che determina la violazione del combinato disposto degli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost.
4.2. – Come giustamente rilevato da entrambi i giudici rimettenti, inoltre, la rimozione della preclusione contenuta nella disposizione censurata con riferimento ai condannati all’ergastolo da parte della sentenza n. 149 del 2018 ha prodotto l’irragionevole conseguenza che, oggi, essi godono di un trattamento penitenziario più favorevole rispetto a quello riservato ai condannati a pena detentiva temporanea per i medesimi titoli di reato.
I condannati alla pena dell’ergastolo che abbiano cagionato la morte del sequestrato, infatti, possono – in forza della citata sentenza n. 149 del 2018 – accedere al beneficio del permesso premio, in caso di collaborazione o condizioni equiparate, dopo aver espiato dieci anni di pena, riducibili sino a otto anni grazie alla liberazione anticipata. I condannati a pena detentiva temporanea per il medesimo titolo delittuoso possono invece accedere al predetto beneficio, a parità di condizioni quanto alla collaborazione con la giustizia, solo dopo aver scontato i due terzi della pena inflitta, senza poter beneficiare di alcuna riduzione di tale termine a titolo di liberazione anticipata: e cioè dopo aver scontato un periodo di detenzione che – tenuto conto delle elevatissime cornici edittali previste per le ipotesi delittuose in questione – è nella generalità dei casi ben superiore a otto anni, come mostrano del resto i due casi oggetto dei giudizi a quibus.
Una tale conseguenza, evidentemente incompatibile con il principio di uguaglianza di cui all’art. 3, primo comma, Cost., era stata peraltro puntualmente segnalata all’attenzione del legislatore da parte di questa Corte nella sentenza n. 149 del 2018, senza che – tuttavia – a tale monito abbia fatto seguito la necessaria modifica della normativa vigente.
4.3.– Da tutto ciò consegue la necessità di rimuovere la preclusione stabilita dall’art. 58-quater, comma 4, ordin. penit. anche con riferimento ai condannati a pena temporanea per il delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione che abbiano cagionato (dolosamente o colposamente) la morte del sequestrato, con conseguente automatica riespansione, nei loro confronti, della disciplina applicabile alla generalità dei condannati per i delitti previsti dall’art. 4-bis, comma 1, ordin. penit.
Restano assorbiti gli ulteriori profili di censura formulati dalle ordinanze di rimessione in relazione ai medesimi parametri.
5.– Così come avvenuto nella sentenza n. 149 del 2018, la presente dichiarazione di illegittimità costituzionale deve essere estesa, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), alla parte della disposizione censurata che si riferisce ai condannati a pene detentive temporanee per il delitto di sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione, di cui all’art. 289-bis cod. pen., che abbiano cagionato la morte del sequestrato.
Per effetto della presente pronuncia, dunque, la disposizione di cui all’art. 58-quater, comma 4, ordin. penit. resta interamente caducata.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 58-quater, comma 4, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui si applica ai condannati a pena detentiva temporanea per il delitto di cui all’art. 630 del codice penale che abbiano cagionato la morte del sequestrato;
2) dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale dell’art. 58-quater, comma 4, ordin. penit., nella parte in cui si applica ai condannati a pena detentiva temporanea per il delitto di cui all’art. 289-bis cod. pen. che abbiano cagionato la morte del sequestrato.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 ottobre 2019.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Francesco VIGANÒ, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l'8 novembre 2019.