SENTENZA N.455
ANNO 1997
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Prof. Francesco GUIZZI, Presidente
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
- Prof. Annibale MARINI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 105, secondo comma, del codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa il 15 novembre 1996 dalla Corte d'appello di Torino nel procedimento civile vertente tra MIX s.r.l. e l'Istituto Bancario San Paolo di Torino s.p.a. ed altro, iscritta al n. 14 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell'anno 1997.
Visto l'atto di costituzione dell'Istituto Bancario San Paolo di Torino s.p.a;
udito nella camera di consiglio del 12 novembre 1997 il Giudice relatore Fernanda Contri.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso di un giudizio di impugnazione, instaurato dalla parte che in primo grado aveva svolto intervento, qualificato adesivo dipendente, la Corte d'appello di Torino, con ordinanza in data 15 novembre 1996, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 105, secondo comma, del codice di procedura civile, nella parte in cui, secondo l'interpretazione consolidata della giurisprudenza, preclude al terzo, che abbia spiegato intervento adesivo dipendente, di impugnare autonomamente la sentenza per la tutela del proprio interesse.
Il giudice remittente premette in fatto che il giudizio di primo grado, avente ad oggetto l'opposizione all'esecuzione immobiliare, era stato promosso dal fideiussore nei confronti del creditore per far dichiarare estinta l'obbligazione fideiussoria, essendosi estinta quella principale per remissione, e che in tale giudizio era intervenuto il debitore principale, che aveva interesse all'accertamento dell'estinzione della obbligazione da opporre nel giudizio di rivalsa instaurando dal fideiussore; avverso la sentenza con la quale il Tribunale di Casale Monferrato aveva rigettato l'opposizione, ritenendo legittima l'esecuzione intrapresa dal creditore, era stato proposto appello dal solo debitore intervenuto, poiché il fideiussore vi aveva prestato acquiescenza.
Il remittente, dopo aver ricordato che la norma in esame è stata ed è tuttora interpretata dalla giurisprudenza di legittimità nel senso di riconoscere all'interventore adesivo dipendente poteri limitati all'espletamento di un'attività accessoria e subordinata a quella della parte adiuvata, con esclusione del potere di impugnazione della sentenza, cui abbia prestato acquiescenza la parte adiuvata, osserva come dalla detta norma possano derivare effetti paradossali e pregiudizievoli per il terzo intervenuto ad adiuvandum. In particolare, il remittente sottolinea che quando il terzo partecipa al processo in qualità di interventore adesivo dipendente è privo del potere di impugnazione, mentre se ad esso è rimasto estraneo potrà dimostrare in un secondo processo, ex art. 404 del codice di procedura civile, l'esistenza di ragioni che dovevano determinare una diversa conclusione in ordine al rapporto sostanziale pregiudiziale.
Ad avviso del giudice a quo, sussisterebbe disparità di trattamento tra situazioni analoghe; infatti, con riferimento al rapporto sostanziale dedotto nel caso di specie, mentre al fideiussore che intervenga nel processo è riconosciuto il potere di autonoma impugnazione, trattandosi di un rapporto di garanzia propria che determina l'inscindibilità delle cause, ex art. 331 cod. proc. civ., il debitore garantito, nei cui confronti il fideiussore abbia già intentato azione di rivalsa, non può invece impugnare la sentenza emessa nel processo tra fideiussore e creditore, al quale egli abbia partecipato quale interventore adesivo dipendente.
L'intervento nel processo del debitore garantito si risolverebbe poi in una diminuzione della possibilità di azione e di difesa del medesimo, non potendo egli, attraverso l'impugnazione della sentenza, che gli è preclusa, contrastare i riflessi, nei propri confronti, del giudicato tra le parti principali.
2. - La parte appellata del procedimento a quo ha depositato tardivamente atto di costituzione nel presente giudizio.
Considerato in diritto
1. - La Corte d'appello di Torino ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 105, secondo comma, del codice di procedura civile, che, nella interpretazione consolidata della giurisprudenza, non riconosce all'interventore adesivo dipendente il potere di autonoma impugnazione della sentenza per la tutela del proprio interesse.
Ad avviso del giudice a quo, la indicata norma si porrebbe anzitutto in contrasto con il principio di eguaglianza, per la irragionevole disparità di trattamento che essa opera tra le parti del processo riguardo al potere di autonoma impugnazione, il quale è negato all'interventore adesivo dipendente limitatamente alla tutela del proprio interesse, mentre è ammesso in altre ipotesi analoghe, quale quella del fideiussore; inoltre, la medesima norma sarebbe lesiva del diritto di azione dell'interventore adesivo dipendente, che non può autonomamente tutelare il proprio interesse, sebbene sia proprio questo a legittimarne l'intervento nel processo.
2. - La questione non è fondata.
La disciplina dell'intervento volontario, contenuta nell'art. 105 del codice di procedura civile, dimostra come il legislatore abbia voluto nettamente differenziare l'ipotesi di colui che interviene nel processo per far valere un proprio diritto nei confronti di tutte le parti o di alcune di esse, di cui al primo comma, da quella, prevista nel secondo comma, di chi interviene per aderire, in forza di un proprio interesse, alla domanda di una parte. Mentre l'intervento svolto per la tutela di un diritto determina un ampliamento oggettivo, oltre che soggettivo, della lite, poiché con esso si introduce una nuova domanda, che comunque modifica il thema decidendum fissato dalle parti originarie, l'intervento diretto alla tutela di un interesse comporta invece un ampliamento solo soggettivo del processo, in quanto l'interventore adesivo dipendente si limita a sostenere le ragioni di una parte, senza dedurre un proprio diritto.
La diversità ontologica degli istituti posti a tutela delle diverse situazioni giuridiche rappresentate dalle parti intervenienti costituisce il fondamento del consolidato orientamento giurisprudenziale, che riconosce poteri processuali diversi alle dette parti; l'interventore principale può infatti esercitare tutti i poteri propri delle parti originarie, così come, del resto, gli sarebbe consentito, qualora facesse valere il proprio diritto in un autonomo e separato giudizio, mentre il terzo che decide di intervenire nel processo soltanto per sostenere le ragioni altrui, quando vi abbia interesse, non può che assumere una posizione subordinata rispetto a quella dell'adiuvato, le cui vicende processuali egli ha anticipatamente accettato di condividere. Onde è del tutto ragionevole la preclusione del potere di impugnazione rispetto all'interventore adesivo dipendente, quando l'adiuvato abbia rinunciato ad impugnare o abbia prestato acquiescenza alla sentenza, poiché il terzo intervenuto ad adiuvandum non ha poteri dispositivi sulla lite, la cui decisione solo in via mediata può produrre effetti giuridici sulla sua posizione sostanziale.
Deve escludersi che la norma in esame, come interpretata dalla giurisprudenza, si ponga in contrasto con i dedotti parametri costituzionali, in quanto, se la parte assume effettivamente la veste di interventore adesivo dipendente, scegliendo di partecipare al processo in posizione subordinata a quella dell'adiuvato e di espletare un'attività accessoria, non può dolersi del mancato riconoscimento di poteri non esercitati dall'adiuvato, mentre qualora la parte, pur dichiarando di intervenire adesivamente, deduca però una autonoma pretesa di diritto, non può non riconoscersi ad essa un potere di impugnazione, affatto indipendente da quello delle altre parti.
All'interventore adesivo dipendente, piuttosto, la giurisprudenza riconosce un potere autonomo di impugnazione, nell'ipotesi in cui la sentenza contenga provvedimenti che incidono in modo diretto ed immediato nella sfera giuridica del medesimo; trattasi di un'applicazione del fondamentale principio dell'interesse ad agire e più specificamente dell'interesse ad impugnare, in forza del quale l'ammissibilità del gravame è in stretta correlazione alla soccombenza, sì che ove l'interventore adesivo dipendente abbia subito un concreto pregiudizio, per effetto di statuizioni contenute nella sentenza, che su di lui incidano direttamente e sfavorevolmente, egli è certamente legittimato a proporre impugnazione, a differenza di colui che non vede respingere una propria pretesa di diritto e che solo indirettamente è pregiudicato dalla pronuncia, contro la quale non può quindi avere alcuna potestà.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 105, secondo comma, del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dalla Corte d'appello di Torino, con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1997.
Presidente: Francesco GUIZZI
Redattore: Fernanda CONTRI
Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1997.