Sentenza n. 158 del 2018

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SENTENZA N. 158

ANNO 2018

 

 REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-      Giorgio                       LATTANZI                                       Presidente

-      Aldo                           CAROSI                                            Giudice

-      Marta                          CARTABIA                                              ”

-      Mario Rosario             MORELLI                                                 ”

-      Giancarlo                    CORAGGIO                                             ”

-      Giuliano                      AMATO                                                    ”

-      Silvana                        SCIARRA                                                 ”

-      Daria                           de PRETIS                                                ”

-      Nicolò                         ZANON                                                    ”

-      Franco                        MODUGNO                                             ”

-      Augusto Antonio       BARBERA                                               ”

-      Giulio                         PROSPERETTI                                         ”

-      Giovanni                     AMOROSO                                               ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 24 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), promossi dal Tribunale ordinario di Torino e dal Tribunale ordinario di Trento, entrambi in funzione di giudice del lavoro, con ordinanze del 12 aprile e del 16 ottobre 2017, iscritte rispettivamente al n. 130 del registro ordinanze 2017 e al n. 47 del registro ordinanze 2018 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell’anno 2017 e n. 11, prima serie speciale, dell’anno 2018.

Visto l’atto di costituzione di E.T.R. F.;

udito nella udienza pubblica del 22 maggio e nella camera di consiglio del 23 maggio 2018 il Giudice relatore Silvana Sciarra;

udito l’avvocato Margherita Giannico per E.T.R. F.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 12 aprile 2017, iscritta al n. 130 del registro ordinanze 2017, il Tribunale ordinario di Torino, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 31, secondo comma, 37, primo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, in relazione agli artt. 20, 21, 23, 33 e 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 24, commi 2 e seguenti, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), «nella parte in cui non prevede che il trattamento di maternità sia erogato anche alla lavoratrice che abbia fruito di congedo ex art. 42, comma 5, d.lgs. 151/2001 e che al momento della richiesta non abbia ripreso a lavorare da più di 60 giorni».

1.1.– Il rimettente espone di dover decidere sul ricorso di una lavoratrice, beneficiaria da oltre un anno, a causa della necessità di assistere un coniuge gravemente disabile, del congedo straordinario retribuito previsto dall’art. 42, comma 5, d.lgs. n. 151 del 2001, e interdetta in anticipo dal lavoro, a decorrere dal 1° luglio 2014, a causa di «gravi complicanze nella gestazione».

La ricorrente nel giudizio principale ha chiesto di condannare l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) a corrispondere «il trattamento economico di maternità per l’intera durata del congedo di maternità, compreso il periodo di interdizione anticipata, dal 1° luglio 2014 al 6 aprile 2015». Tale trattamento le sarebbe stato originariamente negato sul presupposto che l’interdizione anticipata del lavoro per gravidanza a rischio era «avvenuta senza effettiva ripresa dell’attività lavorativa da parte della ricorrente».

1.2.– In punto di rilevanza, il giudice a quo argomenta che la disposizione censurata impedisce di riconoscere l’indennità di maternità alla parte ricorrente, «in ragione della sua pregressa assenza dal lavoro per più di 60 giorni».

All’inizio della gravidanza la ricorrente beneficiava da più di sessanta giorni del congedo straordinario di cui all’art. 42, comma 5, d.lgs. n. 151 del 2001. Per questa specifica ipotesi di sospensione del rapporto di lavoro la legge non prevede che sia comunque corrisposto il trattamento di maternità, come nelle altre fattispecie tassativamente previste dall’art. 24 d.lgs. n. 151 del 2001.

1.3.– Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, il giudice a quo muove dalla premessa che l’indennità di maternità miri a tutelare la salute della donna e del nascituro e a evitare che la lavoratrice possa essere pregiudicata a causa degli impegni connessi alla cura del bambino.

Per effetto della disposizione censurata, la lavoratrice in gravidanza sarebbe costretta a sacrificare l’assistenza del coniuge disabile per riprendere il rapporto di lavoro prima dell’inizio del periodo di astensione obbligatoria e rischierebbe di perdere il diritto all’indennità di maternità quando le «complicanze della gestazione non consentano la ripresa del servizio al termine di un congedo straordinario».

Tale disciplina sarebbe lesiva, per un verso, del «diritto del disabile di ricevere assistenza all’interno del proprio nucleo familiare» e, per altro verso, del «diritto della lavoratrice di prestare assistenza al proprio coniuge disabile», scegliendo liberamente il momento in cui diventare madre.

In particolare, nel negare l’indennità di maternità quando il rapporto di lavoro sia sospeso a causa della necessità di assistere il coniuge disabile, la disciplina censurata pregiudicherebbe la speciale protezione della maternità, sancita dagli artt. 31 e 37 Cost.

Il rimettente assume, inoltre, che la disposizione in esame contrasti con «il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.», in quanto nega l’indennità di maternità alla lavoratrice che non sia in servizio da oltre sessanta giorni per la necessità di assistere il coniuge disabile e determina una disparità di trattamento priva di «ogni giustificazione razionale» tra tale fattispecie, che non sarebbe «meritevole di una minor tutela», e le ipotesi di «assenze dovute a malattia, infortunio sul lavoro, congedo parentale o congedo per la malattia del figlio fruito per una precedente maternità o per accudire minori in affidamento, della mancata prestazione lavorativa in caso di contratto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale, della collocazione in cassa integrazione». Nelle fattispecie da ultimo indicate, la legge prevede che l’indennità di maternità sia corrisposta anche alla lavoratrice assente dal servizio da più di sessanta giorni.

Il giudice a quo ravvisa anche la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 20, 21, 23, 33 e 34 CDFUE, che enunciano «il principio di uguaglianza ed il divieto di discriminazioni e riconoscono il diritto ad un congedo di maternità retribuito ed il diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale in caso di maternità». Il diniego dell’indennità di maternità, «dovuto alla duplice condizione della ricorrente, gestante con gravidanza a rischio e parente di un disabile bisognoso di cure», integrerebbe, difatti, una discriminazione a causa del sesso, «nella specifica declinazione della gravidanza/maternità come espressamente enunciato dall’art. 2, comma 2, lett. c della Direttiva 2006/54 e trasposto nell’ordinamento all’art. 2 bis del d.lgs. n. 198/06», e a causa della disabilità, in contrasto con le previsioni «della direttiva 2000/78, attuata col d.lgs. n. 216/03», e in particolare con «il divieto di discriminazione fondato sull’handicap», che si applica non solo al disabile, ma anche a chi gli presta assistenza.

Il rimettente, in ragione della tassatività delle ipotesi in cui il trattamento di maternità è corrisposto anche a prescindere da una sospensione del rapporto di lavoro per un periodo superiore a sessanta giorni, reputa impraticabile l’interpretazione adeguatrice e ravvisa la necessità di investire la Corte costituzionale per la soluzione del dubbio di costituzionalità.

Questa necessità non potrebbe dirsi superata dal fatto che il conflitto tra norme interne e norme dell’Unione europea di diretta applicazione possa essere risolto disapplicando la norma interna incompatibile. Ad avviso del rimettente, «il conflitto della norma interna con i principi della Costituzione riconosciuti anche dal diritto euro unitario può essere risolto solo attraverso un espresso sindacato di legittimità sull’atto legislativo ordinario da parte dell’Organo competente», e non già attraverso la disapplicazione delle norme di rango legislativo in ipotesi contrastanti con i precetti costituzionali.

2.– Con atto depositato il 24 ottobre 2017, si è costituita E.T.R. F., chiedendo di accogliere la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Torino.

Il trattamento economico di maternità, al pari del congedo di maternità e del divieto di licenziamento, attuerebbe la speciale protezione che l’art. 37 Cost. assicura alla madre lavoratrice e al bambino, e il principio di eguaglianza sostanziale presidiato dall’art. 3, secondo comma, Cost.

Il sostegno economico alla lavoratrice madre perseguirebbe l’obiettivo di tutelare la salute della donna e del nascituro e di salvaguardare la libertà della lavoratrice di essere madre, senza limitazioni o condizionamenti derivanti dalla prospettiva della perdita del reddito lavorativo.

Il congedo straordinario regolato dall’art. 42 d.lgs. n. 151 del 2001 adempirebbe alla funzione di tutelare la salute psico-fisica del disabile e di promuoverne l’integrazione all’interno della famiglia, che svolge un fondamentale ruolo di assistenza. Tale fattispecie di congedo straordinario meriterebbe, ai fini del trattamento economico di maternità, la medesima tutela riconosciuta nelle altre ipotesi, in cui la legge concede l’indennità di maternità anche a lavoratrici che non siano in servizio da più di sessanta giorni.

La disposizione censurata, nel negare l’indennità di maternità alla madre lavoratrice che dapprima sia stata assente dal lavoro per assistere il coniuge disabile e poi sia stata collocata in interdizione anticipata dal lavoro a causa di gravi complicanze nella gestazione, vanificherebbe la speciale protezione accordata dagli artt. 31 e 37 Cost.

Tale disciplina sarebbe irragionevole e lesiva del principio di non discriminazione in ragione del sesso e della disabilità, enunciato dagli artt. 20, 21, 23, 33 e 34 CDFUE.

3.– Con ordinanza del 16 ottobre 2017, iscritta al n. 47 del registro ordinanze 2018, il Tribunale ordinario di Trento, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 31 e 37, primo comma, Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 24, comma 3, d.lgs. n. 151 del 2001, «nella parte in cui […] non annovera anche il congedo straordinario ex art. 42 co. 5 e co. 5ter d.lgs. 151/2001 (spettante al genitore di soggetto affetto da handicap in situazione di gravità accertata ai sensi dell’art. 4 co. 1 L. 5.2.1992, n. 104) tra le fattispecie di assenza o congedo o mancata prestazione lavorativa, di cui non si tiene conto ai fini del computo dell’intervallo, tra l’inizio dell’assenza o della sospensione o della disoccupazione e l’inizio del periodo di congedo di maternità, di sessanta giorni, il cui superamento preclude, ai sensi dell’art. 24 co. 2 d.lgs. 151/2001, l’attribuzione dell’indennità giornaliera di maternità ex art. 22 co. 1 d.lgs. 151/2001».

3.1.– Il rimettente riferisce di dover decidere sul ricorso di una lavoratrice che, dal 4 aprile 2016, fruisce di un congedo straordinario per l’assistenza di un figlio in condizione di disabilità grave e dal maggio 2016 ha iniziato una nuova gravidanza.

La domanda di indennità giornaliera di maternità è stata respinta dall’INPS, in quanto erano trascorsi più di sessanta giorni dall’inizio del congedo straordinario.

3.2.– In punto di rilevanza, il giudice a quo osserva che, in virtù della disposizione censurata, il ricorso dovrebbe essere rigettato, in quanto, all’inizio del periodo di congedo di maternità (23 agosto 2016), il rapporto di lavoro era sospeso da più di sessanta giorni. Già dal 4 aprile 2016 la parte ricorrente godeva del congedo straordinario per assistere il figlio minore gravemente disabile e, dal 23 agosto 2016, in forza di provvedimento dell’azienda sanitaria, ha dovuto astenersi in anticipo dal lavoro.

Il rimettente puntualizza, sulla scorta delle affermazioni della sentenza 24 marzo 2017, n. 7675, della Corte di cassazione, sezione lavoro, che i periodi di assenza volontaria dal lavoro a titolo di aspettativa, congedo o permesso senza retribuzione non sono esclusi dal computo dei sessanta giorni che precedono l’inizio del congedo di maternità.

3.3.– In merito alla non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, il giudice a quo muove dal presupposto che, secondo la giurisprudenza costituzionale, il fondamento della protezione sia ricondotto alla maternità in quanto tale e non più allo svolgimento di un’attività lavorativa subordinata.

L’art. 24 d.lgs. n. 151 del 2011 prevede che non si debba tener conto, ai fini del computo dei sessanta giorni di sospensione del rapporto di lavoro, delle assenze dovute a malattia e a infortuni sul lavoro, del periodo di congedo parentale fruito per una precedente maternità, del congedo per la malattia del figlio, del periodo di assenza per accudire minori in affidamento, del periodo di mancata prestazione lavorativa prevista dal contratto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale.

Il legislatore ha dunque recepito le indicazioni della Corte costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 17, secondo comma, della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri), nella parte in cui non escludeva dal computo dei sessanta giorni immediatamente antecedenti all’inizio del periodo di astensione obbligatoria dal lavoro l’assenza facoltativa non retribuita per una precedente maternità (si menziona la sentenza n. 106 del 1980) e il periodo di assenza per accudire minori affidati in preadozione (il richiamo è alla sentenza n. 332 del 1988).

Per altro verso, il legislatore ha scelto di escludere dal computo dei sessanta giorni anche il congedo per la malattia del figlio e l’assenza prevista dal contratto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale.

Ad avviso del rimettente, l’assetto delineato dal legislatore si pone in contrasto con l’art. 3 Cost., in quanto, senza alcuna giustificazione ragionevole, pur trattandosi di situazioni «espressive di esigenze di tutela assai simili», annovera il congedo per la malattia del figlio ex art. 47 d.lgs. n. 151 del 2001 ed esclude, per contro, il congedo straordinario che spetta al genitore di un figlio con handicap in situazione di gravità accertata «tra le fattispecie di assenza o congedo o mancata prestazione lavorativa, di cui non si tiene conto ai fini del computo dell’intervallo, tra l’inizio della assenza o della sospensione o della disoccupazione e l’inizio del periodo del congedo di maternità, di sessanta giorni, il cui superamento preclude, ai sensi dell’art. 24 co. 2 d.lgs. 151/2001, l’attribuzione dell’indennità giornaliera di maternità ex art. 22 co. 1 d.lgs. 151/2001».

Sarebbero violati anche l’art. 31 e l’art. 37, primo comma, Cost., in quanto la disposizione censurata, nell’escludere dal godimento dell’indennità di maternità la donna che da più di sessanta giorni benefici del congedo straordinario per assistere un figlio gravemente disabile, contrasterebbe con i princìpi di tutela della maternità e comprometterebbe la speciale protezione della madre e del bambino, che l’istituto dell’indennità di maternità concorre a garantire.

4.– Il Presidente del Consiglio dei ministri non ha spiegato intervento.

5.– All’udienza del 22 maggio 2018, E.T.R. F., unica parte costituita, ha ribadito le conclusioni rassegnate nell’atto di costituzione.

Considerato in diritto

1.– Il Tribunale ordinario di Torino e il Tribunale ordinario di Trento, entrambi in funzione di giudice del lavoro, dubitano della legittimità costituzionale dell’art. 24 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in cui non annovera il congedo previsto dall’art. 42, comma 5, d.lgs. n. 151 del 2001 per l’assistenza, rispettivamente, al coniuge convivente o a un figlio, portatori di handicap in situazione di gravità accertata ai sensi dell’art. 4, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), tra i periodi di cui non si tiene conto ai fini del computo di quell’arco temporale di sessanta giorni tra l’inizio della sospensione o dell’assenza e l’inizio del periodo di congedo di maternità, superato il quale l’attribuzione dell’indennità di maternità risulta preclusa.

Entrambi i rimettenti, dopo aver posto in risalto la specifica funzione dell’indennità di maternità, volta a tutelare la salute della donna e del nascituro e a evitare ogni pregiudizio connesso alla libera scelta della maternità, argomentano che il diniego dell’indennità di maternità, quando siano trascorsi più di sessanta giorni tra l’inizio della fruizione del congedo straordinario per l’assistenza al coniuge o a un figlio, portatori di handicap in situazione di gravità accertata, e l’inizio del periodo di congedo di maternità, vanifica la speciale protezione della maternità garantita dalla Carta fondamentale (artt. 31 e 37 della Costituzione).

Il Tribunale di Torino, in particolare, rileva che la disciplina censurata «pregiudica il diritto del disabile di ricevere assistenza all’interno del proprio nucleo familiare ed il diritto della lavoratrice di prestare assistenza al proprio coniuge disabile (laddove impone a quest’ultima, qualora insorga uno stato di gravidanza, di sacrificare anzitempo tale assistenza per riprendere il rapporto di lavoro prima dell’astensione obbligatoria)» e, in pari tempo, sacrifica «la libertà della lavoratrice di scegliere quando diventare madre», esponendola al rischio di perdere il diritto all’indennità di maternità quando le complicazioni della gestazione impediscano «la ripresa del servizio al termine del congedo straordinario».

La disciplina censurata sarebbe lesiva, altresì, dell’art. 3 Cost., in quanto, in difetto di ogni ragionevole giustificazione, riserverebbe un trattamento deteriore alla lavoratrice costretta ad assentarsi per assistere il coniuge o un figlio disabili.

Il Tribunale di Torino, in particolare, denuncia la violazione del «principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.». La lavoratrice che si dedica all’assistenza al coniuge disabile non sarebbe «meritevole di una minor tutela» rispetto alla lavoratrice assente per «malattia, infortunio sul lavoro, congedo parentale o congedo per la malattia del figlio fruito per una precedente maternità o per accudire minori in affidamento» o rispetto all’ipotesi «della mancata prestazione lavorativa in caso di contratto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale, della collocazione in cassa integrazione».

Il Tribunale di Trento ravvisa il contrasto con il «principio di eguaglianza formale ex art. 3 co. 1 Cost.» e indica come specifico termine di raffronto la fattispecie «della lavoratrice madre che si trova in congedo ex art. 47 segg. d.lgs. 151/2001 per assistere il figlio ammalato» e perciò beneficia dell’esclusione di tale congedo dal computo dei sessanta giorni previsti dall’art. 24, comma 2, d.lgs. n. 151 del 2001.

Il Tribunale di Torino prospetta anche il contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 20, 21, 23, 33 e 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007. Il diniego dell’indennità di maternità, «dovuto alla duplice condizione della ricorrente, gestante con gravidanza a rischio e parente di un disabile bisognoso di cure», contravverrebbe al divieto di discriminazione con riguardo al sesso, «nella specifica declinazione della gravidanza/maternità», e alla disabilità, divieto che tutela anche chi presti al disabile la necessaria assistenza.

2.– Le due ordinanze di rimessione sollevano questioni in larga parte coincidenti, relative alla disciplina del computo dei sessanta giorni tra l’inizio del congedo straordinario e l’inizio del periodo di congedo di maternità. I relativi giudizi, pertanto, vanno riuniti per essere definiti con un’unica decisione.

3.– Le questioni sono fondate, nei termini e per i motivi di séguito esposti.

4.– Il testo unico del 2001 appresta una disciplina articolata delle diverse ipotesi di sospensione e di interruzione dell’attività lavorativa, anteriori all’inizio del periodo di astensione obbligatoria, e delle fattispecie in cui l’indennità di maternità è concessa anche quando sia trascorso un periodo superiore a sessanta giorni tra l’assenza e la sospensione e l’inizio dell’astensione obbligatoria. Su tale disciplina, che è utile ripercorrere nella sua evoluzione diacronica, si è innestata la giurisprudenza di questa Corte, come si vedrà in seguito.

La legge, in particolare, accorda l’indennità giornaliera di maternità anche alle «lavoratrici gestanti che si trovino, all’inizio del periodo di congedo di maternità, sospese, assenti dal lavoro senza retribuzione, ovvero, disoccupate», purché «tra l’inizio della sospensione, dell’assenza o della disoccupazione e quello di detto periodo non siano decorsi più di sessanta giorni» (art. 24, comma 2, d.lgs. n. 151 del 2001).

L’art. 24, comma 3, d.lgs. n. 151 del 2001 esclude dal computo dei sessanta giorni le «assenze dovute a malattia o ad infortunio sul lavoro, accertate e riconosciute dagli enti gestori delle relative assicurazioni sociali», il «periodo di congedo parentale o di congedo per la malattia del figlio fruito per una precedente maternità», il «periodo di assenza fruito per accudire minori in affidamento» e il «periodo di mancata prestazione lavorativa prevista dal contratto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale».

Una disciplina peculiare è dettata a favore della lavoratrice che, all’inizio del periodo di congedo di maternità, fruisca dell’indennità di disoccupazione (art. 24, commi 4 e 5, d.lgs. n. 151 del 2001), del trattamento di integrazione salariale a carico della cassa integrazione guadagni (art. 24, comma 6, d.lgs. n. 151 del 2001) o dell’indennità di mobilità (art. 24, comma 7, d.lgs. n. 151 del 2001).

La normativa vigente ha riprodotto le previsioni dell’art. 17 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri), che già menzionava le assenze dovute a malattia e infortunio e disciplinava le fattispecie del godimento dell’indennità di disoccupazione e del trattamento di integrazione salariale a carico della cassa integrazione guadagni, recependo anche gli interventi di questa Corte, che hanno via via esteso l’àmbito applicativo del beneficio dell’indennità di maternità.

L’art. 17, secondo comma, legge n. 1204 del 1971 è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo dapprima nella parte in cui non escludeva – dal computo dei sessanta giorni immediatamente antecedenti all’inizio del periodo di astensione obbligatoria dal lavoro – l’assenza facoltativa non retribuita di cui la lavoratrice gestante avesse goduto in séguito a una precedente maternità (sentenza n. 106 del 1980) e il periodo di assenza per accudire minori affidatile in preadozione (sentenza n. 332 del 1988).

La declaratoria di illegittimità costituzionale ha poi investito lo stesso art. 17, secondo comma, nella parte cui negava l’indennità giornaliera di maternità alle lavoratrici con contratto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale su base annua, anche in relazione ai previsti successivi periodi di ripresa dell’attività lavorativa, allorché il periodo di astensione obbligatoria avesse avuto inizio più di sessanta giorni dopo la cessazione della precedente fase di lavoro (sentenza n. 132 del 1991).

5.– La disciplina censurata si colloca, come già anticipato, nell’evoluzione normativa, ripercorsa nei suoi tratti salienti.

I giudici a quibus muovono dalla premessa che l’elencazione dell’art. 24 d.lgs. n. 151 del 2001 sia tassativa e non possa essere integrata attraverso un’interpretazione adeguatrice. La legge, in particolare, non contemplerebbe il congedo straordinario che l’art. 42, comma 5, d.lgs. n. 151 del 2001 prevede a favore del coniuge convivente e della madre per l’assistenza a «soggetto con handicap in situazione di gravità accertata ai sensi dell’articolo 4, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104».

I rimettenti, chiamati a decidere le controversie promosse da lavoratrici gestanti che prestavano assistenza l’una al coniuge e l’altra al figlio disabile, chiedono di ampliare il catalogo delle deroghe previste dall’art. 24, comma 3, d.lgs. n. 151 del 2001 a tali specifiche ipotesi. Queste precise richieste delimitano il tema del decidere devoluto all’esame di questa Corte.

Il dubbio di costituzionalità è originato da una plausibile premessa ermeneutica.

La giurisprudenza di legittimità è consolidata nell’attribuire carattere tassativo alle deroghe delineate dall’art. 24, comma 3, d.lgs. n. 151 del 2001 (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenze 14 luglio 2017, n. 17524 e 24 marzo 2017, n. 7675), in coerenza con l’orientamento di questa Corte, che riconduce alla valutazione discrezionale del legislatore l’individuazione delle particolari fattispecie in cui non rileva una cesura superiore a sessanta giorni tra l’assenza della lavoratrice e la sospensione del suo rapporto di lavoro, da un lato, e l’inizio del periodo di congedo di maternità, dall’altro (sentenza n. 106 del 1980, punto 5. del Considerato in diritto).

6.– Il legislatore, pur nell’àmbito di tali scelte discrezionali, si propone di apprestare una tutela effettiva e coerente con il dettato costituzionale, che conferisce alla Repubblica il compito di proteggere la maternità e l’infanzia, «favorendo gli istituti necessari a tale scopo» (art. 31, secondo comma, Cost.), e prescrive «una speciale adeguata protezione» (art. 37, primo comma, Cost.) per la madre e il bambino, accomunati in una prospettiva di tutela unitaria, in armonia con l’unicità della relazione esistenziale che li lega (sentenza n. 205 del 2015, punto 4. del Considerato in diritto).

La Carta fondamentale impone di proteggere la salute fisica della donna e del bambino e tutto il complesso rapporto che si instaura tra madre e figlio, con le «esigenze di carattere relazionale ed affettivo che sono collegate allo sviluppo della personalità del bambino» (sentenze n. 61 del 1991, punto 4. del Considerato in diritto, e n. 1 del 1987, punto 6. del Considerato in diritto), e di «impedire che possano, dalla maternità e dagli impegni connessi alla cura del bambino, derivare conseguenze negative e discriminatorie» (sentenza n. 423 del 1995, punto 4. del Considerato in diritto).

Nel definire i presupposti dell’indennità di maternità, «crocevia di molteplici valori costituzionalmente rilevanti» (sentenza n. 205 del 2015, punto 4. del Considerato in diritto), le scelte legislative, pur diversamente modulate con riferimento alle peculiari situazioni considerate, devono salvaguardare il fondamento della tutela costituzionale della maternità, che risiede nella maternità in quanto tale (sentenza n. 361 del 2000, punto 4.1. del Considerato in diritto) e vieta «una ingiustificata esclusione di ogni forma di tutela» (sentenza n. 405 del 2001, punto 2.1. del Considerato in diritto)

7.– La legittimità costituzionale dell’art. 24, comma 3, d.lgs. n. 151 del 2001 deve dunque essere scrutinata alla luce dei princìpi richiamati.

7.1.– La legge riconosce il diritto a percepire l’indennità di maternità se si può ritenere, in ragione della brevità del tempo trascorso «tra la cessazione del lavoro e l’inizio del periodo di astensione obbligatoria» o in ragione di altri specifici elementi, che la lavoratrice sia «ancora inserita nel circuito del lavoro allorquando il periodo di astensione obbligatoria ha avuto inizio» (sentenza n. 132 del 1991, punto 2. del Considerato in diritto), o se ricorrano esigenze preminenti di tutela, connesse a una precedente maternità (sentenza n. 106 del 1980) o alla cura di un minore affidato in preadozione (sentenza n. 332 del 1988).

La disposizione censurata non annovera tra le esigenze preminenti di tutela la necessaria assistenza del coniuge o del figlio disabili, in forza di un congedo straordinario concesso ai sensi dell’art. 42, comma 5, d.lgs. n. 151 del 2001.

7.2.– Questa omissione è posta al centro delle censure mosse dai rimettenti.

Nel negare l’indennità di maternità alla madre che, all’inizio del periodo di astensione obbligatoria, benefici da più di sessanta giorni di un congedo straordinario per l’assistenza al coniuge o al figlio in condizioni di grave disabilità, la disposizione censurata sacrifica in maniera arbitraria la speciale adeguata protezione che l’art. 37, primo comma, Cost. accorda alla madre lavoratrice e al bambino. Quest’ultima previsione specifica e rafforza la tutela della maternità e dell’infanzia già sancita in termini generali dall’art. 31, secondo comma, Cost.

L’esclusione del congedo straordinario si rivela irragionevole anche alla luce delle speciali previsioni dell’art. 24, comma 3, d.lgs. n. 151 del 2001, che non comprendono nel computo dei sessanta giorni tra l’inizio dell’assenza e l’inizio dell’astensione obbligatoria il «periodo di congedo parentale o di congedo per la malattia del figlio fruito per una precedente maternità». La deroga prevista per tali congedi si ispira a un’esigenza preminente di tutela, cosicché l’indennità di maternità è dovuta anche quando la discontinuità del rapporto di lavoro superi i sessanta giorni.

Nelle due ipotesi di congedo straordinario per assistere il coniuge o un figlio in condizioni di grave disabilità emergono esigenze di tutela egualmente rilevanti.

Si tratta, infatti, di congedo straordinario subordinato a presupposti oggettivi e temporali rigorosi, non equiparabile ad altre assenze, giustificate da motivi personali e di famiglia, che incidono sul computo dei sessanta giorni previsti dall’art. 24, comma 2, d.lgs. n. 151 del 2001.

La giurisprudenza di questa Corte ha contribuito a scandire l’evoluzione del beneficio in esame e ad ampliarne l’àmbito applicativo. Dapprima esteso ad uno dei fratelli o delle sorelle conviventi con soggetto con handicap in situazione di gravità accertata, i cui genitori siano totalmente inabili (sentenza n. 233 del 2005), il congedo straordinario ha successivamente riguardato, in via prioritaria, il coniuge convivente (sentenza n. 158 del 2007) e, in difetto di altri soggetti idonei, il figlio convivente (sentenza n. 19 del 2009) e il parente o l’affine entro il terzo grado convivente (sentenza n. 203 del 2013).

L’estensione dei beneficiari del congedo straordinario risponde all’esigenza di garantire la cura del disabile nell’àmbito della famiglia e della comunità di vita cui appartiene, allo scopo di tutelarne nel modo più efficace la salute, di preservarne la continuità delle relazioni e di promuoverne una piena integrazione.

L’assetto prefigurato dal legislatore pregiudica la madre che si faccia carico anche dell’assistenza al coniuge o al figlio disabili, e attua un bilanciamento irragionevole nei confronti di due princìpi di primario rilievo costituzionale, la tutela della maternità e la tutela del disabile. Con l’imporre una scelta tra l’assistenza al disabile e la ripresa dell’attività lavorativa per godere delle provvidenze legate alla maternità, la disciplina censurata determina l’indebito sacrificio dell’una o dell’altra tutela. In tal modo essa entra in contrasto con il disegno costituzionale che tende a ravvicinare le due sfere di tutela e a farle convergere, nell’alveo della solidarietà familiare, oltre che nelle altre formazioni sociali.

La tutela della maternità e la tutela del disabile, difatti, pur con le peculiarità che le contraddistinguono, non sono antitetiche, proprio perché perseguono l’obiettivo comune di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana (art. 3, secondo comma, Cost.). Per questi particolari vincoli di solidarietà, connessi alla cura del coniuge o del figlio disabili con handicap in condizione di gravità accertata, si impone l’estensione della deroga sancita dall’art. 24, comma 3, d.lgs. n. 151 del 2001.

8.– Dalle considerazioni svolte, discende la fondatezza delle proposte questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 31 e 37 Cost.

Si deve, pertanto, dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 24, comma 3, d.lgs. n. 151 del 2001, nella parte in cui non prevede che, ai fini del computo dei sessanta giorni previsti dall’art. 24, comma 2, d.lgs. n. 151 del 2001, non si tenga conto del periodo di congedo straordinario previsto dall’art. 42, comma 5, d.lgs. n. 151 del 2001, di cui la lavoratrice gestante abbia fruito per l’assistenza al coniuge convivente o a un figlio, portatori di handicap in situazione di gravità accertata ai sensi dell’art. 4, comma 1, legge n. 104 del 1992.

Restano assorbite le ulteriori censure del Tribunale di Torino, incentrate sulla violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 20, 21, 23, 33 e 34 della CDFUE.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 24, comma 3, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in cui non esclude dal computo di sessanta giorni immediatamente antecedenti all’inizio del periodo di astensione obbligatoria dal lavoro il periodo di congedo straordinario previsto dall’art. 42, comma 5, d.lgs. n. 151 del 2001, di cui la lavoratrice gestante abbia fruito per l’assistenza al coniuge convivente o a un figlio, portatori di handicap in situazione di gravità accertata ai sensi dell’art. 4, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 maggio 2018.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente

Silvana SCIARRA, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 13 luglio 2018.