SENTENZA N. 405
ANNO 2001
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Cesare RUPERTO, Presidente
- Fernando SANTOSUOSSO
- Massimo VARI
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 17, primo comma, della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri), promosso con ordinanza emessa il 14 marzo 2000 dal Tribunale di Prato nel procedimento civile vertente tra Mei Antonella contro Poste Italiane s.p.a., iscritta al n. 280 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell’anno 2000.
Visto l’atto di costituzione di Mei Antonella;
udito nell’udienza pubblica del 6 novembre 2001 il Giudice relatore Fernanda Contri.
Ritenuto in fatto
1. – Il Tribunale di Prato, con ordinanza emessa il 14 marzo 2000, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 31 e 37 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 17, primo comma, della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri), il quale esclude la corresponsione dell’indennità di maternità nell’ipotesi di licenziamento per giusta causa che si verifichi durante i periodi di interdizione dal lavoro.
Il Tribunale premette in fatto di essere stato adito da una dipendente delle Poste Italiane S.p.A., la quale chiedeva che le fosse corrisposta l’indennità di maternità nei periodi di astensione obbligatoria, assumendo di essere stata licenziata per giusta causa durante il periodo di interdizione anticipata dal lavoro e di non aver percepito la relativa indennità, in quanto l’art. 17, primo comma, della legge n. 1204 del 1971, applicato dal datore di lavoro, esclude appunto tale diritto in caso di licenziamento per giusta causa.
Il giudice a quo afferma che la disposizione in oggetto appare contraddistinta da un intento punitivo in palese contrasto con il carattere assistenziale dell’indennità e con le ragioni di ordine pubblico poste a tutela della lavoratrice madre, che si fondano sullo stato obiettivo della gravidanza e che trascendono l’interesse e il merito delle persone. Pertanto, ad avviso del rimettente, la norma in esame si porrebbe in contrasto con l’art. 31, secondo comma, della Costituzione, che impone alla Repubblica la protezione della maternità e dell’infanzia, nonchè con l’art. 37, primo comma, che assicura alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione e garantisce alla donna lavoratrice le condizioni che le consentono l’adempimento della sua essenziale funzione familiare.
Il giudice rimettente ravvisa inoltre un contrasto con il principio di eguaglianza, che deriva dalla comparazione tra il primo ed il secondo comma della stessa disposizione, poichè quest’ultimo garantisce il godimento dell’indennità anche alle lavoratrici disoccupate, senza distinguere in ordine alle ragioni del licenziamento, purchè non siano trascorsi più di sessanta giorni tra l’inizio della disoccupazione e quello dell’astensione. Vi sarebbe una ingiustificata ed illogica disparità di trattamento fra la previsione del diritto all’indennità della lavoratrice licenziata per giusta causa nei sessanta giorni precedenti l’inizio dell’astensione e la esclusione della medesima indennità nei confronti della lavoratrice licenziata per giusta causa durante il periodo di astensione obbligatoria.
2. – Si é costituita la ricorrente nel giudizio a quo, insistendo per l’accoglimento della questione.
La difesa della detta parte afferma che la tutela della maternità, costituente lo scopo della legge n. 1204 del 1971, incontra dei limiti legati alla sussistenza del rapporto o ai casi in cui questo sia stato da poco interrotto. In particolare, il secondo comma dell’art. 17, stabilendo una correlazione tra il diritto al trattamento di maternità e il versamento della contribuzione, pone un limite temporale tra la cessazione del rapporto e l’inizio dell’astensione, che può dilatarsi solo per effetto del godimento di trattamenti connessi ai versamenti contributivi ovvero alla sussistenza di un numero minimo di contributi versati. In tale sistema, l’esclusione del trattamento di maternità per le lavoratrici licenziate per giusta causa risulterebbe incongrua, soprattutto ove si rilevi che essa appare dettata da un intento punitivo, che estende i propri effetti anche sul nascituro; e ciò in palese contrasto con il dettato costituzionale e particolarmente con gli artt. 2, 3, 29, 31 e 37 della Costituzione.
Infine la difesa della ricorrente sostiene che, ai fini della corresponsione del trattamento di maternità, la causa della cessazione del rapporto dovrebbe ritenersi irrilevante, dal momento che l’indennità é stata riconosciuta anche alle lavoratrici autonome.
Considerato in diritto
1. – Il Tribunale di Prato dubita della legittimità costituzionale dell’art. 17, primo comma, della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri) – successivamente trasfuso nell’art. 24 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53) – perchè tale norma non prevede la corresponsione dell’indennità di maternità nell’ipotesi di licenziamento per colpa grave della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro, che si verifichi durante i periodi di interdizione dal lavoro. Questa esclusione determinerebbe, ad avviso del rimettente, la violazione degli artt. 3, 31 e 37 della Costituzione, per la disparità di trattamento che si attuerebbe tra le lavoratrici madri in relazione alla causa del licenziamento e per la lesione dei principi costituzionali che proteggono la maternità e l’infanzia e che impongono una speciale adeguata tutela della madre lavoratrice e del bambino.
2. – La questione é fondata.
L’art. 17 della legge n. 1204 del 1971 prevede la corresponsione dell’indennità di maternità in una serie di ipotesi nelle quali il rapporto di lavoro venga a cessare nel corso del periodo di astensione obbligatoria ovvero non sia più in atto già nel momento iniziale di tale periodo. In particolare, l’indennità é dovuta nei casi di risoluzione del rapporto di lavoro previsti dall’art. 2, lettere b) e c), che si verifichino durante i periodi di interdizione dal lavoro (cessazione dell’attività dell’azienda cui é addetta la lavoratrice, ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice é stata assunta, scadenza del termine); e, in presenza di specifici requisiti temporali, essa é corrisposta anche alle lavoratrici che all’inizio del periodo di astensione obbligatoria si trovino ad essere sospese, assenti senza retribuzione, ovvero disoccupate.
L’ipotesi del licenziamento per colpa grave della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro, é invece esclusa ai fini dell’attribuzione dell’indennità di maternità dalla norma in esame; onde la necessità di verificarne la conformità a Costituzione.
2.1. – Nelle numerose pronunce in tema di tutela delle lavoratrici madri (si vedano, tra le tante, le sentenze n. 361 del 2000, n. 310 del 1999, n. 423 del 1995, n. 132 del 1991), questa Corte ha posto in rilievo la duplice finalità del sostegno economico alle lavoratrici nei periodi di astensione obbligatoria, consistente nella necessità di tutelare la salute della donna e del nascituro (soprattutto attraverso lo strumento dell’astensione dal lavoro) e di evitare che la maternità possa soffrire a causa del bisogno economico; ha poi affermato che la protezione del valore della maternità può essere attuata con interventi legislativi di contenuto e modalità anche diversi in relazione alle caratteristiche di ciascuna delle situazioni considerate, ritenendo legittima la modulazione della disciplina purchè non risolventesi in una ingiustificata esclusione di ogni forma di tutela.
Queste argomentazioni devono invocarsi anche in relazione alla mancata attribuzione dell’indennità di maternità nell’ipotesi di licenziamento della lavoratrice, previsto dall’art. 2, lettera a), della legge n. 1204 del 1971.
La tutela della maternità, bene protetto dal legislatore attraverso le molteplici misure contenute nella legge in esame, non può venir meno in relazione alle cause di risoluzione del rapporto di lavoro.
Gli interventi legislativi succedutisi in materia attestano come il fondamento della protezione sia sempre più spesso e sempre più nitidamente ricondotto alla maternità in quanto tale e non più, come in passato, solo in quanto collegata allo svolgimento di un’attività lavorativa subordinata; oltre ai casi contemplati dalla legge n. 1204 del 1971, nei quali l’indennità é corrisposta pur in assenza di un rapporto lavorativo in atto, deve ricordarsi come il trattamento di maternità sia stato esteso alle lavoratrici autonome e alle libere professioniste dalle leggi 29 dicembre 1987, n. 546, e 11 dicembre 1990, n. 379; e ancora che a sostegno della maternità é stata prevista la concessione di un assegno nei casi di limitate risorse economiche del nucleo familiare di appartenenza della madre (art. 66 della legge 23 dicembre 1998, n. 448; art. 49 della legge 23 dicembre 1999, n. 488; art. 80 della legge 23 dicembre 2000, n. 388; art. 74 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151).
La speciale protezione della maternità, che gli artt. 31 e 37 della Costituzione assicurano, non può ritenersi attuata dalla norma in esame, la quale esclude il diritto all’indennità in funzione della ragione del licenziamento, cui é in tal modo attribuito rilievo preponderante rispetto allo stato oggettivo della gravidanza e del puerperio. Nè può considerarsi rispettato dalla norma impugnata il principio di ragionevolezza, non essendo giustificabile il pregiudizio derivante dalla negazione di qualunque trattamento di maternità; mentre il fatto che ha dato causa al licenziamento trova comunque in esso efficace sanzione.
Deve pertanto dichiararsi l’illegittimità costituzionale dell’art. 17, primo comma, della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, nella parte in cui esclude la corresponsione dell’indennità di maternità nell’ipotesi di licenziamento prevista dalla lettera a) dell’art. 2 della medesima legge.
2.2. – La dichiarazione di illegittimità costituzionale deve poi estendersi, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, all’art. 24 del testo unico n. 151 del 2001, nel quale é stato trasfuso il contenuto della disposizione impugnata.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 17, primo comma, della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri), nella parte in cui esclude la corresponsione dell’indennità di maternità nell’ipotesi prevista dall’art. 2, lettera a), della medesima legge;
dichiara, in applicazione dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimità costituzionale dell’art. 24, comma 1, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in cui esclude la corresponsione dell’indennità di maternità nell’ipotesi prevista dall’art. 54, comma 3, lettera a), del medesimo decreto legislativo.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 dicembre 2001.
Cesare RUPERTO, Presidente
Fernanda CONTRI, Redattore
Depositata in Cancelleria il 14 dicembre 2001.