Sentenza n. 132 del 1991

 

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SENTENZA N. 132

ANNO 1991

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Ettore GALLO                                                   Presidente

Dott. Aldo CORASANITI                                         Giudice

Prof. Giuseppe BORZELLINO                                       “

Dott. Francesco GRECO                                                 “

Prof. Gabriele PESCATORE                                           “

Avv. Ugo SPAGNOLI                                                    “

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA                               “

Prof. Antonio BALDASSARRE                                     “

Prof. Vincenzo CAIANIELLO                                       “

Avv. Mauro FERRI                                                         “

Prof. Luigi MENGONI                                                    “

Prof. Enzo CHELI                                                           “

Dott. Renato GRANATA                                                “

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 17, secondo comma, della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri), promosso con ordinanza emessa il 3 aprile 1990 dal Pretore di Lucca nel procedimento civile vertente tra Meloni Aurora e S.p.A. Esselunga Viareggio ed altro, iscritta al n. 595 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell'anno 1990;

Visti gli atti di costituzione della S.p.A. Esselunga Viareggio e dell'I.N.P.S.;

Udito nell'udienza pubblica del 12 febbraio 1991 il Giudice relatore Ugo Spagnoli;

Uditi l'avvocato Nicola Pinto per S.p.A. Esselunga e l'avvocato Gaspare Benenati per l'I.N.P.S.;

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel corso di un procedimento civile vertente tra Meloni Aurora e S.p.A. Esselunga Viareggio e altro, il Pretore di Lucca, giudice del lavoro, ha sollevato d'ufficio - in riferimento agli artt. 3, 31 e 37 Cost. - una questione di legittimità costituzionale dell'art. 17, secondo comma, della legge n. 1204 del 1971 "nella parte in cui esclude dal diritto alla percezione dell'indennità giornaliera di maternità le lavoratrici con contratto di lavoro part-time di tipo verticale su base annua, allorché il loro rapporto di lavoro all'inizio del periodo di astensione obbligatoria sia sospeso da oltre sessanta giorni".

Oggetto del giudizio a quo è la spettanza del diritto all'indennità giornaliera di maternità della lavoratrice - legata all'azienda da un rapporto di lavoro part-time verticale su base annua, in cui le prestazioni lavorative erano concentrate nel periodo maggio-ottobre - per la quale il periodo di astensione obbligatoria di cui all'art. 4 della legge n. 1204 del 1971 coincideva con la ripresa del periodo lavorativo ed avveniva dopo una sospensione dell'attività superiore ai sessanta giorni.

Secondo il Pretore - poiché per consolidata opinione giurisprudenziale il contratto part-time verticale sarebbe un contratto di lavoro a tempo indeterminato in cui si alternano periodi di vigenza e periodi di sospensione (non verificandosi qui lo scambio lavoro-salario) - la lavoratrice, nel caso di specie, doveva dirsi esclusa dal godimento dell'indennità di maternità poiché l'art. 17, secondo comma, non ne consente l'attribuzione, tra le altre, alle lavoratrici che all'inizio del periodo di astensione obbligatoria, si trovino sospese da più di sessanta giorni. Proprio questa esclusione dal beneficio giustificherebbe i dubbi di costituzionalità della disposizione impugnata. Essa infatti determinerebbe per tale via una inammissibile disparità di trattamento della lavoratrice con contratto part-time annuale rispetto sia alle lavoratrici con contratto part- time orizzontale oppure verticale a base mensile o settimanale (in cui i periodi di sospensione non superano i sessanta giorni), sia alle lavoratrici a tempo pieno, lavoratrici che invece conserverebbero, tutte, il diritto ai benefici previsti dalla legge n. 1204 del 1971: l'esclusione dai medesimi benefici nel caso di specie sarebbe in contraddizione senza ragionevole motivo con la sostanziale equiparazione dei contratti full-time e di tutti quelli part-time, distinti soltanto per ciò che riguarda la commisurazione della retribuzione.

La medesima ingiustificata esclusione, inoltre, penalizzando pesantemente la lavoratrice madre, si tradurrebbe anche nella violazione dei precetti costituzionali degli artt. 31 e 37 Cost.

2. - Nel giudizio davanti a questa Corte si è costituita la Esselunga S.p.A. ed ha presentato in prossimità dell'udienza una memoria illustrativa, chiedendo una pronunzia di infondatezza della questione. A suo avviso infatti, atteso il carattere volontario della scelta del contratto part-time del tipo di quello di specie e, conseguentemente, dell'assenza dal lavoro superiore ai sessanta giorni, non potrebbe utilmente farsi richiamo alle sentenze di questa Corte nn. 106 del 1980 e 332 del 1988, concernenti assenze determinate da esigenze connesse alla maternità.

Si è costituito in giudizio pure l'I.N.P.S., osservando che il legislatore potrebbe legittimamente sottoporre a limiti e condizioni l'attribuzione di provvidenze economiche alle lavoratrici madri, purché nei limiti della razionalità; ciò è quanto accadrebbe nella specie in cui il verificarsi o meno del decorso del periodo di assenza o sospensione del lavoro fissato nell'art. 17, secondo comma, sarebbe elemento idoneo a differenziare le situazioni e dunque a giustificare una loro disciplina corrispondentemente diversa.

 

Considerato in diritto

 

1. - Secondo l'art. 15 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, le lavoratrici hanno diritto ad un'indennità giornaliera pari all'80% della retribuzione per tutto il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro stabilita dagli artt. 4 e 5 della medesima legge.

L'art. 17, secondo comma, attribuisce il diritto a tale indennità anche alle lavoratrici che, all'inizio del periodo di astensione obbligatoria, si trovino sospese, assenti dal lavoro senza retribuzione, ovvero disoccupate, ma solo se tra l'inizio della sospensione, dell'assenza o della disoccupazione e quello di detto periodo non siano trascorsi più di 60 giorni (nei quali non vanno computati i giorni di assenza per malattia o infortunio, né, in ragione di quanto deciso da questa Corte con sentenza n. 106 del 1980, quelli di assenza facoltativa ai sensi dell'art. 7, primo e secondo comma, né, in ragione di quanto deciso da questa Corte con sentenza n. 332 del 1988, i periodi di assenza di cui la lavoratrice abbia fruito per accudire il minore a lei affidato in preadozione, né infine, in ragione di quanto ritenuto dalla Corte di cassazione, i periodi in cui la lavoratrice è stata collocata in aspettativa sindacale).

Il Pretore di Lucca interpreta tale norma - in conformità all'indirizzo enunciato dalla Corte di cassazione con sentenza n. 5668 del 9 novembre 1984 - nel senso che nei rapporti di lavoro a tempo parziale annuo, che prevedono fasi di lavoro limitate ad alcuni mesi dell'anno, l'indennità giornaliera di maternità non è dovuta se il periodo di astensione obbligatoria inizia tra una fase di lavoro e l'altra e dopo più di 60 giorni dalla cessazione della fase di lavoro precedente.

Secondo il giudice a quo la norma, così intesa, determina una disparità di trattamento non ragionevolmente giustificata tra le lavoratrici a tempo parziale annuo e lavoratrici a tempo parziale giornaliero, settimanale o mensile, nonché tra le prime e le lavoratrici a tempo pieno. L'ingiustificata esclusione dal beneficio in esame, per le pregiudizievoli conseguenze che essa determina, sul piano economico, ma anche sul piano morale e familiare, a carico della lavoratrice madre a tempo parziale annuo, si tradurrebbe anche in una violazione degli artt. 31 e 37 della Costituzione.

2. - La questione è fondata.

L'indennità giornaliera di maternità prevista dall'art. 15 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 è diretta a tenere indenne la donna lavoratrice - sia pure in misura non completa - dalla perdita di reddito lavorativo che altrimenti essa subirebbe a causa dell'astensione dal lavoro per gravidanza e puerperio.

Proprio in ragione di tale sua natura indennitaria l'istituto rappresenta puntuale attuazione sia di quella speciale, adeguata protezione alla madre lavoratrice e a suo figlio, che è stabilita dall'art. 37, primo comma, sia del principio di uguaglianza sostanziale previsto dall'art. 3, secondo comma, della Costituzione.

Tale indennità, infatti, serve ad assicurare alla madre lavoratrice la possibilità di vivere questa fase della sua esistenza senza una radicale riduzione del tenore di vita che il suo lavoro le ha consentito di raggiungere e ad evitare, quindi, che alla maternità si ricolleghi uno stato di bisogno economico, pregiudizievole per il benessere della donna e del bambino che sta per nascere o che è nei suoi primi mesi di vita.

Nel contempo, l'indennità in esame contribuisce ad assicurare alla donna lavoratrice il diritto di scegliere liberamente di essere madre, senza che tale sua libertà sia di fatto limitata o condizionata dalla prospettiva di una perdita del proprio reddito lavorativo quale conseguenza della maternità.

La funzione di indennizzare la donna lavoratrice dalla perdita di reddito lavorativo che altrimenti essa subirebbe per effetto della maternità è propria dell'indennità in esame anche nelle varie ipotesi in cui, a norma dell'art. 17 della legge, l'indennità stessa viene riconosciuta pur in mancanza di un lavoro in atto al momento in cui inizia il periodo di astensione obbligatoria.

In tali casi, infatti, l'indennità non muta la sua natura per assumere il carattere di un mero sussidio o premio alla maternità: se così fosse, non sarebbe giustificabile l'esclusione dal beneficio delle donne non lavoratrici, ed invece il legislatore ha inteso sopperire mediante servizi sociali alle particolari esigenze che derivano dalla maternità, in sé considerata. Nei casi previsti dall'art. 17, l'indennità giornaliera di maternità è, invece, diretta ad indennizzare la donna lavoratrice per la perdita della retribuzione ricavabile dal lavoro che essa avrebbe presumibilmente potuto trovare o riprendere se non ne fosse stata impedita dalla maternità e dal periodo di astensione obbligatoria dal lavoro che essa comporta. Da ciò derivano le limitazioni del beneficio ai casi in cui la preesistente cessazione dell'attività lavorativa non sia da considerare - in virtù di meccanismi presuntivi dettati da evidenti esigenze di semplificazione - una situazione ormai definitiva, frutto di una scelta della lavoratrice o comunque indipendente dalla maternità. Così è, appunto, per le ipotesi in cui la brevità dell'intervallo di tempo intercorso tra la cessazione del lavoro e l'inizio del periodo di astensione obbligatoria, oppure il godimento dell'indennità di disoccupazione ovvero il collocamento in Cassa integrazione guadagni o in aspettativa sindacale o altre specifiche circostanze consentono di presumere che la lavoratrice fosse ancora inserita nel circuito del lavoro allorquando il periodo di astensione obbligatoria ha avuto inizio.

Questa essendo la funzione che è propria dell'istituto e che fa dovuta attuazione, nei sensi già detti, del dettato costituzionale, è chiaro che, rispetto ad essa, costituisce una palese incoerenza, tale da determinare un'ingiustificabile disparità di trattamento, l'esclusione del diritto all'indennità nei casi e nella misura in cui, nei rapporti a tempo parziale annuo, il periodo di astensione obbligatoria, pur iniziato dopo più di 60 giorni dalla fine della precedente fase di lavoro, venga a coincidere con la prevista successiva fase di ripresa dell'attività lavorativa. In siffatta ipotesi, infatti, la lavoratrice, per effetto della maternità, viene a perdere una retribuzione di cui avrebbe certamente - e non solo probabilmente - goduto se non si fosse dovuta astenere dal lavoro in ragione del suo stato.

Riguardo a tale ipotesi non è conferente l'argomento relativo al carattere volontario della scelta del contratto a tempo parziale annuo, dal momento che qui non è questione di considerare se il protrarsi della sospensione del lavoro oltre il sessantesimo giorno induca ad escludere in via presuntiva il nesso di causalità tra l'inizio del periodo di astensione obbligatoria e la perdita di un reddito lavorativo potenziale: tale nesso di causalità, nell'ipotesi in esame, esiste per definizione e riguarda non già la perdita di una probabilità di reddito, ma la perdita di un reddito effettivo e attuale.

Questa Corte, del resto, ha già rilevato, nella sentenza n. 160 del 1974, che la disoccupazione conseguente al periodo di sosta, nei rapporti di lavoro analoghi a quello qui considerato, non può ritenersi volontaria per il lavoratore in conseguenza del fatto di aver volontariamente accettato quel tipo di attività, il più delle volte imposta dalle condizioni del mercato del lavoro: sicché - alla stregua di quanto affermato nella medesima sentenza - la lavoratrice, rimasta priva di lavoro durante il periodo intercorrente tra una fase di lavoro e l'altra di un rapporto a tempo parziale annuo, può senz'altro acquisire, in tale periodo, il diritto all'indennità di disoccupazione allorché sussistano gli altri requisiti dai quali tale diritto prende vita, tra i quali l'iscrizione nelle liste di collocamento. Tale indennità viene sostituita dall'indennità giornaliera di maternità, a norma del terzo comma dell'art. 17, anche se il periodo di astensione obbligatoria ha inizio più di 60 giorni dopo la cessazione della precedente fase di lavoro.

Nei casi in cui, invece, nell'intervallo tra una fase di lavoro e l'altra, la lavoratrice non sia nella condizione di godere dell'indennità di disoccupazione, trova giustificatamente applicazione, per la durata di tale intervallo, la regola posta dall'art. 17, secondo comma.

Ma allorquando il periodo di astensione obbligatoria, iniziato durante l'intervallo, viene a coprire anche, in tutto o in parte, l'arco di tempo previsto come fase di lavoro, escludere il diritto della lavoratrice all'indennità giornaliera di maternità significa operare una irrazionale e ingiustificata disparità di disciplina rispetto alla norma principale ed originaria che prevede tale indennità per ogni altra ipotesi di assenza dal lavoro direttamente determinata dall'obbligo di astensione previsto dagli artt. 4 e 5 della legge. Significa, anche, per quanto già si è detto, pregiudicare il diritto di questa categoria di lavoratrici di godere alla pari delle altre di quella speciale adeguata protezione che l'ordinamento è tenuto ad assicurare alla donna lavoratrice specie in occasione della maternità; e vuole dire, infine, comprimere la loro libertà di scegliere di diventare madri, senza essere condizionate dal timore di dover sacrificare, per questa scelta, il diritto a quel reddito che esse hanno acquisito con il loro lavoro.

 

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 17, secondo comma, della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri), nella parte in cui, per le lavoratrici con contratto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale su base annua, allorquando il periodo di astensione obbligatoria abbia inizio più di 60 giorni dopo la cessazione della precedente fase di lavoro, esclude il diritto all'indennità giornaliera di maternità, anche in relazione ai previsti successivi periodi di ripresa dell'attività lavorativa.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 marzo 1991.

 

Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA.

 

Depositata in cancelleria il 29 marzo 1991.