SENTENZA N. 82
ANNO 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Giorgio LATTANZI Presidente
- Aldo CAROSI Giudice
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria DE PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
- Giovanni AMOROSO ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 6, comma 5, e 20 della legge della Regione Veneto 30 dicembre 2016, n. 30 (Collegato alla legge di stabilità regionale 2017), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 28 febbraio-2 marzo 2017, depositato in cancelleria il 7 marzo 2017 ed iscritto al n. 28 del registro ricorsi 2017.
Visto l’atto di costituzione della Regione Veneto;
udito nell’udienza pubblica del 20 febbraio 2018 il Giudice relatore Silvana Sciarra;
uditi l’avvocato dello Stato Chiarina Aiello per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Ezio Zanon e Andrea Manzi per la Regione Veneto.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso spedito per la notifica il 28 febbraio 2017 e depositato il successivo 7 marzo, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questione di legittimità costituzionale di varie disposizioni della legge della Regione Veneto 30 dicembre 2016, n. 30 (Collegato alla legge di stabilità regionale 2017) e, tra esse, degli artt. 6, comma 5, e 20, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettere h) ed o), della Costituzione.
1.1.– Il ricorrente premette che l’art. 6 della citata legge regionale istituisce il Servizio regionale di vigilanza (comma 1) e assegna alla Giunta regionale il compito di individuarne la struttura e di determinarne le competenze (comma 2). Fra queste ultime, la difesa statale precisa che il citato articolo individua «le attività di controllo e di vigilanza: a) correlate alle funzioni non fondamentali conferite dalla Regione alle province e alla Città metropolitana di Venezia, di cui all’articolo 2, comma 1, della legge regionale 29 ottobre 2015, n. 19», nonché quelle «b) relative alla tutela e salvaguardia della fauna selvatica e all’attività di prelievo venatorio di cui alla legge 11 febbraio 1992, n. 157 “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio” e alla legge della Regione Veneto 9 dicembre 1993, n. 50 “Norme per la protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio” nonché della fauna ittica e della pesca nelle acque interne di cui alla legge regionale 28 aprile 1998, n. 19 “Norme per la tutela delle risorse idrobiologiche e della fauna ittica e per la disciplina dell’esercizio della pesca nelle acque interne e marittime interne della Regione Veneto” ricadenti nelle funzioni non fondamentali conferite dalla Regione alle province e alla Città metropolitana di Venezia, di cui all’articolo 2, comma 1 della legge regionale 29 ottobre 2015, n. 19 […]» (comma 3).
Tali attività – prosegue il ricorrente – sono assegnate al «personale addetto alle attività di polizia provinciale», «già inserito, ai sensi dell’articolo 9, comma 7, della legge regionale 29 ottobre 2015, n. 19, nella dotazione organica delle Province e della Città metropolitana di Venezia», il quale «viene trasferito nella dotazione organica della Regione e assegnato al Servizio regionale di vigilanza» (comma 4) e al quale, oltre a essere assicurate «tutte le indennità e il trattamento economico già maturati ed in godimento nell’Amministrazione di provenienza», «sono conservate le qualifiche di cui sono titolari (recte: è titolare)» (comma 5).
Quest’ultima previsione, contenuta nel richiamato comma 5 – secondo l’Avvocatura generale dello Stato – si porrebbe in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost. Essa, infatti, disponendo la conservazione delle qualifiche previste per il personale della polizia provinciale trasferito al Servizio regionale di vigilanza, comporterebbe anche la conservazione della qualifica di agente di polizia giudiziaria, con conseguente invasione della competenza statale esclusiva in materia di «ordine pubblico e sicurezza». La difesa statale ricorda, infatti, che l’art. 5 della legge 7 marzo 1986, n. 65 (Legge-quadro sull’ordinamento della polizia municipale) stabilisce che «[i]l personale che svolge servizio di polizia municipale, nell’ambito territoriale dell’ente di appartenenza e nei limiti delle proprie attribuzioni, esercita anche […] funzioni di polizia giudiziaria», e che l’art. 57, comma 2, lettera b), del codice di procedura penale non contempla una simile possibilità per il personale regionale.
La legge regionale, pertanto, nel riorganizzare i servizi di vigilanza regionali anche mediante il trasferimento di parte del personale della polizia provinciale o municipale, non avrebbe titolo a attribuire a tale personale, divenuto a tutti gli effetti regionale, la suddetta qualifica di agente di polizia giudiziaria. L’attribuzione di tali qualifiche sarebbe, infatti, essenziale per lo svolgimento delle funzioni di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, costituendo perciò parte integrante della relativa disciplina di fonte statale.
1.2.– Il ricorrente impugna altresì l’art. 20 della legge reg. Veneto n. 30 del 2016, che inserisce il comma 3-bis nell’art. 12 della legge della Regione Veneto 28 novembre 2014, n. 37 (Istituzione dell’Agenzia veneta per l’innovazione nel settore primario), con cui è stata istituita l’Agenzia veneta per l’innovazione nel settore primario, dotata di compiti di «supporto alla Giunta regionale nell’ambito delle politiche che riguardano i settori agricolo, agroalimentare, forestale e della pesca» (art. 1 della legge reg. Veneto n. 37 del 2014).
Il citato comma 3-bis è impugnato là dove stabilisce che il personale della predetta Agenzia, benché inquadrato nella contrattazione collettiva delle aziende municipalizzate di igiene ambientale, come personale soggetto all’iscrizione alla gestione ordinaria dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), mantenga l’iscrizione alla speciale gestione INPS per i dipendenti pubblici, già iscritti all’Istituto nazionale di previdenza e assistenza per i dipendenti dell’amministrazione pubblica (INPDAP) e alla Cassa pensioni dipendenti enti locali. Così disponendo, esso inciderebbe in modo diretto sulle modalità di iscrizione previdenziale e sugli oneri che il trattamento previdenziale dei dipendenti dell’Agenzia comporta sul bilancio dell’INPS e invaderebbe la competenza statale esclusiva in materia di previdenza sociale, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera o), Cost.
2.– Nel giudizio si è costituita la Regione Veneto, chiedendo che le richiamate questioni siano dichiarate infondate ove non inammissibili.
2.1.– Quanto alle censure promosse nei confronti dell’art. 6, comma 5, della legge reg. Veneto n. 30 del 2016, la Regione, anzitutto, rileva che l’attribuzione della qualifica di agente di polizia giudiziaria, secondo la costante giurisprudenza costituzionale, non afferisce alla materia dell’ordine pubblico, ma alla diversa materia della «giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale». Pertanto, il parametro costituzionale evocato dal ricorrente non sarebbe conferente.
Nel merito, la questione sarebbe priva di fondamento.
La norma regionale impugnata si limiterebbe a prevedere «un fenomeno successorio di funzioni cui accede una “migrazione” di personale dai ruoli provinciali a quelli regionali, con l’intento di “garantire la continuità dell’esercizio delle funzioni svolte presso l’amministrazione di appartenenza”». La qualifica di agente di polizia giudiziaria in capo al personale divenuto regionale sarebbe automaticamente acquisita dallo stesso in ragione delle funzioni esercitate a seguito del trasferimento dalle Province alle Regioni.
2.2.– Anche la questione di legittimità costituzionale dell’art. 20 sarebbe, ad avviso della Regione, priva di fondamento.
La norma regionale impugnata trarrebbe origine dalla legge della Regione Veneto 5 settembre 1992, n. 35 (Istituzione dell’azienda regionale per i settori agricolo, forestale e agro-alimentare “Veneto Agricoltura”), che, all’art. 14, comma 5, disponeva che «[i]l personale è iscritto ai fini del trattamento di quiescenza e previdenza all’I.N.P.D.A.P.». Nell’ambito del fenomeno successorio tra Azienda regionale «Veneto Agricoltura» e Agenzia veneta per l’innovazione nel settore primario, il legislatore regionale avrebbe voluto semplicemente dichiarare il permanere del regime previdenziale in atto, a superamento di eventuali perplessità applicative. La norma regionale impugnata si limiterebbe, pertanto, ad esplicitare la disciplina previdenziale vigente, senza produrre effetti innovativi sull’ordinamento.
3.– All’udienza pubblica le parti hanno insistito per l’accoglimento delle conclusioni formulate nelle difese scritte.
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato, tra gli altri, gli artt. 6, comma 5, e 20 della legge della Regione Veneto 30 dicembre 2016, n. 30 (Collegato alla legge di stabilità regionale 2017), in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettere h) ed o), della Costituzione.
1.1.– Riservata a separate pronunce la decisione dell’impugnazione delle altre disposizioni della legge reg. Veneto n. 30 del 2016, vengono in esame, in questa sede, le sole questioni relative agli artt. 6, comma 5, e 20 della medesima legge.
2.– Il ricorrente sostiene che l’art. 6, comma 5, della citata legge regionale si ponga in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., là dove stabilisce che il personale addetto alle attività di polizia provinciale, già inserito nella dotazione organica delle Province e della Città metropolitana di Venezia, poi trasferito nella dotazione organica della Regione e assegnato al Servizio regionale di vigilanza, conservi le qualifiche di cui era titolare.
Tale norma, infatti, nella parte in cui dispone la conservazione delle qualifiche previste per il personale della polizia provinciale trasferito al Servizio regionale di vigilanza, comporterebbe anche il mantenimento della qualifica di agente di polizia giudiziaria, in contrasto con la normativa statale, in specie con l’art. 5 della legge 7 marzo 1986, n. 65 (Legge-quadro sull’ordinamento della polizia municipale) e con l’art. 57, comma 2, lettera b), del codice di procedura penale, e con conseguente invasione della competenza statale esclusiva in materia di «ordine pubblico e sicurezza».
2.1.– La questione non è fondata.
Il ricorrente impugna la norma regionale in quanto, disponendo la conservazione della qualifica di agenti di polizia giudiziaria al personale della polizia provinciale trasferito al Servizio regionale, invaderebbe la sfera di competenza statale. Questa Corte ha già avuto occasione di affermare che la competenza a riconoscere la suddetta qualifica è «“riservata a leggi e regolamenti che debbono essere, in quanto attinenti alla sicurezza pubblica, esclusivamente di fonte statale” (sentenza n. 185 del 1999)» (sentenza n. 167 del 2010). Tenuto conto della stretta connessione fra la materia della «giurisdizione penale», di cui alla lettera l) del secondo comma dell’art. 117 Cost. e quella dell’«ordine pubblico e sicurezza», di cui alla lettera h) del secondo comma dell’art. 117 Cost., risulta agevole rilevare che il ricorrente contesta la circostanza che, attraverso disposizioni volte ad affidare funzioni di polizia giudiziaria al personale di polizia locale trasferito nei ruoli della Regione, il legislatore regionale finisca con l’incidere su «scelte in tema di sicurezza, per le quali le Regioni non hanno competenza» (sentenza n. 172 del 2017).
La disposizione regionale impugnata si inserisce nel quadro del riordino complessivo delle funzioni amministrative non fondamentali conferite dalla Regione Veneto alle Province e alla Città metropolitana di Venezia, delineato dalla legge della Regione Veneto 29 ottobre 2015, n. 19 (Disposizioni per il riordino delle funzioni amministrative provinciali), in attuazione di quanto prescritto dall’art. 1, comma 89, della legge 7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni), nell’ambito della «riforma di sistema della geografia istituzionale della Repubblica», voluta dal legislatore statale (sentenza n. 32 del 2017).
In questa prospettiva, l’art. 6 della legge reg. Veneto n. 30 del 2016 ha istituito il Servizio regionale di vigilanza, cui sono assegnate attività di controllo «correlate alle funzioni non fondamentali conferite dalla Regione alle province e alla Città metropolitana di Venezia, di cui all’articolo 2, comma 1, nella legge regionale 29 ottobre 2015, n. 19» (art. 6, comma 3, lettera a, della citata legge regionale), nonché alla «tutela e salvaguardia della fauna selvatica e all’attività di prelievo venatorio» e «della fauna ittica e della pesca nelle acque interne», puntualmente disciplinate da leggi regionali già in vigore (legge della Regione Veneto 9 dicembre 1993, n. 50, recante «Norme per la protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio»; legge della Regione Veneto 28 aprile 1998, n. 19, recante «Norme per la tutela delle risorse idrobiologiche e della fauna ittica e per la disciplina dell’esercizio della pesca nelle acque interne e marittime interne della Regione Veneto»), nel rispetto della normativa nazionale e europea, e comunque «ricadenti nelle funzioni non fondamentali conferite dalla Regione alle province e alla Città metropolitana di Venezia, di cui all’articolo 2, comma 1 della legge regionale 29 ottobre 2015, n. 19» (art. 6, comma 3, lettera b, della medesima legge reg. Veneto n. 30 del 2016).
Come si evince dai lavori preparatori, scopo dell’istituzione del Servizio regionale di vigilanza è quello di assicurare, specie a seguito del trasferimento alla Regione delle funzioni amministrative in materia di caccia, pesca e agricoltura, la continuità del servizio di controllo e salvaguardia del patrimonio faunistico-ambientale, precedentemente svolto dai corpi di polizia provinciale. Questa Corte ha già avuto occasione di rilevare, proprio con riferimento al riordino delle funzioni amministrative provinciali, che «l’esercizio delle funzioni a suo tempo conferite […] deve essere correttamente attuato, indipendentemente dal soggetto che ne è temporalmente titolare e comporta, soprattutto in un momento di transizione caratterizzato da plurime criticità, che il suo svolgimento non sia negativamente influenzato dalla complessità di tale processo di passaggio tra diversi modelli di gestione» (sentenza n. 10 del 2016). In vista di un tale obiettivo di «garantire la continuità dell’esercizio delle funzioni svolte presso l’amministrazione di appartenenza» (art. 6, comma 12, della legge reg. Veneto n. 30 del 2016) in tema di protezione del patrimonio faunistico-venatorio e ittico del territorio, la Regione Veneto, tramite il Servizio regionale di vigilanza, ha assorbito a livello regionale le attività precedentemente svolte dai corpi e servizi di polizia provinciale e ha inserito il relativo personale all’interno del proprio organico, con funzioni di vigilanza ittico-venatoria e ambientale, nell’ambito del processo di riallocazione delle funzioni di polizia amministrativa locale, così come disposto dall’art. 5, comma 3, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78 (Disposizioni urgenti in materia di enti territoriali. Disposizioni per garantire la continuità dei dispositivi di sicurezza e di controllo del territorio. Razionalizzazione delle spese del Servizio sanitario nazionale nonché norme in materia di rifiuti e di emissioni industriali), convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2015, n. 125, al fine di non disperdere le professionalità acquisite negli anni da parte degli agenti di polizia provinciale.
In questo contesto si colloca, dunque, l’impugnato comma 5 dell’art. 6 della legge regionale in esame. Esso, nella parte in cui prescrive che al personale di polizia provinciale, transitato nella dotazione organica della Regione, «sono garantite tutte le indennità e il trattamento economico già maturati ed in godimento nell'Amministrazione di provenienza e sono conservate le qualifiche di cui sono titolari», si limita a disporre la mera conservazione delle qualifiche discendenti dall’inquadramento giuridico del personale medesimo nell’ente di provenienza. Questa Corte ha ripetutamente affermato che «ufficiali o agenti di polizia giudiziaria possono essere solo i soggetti indicati all’art. 57, commi 1 e 2, del codice di procedura penale, nonché quelli ai quali le leggi e i regolamenti attribuiscono le funzioni previste dall’art. 55 del medesimo codice, aggiungendo che le fonti da ultimo richiamate non possono che essere statali» (di recente, sentenza n. 8 del 2017). È infatti solo il legislatore statale che può individuare quali siano gli specifici compiti di vigilanza che consentono di qualificare gli operatori ad essi preposti quali agenti di polizia giudiziaria. Ciò che ha fatto il legislatore con il citato art. 57 cod. proc. pen., che dispone che «Sono agenti di polizia giudiziaria: […] b) “nell’ambito territoriale dell’ente di appartenenza, le guardie delle province e dei comuni quando sono in servizio», nonché con l’art. 5, comma 1, della legge n. 65 del 1986, là dove dispone che «Il personale che svolge servizio di polizia municipale, nell’ambito territoriale dell’ente di appartenenza e nei limiti delle proprie attribuzioni, esercita anche: a) funzioni di polizia giudiziaria […] ».
Di tale competenza esclusiva statale è, d’altronde, consapevole il legislatore regionale, che all’art. 9, comma 7, della legge reg. Veneto n. 19 del 2015, espressamente richiamato dalla disposizione impugnata, ha statuito che «Nelle more di un intervento statale, al fine di garantire il mantenimento della qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria e conseguentemente assicurare un efficiente controllo sul territorio, il personale addetto allo svolgimento delle funzioni di polizia amministrativa provinciale di cui all’articolo 2 comma 1, rimane inserito nelle dotazioni organiche delle province e della Città metropolitana di Venezia, con oneri a carico della Regione».
Alla luce del richiamato percorso interpretativo, pertanto, devono essere respinti i dubbi di legittimità costituzionale proposti nei confronti dell’art. 6, comma 5, della legge reg. Veneto n. 30 del 2016, con il ricorso indicato in epigrafe.
3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna, altresì, l’art. 20 della citata legge regionale n. 30 del 2016, il quale, introducendo il comma 3-bis nell’art. 12 della legge della Regione Veneto 28 novembre 2014, n. 37 (Istituzione dell’Agenzia veneta per l’innovazione nel settore primario), stabilisce che i dirigenti e i dipendenti della neoistituita Agenzia veneta per l’innovazione nel settore primario, ai fini del trattamento di quiescenza e previdenza, «mantengono l’iscrizione all’INPS Gestione Dipendenti Pubblici - ex Gestione INPDAP – ex Cassa Pensioni Dipendenti Enti Locali». Il ricorrente sostiene che la disposizione impugnata, in quanto prevede che il personale dell’Agenzia, inquadrato nella contrattazione collettiva delle aziende municipalizzate di igiene ambientale mantenga invece l’iscrizione alla speciale gestione dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) per i dipendenti pubblici, già iscritti all’Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell’amministrazione pubblica (INPDAP) e alla Cassa pensioni dipendenti enti locali, incida in modo diretto sulle modalità di iscrizione previdenziale e sugli oneri che il trattamento previdenziale dei dipendenti dell’Agenzia comporta sul bilancio dell’INPS, invadendo la competenza statale esclusiva in materia di previdenza sociale, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera o), Cost.
3.1.– La questione è fondata.
La disposizione inserisce, come si è già ricordato, il comma 3-bis nell’art. 12 della legge reg. Veneto n. 37 del 2014. Quest’ultima ha istituito l’Agenzia veneta per l’innovazione nel settore primario, chiamata a svolgere attività di «supporto alla Giunta regionale nell’ambito delle politiche che riguardano i settori agricolo, agroalimentare, forestale e della pesca» (art. 2), configurata dall’art. 1 della medesima legge regionale come «ente pubblico economico strumentale della Regione del Veneto, dotata di personalità giuridica di diritto pubblico e di autonomia amministrativa, organizzativa, contabile e patrimoniale». L’Agenzia è, peraltro, subentrata nei rapporti giuridici attivi e passivi dell’Azienda regionale Veneto Agricoltura di cui si è disposta (al comma 2 del medesimo art. 1) la soppressione e la messa in liquidazione.
Il comma 3 del medesimo art. 12 prescrive che «Ai dirigenti e dipendenti dell’Agenzia si applica il contratto collettivo nazionale di lavoro delle aziende municipalizzate di igiene ambientale […]», che configura il rapporto di lavoro in termini privatistici.
Con l’impugnato art. 20 della legge reg. Veneto n. 30 del 2016 il legislatore regionale – come si legge nei lavori preparatori – al fine di «evitare l’attrazione dell’Agenzia ad [sic!] un inquadramento in regime previdenziale e di quiescenza di tipo privatistico da parte dell’INPS, con correlato aumento del carico contributivo» (Relazione unificata sui progetti di legge n. 194, n. 195 e n. 196, d’iniziativa della Giunta regionale, Consiglio regionale del Veneto, Prima Commissione consiliare permanente, seduta 1° dicembre 2016, n. 63), è espressamente intervenuto a definire il trattamento di previdenza e di quiescenza dei suddetti dirigenti e dipendenti, stabilendo che essi «mantengono l’iscrizione all’INPS Gestione Dipendenti Pubblici - ex Gestione INPDAP - ex Cassa Pensioni Dipendenti Enti Locali». Si tratta di una disciplina che incide palesemente ed esclusivamente sulla materia della «previdenza sociale» di cui alla lettera o) del secondo comma dell’art. 117 Cost., materia che è preclusa al legislatore regionale. L’argomento della difesa della Regione, secondo cui la norma regionale impugnata si limiterebbe ad esplicitare la disciplina previdenziale corrente, senza produrre effetti innovativi sull’ordinamento, quand’anche fondato, alla luce del regime previdenziale introdotto dall’art. 21, comma 1, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, non varrebbe comunque a consentire l’esercizio da parte della Regione della funzione legislativa in materia, assegnata a titolo esclusivo al legislatore statale (da ultimo, sentenza n. 38 del 2018).
Va, pertanto, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 20 della legge reg. Veneto n. 30 del 2016.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separate pronunce la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale promosse dalla Regione Veneto con il ricorso indicato in epigrafe;
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 20 della legge della Regione Veneto 30 dicembre 2016, n. 30 (Collegato alla legge di stabilità regionale 2017);
2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 5, della legge reg. Veneto n. 30 del 2016, promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera h), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 febbraio 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Silvana SCIARRA, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 20 aprile 2018.