ANNO 2017
Commento alla decisione di
Enrico Andolfatto
per g.c. di Diritto Penale Contemporaneo
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Giorgio LATTANZI Giudice
- Aldo CAROSI "
- Marta CARTABIA "
- Mario Rosario MORELLI "
- Giancarlo CORAGGIO "
- Giuliano AMATO "
- Silvana SCIARRA "
- Daria DE PRETIS "
- Nicolò ZANON "
- Augusto Antonio BARBERA "
- Giulio PROSPERETTI "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 573, 579, comma 3, e 593 del codice di procedura penale, promosso dalla Corte di cassazione, prima sezione penale, nel procedimento penale a carico di M. G. e altre, con ordinanza del 1° marzo 2016, iscritta al n. 87 del registro ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 18, prima serie speciale, dell’anno 2016.
Visti gli atti di costituzione di M. G. e altre, di C. B. e di L. A., nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 24 ottobre 2017 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi;
uditi gli avvocati Francesco Scattareggia Marchese per M. G. e altre e per C. B., Gaetano Laghi per L. A. e l’avvocato dello Stato Massimo Giannuzzi per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 1° marzo 2016 (r.o. n. 87 del 2016), la Corte di cassazione, prima sezione penale, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli artt. 573, 579, comma 3, e 593 del codice di procedura penale, in riferimento agli artt. 3, 24, 42, 111 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli artt. 6 e 13 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (d’ora in avanti «CEDU»), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848, e all’art. 1 del Primo Protocollo addizionale alla CEDU.
Le disposizioni in questione sono censurate nella parte in cui, a favore dei terzi incisi nel diritto di proprietà da una confisca disposta con una sentenza penale di primo grado, non prevedono la facoltà di proporre appello con riguardo al solo capo della decisione relativo alla misura di sicurezza.
Il giudice rimettente conosce del ricorso proposto da alcune persone, estranee al processo penale, che, ai sensi dell’art. 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306 (Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, avevano subìto la confisca di beni formalmente di loro proprietà.
La confisca era stata disposta con sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Messina, nel presupposto che i beni confiscati fossero nella disponibilità degli imputati, che erano stati condannati per il reato previsto dall’art. 416-bis del codice penale.
I proprietari dei beni confiscati, terzi rispetto al giudizio penale, avevano impugnato il capo della sentenza relativo alla confisca ma il loro appello era stato dichiarato inammissibile perché non erano parti del processo.
Con il ricorso per cassazione i terzi avevano contestato la legittimità costituzionale dell’assetto normativo che precludeva loro l’appello contro il capo della sentenza penale con cui erano stati confiscati beni di loro proprietà.
2.– La Corte di cassazione riconosce che in base all’attuale quadro normativo la preclusione effettivamente sussiste. Infatti l’art. 579, comma 3, cod. proc. pen. ammette l’impugnazione contro il capo relativo alla confisca con gli stessi mezzi previsti per i capi penali della sentenza, e questi ultimi sono appellabili dal pubblico ministero e dall’imputato (art. 593 cod. proc. pen.), mentre esclusivamente alla parte civile e al responsabile civile è attribuita la facoltà di proporre impugnazione per i soli interessi civili (artt. 573, comma 1, 575 e 576 cod. proc. pen.).
Il terzo destinatario della confisca non è indicato tra le parti legittimate all’appello, e il principio di tassatività delle impugnazioni (art. 568, comma 1, cod. proc. pen.) non permette di attribuirgli tale facoltà.
Il giudice rimettente aggiunge che l’ordinamento riconosce al terzo adeguati strumenti di tutela nella fase temporale anteriore alla pronuncia della sentenza di primo grado recante la confisca, ovvero fino a quando il bene è oggetto di un provvedimento cautelare. Il terzo infatti può chiedere il riesame, anche nel merito, del decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca (artt. 322 e 324 cod. proc. pen.) e può successivamente proporre ricorso per cassazione per violazione di legge (art. 325 cod. proc. pen.). Inoltre fino alla definizione del giudizio di primo grado può chiedere la restituzione del bene, proporre appello contro il diniego (art. 322-bis cod. proc. pen.) e in seguito ricorso per cassazione per violazione di legge (art. 325 cod. proc. pen.).
Secondo il giudice rimettente questa tutela, limitata al giudizio di primo grado, è costituzionalmente adeguata. Però dopo la pronuncia della sentenza con il provvedimento di confisca e fino al termine del processo il terzo non avrebbe modo di reagire, e solo dopo il passaggio in giudicato della decisione avrebbe la possibilità di contestarla con un incidente di esecuzione, ai sensi dell’art. 676 cod. proc. pen.
3.– Il giudice a quo, pur dando atto di un precedente indirizzo giurisprudenziale che permetteva al terzo di agire in sede incidentale anche dopo la sentenza di primo grado, reputa ormai consolidato l’indirizzo contrario, secondo il quale non può ammettersi «che la statuizione di confisca contenuta nella sentenza sia posta in discussione – durante la pendenza del processo e al di fuori dello stesso – da un soggetto terzo, che non è parte del rapporto processuale instaurato dinanzi al giudice della cognizione».
Tale assetto normativo, che permette al terzo, una volta pronunciata la sentenza di primo grado, di far valere le proprie ragioni solo dopo l’irrevocabilità della statuizione di confisca e solo nell’ambito di un incidente di esecuzione, è reputato dal giudice rimettente contrario agli artt. 24, 42, 111 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 6 e 13 della CEDU, e all’art. 1 del Primo Protocollo addizionale alla CEDU.
Il terzo infatti sarebbe titolare «di una sorta di opposizione postuma», priva dei necessari caratteri di effettività e tempestività, perché non avrebbe uno strumento di tutela fino a quando il capo della sentenza concernente la confisca non è divenuto definitivo (artt. 24, 42 e 111 Cost.).
Inoltre l’incidente di esecuzione non sarebbe strumento adeguato ai fini della difesa del diritto di proprietà (artt. 24 e 42 Cost.), «posto che da un lato realizza solo in via mediata il diritto alla prova» (art. 666, comma 5, cod. proc. pen.), «ed in ogni caso, nella sua dimensione cognitiva, risulta indubbiamente influenzato dalla esistenza della decisione irrevocabile». Per di più gli elementi probatori già acquisiti potrebbero rilevare in danno del terzo, che non ha partecipato al giudizio, e ciò «in potenziale violazione del principio del contraddittorio» (art. 111 Cost.).
Queste ragioni giustificherebbero un dubbio di legittimità costituzionale anche con riguardo all’art. 117, primo comma, Cost., alla luce degli artt. 6 e 13 della CEDU, e dell’art. 1 del Primo Protocollo addizionale alla CEDU, in ragione della ineffettività del rimedio, oltretutto tardivo, offerto dall’incidente di esecuzione.
4.– Infine il rimettente denuncia la violazione dell’art. 3 Cost., ponendo come tertium comparationis la disciplina procedimentale vigente per la confisca di prevenzione ai sensi dell’art. 23 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136). Infatti nel procedimento di prevenzione è prevista la partecipazione del terzo proprietario del bene da confiscare.
Pur dichiarandosi consapevole della differenza di struttura tra processo penale e procedimento di prevenzione, il giudice a quo ritiene che tale differenza abbia rilievo con riguardo alla posizione dell’imputato e del proposto ma non a quella del terzo, che si trova in entrambi i casi ugualmente privato della proprietà del bene.
5.– In punto di rilevanza il giudice rimettente osserva che se le questioni di legittimità costituzionale risultassero fondate la Corte dovrebbe accogliere il ricorso, con il conseguente annullamento della sentenza impugnata.
6.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto che le questioni siano dichiarate infondate.
L’Avvocatura dello Stato contesta che il processo penale e il procedimento di prevenzione possano ritenersi costituzionalmente equiparabili quanto alle garanzie partecipative. Inoltre le forme di tutela spettanti al terzo, ivi compreso l’incidente di esecuzione, sarebbero costituzionalmente adeguate.
7.– Si sono costituiti nel giudizio incidentale i ricorrenti nel processo principale M. G., A. R., P. R., S .R. e C. B., con due memorie di analogo contenuto.
Le parti, dopo avere aderito alla prospettazione del giudice rimettente, sottolineano che, sia la decisione quadro n. 2005/212/GAI (Decisione quadro del Consiglio relativa alla confisca di beni, strumenti e proventi di reato), sia la direttiva n. 2014/42/UE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al congelamento e alla confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato nell’Unione europea) impegnano gli Stati membri ad assicurare al terzo titolare del bene confiscato specifiche garanzie e mezzi di ricorso, tra i quali, in particolare, l’impugnazione del provvedimento di confisca. Le disposizioni in questione sarebbero perciò in contrasto anche con il diritto dell’Unione.
8.– Si è costituita nel giudizio incidentale anche L. A., già ricorrente nel processo principale, che facendo propri gli argomenti del giudice rimettente, ha richiamato a sostegno delle questioni proposte anche l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e, in una versione adattata, il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, la decisione quadro n. 2005/212/GAI e la direttiva n. 2014/42/UE. Le disposizioni censurate violerebbero pertanto anche l’art. 117, primo comma, Cost., a causa del contrasto con il diritto dell’Unione europea.
Considerato in diritto
1.– La Corte di cassazione, prima sezione penale, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli artt. 573, 579, comma 3, e 593 del codice di procedura penale, in riferimento agli artt. 3, 24, 42, 111 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli artt. 6 e 13 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (d’ora in avanti «CEDU»), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848, e all’art. 1 del Primo Protocollo addizionale alla CEDU.
Il giudice rimettente conosce del ricorso proposto contro una sentenza della Corte d’appello di Messina che ha confermato la confisca disposta nei confronti dei ricorrenti dal Giudice dell’udienza preliminare della stessa città, ai sensi dell’art. 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306 (Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356.
I ricorrenti, pur estranei ad ogni imputazione penale e dunque terzi rispetto al relativo giudizio, hanno subìto la confisca di beni loro intestati, nel presupposto che gli stessi fossero nella disponibilità delle persone condannate dal giudice dell’udienza preliminare per il delitto previsto dall’art. 416-bis del codice penale.
L’appello proposto dai terzi nei riguardi del capo della sentenza recante l’ordine di confisca è stato dichiarato inammissibile dal giudice di secondo grado perché gli appellanti non erano stati (né avrebbero potuto esserlo) parti del processo penale ed erano perciò privi di legittimazione all’impugnazione.
La Corte di cassazione rimettente è investita dei ricorsi avverso le declaratorie di inammissibilità degli atti di appello.
Nel sollevare le questioni, la Corte condivide l’affermazione del giudice di appello, peraltro pacifica in giurisprudenza, secondo la quale solo chi può partecipare al processo penale di primo grado, e vi ha effettivamente preso parte, è legittimato a impugnare la sentenza con cui il giudizio è stato definito, e ne trova la base legislativa nelle disposizioni censurate, che disciplinano i casi di appello (art. 593 cod. proc. pen.), l’impugnazione per i soli interessi civili (art. 573 cod. proc. pen.) e l’impugnazione di sentenze che dispongono misure di sicurezza (art. 579 cod. proc. pen.).
Al contempo il giudice rimettente reputa che un simile assetto normativo sia in contrasto con i parametri costituzionali sopra indicati, nella parte in cui non prevede, «a favore di terzi incisi nel diritto di proprietà per effetto della sentenza di primo grado, la facoltà di proporre appello sul solo capo contenente la statuizione di confisca».
Lo stesso giudice esclude che il vulnus alla Costituzione derivi dalla circostanza che i terzi non possono partecipare al processo penale di primo grado, perché ritiene che, fino alla pronuncia con cui quest’ultimo è definito ed è adottata la confisca, la tutela giurisdizionale sia adeguatamente assicurata dalla facoltà di reagire contro il sequestro preventivo, che, ai sensi dell’art. 321, comma 2, cod. proc. pen., è normalmente adottato in previsione della confisca.
In forza degli artt. 322 e 322-bis cod. proc. pen., infatti, la persona alla quale le cose sono state sequestrate è legittimata, rispettivamente, a chiedere il riesame del decreto di sequestro e a proporre appello contro le ordinanze in materia di sequestro, e il giudice rimettente ritiene che nella fase delle indagini preliminari e nel corso del giudizio di primo grado questi rimedi siano idonei a garantire il diritto di difesa del terzo, benché a questo sia inibita la partecipazione al giudizio.
Una volta disposta con la sentenza di primo grado la confisca, questi e altri rimedi sarebbero però preclusi al terzo estraneo al processo penale, il quale subirebbe di conseguenza gli effetti del provvedimento ablatorio fino al passaggio in giudicato della confisca, senza poterli contestare in sede giurisdizionale.
Solo dopo tale passaggio in giudicato il terzo avrebbe modo di sottrarsi agli effetti della confisca, promuovendo, attraverso l’art. 676 cod. proc. pen., un incidente di esecuzione per contestare la fittizietà dell’intestazione e fare accertare il proprio diritto sul bene.
I dubbi di legittimità costituzionale del giudice rimettente investono perciò il solo segmento processuale che va dall’adozione della confisca, con la sentenza di primo grado, fino alla definitività di tale statuizione.
La Corte di cassazione ritiene violato anzitutto l’art. 3 Cost., perché il legislatore avrebbe regolato diversamente due fattispecie da reputarsi uguali quanto all’ablazione del diritto di proprietà che esse comportano. Mentre infatti la confisca disciplinata dall’art. 12-sexies del d.l. n. 306 del 1992 può essere applicata senza che il terzo possa impugnare la relativa decisione, al contrario, nell’ambito del procedimento applicativo della confisca di prevenzione prevista dal decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136), è espressamente garantita la partecipazione dei terzi proprietari o comproprietari dei beni sequestrati (art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 159 del 2011).
In secondo luogo, la paralisi imposta alla reazione giurisdizionale del terzo contro la confisca, nel periodo compreso tra la sentenza di primo grado che l’ha disposta e il passaggio in giudicato del provvedimento ablatorio, comporterebbe la violazione del diritto di difesa nel giusto processo, assicurato dagli artt. 24, 111, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 6 e 13 della CEDU, e la violazione del diritto di proprietà al quale è finalizzata la difesa (artt. 42 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 1 del Primo Protocollo addizionale alla CEDU).
Il giudice rimettente ritiene che la soluzione costituzionalmente obbligata per garantire la pienezza del diritto di difesa sia costituita dalla introduzione della facoltà di proporre appello contro la statuizione recante la confisca, perché l’incidente di esecuzione, comunque esperibile dopo il passaggio in giudicato del capo della sentenza relativo al provvedimento ablatorio, sarebbe a tal fine inadeguato, a causa della natura semplificata della procedura e del fatto che essa resterebbe comunque «influenzat[a]» dalle prove acquisite nel corso del processo penale di cognizione, al quale il terzo non può partecipare.
Per queste ragioni il rimettente dubita della legittimità costituzionale delle disposizioni censurate, e sottolinea che l’accoglimento delle questioni, introducendo la facoltà di proporre appello a favore del terzo, comporterebbe l’annullamento con rinvio della sentenza oggetto del ricorso per cassazione, con la quale gli appelli sono stati dichiarati inammissibili.
2.– Nelle more del giudizio è sopraggiunto l’art. 31 della legge 17 ottobre 2017, n. 161 (Modifiche al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, al codice penale e alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale e altre disposizioni. Delega al Governo per la tutela del lavoro nelle aziende sequestrate e confiscate), che ha introdotto un comma 4-quinquies nel corpo dell’art. 12-sexies del d.l. n. 306 del 1992.
Questa disposizione ha stabilito che nel processo di cognizione ove può disporsi la confisca «devono essere citati i terzi titolari di diritti reali o personali di godimento sui beni in stato di sequestro, di cui l’imputato risulti avere la disponibilità a qualsiasi titolo». Il legislatore ha così introdotto una regola che, superando gli stessi limiti entro cui sono state formulate le odierne questioni di legittimità costituzionale, garantisce il diritto del terzo di partecipare fin dal giudizio di primo grado, al fine di permettergli l’esercizio della difesa e, correlativamente, di rendergli pienamente opponibile l’eventuale confisca.
Lo ius superveniens però non determina effetti sul presente giudizio incidentale, perché non può trovare applicazione nel giudizio a quo, contenendo una normativa processuale soggetta al principio tempus regit actum. In base alla giurisprudenza di questa Corte infatti non va disposta la restituzione degli atti al giudice a quo quando il mutamento del quadro normativo è «palesemente ininfluente» nel processo principale (sentenza n. 203 del 2016).
3.– Preliminarmente va dichiarata l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale, diverse da quelle sollevate dal giudice rimettente, proposte dalle parti del giudizio a quo, che si sono costituite nel processo incidentale (ex plurimis, sentenze n. 213 del 2017 e n. 327 del 2010; ordinanza n. 138 del 2017).
Si tratta della dedotta violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione al diritto dell’Unione, e in particolare all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e, in una versione adattata, il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, alla direttiva n. 2014/42/UE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al congelamento e alla confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato nell’Unione europea) e alla decisione quadro n. 2005/212/GAI (Decisione quadro del Consiglio relativa alla confisca di beni, strumenti e proventi di reato).
4.– Anche le questioni sollevate dalla Corte di cassazione sono inammissibili.
La Corte di cassazione, al fine di motivare la non manifesta infondatezza di ciascuna di esse, combina due premesse. In primo luogo afferma che gli strumenti giurisdizionali posti a disposizione del terzo sono conformi ai parametri costituzionali indicati con riguardo, sia alla fase delle indagini preliminari, sia a quella del giudizio di primo grado, durante le quali, come si è visto, è consentito al terzo chiedere il riesame del decreto di sequestro (art. 322 cod. proc. pen.), proporre appello contro le ordinanze in materia di sequestro preventivo (art. 322-bis cod. proc. pen.) e proporre ricorso per cassazione per violazione di legge contro le ordinanze di riesame e di appello (art. 325 cod. proc. pen.).
L’idoneità di tali mezzi di reazione a tutelare la posizione del terzo è tale, secondo il giudice rimettente, da far escludere che la sua partecipazione al processo di primo grado sia soluzione costituzionalmente imposta: quello esistente sarebbe un assetto «razionale ed immune da sospetto di illegittimità costituzionale». Perciò il giudice rimettente lo stima adeguato anche rispetto alle fasi successive del giudizio, ove esso si dimostrasse valevole anche per esse, e dunque con ciò «fosse effettivamente garantita una costante possibilità, su istanza di parte, di rivalutazione del fondamento giustificativo della statuizione» di confisca.
In secondo luogo la Corte di cassazione ritiene che la via di tutela giurisdizionale interinale descritta cessi di essere percorribile non appena intervenga, con la sentenza di primo grado, il provvedimento di confisca, che il terzo non sarebbe in grado di aggredire, se non per mezzo dell’incidente di esecuzione e a seguito del passaggio in giudicato della pronuncia.
Questo ragionamento costituisce un presupposto essenziale delle questioni di legittimità costituzionale sollevate ma non rappresenta un approdo ermeneutico inevitabile.
Lo stesso giudice a quo ha dato conto di un «precedente indirizzo» della giurisprudenza di legittimità che, al contrario, ammetteva la proponibilità da parte del terzo di un incidente di esecuzione fin dalla pronuncia di confisca adottata in primo grado, ma ha al contempo affermato che l’indirizzo era stato oggetto di «superamento», così da doversi assumere per certa la conclusione che in quella fase temporale nessun mezzo di tutela sia offerto dall’ordinamento.
Una siffatta ricostruzione del quadro giurisprudenziale vigente al tempo in cui è stata emessa l’ordinanza di rimessione non si è però dimostrata completa.
Pur a fronte di pronunce motivate nel senso espresso dal giudice rimettente continuavano infatti a esservene altre di segno contrario, di non minor numero, che esploravano due soluzioni differenti.
Secondo un primo indirizzo sarebbe stato comunque praticabile, dopo la confisca, l’incidente di esecuzione, a tutela del diritto del terzo (tra le altre, Corte di cassazione, sezione prima, 30 maggio 2013, n. 27201; sezione prima, 30 ottobre 2008, n. 42107; dopo la pronuncia dell’ordinanza di rimessione, sezione terza, 27 settembre 2016, n. 53925); in base all’altro indirizzo il terzo avrebbe continuato a disporre del rimedio cautelare, con la possibilità in ogni tempo di chiedere la restituzione del bene confiscato e di proporre appello contro il diniego (sezione terza, 18 settembre 2013, n. 42362; sezione terza, 6 ottobre 2010, n. 39715).
La ricchezza delle posizioni espresse dalla giurisprudenza di legittimità sul punto controverso è stata infine colta da un’ordinanza di rimessione alle sezioni unite (Corte di cassazione, sezione prima, 21 febbraio 2017, n. 23322) e ricomposta ad unità da queste ultime con la formulazione del principio di diritto secondo cui il terzo, prima che la sentenza sia divenuta irrevocabile, può chiedere al giudice della cognizione la restituzione del bene sequestrato e, in caso di diniego, proporre appello dinanzi al tribunale del riesame, ai sensi dell’art. 322-bis cod. proc. pen. (sezioni unite, 20 luglio 2017, n. 48126).
La necessità di un intervento delle sezioni unite e la ricostruzione del variegato panorama giurisprudenziale contenuta nell’ordinanza di rimessione, dimostrano che la soluzione interpretativa prescelta dal rimettente non corrispondeva a un diritto vivente, da porsi a fondamento dei dubbi di legittimità costituzionale, ma si esauriva nella scelta di quella sola, tra le opzioni interpretative praticabili e di fatto praticate, che il rimettente stesso riteneva viziata da illegittimità costituzionale.
Una simile scelta, per potersi ritenere compatibile con il dovere del rimettente di interpretare la normativa in senso conforme alla Costituzione (ogni volta che ciò sia permesso dalla lettera della legge e dal contesto logico-normativo entro cui essa si colloca: sentenza n. 36 del 2016), avrebbe dovuto fondarsi su un accurato ed esaustivo esame delle alternative poste a disposizione dal dibattito giurisprudenziale, se del caso per discostarsene motivatamente. Solo se avviene ciò infatti si può dire che l’interpretazione adeguatrice è stata davvero «consapevolmente esclusa» dal rimettente (sentenza n. 221 del 2015).
Invece il giudice a quo, pur esprimendo il convincimento che la statuizione di confisca non avrebbe in alcun caso potuto essere superata a favore del terzo nell’ambito di procedimenti esterni al processo di cognizione, ha tuttavia mancato, sia di confrontarsi con la perdurante attualità dell’indirizzo favorevole all’immediato ricorso all’incidente di esecuzione (che non era stato superato in via definitiva), sia di prendere in considerazione la tesi, poi recepita dalle sezioni unite, favorevole al mantenimento anche nel giudizio di secondo grado del rimedio cautelare, con la facoltà per il terzo di chiedere la restituzione del bene sequestrato e di proporre, nel caso di diniego, appello al tribunale del riesame.
Quest’ultima omissione appare particolarmente significativa, se si considera, da un lato, che la soluzione adottata dalle sezioni unite elimina la stasi temporale nell’esercizio della tutela giurisdizionale denunciata dal rimettente e, dall’altro, che l’ordinanza di rimessione ha giudicato costituzionalmente obbligata la soluzione dell’appello contro la statuizione di confisca, ma non ha svolto alcun motivato giudizio di inidoneità riguardo al possibile rimedio cautelare, salvo un fugace e indimostrato accenno «agli evidenti limiti» di tale opzione.
All’opposto, e in contraddizione con quest’ultimo rilievo, il rimettente ha invece motivatamente affermato, con riguardo alle fasi che precedono la sentenza di primo grado, che il rimedio cautelare è idoneo a tutelare il diritto del terzo, al punto che il dubbio di legittimità costituzionale ha investito solo l’impossibilità di impugnare la statuizione di confisca. Il medesimo dubbio è stato invece escluso con riguardo alla preclusione, allora vigente, di partecipare al giudizio di primo grado, nella convinzione che a garantire il diritto di difesa del terzo bastasse il rimedio cautelare.
Proprio calandosi nella prospettiva del rimettente non si vede però per quali ragioni il rimedio cautelare, benchè ritenuto congruo nella fase anteriore alla confisca, dovrebbe cessare di essere tale in quella successiva, pur non essendo mutati nei confronti del terzo le condizioni e gli effetti del sequestro.
Le questioni di legittimità costituzionale sono perciò state poste senza tenere conto della possibilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata (certamente compatibile con la lettera della legge e la cornice normativa entro cui essa si inserisce), che avrebbe offerto al terzo, pur dopo la confisca, proprio quella forma di tutela, ovvero il rimedio cautelare, che il rimettente ha giudicato soddisfacente anche nel raffronto con la partecipazione al processo penale di primo grado.
Le questioni sono pertanto inammissibili.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 573, 579, comma 3, e 593 del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, 42, 111 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli artt. 6 e 13 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848, e all’art. 1 del Primo Protocollo addizionale alla CEDU, dalla Corte di cassazione, prima sezione penale, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 ottobre 2017.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Giorgio LATTANZI, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 6 dicembre 2017.