ORDINANZA N. 156
ANNO 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Giorgio LATTANZI Giudice
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 6 e 7 della legge della Regione Campania 13 giugno 2016, n. 20 (Norme per l’applicazione pianificata del fuoco prescritto), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 12-18 agosto 2016, depositato in cancelleria il 22 agosto 2016 ed iscritto al n. 49 del registro ricorsi 2016.
Visto l’atto di costituzione della Regione Campania;
udito nella camera di consiglio del 7 giugno 2017 il Giudice relatore Franco Modugno.
Ritenuto che, con ricorso notificato il 12-18 agosto 2016 e depositato il 22 agosto 2016, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 6 e 7 della legge della Regione Campania 13 giugno 2016, n. 20 (Norme per l’applicazione pianificata del fuoco prescritto), in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettere l), m) e s), della Costituzione, in relazione all’art. 19, commi 1, 3 e 6, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi);
che, in primo luogo, il ricorrente assume che l’art. 6, commi 6 e 7, dell’impugnata legge regionale invaderebbe la competenza esclusiva statale in materia di «ordinamento penale», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.;
che, infatti, il citato art. 6, dopo aver previsto, al comma 1, che l’applicazione pianificata di fuoco prescritto è soggetta a segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), stabilisce, al comma 6, che ai «soggetti responsabili di dichiarazioni mendaci, di formazione o uso di atti falsi» si applichino le sanzioni previste dall’art. 76 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa); sanzioni che il successivo comma 7 estende ai casi di omessa presentazione della SCIA o della comunicazione di apertura o chiusura del cantiere;
che, in questo modo, le disposizioni impugnate introdurrebbero «un trattamento sanzionatorio penale meno grave» di quello previsto a livello nazionale dall’art. 19, comma 6, della legge n. 241 del 1990;
che detta norma statale commina, infatti, la pena della reclusione da uno a tre anni per le false dichiarazioni o attestazioni in ordine ai requisiti o ai presupposti della SCIA; di contro, le norme regionali impugnate, tramite il richiamo all’art. 76 del d.P.R. n. 445 del 2000, renderebbero applicabile alle condotte da esse contemplate l’art. 483 del codice penale, il quale punisce la falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico con la pena della reclusione fino a due anni;
che, in secondo luogo, il Presidente del Consiglio dei ministri reputa gli impugnati artt. 6 e 7 invasivi della competenza esclusiva statale in materia di «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto non escludono la possibilità di presentare una SCIA «nei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali», come invece è previsto dall’art. 19, comma 1, della legge n. 241 del 1990;
che, infine, il ricorrente ritiene che le disposizioni censurate invadano la competenza esclusiva statale in materia di «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.;
che, infatti, gli impugnati artt. 6 e 7, a differenza dell’art. 19, comma 3, della legge n. 241 del 1990, non prevedono che l’amministrazione, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti per la SCIA, possa adottare, nel termine di sessanta giorni, «motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa»;
che, in tal modo, il legislatore regionale campano avrebbe introdotto un modello semplificato di SCIA, con conseguente violazione dell’evocato parametro costituzionale, posto che – come riconosciuto dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 203 del 2012 – la normativa nazionale in tema di SCIA «costituisce livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali»;
che con atto di costituzione depositato il 16 settembre 2016, la Regione Campania ha chiesto il rigetto del ricorso;
che con successiva memoria, depositata il 23 novembre 2016, la Regione Campania ha illustrato le ragioni a sostegno di detta richiesta;
che con ulteriore memoria, depositata il 12 maggio 2017, la Regione resistente ha rappresentato di aver modificato le disposizioni impugnate, chiarendone e precisandone la portata, con la legge regionale 23 dicembre 2016, n. 38 (Ulteriori disposizioni in materia di razionalizzazione, adeguamento e semplificazione della normativa regionale);
che, alla luce di tale intervento normativo, la Regione Campania ha chiesto sia dichiarata cessata la materia del contendere o, in ogni caso, l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, tenuto conto anche della circostanza che le disposizioni impugnate non risultano avere avuto medio tempore applicazione;
che, con atto depositato il 23 maggio 2017, giusta delibera del Consiglio dei ministri del 10 marzo 2017, il Presidente del Consiglio dei ministri, in considerazione del fatto che con la legge regionale n. 38 del 2016 la Regione Campania «ha chiarito e precisato le disposizioni impugnate nel senso indicato nel ricorso», ha rinunciato all’impugnazione;
che, con atto depositato il 31 maggio 2017, giusta delibera della Giunta regionale del 23 maggio 2017, la Regione Campania ha accettato la rinuncia al ricorso.
Considerato che la Regione Campania si è costituita in giudizio limitandosi a chiedere il rigetto del ricorso, senza addurre alcuna argomentazione in ordine alle doglianze in esso prospettate;
che, tuttavia, ciò non incide sull’ammissibilità della costituzione in giudizio, poiché questa Corte ha ripetutamente precisato che «l’art. 19, comma 3, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, in base al quale l’atto di costituzione della parte resistente contiene “le conclusioni e l’illustrazione delle stesse”, “mira […] a stimolare l’apporto argomentativo delle parti, senza che siano prefigurabili conseguenze sanzionatorie nel caso di mancata illustrazione delle conclusioni formulate”» (da ultimo, sentenza n. 64 del 2016);
che la rinuncia al ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri è stata ritualmente accettata dalla Regione Campania;
che, ai sensi dell’art. 23 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, la rinuncia al ricorso, seguita da accettazione della controparte costituita, determina l’estinzione del processo.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara estinto il processo.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 giugno 2017.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Franco MODUGNO, Redattore
Filomena PERRONE, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 4 luglio 2017.