ORDINANZA N. 91
ANNO 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Giorgio LATTANZI Giudice
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 545, quarto comma, del codice di procedura civile, promosso dal Tribunale ordinario di Viterbo, in funzione di giudice dell’esecuzione, nel procedimento vertente tra Saccaria Caffé srl e F.M. ed altre, con ordinanza del 15 luglio 2015, iscritta al n. 156 del registro ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell’anno 2016.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 5 aprile 2017 il Giudice relatore Aldo Carosi.
Ritenuto che il Tribunale ordinario di Viterbo, in funzione di giudice dell’esecuzione, con ordinanza in data 15 luglio 2015, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 545, quarto comma, del codice di procedura civile, per violazione degli artt. 1, 2, 3, 4 e 36 della Costituzione, nella parte in cui non prevede l’impignorabilità assoluta di quella parte della retribuzione necessaria a garantire al lavoratore i mezzi indispensabili alle sue esigenze di vita, e, in via subordinata, nella parte in cui non prevede le medesime limitazioni in materia di pignoramento di crediti tributari disposte dall’art. 72-ter (Limiti di pignorabilità) del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), come introdotto dall’art. 3, comma 5, lettera b), del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26 aprile 2012, n. 44;
che, secondo quanto riferito dal giudice a quo, la questione è sorta nell’ambito di una procedura esecutiva promossa da Saccaria Caffè srl ai danni della signora F.M., debitrice della somma complessiva di euro 6.469,70;
che i terzi pignorati hanno reso due dichiarazioni parzialmente positive dell’obbligo di corrispondere alla propria debitrice rispettivamente uno stipendio mensile di circa 150 o 200 euro mensili in base alle ore effettivamente lavorate, e di circa euro 130 o 150 euro mensili per i soli mesi di agosto e settembre 2014; che il creditore ha chiesto l’assegnazione nel limite di legge di un quinto degli stipendi netti;
che secondo il rimettente deve trovare applicazione il regime di pignorabilità degli stipendi ed altri emolumenti riguardanti il rapporto di lavoro, disciplinato dall’art. 545 cod. proc. civ. secondo il quale «Tali somme possono essere pignorate nella misura di un quinto per i tributi dovuti allo Stato, alle province ed ai comuni, ed in eguale misura per ogni altro credito».
che quindi, nel caso di specie, resterebbero nella disponibilità della esecutata euro 160,00 al mese per i mesi successivi al settembre 2014 ed euro 97,5 per il mese di agosto, nonché euro 112,50 per il mese di settembre 2014. Al riguardo, osserva il Tribunale ordinario di Viterbo che se, invece, fosse applicabile alla fattispecie oggetto del giudizio il limite indicato dall’art. 72-ter del d.P.R. n. 602 del 1973, essendo la somma dovuta a titolo di stipendio inferiore ad euro 2.500,00 mensili, la stessa sarebbe pignorabile nel limite di un decimo e non di un quinto;
che il rimettente dubita, quindi, della legittimità costituzionale dell’art. 545, quarto comma, cod. proc. civ., nella parte in cui non prevede l’impignorabilità assoluta di quella parte della retribuzione necessaria a garantire al lavoratore i mezzi indispensabili alle sue esigenze di vita;
che lo stesso giudice deduce anche la violazione del principio di eguaglianza per disparità di trattamento sia in relazione al diverso regime afferente al pensionato, quale consolidatosi a seguito della sentenza di questa Corte n. 506 del 2002, sia, in via subordinata, in relazione al regime della riscossione dei crediti erariali fissato dall’art. 72-ter del d.P.R. n. 602 del 1973, come introdotto dall’art. 3, comma 5, lettera b), del d.l. n. 16 del 2012, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 44 del 2012;
che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri per eccepire l’inammissibilità e la non fondatezza della questione.
Considerato che la questione sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione, risulta analoga a quella di cui è stata dichiarata la non fondatezza con sentenza di questa Corte n. 248 del 2015;
che tale sentenza precisava, tra l’altro, che «la tutela della certezza dei rapporti giuridici, in quanto collegata agli strumenti di protezione del credito personale, non consente di negare in radice la pignorabilità degli emolumenti ma di attenuarla per particolari situazioni la cui individuazione è riservata alla discrezionalità del legislatore», mentre, con riguardo alla questione sollevata in riferimento all’art. 3 Cost., sia in relazione al regime di impignorabilità delle pensioni, sia – in via subordinata – all’art. 72-ter del d.P.R. n. 602 del 1973, le argomentazioni del giudice rimettente non sono state condivise «in ragione della eterogeneità dei tertia comparationis rispetto alla disposizione impugnata»;
che, inoltre, la precitata sentenza n. 248 del 2015 ha ritenuto l’inammissibilità delle censure sollevate con riferimento agli artt. 1, 2 e 4 Cost., in quanto prive di un’argomentazione esaustiva sulle ragioni del preteso contrasto con i parametri evocati;
che in questo senso la Corte si è già pronunciata con le ordinanze n. 222 e n. 70 del 2016;
che – stante l’identità di contenuto tra l’ordinanza di rimessione oggetto della richiamata pronuncia del 2015 e quella odierna – le reiterate questioni vanno dichiarate manifestamente infondata con riferimento agli artt. 3 e 36 Cost., e manifestamente inammissibile con riguardo agli artt. 1, 2 e 4 Cost., per le stesse ragioni.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 1, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 545, quarto comma, del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento agli artt. 1, 2 e 4 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Viterbo, in funzione di giudice dell’esecuzione, con l’ordinanza indicata in epigrafe;
2) dichiara manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 545, quarto comma, cod. proc. civ., sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 36 Cost., dal Tribunale ordinario di Viterbo, in funzione di giudice dell’esecuzione, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 aprile 2017.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Aldo CAROSI, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 28 aprile 2017.