Sentenza n. 78 del 2016

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SENTENZA N. 78

ANNO 2016

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Paolo                             GROSSI                                             Presidente

-           Giuseppe                       FRIGO                                                 Giudice

-           Giorgio                          LATTANZI                                                 ”

-           Aldo                              CAROSI                                                      ”

-           Marta                            CARTABIA                                                ”

-           Mario Rosario               MORELLI                                                   ”

-           Giancarlo                      CORAGGIO                                               ”

-           Silvana                          SCIARRA                                                   ”

-           Daria                             de PRETIS                                                  ”

-           Nicolò                           ZANON                                                      ”

-           Franco                           MODUGNO                                               ”

-           Augusto Antonio          BARBERA                                                 ”

-           Giulio                            PROSPERETTI                                           ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 3-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia – Testo A), nella parte modificata dall’art. 1, comma 598, lettera a), della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2014), promosso dalla Commissione tributaria provinciale di Campobasso nel procedimento vertente tra la Ges.A.C. srl in liquidazione e il Ministero dell’economia e delle finanze, Ufficio di segreteria della Commissione tributaria provinciale di Campobasso, con ordinanza del 7 maggio 2015, iscritta al n. 162 del registro ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35, prima serie speciale, dell’anno 2015.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 9 marzo 2016 il Giudice relatore Aldo Carosi.

Ritenuto in fatto

1.– La Commissione tributaria provinciale di Campobasso, con ordinanza del 7 maggio 2015, ha sollevato questione di legittimità costituzionale del comma 3-bis dell’art. 14 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia – Testo A), d’ora in avanti TUSG, nella parte modificata dell’art. 1, comma 598, lettera a), della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2014), per violazione degli artt. 3, 53, 24, 113 e 117, primo comma, della Costituzione, in relazione agli artt. 6 e 13 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848.

Riferisce il rimettente che la società Ges.A.C. srl. in liquidazione ha proposto ricorso contro due inviti bonari di pagamento notificati dalla direttrice della segreteria della medesima Commissione tributaria con i quali, rilevato l’insufficiente versamento dei contributi unificati effettuato dalla società in relazione a due ricorsi cumulativi contro varie intimazioni di pagamento, ricalcolati gli importi dovuti in base ai singoli atti impugnati in relazione a ciascuno di detti ricorsi cumulativi, come disposto dall’art. 14, comma 3-bis, del d.P.R. n. 115 del 2002 (nel testo modificato dall’art. 1, comma 598, della legge n. 147 del 2013), aveva rideterminato la misura dei contributi unificati in euro 90,00 per il primo ricorso ed in euro 1.280,00 per il secondo.

La ricorrente difatti, per il primo ricorso cumulativo avente ad oggetto 3 intimazioni di pagamento di tributi per un importo totale di euro 1.524,67, aveva versato il contributo unificato pari ad euro 30,00 calcolato sulla somma totale predetta, mentre per il secondo ricorso cumulativo, avente ad oggetto 19 intimazioni di pagamento di tributi per un importo complessivo di euro 74.563,21, aveva versato il contributo unificato pari a ad euro 250,00, calcolato anch’esso sull’importo totale dei tributi.

La predetta società si doleva che il contributo unificato, in caso di ricorso avverso più atti di accertamento, fosse stato calcolato dalla segreteria della Commissione tributaria provinciale con riferimento ai valori dei singoli atti e non sulla somma dei detti valori, ed eccepiva la illegittimità costituzionale della modifica recata all’art. 14, comma 3-bis, del TUSG, disposta con la legge di stabilità del 2014 a decorrere dal 1° gennaio 2014, per violazione degli artt. 3, 53, 24, 113 e 117, primo comma, della Costituzione.

La Commissione tributaria provinciale di Campobasso, premesso di aver ritenuto il ricorso ammissibile in quanto i due inviti bonari dovevano ritenersi atti autonomamente impugnabili, sebbene non ricompresi tra quelli previsti dall’art. 19 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’articolo 30 della legge 30 dicembre 1991, n 413), evidenzia che la questione sollevata sarebbe rilevante in quanto l’oggetto della controversia sarebbe proprio il criterio di determinazione del contributo unificato che, secondo il ricorrente, dovrebbe essere rapportato alla somma totale dei tributi oggetto dei vari provvedimenti impugnati con i due ricorsi cumulativi proposti mentre, secondo la resistente segreteria della medesima Commissione tributaria provinciale, dovrebbe essere rapportato alla somma dei contributi previsti per ciascuno dei provvedimenti indicati in ciascuno dei due ricorsi cumulativi, così come disposto dal vigente comma 3-bis dell’art. 14 del TUSG, con conseguente maggiore esborso, come richiesto negli avvisi bonari opposti, rispetto a quanto versato dal ricorrente.

Relativamente alla non manifesta infondatezza, espone il giudice a quo che il citato art. 14, comma 3-bis, prima della vigente formulazione, disponeva che il contributo unificato dovesse essere «determinato ai sensi del comma 5 dell’articolo 12 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, e successive modificazioni».

Il comma 5 dell’art. 12 del d.lgs. n. 546 del 1992 a sua volta disponeva che «Per valore della lite si intende l’importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l’atto impugnato; in caso di controversie relative esclusivamente alle irrogazioni di sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste». A decorrere dal 1° gennaio 2014, con l’art. 1, comma 598, lettera a), della legge n. 147 del 2013, è stato modificato il comma 3-bis dell’art. 14 del TUSG, nel senso che dopo la parola «determinato» sono state aggiunte le parole «, per ciascun atto impugnato anche in appello».

Secondo il rimettente la finalità della riformulazione del comma 3-bis sarebbe indubbiamente quella di conseguire maggiori entrate tributarie, effetto già prodotto dalla interpretazione sostenuta, relativamente alla disciplina previgente, dal Ministero dell’economia e delle finanze, Dipartimento amministrazione generale personale e servizi contributo unificato nel processo tributario, con la direttiva del 14 dicembre 2012, n. 2/DGT. Diversamente, si prosegue, con riguardo a ricorsi concernenti contributi unificati versati prima del gennaio 2014, la medesima Commissione tributaria provinciale di Campobasso si era già pronunciata affermando che per il ricorso cumulativo il contributo unificato doveva essere determinato sulla base del valore costituito dalla somma dei vari tributi (al netto di sanzioni ed interessi) oggetto dei provvedimenti impugnati, oppure dalla somma delle sole sanzioni in caso di provvedimenti contenenti solo sanzioni.

In merito alla effettiva portata della novella legislativa, secondo il rimettente non sembrerebbe dubitabile che il legislatore abbia proprio voluto disporre che nel ricorso cumulativo il contributo unificato sia calcolato separatamente per ogni atto impugnato assumendo come valore i tributi contenuti nei singoli atti (escluse sanzioni ed interessi), e tanto troverebbe conferma nel dossier del Servizio studi del Senato (ottobre 2013 n. 74) dove si afferma che «con specifico riferimento all’ambito del processo tributario […] il calcolo del contributo per scaglioni viene effettuato con riguardo a ciascun atto impugnato anche con riguardo ai contenziosi in appello».

Sicché nel caso del presente ricorso, che concerne la determinazione del contributo unificato per due ricorsi cumulativi, contributi versati nell’anno 2014, in base alla legge vigente, ovvero al novellato comma 3-bis dell’art. 14 del TUSG, la determinazione del contributo unificato dovrebbe essere effettuata (per entrambi i casi) sommando i contributi previsti per ciascuno dei provvedimenti impugnati con il ricorso cumulativo  e non già assumendo l’unico contributo determinato sulla base della somma dei tributi oggetto dei vari provvedimenti, come ritenuto dalla ricorrente.

Secondo la Commissione tributaria provinciale di Campobasso la novella del 2014 violerebbe i principi costituzionali dell’uguaglianza e ragionevolezza (art. 3 Cost.), della capacità contributiva (art. 53 Cost.), del diritto di difesa (art. 24 Cost.) e della tutela giurisdizionale (art. 113 Cost.), nonché del diritto ad un processo equo e ad un ricorso effettivo (art. 117, primo comma, Cost., in riferimento agli artt. 6 e 13 della CEDU).

Secondo il rimettente sarebbe innanzi tutto irragionevole e discriminatorio, integrando la lesione degli artt. 3 e 53 Cost., il sacrificio imposto al contribuente, in caso di ricorso cumulativo, a seconda che la determinazione dei contributi unificati riguardi provvedimenti contenenti tributi, od invece solo sanzioni: si tratterebbe di un trattamento differenziato privo di giustificazione, a parità di debito verso l’erario, tra chi debba corrispondere solo tributi rispetto a chi debba corrispondere solo sanzioni, venendo inoltre maggiormente incisa la capacità contributiva del primo rispetto al secondo.

A parere del giudice a quo la disposizione di cui al comma 3-bis del citato art. 14, secondo la quale in caso di ricorso avverso più atti (ricorso cumulativo o collettivo) il valore della lite deve essere calcolato con riferimento ai singoli atti impugnati, comporterebbe assoluta incoerenza ed irrazionalità poiché a fronte del presupposto impositivo unitario, che consisterebbe in quello dell’iscrizione a ruolo di un solo ricorso per un solo processo (come sarebbe desumibile dall’art. 9 del TUSG) farebbe corrispondere una molteplicità di basi imponibili (i valori dei singoli atti impositivi e non il valore del processo).

Il giudice a quo richiama opinioni di dottrina secondo le quali la discrezionalità del legislatore nella determinazione della base imponibile incontrerebbe il limite della necessaria coerenza tra il profilo assunto come rilevante e il presupposto impositivo, poiché l’incoerenza tra il parametro prescelto e il presupposto del tributo introdurrebbe un grave elemento di irrazionalità della disciplina dell’istituto tributario che dovrebbe necessariamente condurre alla dichiarazione di incostituzionalità.

Tale incoerenza, secondo il rimettente, sussisterebbe solo nel processo tributario poiché in quello civile – sul quale è modellato il primo –, in caso di cumulo oggettivo delle domande, il contributo unificato sarebbe quantificato su una base imponibile unitaria (somma delle domande) in tal modo rispettandosi pienamente il canone della coerenza tra presupposto e base imponibile del tributo.

Secondo la Commissione tributaria provinciale di Campobasso il principio di uguaglianza e ragionevolezza sarebbe, altresì, violato considerando le diverse modalità di accertamento che per legge o per volontà dell’ente impositore siano adottate per recuperare tributi di pari valore: in tal caso diversa sarà la determinazione del contributo unificato nell’ipotesi di un unico atto contenente più tributi (unico contributo unificato determinato in base alla somma dei tributi) od in quella invece di più atti contenenti gli stessi tributi relativi ad annualità diverse (somma dei contributi dovuti per ciascuno degli atti), come si è verificato nelle fattispecie oggetto del giudizio a quo.

In via esemplificativa, il rimettente espone il caso di due distinti processi azionati da due contribuenti aventi identico debito tributario di euro 150.000,00, debito contestato al primo con un solo provvedimento e al secondo con tre distinti provvedimenti, ciascuno di euro 50.000,00. Con l’applicazione del novellato comma 3-bis dell’art. 14 del TUSG, in presenza di debito tributario di ammontare complessivamente identico, il primo contribuente dovrà corrispondere un contributo (euro 500,00) di ammontare inferiore a quello (euro 750,00) che dovrà corrispondere il secondo. E tanto, secondo il rimettente, sebbene chi presenti un unico ricorso cumulativo agevolerebbe le esigenze di snellezza e celerità della giustizia, eliminando, altresì, il pericolo di contrasto di giudicati.

Ancora più evidente sarebbe il caso in cui sia appellata una sola sentenza emessa in esito ad un processo in cui sia stata disposta la riunione di due ricorsi ciascuno di importo superiore ad euro 200.000,00. In tal caso l’applicazione del novellato comma 3-bis comporterebbe l’applicazione di un contributo pari ad euro 3.000,00 (euro 1.500,00 più euro 1.500,00) mentre, applicando il criterio del valore del processo, secondo la previgente formulazione legislativa, il contributo sarebbe stato pari al valore massimo, ovvero ad euro 1.500,00.

Il principio di uguaglianza e ragionevolezza sarebbe, altresì, violato in considerazione della diversa disciplina dettata per le domande azionate cumulativamente nel processo civile, ex artt. 10 e 104 del codice di procedura civile, non essendo ravvisabile, secondo il rimettente, alcuna valida ragione per la differenziazione, essendo identico il presupposto della imposizione («iscrizione a ruolo di un processo civile […] amministrativo o tributario») ed essendo identico l’indice di capacità contributiva (potere di adire gli organi della giustizia). Si rivelerebbe, pertanto, del tutto evidente la illogicità di una normativa che, solo per esigenze di cassa, impone un diverso e molto più oneroso sistema di calcolo degli obblighi tributari, per il processo tributario rispetto al processo civile, dovendosi, peraltro, escludere la ravvisabilità di un particolare interesse fiscale nel processo tributario.

Né, prosegue il giudice a quo, potrebbe in contrario rilevarsi che il processo tributario ha natura impugnatoria a differenza del processo civile, poiché la predetta natura impugnatoria potrebbe sussistere anche nel processo civile, sia in primo grado (opposizione a decreto ingiuntivo) che in secondo grado, dove è connaturata la natura impugnatoria.

Secondo il giudice a quo la novella recata al comma 3-bis dell’art. 14 citato violerebbe anche l’art. 53 Cost.

Poiché il contributo unificato costituisce un prelievo coattivo, ovvero un tributo, volto al finanziamento delle spese giudiziarie e commisurato al valore del processo, la base imponibile dovrebbe ritenersi costituita dal valore della singola controversia anche se esso abbia per oggetto più atti tributari, poiché esso dovrebbe ritenersi finalizzato a sostenere il costo forfettario di quel processo e non degli atti che ne sono oggetto.

Il comma 3-bis dell’art. 14 violerebbe anche il diritto di difesa sancito dall’art. 24 Cost., in quanto scoraggerebbe l’iniziativa di coloro che vogliano avvalersi del ricorso cumulativo o collettivo per la difesa delle proprie ragioni.

Inoltre, l’imposizione, per il ricorso cumulativo, di un contributo unificato non rapportato al costo del processo, ma ai singoli atti impugnati, secondo il rimettente si rivelerebbe come un eccessivo peso tributario e, in quanto tale, violerebbe anche l’art. 113 Cost. che assicura che contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale.

Infine sostiene il giudice a quo che l’imposizione di un contributo gravoso per il ricorso cumulativo o collettivo comprometterebbe seriamente il diritto ad un processo equo e ad un ricorso effettivo, diritto garantito dall’art. 117, primo comma, Cost. e dagli artt. 6 e 13 della CEDU.

2.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, deducendo l’inammissibilità o comunque l’infondatezza della questione.

Premette l’interveniente che il presupposto interpretativo da cui muove il giudice rimettente sarebbe errato in quanto anche nel regime precedente all’introduzione della novella del 2013 il criterio di calcolo del contributo unificato per i ricorsi tributari cumulativi era dato dal numero di atti impugnati, e non dalla somma dei tributi con essi pretesi. Nondimeno, si prosegue, poiché l’art. 14, comma 3-bis, nella parte relativa agli atti impositivi di tributi, aveva tuttavia dato luogo a dubbi interpretativi, il legislatore del 2013 sarebbe intervenuto per chiarire che il contributo si calcola per ciascun atto impugnato anche in appello. Non si tratterebbe quindi di una disposizione innovativa, essendo comunque pacifico che alla questione discussa nella causa principale si applica il nuovo testo. La questione complessivamente considerata sarebbe inoltre inammissibile perché il rimettente, pur ponendo formalmente questioni di legittimità della disposizione, in sostanza censurerebbe la discrezionalità legislativa nella determinazione delle modalità di applicazione del contributo al caso del presupposto impositivo “complesso”, quale è il ricorso cumulativo, specie con riferimento alle censure tratte dall’art. 53 e dall’art. 24 Cost., ove il rimettente non specificherebbe perché la descritta modalità di applicazione sarebbe manifestamente incongrua rispetto alla natura del presupposto impositivo, o sarebbe così gravosa da tradursi in un ostacolo all’effettività della tutela giurisdizionale. Tanto varrebbe anche con riferimento alle censure basate sull’art. 3 Cost., in quanto il rimettente si sarebbe limitato ad osservare che vi è un trattamento diverso tra situazioni che nella loro natura intrinseca sono, però, palesemente non assimilabili.

La questione tratta dall’art. 3 Cost. sarebbe quindi anch’essa inammissibile, in quanto il giudice non avrebbe spiegato perché, nonostante l’oggettiva diversità delle situazioni poste a raffronto, tuttavia il diverso trattamento ad esse riservato relativamente alla determinazione del contributo unificato sarebbe eccessivo e incongruo rispetto a tali differenze.

Nel merito, osserva la Presidenza del Consiglio dei ministri, tutte le questioni sollevate sarebbero comunque infondate.

Quanto al presunto contrasto con l’art. 3 Cost., osserva l’interveniente che il ricorso contro un singolo atto impositivo è iniziativa processuale necessitata dalla struttura del processo tributario come processo di impugnazione dell’atto impositivo entro un termine perentorio e per motivi da dedurre esclusivamente con il ricorso introduttivo (salvo il caso eccezionale in cui siano consentiti i motivi aggiunti). Laddove il ricorso cumulativo contro più atti è iniziativa del tutto facoltativa del ricorrente e, secondo l’interveniente, iniziativa non affatto consentita in via normale dalla giurisprudenza (come, invece, sembrerebbe ritenere il giudice a quo): sarebbe, infatti, fermo nella giurisprudenza di legittimità che il ricorso cumulativo è ammissibile solo se in concreto tra i diversi atti impositivi vi sia oggettiva connessione di fatto e di questioni giuridiche, e non vi sia possibile contrasto logico; sicché è inammissibile il ricorso cumulativo proposto contro più atti che siano accomunati dalla sola circostanza di essere diretti contro il medesimo contribuente, senza alcun altro nesso oggettivo tra loro, o il ricorso contro più atti che comporti tesi contraddittorie. La mera identità di importo che può sussistere tra un singolo atto impositivo e la somma di più atti ciascuno di importo minore sarebbe quindi circostanza del tutto irrilevante ai fini che qui interessano (si richiamano in proposito le decisioni della Corte di cassazione, sezione quinta civile, 30 aprile 2010, n 10578 e 22 febbraio 2013, n. 4490).

Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri sarebbe, altresì, evidente che la scelta per il ricorso cumulativo esprimerebbe una capacità contributiva maggiore della scelta per il ricorso singolo, poiché indubbiamente introduce un processo caratterizzato da maggiore complessità di oggetto e di struttura logica delle questioni da decidere: laddove sia introdotto un processo più complesso, e quindi sia richiesto un servizio pubblico di maggiore “pregio” tecnico, non sarebbe irragionevole che sia richiesto un contributo maggiore. Non vi sarebbe dunque disarmonia tra il presupposto del contributo unificato e la particolare modalità di applicazione di esso in esame (numero degli atti impugnati, anziché somma dei loro valori).

Evidenti sarebbero, poi, secondo l’interveniente, le differenze ontologiche tra processo tributario e processo civile: il processo civile può, infatti, assumere struttura impugnatoria necessaria solo in casi particolari (e non certo la assumerebbe nel caso ipotizzato dal rimettente dell’opposizione a decreto ingiuntivo), quali le impugnative societarie e simili; laddove il processo tributario è necessariamente impugnatorio di atti, sicché si giustificherebbe che il riferimento fondamentale per il calcolo del contributo unificato sia ogni singolo atto impugnato e non la somma complessivamente controversa in ciascun processo. Così come lo sarebbero le differenze tra il processo su atti impositivi di tributi ed il processo su sanzioni tributarie: le sanzioni attengono, si sostiene, all’esercizio di una potestà connessa a quella di imposizione tributaria, ma distinta da essa; esse esprimono la generale potestà punitiva dello Stato nei confronti di comportamenti contrari ai doveri fondamentali di solidarietà sociale, tanto che le medesime fattispecie illecite possono essere spesso oggetto anche di sanzioni penali. La finalità di prevenzione speciale e generale propria delle sanzioni mirerebbe quindi a rafforzare l’effettività delle norme impositive sostanziali, mentre non mirerebbe di per sé, in via primaria, ad assicurare il prelievo di un gettito pecuniario. Il prelievo pecuniario della sanzione sarebbe soltanto il mezzo attraverso cui la sanzione si esplica in concreto; non la finalità essenziale della norma sanzionatoria.

Infine, eccepisce la difesa erariale che anche la censura di illegittimità in relazione all’art. 24 Cost. sarebbe priva di fondamento, poiché comunque la modalità di applicazione del contributo, essendo limitata dai massimi impositivi previsti per ciascun atto impugnato, non si tradurrebbe mai in importi che appaiano manifestamente sproporzionati rispetto al bene della vita perseguito dal ricorrente, e che lo scoraggino, quindi, dal proporre ricorsi cumulativi.

Considerato in diritto

1.– Con l’ordinanza indicata in epigrafe, la Commissione tributaria provinciale di Campobasso ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 3-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia – Testo A) – nella parte modificata dall’art. 1, comma 598, lettera a), della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2014) – in riferimento agli artt. 3, 24, 53, 113 e 117, primo comma, Cost. ed in relazione agli artt. 6 e 13 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848.

Il giudice rimettente riferisce che una società (Ges.A.C. srl, in liquidazione) ha proposto ricorso contro due inviti bonari di pagamento notificati dalla segreteria della Commissione tributaria provinciale di Campobasso, in relazione ad altrettanti precedenti ricorsi cumulativi (contro più atti impositivi), proposti dalla predetta società, con cui quest’ultima veniva invitata ad integrare il versamento del contributo unificato, ritenuto insufficiente. La ricorrente si doleva del fatto che con riguardo ai ricorsi cumulativi il contributo unificato fosse stato calcolato applicando la regola generale prevista per il ricorso contro l’atto singolo, cioè considerando l’importo dei diversi atti impugnati, piuttosto che la somma finale ottenuta cumulando tali importi, come avverrebbe per il processo civile. Tale modalità di calcolo deriverebbe, a suo dire, dall’applicazione della disposizione censurata, come modificata dalla legge di stabilità per il 2014, con la quale è stato disposto che il contributo unificato debba essere «determinato per ciascun atto impugnato, anche in appello», chiarendo che il suddetto criterio trovi applicazione anche nel caso del ricorso cumulativo.

Ad avviso della Commissione tributaria provinciale di Campobasso la novella recata dalla legge di stabilità per il 2014 violerebbe i principi costituzionali di uguaglianza e ragionevolezza (art. 3 Cost.), di capacità contributiva (art. 53 Cost.), del diritto di difesa (art. 24 Cost.) e della tutela giurisdizionale (art. 113 Cost.), nonché del diritto ad un processo equo e ad un rimedio giudiziale effettivo (art. 117, primo comma, Cost. in relazione agli artt. 6 e 13 della CEDU).

In particolare, il rimettente sottolinea che l’applicazione della norma censurata imporrebbe di chiedere un identico esborso a titolo di contributo unificato a chi attivi un solo processo proponendo un unico ricorso per più atti ed a chi, proponendone uno per ciascun atto impugnato, provochi l’attivazione di molteplici processi. Risulterebbe così notevolmente pregiudicata l’esigenza di snellire e rendere celeri i procedimenti giudiziari, che meglio potrebbe essere soddisfatta con la presentazione di un unico ricorso cumulativo.

La Commissione tributaria assume il contrasto del citato comma 3-bis dell’art. 14 con i principi di cui agli artt. 3 e 53 Cost. ed, in particolare, l’irragionevolezza della nuova disposizione, che opererebbe una discriminazione in ordine all’entità del sacrificio imposto al contribuente nel ricorso cumulativo, nonché laddove prevede una diversa quantificazione dell’ammontare del contributo unificato in caso di provvedimenti concernenti tributi rispetto a quelli che concernano solo sanzioni (per i quali si applicherebbe il principio del cumulo), pur a parità di debito verso l’erario.

La disposizione impugnata, secondo il rimettente, sarebbe, inoltre, incoerente ed irrazionale poiché al presupposto impositivo unitario (iscrizione a ruolo di un solo ricorso, per un solo processo) farebbe corrispondere una molteplicità di basi imponibili (i valori dei singoli atti impositivi e non il valore del processo).

I principi di uguaglianza e ragionevolezza risulterebbero violati anche in comparazione alla disciplina dettata nel processo civile per le domande azionate cumulativamente, alle quali si applicherebbero gli artt. 10 e 104 del codice di procedura civile, essendo identico il presupposto dell’imposizione («iscrizione a ruolo di un processo civile [...] amministrativo o tributario») ed essendo identico l’indice di capacità contributiva, ritenendo illogica una normativa che, per esigenze di cassa, impone un diverso sistema di calcolo degli obblighi tributari per i due gradi di merito, più oneroso nel processo tributario rispetto a quello civile.

La norma, inoltre, contrasterebbe con l’art. 53 Cost. in relazione alla capacità contributiva, in quanto il contribuente che proponga un ricorso cumulativo si troverebbe a pagare a titolo di contributo unificato un importo maggiore di quello corrispondente al valore del processo determinato sulla sommatoria dell’ammontare dei soli tributi (oggetto degli atti impugnati), trattandosi di un onere volto al finanziamento delle spese giudiziarie e commisurato al valore del processo, con la conseguenza che la base imponibile dovrebbe ritenersi costituita dal valore della controversia, anche ove riguardi più atti tributari, in quanto finalizzato a sostenere il costo forfettario di quel processo e non dei singoli atti che ne sono oggetto.

La norma impugnata violerebbe anche il diritto di difesa sancito dall’art. 24 Cost., in quanto risulterebbe scoraggiata, per i motivi in precedenza evidenziati, l’iniziativa di coloro che vogliano avvalersi del ricorso cumulativo o collettivo per la difesa delle proprie ragioni.

Il rimettente ritiene, inoltre, che la norma impugnata confligga con l’art. 113 Cost., in quanto l’imposizione di un contributo unificato nel ricorso cumulativo non rapportato al costo del processo, ma ai singoli atti impugnati, costituirebbe un eccessivo peso tributario dal quale scaturirebbe una riduzione della tutela giurisdizionale contro gli atti della pubblica amministrazione.

Infine, la Commissione tributaria provinciale di Campobasso ravviserebbe l’illegittimità della disposizione impugnata in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost. ed in relazione agli artt. 6 e 13 della CEDU, in quanto l’imposizione di un contributo così gravoso per il ricorso cumulativo o collettivo comprometterebbe seriamente il diritto ad un processo equo.

2.– Prima di passare all’esame delle questioni così specificate è utile una sintetica ricostruzione, ai soli fini che qui interessano, del quadro normativo e giurisprudenziale inerente al regime di tassazione degli atti giudiziari, dalla quale emerge un contesto eterogeneo dei criteri applicabili, influenzato dalle diverse situazioni sostanziali e processuali che ne sono alla base.

L’art. 13, comma l, del d.P.R. n. 115 del 2002 ha introdotto un nuovo regime di tassazione degli atti giudiziari, costituito da un «contributo unificato» fissato secondo i due criteri, alternativi o concorrenti, della materia e della proporzione al valore della controversia, che sostituisce il sistema previgente basato sul pagamento di una marca da bollo da versare anticipatamente al momento dell’iscrizione a ruolo e sul versamento di diritti di segreteria (ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 642, recante «Disciplina dell’imposta di bollo»).

L’applicazione del contributo unificato è stata estesa al processo tributario dall’art. 37, comma 6, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria) – convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111 – che ha modificato l’art. 9 del d.P.R. n. 115 del 2002.

Quest’ultima disposizione stabilisce, al primo comma, che il contributo unificato di iscrizione a ruolo è dovuto per ciascun grado di giudizio nel processo civile, compresa la procedura concorsuale e di volontaria giurisdizione, nel processo amministrativo e nel processo tributario.

Quanto alla determinazione del contributo, l’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002 stabilisce criteri diversi per il processo civile, amministrativo e tributario. Nel primo, per la quantificazione del contributo – come determinato dai primi sei commi del predetto art. 13 – vengono in rilievo sia la materia che il valore della controversia; nel secondo – disciplinato dal comma 6-bis del medesimo articolo – è stato adottato il criterio della differenziazione per materia; nel processo tributario – per i ricorsi davanti alle commissioni tributarie – il successivo comma 6-quater stabilisce importi crescenti per scaglioni di valore delle liti.

L’art. 14 del d.P.R. n. 115 del 2002 fissa i criteri per l’individuazione degli obbligati al pagamento e per la determinazione del valore dei processi. Nel processo civile il valore, fissato mediante rinvio alle disposizioni del codice di procedura civile, deve risultare da apposita dichiarazione resa dalla parte nelle conclusioni dell’atto introduttivo. Per quanto riguarda il processo amministrativo è prevista una disciplina specifica per i ricorsi in materia di affidamento di lavori pubblici, servizi e forniture e contro i provvedimenti delle autorità amministrative indipendenti. Nel processo tributario il comma 3-bis dell’art. 14, nel testo precedente le modifiche apportate dalla legge n. 147 del 2013, prevedeva che: «[…] il valore della lite, determinato ai sensi del comma 5 dell’articolo 12 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, e successive modificazioni, deve risultare da apposita dichiarazione resa dalla parte nelle conclusioni del ricorso, anche nell’ipotesi di prenotazione a debito».

L’art. 12, comma 5, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413) – precedentemente alle modifiche apportate dal decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 156, recante «Misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario, in attuazione degli articoli 6, comma 6, e 10, comma 1, lettere a) e b), della legge 11 marzo 2014, n. 23» – stabiliva che «Per valore della lite si intende l’importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l’atto impugnato; in caso di controversie relative esclusivamente alle irrogazioni di sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste».

L’art. 1, comma 598, della legge n. 147 del 2013 ha modificato il menzionato comma 3-bis dell’art. 14, specificando che il valore della lite è determinato «per ciascun atto impugnato anche in appello».

A seguito delle modifiche alla disciplina della difesa tecnica, introdotte dal citato d.lgs. n. 156 del 2015, il riferimento al “valore della lite” è stato spostato dal comma 5 (che ha assunto un contenuto diverso) del citato art. 12 al precedente comma 2. Parallelamente, il richiamo al «comma 5», contenuto nell’art. 14 del d.P.R. n. 115 del 2002 è stato sostituito (dall’art. 10, comma 2, del citato d.lgs. n. 156 del 2015) con quello al comma 2 del medesimo art. 12.

La modifica recata dal d.lgs. n. 156 del 2015, successiva all’ordinanza di rimessione, non incide, peraltro, sulle questioni di legittimità costituzionale sollevate, essendo rimasto sostanzialmente immutato il quadro normativo considerato dal giudice a quo.

In definitiva, dalla esposta premessa si ricava implicitamente la difficoltà ad individuare un principio o una fattispecie suscettibile di analogia, utilizzabile nel presente giudizio quale tertium comparationis. Peraltro, il già variegato contesto normativo non è stato tenuto in minima considerazione dal rimettente, il quale sembra, al contrario, ipotizzare un’omogeneità di fondo dei criteri, dai quali si discosterebbe soltanto la fattispecie censurata.

3.– Anche alla luce di quanto premesso, le questioni di legittimità costituzionale sollevate sono inammissibili sotto tutti i profili dedotti.

3.1.– Quanto alla pretesa violazione degli artt. 3 e 53 Cost., laddove viene lamentata l’irragionevole diversità di trattamento tra tributi e sanzioni, il rimettente non argomenta minimamente in ordine alle ragioni per le quali, a fronte della diversità delle suddette pretese erariali, debba sussistere un identico trattamento, stante la diversa natura e funzione e la distinta disciplina (per le sanzioni la regolamentazione fondamentale si rinviene nel decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, recante «Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie, a norma dell’articolo 3, comma 133, della legge 23 dicembre 1996, n. 662»).

Quanto alla lamentata diseguaglianza, contraddittorietà ed irragionevolezza nella determinazione del “valore della lite”, quale “base imponibile”, rispetto al presupposto del tributo – che il giudice a quo vorrebbe strettamente ancorato al valore unitario del processo come previsto per il rito civile – questi non spiega compiutamente perché, a fronte di una disomogeneità dei criteri fissati per determinare il valore della lite nei singoli ambiti processuali, calati sulle particolarità delle questioni ivi deducibili e sulle peculiarità dei diversi processi, solo il criterio del rito civile dovrebbe essere assunto quale tertium comparationis.

3.2.– Inoltre, con riferimento alle censure sollevate in riferimento all’art. 53 Cost., per violazione del principio della capacità contributiva, esse non appaiono comunque congruenti in relazione alla fattispecie normativa in esame. Secondo il costante orientamento di questa Corte, il principio della capacità contributiva come limite alla potestà di imposizione di cui all’art. 53 Cost. non riguarda «né una singola imposizione ispirata a principi diversi da quello della progressività, né […] la spesa per i servizi generali […] coperta da imposte indirette o da entrate che siano dovute esclusivamente da chi richiede la prestazione dell’ufficio organizzato per il singolo servizio o da chi ne provoca l’attività» (sentenza n. 30 del 1964; in senso conforme sentenze n. 167 del 1973, n. 149 del 1972 e n. 23 del 1968,) e, pertanto, non è invocabile e non può operare con riguardo alle spese di giustizia.

3.3.– Sono, altresì, inammissibili le censure proposte in riferimento agli artt. 24 e 113, primo comma, Cost.

Il rimettente non chiarisce in alcun modo per quale motivo il diritto di difesa sarebbe conculcato dal meccanismo di determinazione del contributo unificato nel ricorso cumulativo oggettivo mentre non lo sarebbe con riguardo a quello previsto per ogni singolo atto, quasi che la possibilità di difendersi fosse legata alla prerogativa di scegliere le modalità cumulative anziché quelle individuali.

3.4.– Parimenti inammissibili sono infine le censure formulate in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 6 e 13 della CEDU. Il contrasto con le norme della Convenzione si configura come oggetto di mera asserzione, priva di alcun riscontro argomentativo in grado di giustificare la pretesa lesione del diritto ad un processo equo e ad una tutela giurisdizionale effettiva.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 3-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia – Testo A) – nella parte modificata dall’art. 1, comma 598, lettera a), della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2014), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, 53, 113 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 6 e 13 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, dalla Commissione tributaria provinciale di Campobasso, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 marzo 2016.

F.to:

Paolo GROSSI, Presidente

Aldo CAROSI, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 7 aprile 2016.