SENTENZA N. 145
ANNO 2015
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Marta CARTABIA Presidente
- Giuseppe FRIGO Giudice
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 4, commi 5-quater, 5-sexies e 5-septies, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26 aprile 2012, n. 44, promosso dalla Commissione tributaria provinciale di Novara nel procedimento vertente tra F.V. e l’Agenzia delle entrate – Direzione provinciale di Novara con ordinanza del 7 ottobre 2014, iscritta al n. 240 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 1, prima serie speciale, dell’anno 2015.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 10 giugno 2015 il Giudice relatore Aldo Carosi.
Ritenuto in fatto
Con ordinanza del 7 ottobre 2014 la Commissione tributaria provinciale di Novara ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, commi 5-quater, 5-sexies e 5-septies, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26 aprile 2012, n. 44, in riferimento all’art. 77, secondo comma, della Costituzione.
Il giudice a quo riferisce di essere stato adito da F.V., il quale – dopo essersi vanamente rivolto all’Agenzia delle entrate – Direzione provinciale di Novara per ottenere il rimborso delle somme di euro 50.610,00 e di euro 3.470,00, asseritamente non dovute, versate per l’anno d’imposta 2012 rispettivamente a titolo di imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) ed a titolo di addizionale regionale all’IRPEF, tutte relative al reddito derivante dalla locazione di immobili di interesse storico ed artistico di sua proprietà ubicati a Verona – ha impugnato il silenzio rifiuto formatosi su detta istanza. In particolare, il ricorrente lamentava la mancata applicazione del più favorevole regime fiscale dettato dall’art. 11, comma 2, della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e potenziare l’attività di accertamento; disposizioni per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonché per riformare il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia per reati tributari; istituzioni dei centri di assistenza fiscale e del conto fiscale), sostituito per effetto dell’art. 4, commi 5-quater, 5-sexies, e 5-septies, del d.l. n. 16 del 2012, in violazione degli artt. 3, 9, secondo comma, 53, 77, secondo comma, e 81, quarto comma, Cost.
Il rimettente evidenzia come i commi censurati – tutti introdotti in sede di conversione del decreto-legge – modifichino profondamente, ed in senso deteriore per il contribuente, il precedente regime fiscale dettato per gli immobili di interesse storico o artistico dall’art. 11, comma 2, della legge n. 413 del 1991, secondo cui «In ogni caso, il reddito degli immobili riconosciuti di interesse storico o artistico, ai sensi dell’articolo 3 della legge 1° giugno 1939, n. 1089, e successive modificazioni e integrazioni, è determinato mediante l’applicazione della minore tra le tariffe d’estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è collocato il fabbricato». Tale regime, abrogato dall’art. 4, comma 5-quater, del d.l. n. 16 del 2012, è stato sostituito da quello dettato dal successivo comma 5-sexies, secondo cui, ai fini del calcolo del reddito imponibile degli immobili di interesse storico o artistico, il canone di locazione da prendere in considerazione subirebbe una riduzione forfettaria del trentacinque per cento invece di quella del quindici per cento all’epoca prevista ed il reddito medio ordinario in comparazione sarebbe determinato secondo le tariffe d’estimo per categoria e classe con una riduzione del cinquanta per cento e senza aumento di un terzo in caso di unità immobiliare a disposizione. Tale disciplina, ai sensi del successivo comma 5-septies, sarebbe applicabile a partire dall’anno fiscale 2012.
Il rimettente ritiene manifestamente infondata la dedotta violazione degli artt. 3, 9, secondo comma, 53 ed 81, quarto comma, Cost. da parte delle disposizioni poc’anzi menzionate.
Ritiene, invece, che esse contrastino con l’art. 77, secondo comma, Cost., in quanto, introdotte in sede di conversione, tenderebbero ad incrementare il carico fiscale sul contribuente, senza alcun collegamento di sorta con la normativa del provvedimento d’urgenza – analiticamente esaminata – che, lungi dal prevederlo, si sarebbe limitata a disporre misure di semplificazione tributaria e di potenziamento delle procedure di accertamento. In tal modo si sarebbe violato quel necessario nesso di interrelazione tra decreto-legge e legge di conversione che impedirebbe di inserire in quest’ultima qualsivoglia contenuto ulteriore, in modo da evitare che il procedimento semplificato previsto per la sua approvazione possa essere sfruttato per scopi estranei a quelli che giustificano la decretazione d’urgenza a detrimento delle ordinarie dinamiche di confronto parlamentare.
Con atto depositato il 27 gennaio 2015 è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sollevata sia dichiarata manifestamente infondata.
Ad avviso dell’intervenuto, le disposizioni censurate, eliminando il regime del tutto diverso previsto per gli immobili di interesse storico o artistico e sostituendolo con uno omogeneo a quello generale – seppur introducendo delle agevolazioni al fine di tener conto dei maggiori oneri che gravano sui proprietari di detti beni – da un lato darebbero luogo ad una semplificazione e, dall’altro, renderebbero più efficienti le procedure di accertamento, finalità perseguite dal decreto-legge. Ciò sarebbe reso ancor più evidente dal fatto che, come desumibile dalla sua denominazione, la legge n. 413 del 1991 reca «Disposizioni […] per razionalizzare, facilitare e potenziare l’attività di accertamento […]». Non si tratterebbe, dunque, di una normativa eterogenea rispetto alla materia originariamente disciplinata dal decreto.
In data 20 maggio 2015 il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria illustrativa, sottolineando la differenza tra la fattispecie normativa in esame e quelle di recente scrutinate dalla Corte e ribadendo le argomentazioni già svolte nell’atto di intervento.
Considerato in diritto
1.– Con l’ordinanza indicata in epigrafe la Commissione tributaria provinciale di Novara ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, commi 5-quater, 5-sexies e 5-septies, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26 aprile 2012, n. 44, in riferimento all’art. 77, secondo comma, della Costituzione.
In particolare, il giudice a quo – chiamato a decidere l’impugnazione del silenzio rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso formulata da un contribuente in ordine alle somme versate per l’anno 2012 a titolo di imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) e di addizionale regionale all’IRPEF in relazione al reddito derivante dalla locazione di immobili di interesse storico ed artistico di sua proprietà – dubita della legittimità costituzionale del regime fiscale introdotto dall’art. 4, commi 5-quater, 5-sexies e 5-septies, del d.l. n. 16 del 2012, che ha dato luogo all’esborso in considerazione.
Ad avviso del rimettente, le citate disposizioni, introdotte in sede di conversione del decreto-legge, non presenterebbero collegamento di sorta con la normativa ivi originariamente contenuta, violando il nesso di interrelazione che deve necessariamente astringere il provvedimento d’urgenza e la legge di conversione.
2.– Prima di affrontare il merito della questione sollevata, occorre evidenziare come le norme censurate abbiano sostituito il regime fiscale degli immobili di interesse storico o artistico previsto dall’art. 11, comma 2, della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e potenziare l’attività di accertamento; disposizioni per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonché per riformare il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia per reati tributari; istituzioni dei centri di assistenza fiscale e del conto fiscale), secondo cui «In ogni caso, il reddito degli immobili riconosciuti di interesse storico o artistico, ai sensi dell’articolo 3 della legge 1° giugno 1939, n. 1089, e successive modificazioni e integrazioni [ora in base all’art. 10 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, recante «Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137»], è determinato mediante l’applicazione della minore tra le tariffe d’estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è collocato il fabbricato».
Sino al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2011 per tutti gli immobili di interesse storico o artistico ai sensi dell’art. 10 del d.lgs. n. 42 del 2004 – senza distinzione di destinazione o di classificazione catastale ed indipendentemente dal loro concreto utilizzo (locati o meno) e con l’eccezione di quelli che costituiscono beni strumentali per l’esercizio dell’attività d’impresa o di produzione o scambio finalizzati a tale attività – il regime d’imposizione fiscale risultava completamente scollegato dal valore locativo o fondiario dell’immobile, in quanto il reddito derivante dal suo possesso veniva determinato sulla base della minore tra le tariffe d’estimo previste per le abitazioni della zona censuaria di appartenenza, in relazione alla cosiddetta rendita figurativa.
L’art. 4 del d.l. n. 16 del 2012 – come integrato in sede di conversione – ha ridisegnato il peculiare regime fiscale degli immobili vincolati. Tale disposizione, abrogando l’art. 11, comma 2, del d.lgs. n. 413 del 1991 (art. 4, comma 5-quater), ha eliminato la possibilità di determinare il reddito imponibile secondo il criterio della rendita figurativa, in cui era irrilevante il canone di locazione, ed ha al contempo statuito con riferimento agli immobili di interesse storico o artistico non posseduti in regime di impresa e locati (art. 4, comma 5-sexies, lettera a) – ipotesi che si attaglia al caso oggetto del giudizio principale – che il reddito imponibile ai fini IRPEF sia rappresentato dal maggiore fra il canone di locazione ridotto del trentacinque per cento e la rendita catastale rivalutata del cinque per cento calcolata applicando la tariffa d’estimo propria dell’immobile.
In tal modo, dal periodo d’imposta 2012 (art. 4, comma 5-septies), il beneficio fiscale accordato risulta notevolmente ridimensionato e, rispetto al regime degli immobili non vincolati, la differenza si rinviene solo nella maggiore riduzione forfettaria del canone di raffronto, ordinariamente stabilita nel quindici per cento, portato al cinque per cento dal 2013.
Alla luce della ricostruzione normativa che precede, si evince come le norme censurate abbiano sostituito il regime fiscale speciale antecedentemente previsto per gli immobili riconosciuti di interesse storico o artistico con uno meramente agevolato.
3.– Tanto premesso, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, commi 5-quater, 5-sexies e 5-septies, del d.l. n. 16 del 2012 in riferimento all’art. 77, secondo comma, Cost. non è fondata.
Questa Corte ha avuto modo di precisare che la violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost. si ravvisa «in caso di evidente o manifesta mancanza di ogni nesso di interrelazione tra le disposizioni incorporate nella legge di conversione e quelle dell’originario decreto-legge (sentenze n. 32 del 2014 e n. 22 del 2012). Pertanto, la violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost. per difetto di omogeneità si determina solo quando le disposizioni aggiunte siano totalmente “estranee” o addirittura “intruse”, cioè tali da interrompere, in parte qua, ogni correlazione tra il decreto-legge e la legge di conversione» (sentenza n. 251 del 2014).
Nella fattispecie in esame la descritta situazione non si verifica.
Anzitutto, le norme censurate rientrano tutte nella materia tributaria, richiamata nella premessa del d.l. n. 16 del 2012, che dunque costituisce un punto di correlazione tra la disciplina introdotta in sede di conversione e quella dell’originario decreto.
In secondo luogo, si evidenzia che il precedente regime fiscale era previsto dalla legge n. 413 del 1991, recante «Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e potenziare l’attività di accertamento; disposizioni per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonché per riformare il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia per reati tributari; istituzioni dei centri di assistenza fiscale e del conto fiscale», il cui nomen iuris appare del tutto assimilabile a quello della novella in esame, intitolata «Disposizioni urgenti di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento».
Considerato che, ai sensi dell’art. 15, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri), il contenuto del decreto-legge «deve essere […] corrispondente al titolo», si deve ritenere che, abrogando e sostituendo il regime precedente, le norme censurate abbiano trovato nel contesto normativo in cui sono state inserite una sede idonea, in tal modo identificandosi un ulteriore profilo di omogeneità oggettiva.
Nel decreto-legge, inoltre, sono rinvenibili altre norme che riguardano la fiscalità immobiliare, quali, in particolare, quelle espresse dall’art. 8, comma 16, lettere e), f) e g), in tema di immobili situati all’estero.
Infine, l’art. 4, comma 4, del d.l. n. 16 del 2012 sin dall’origine prevede l’abrogazione delle disposizioni che sospendevano il potere di aumentare le aliquote, le addizionali e le tariffe dei tributi regionali e locali e, dunque, reca in sé le potenzialità di un incremento della pressione fiscale, smentendo l’assunto su cui s’incentra l’ordinanza di rimessione, secondo cui, diversamente da quella introdotta in sede di conversione, la disciplina contenuta nel decreto-legge non avrebbe determinato simile effetto.
Alla luce di quanto precede, nella fattispecie non si verte in un caso di evidente o manifesta mancanza di ogni nesso di interrelazione fra le disposizioni aggiunte e quelle originarie contenute nel decreto-legge.
Il rilievo deve considerarsi assorbente anche rispetto alla circostanza che il Governo, nonostante la delicatezza e l’innovatività delle modifiche apportate al regime fiscale degli immobili di interesse storico o artistico, abbia fatto ricorso ad un maxiemendamento in sede di conversione, su cui ha posto la questione di fiducia (sentenza n. 251 del 2014).
4.– La procedura parlamentare seguita non comporta l’illegittimità delle disposizioni impugnate in ragione della specificata correlazione oggettiva e da ciò consegue la non fondatezza della questione sollevata.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, commi 5-quater, 5-sexies e 5-septies, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26 aprile 2012, n. 44, sollevata, in riferimento all’art. 77, secondo comma, della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Novara con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 giugno 2015.
F.to:
Marta CARTABIA, Presidente
Aldo CAROSI, Redattore
Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 9 luglio 2015.