Sentenza n. 270 del 2014

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SENTENZA N. 270

ANNO 2014

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Paolo Maria                   NAPOLITANO                                 Presidente

-           Giuseppe                       FRIGO                                                 Giudice

-           Alessandro                    CRISCUOLO                                             ”

-           Paolo                             GROSSI                                                      ”

-           Giorgio                          LATTANZI                                                 ”

-           Aldo                              CAROSI                                                      ”

-           Marta                            CARTABIA                                                ”

-           Sergio                            MATTARELLA                                          ”

-           Mario Rosario               MORELLI                                                   ”

-           Giancarlo                      CORAGGIO                                               ”

-           Giuliano                        AMATO                                                      ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 292, comma 1, e comma 2, lettera c), e 309, comma 9, del codice di procedura penale, promossi dal Tribunale ordinario di Brescia, sezione del riesame, con ordinanze del 13 e del 14 novembre 2013, iscritte ai nn. 29 e 30 del registro ordinanze 2014 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell’anno 2014.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio dell’8 ottobre 2014 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi.

Ritenuto in fatto

1.– Il Tribunale ordinario di Brescia, sezione del riesame, con ordinanza del 13 novembre 2013 (r.o. n. 29 del 2014), ha sollevato, in riferimento agli artt. 111, secondo e sesto comma, 24, e 13, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del «combinato disposto degli artt. 292 c. 1-2 lett. c) e 309 c. 9 c.p.p. nella parte in cui esclude la nullità della motivazione e consente il potere integrativo del Tribunale del riesame nelle ipotesi di ordinanza cautelare la cui motivazione sulla gravità indiziaria coincide integralmente con la comunicazione di reato della polizia giudiziaria, recepita per relationem nel provvedimento cautelare».

Il Tribunale rimettente premette di essere investito, in sede di giudizio di rinvio, della richiesta di riesame avverso l’ordinanza del 9 febbraio 2013, con la quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Bergamo aveva applicato nei confronti dell’indagato la misura cautelare della custodia in carcere, per il delitto di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione «ai danni di plurime donne», in concorso con altre persone.

Nel motivare sulla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, il giudice per le indagini preliminari si era limitato a riportare i contenuti della comunicazione di reato della polizia giudiziaria, ivi comprese le sintesi dell’attività di intercettazione, escludendo «la contestata ipotesi associativa», e, in seguito alla richiesta di riesame, il Tribunale del riesame di Brescia, aveva dichiarato la nullità del provvedimento cautelare per difetto di motivazione, perché il giudice per le indagini preliminari aveva operato un rinvio recettizio alla comunicazione di reato della polizia giudiziaria, riportandola integralmente, anche per la parte riguardante la posizione del ricorrente, «senza mediazioni intellettive ed elaborative ulteriori».

Secondo il Tribunale del riesame, una siffatta tecnica redazionale, oltre a non rispettare le condizioni per un legittimo ricorso alla motivazione per relationem, era tale da pregiudicare la funzione di terzietà del giudice e «in ogni caso non si rintracciava nel provvedimento cautelare alcuna argomentazione logico-giuridica relativa all’idoneità degli elementi raccolti dalla p.g.».

In seguito al ricorso del pubblico ministero, la Corte di cassazione, con sentenza n. 29772 del 20 giugno 2013, aveva annullato l’ordinanza in questione, rinviando al Tribunale del riesame di Brescia per un nuovo esame.

La Corte di legittimità, interpretando sistematicamente gli artt. 292, comma 1, e comma 2, lettera c), e 309, comma 9, cod. proc. pen., aveva affermato che il tribunale del riesame può dichiarare la nullità del provvedimento cautelare «solo nei casi di carenza grafica dell’ordinanza del G.I.P. o di giustificazione della misura mediante l’impiego di clausole di stile ed un generico rinvio alle risultanze delle indagini», dovendo in ogni altro caso avvalersi del potere integrativo della motivazione, con accesso diretto al materiale indiziario.

Il Tribunale rimettente ritiene che il «connotato vincolante del dictum della Corte di cassazione» gli precluda «ulteriori valutazioni in punto di nullità ex artt. 292 e 309 c.p.p.», imponendogli il passaggio alla successiva valutazione di merito della vicenda, e afferma di essere legittimato, quale giudice del rinvio, ex art. 627, comma 3, cod. proc. pen., a sollevare questione di legittimità costituzionale del «combinato disposto degli artt. 292, c. 1-2 lett. c) e 309 c. 9 c.p.p.» nei termini sopra indicati. Aggiunge che, al fine di negare la rilevanza della questione, non potrebbe obiettarsi che resta pur sempre in capo al citato tribunale, quale giudice del rinvio, la possibilità di ribadire la nullità dell’ordinanza cautelare, ritenendo che la motivazione di essa si risolva in clausole di stile e in un generico rinvio alle risultanze delle indagini. Infatti, una volta ritenuta idonea ed immune da vizi la tecnica redazionale di integrale recepimento dell’atto di polizia giudiziaria, ogni contraria affermazione tendente a una dichiarazione di nullità per difetto di motivazione costituirebbe una violazione del principio di diritto.

Ciò posto, secondo il Tribunale rimettente, sussisterebbe la violazione dell’art. 111, sesto comma, Cost., che impone un generale obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, e dell’art. 13, secondo comma, Cost., secondo cui ogni forma di restrizione della libertà individuale può avvenire solo per atto motivato dell’autorità giudiziaria.

L’art. 292, comma 2, cod. proc. pen., assumerebbe, pertanto, una portata attuativa dell’obbligo costituzionale di motivazione, per un verso, indicando specificatamente quale dovrebbe essere il contenuto di un’ordinanza cautelare in punto di gravità indiziaria, e, per un altro verso, introducendo un’apposita sanzione nell’ipotesi della violazione di tale obbligo.

L’obbligo costituzionale della motivazione, per non connotarsi in modo meramente formale, dovrebbe «essere concepito, contenutisticamente, in vista del soddisfacimento di altri valori costituzionalmente tutelati», quali il diritto di difesa e la terzietà-imparzialità del giudice. Una motivazione non rispondente ai requisiti costituzionali di adeguatezza e specificità «non consentirebbe alla difesa di rappresentare al giudice dell’impugnazione (al Tribunale del riesame) le proprie doglianze avverso la decisione e circa il corretto esercizio del potere restrittivo, appunto perché all’oscuro del percorso valutativo seguito dal giudice nell’adozione della misura».

Le disposizioni censurate violerebbero, inoltre, il principio di terzietà-imparzialità del giudice, di cui all’art. 111, secondo comma, Cost., perché solo la linearità e la trasparenza del percorso motivazionale consentirebbero di «esplicitare l’estraneità del giudice alla vicenda e di garantire la parità processuale delle parti».

2.– È intervenuto nel giudizio di legittimità costituzionale, con memoria depositata il 1° aprile 2014, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza o, comunque, non fondata.

Ad avviso della difesa dello Stato, l’ordinanza di rimessione risulterebbe carente nella motivazione sulla rilevanza della questione, perché non esaminerebbe la possibilità di riconsiderare l’ordinanza custodiale per verificare se la motivazione, pur esistente in senso grafico, sia o meno del tutto carente in termini di gravità indiziaria, risolvendosi in clausole di stile. Il Tribunale rimettente tenterebbe così di ottenere un avallo interpretativo da parte del Giudice delle leggi rispetto a «un esito decisorio (preclusione del giudice del riesame di vagliare la nullità, per difetto di motivazione, dell’ordinanza genetica), senza farsi carico di verificare la possibilità, alla luce del principio di diritto e del potere-dovere integrativo imposto ex art. 309 c.p.p., di annullare nuovamente l’ordinanza genetica che sia carente di motivazione», così da superare i dubbi di costituzionalità.

Con riferimento al parametro di cui all’art. 3 Cost., l’opzione ermeneutica della Corte di cassazione non sarebbe irragionevole, in quanto si giustificherebbe con la peculiarità del procedimento di riesame. La sua configurazione come una valutazione ex novo, autonoma e a cognizione piena della questione cautelare, in cui la dichiarazione di nullità dell’ordinanza impositiva per difetto di motivazione può avvenire «solo in casi di extrema ratio», eviterebbe disparità di trattamento tra fattispecie sostanzialmente analoghe. Seguendo l’impostazione del rimettente infatti, a parità di situazioni gravemente indiziarie nei confronti di più persone, l’esito del riesame finirebbe per dipendere dalle caratteristiche della motivazione del provvedimento coercitivo.

Inoltre non sarebbe ravvisabile la denunciata compromissione del diritto di difesa della persona sottoposta a coercizione personale, posto che l’art. 24, secondo comma, Cost., attribuendo carattere di inviolabilità al diritto di difesa «in ogni stato e grado del procedimento» non si tradurrebbe in un «diritto indiscriminato ad impugnare».

Il legislatore avrebbe previsto un sistema di impugnazioni che garantisce all’imputato e al suo difensore il pieno esercizio del diritto di difesa nei confronti dell’ordinanza cautelare personale, con la possibilità di proporre la richiesta di riesame, anche nel merito, ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen., e, successivamente, il ricorso per cassazione contro la decisione del tribunale del riesame, oppure, direttamente, il ricorso per cassazione per saltum, per violazione di legge.

3.– Il Tribunale ordinario di Brescia, sezione del riesame, con ordinanza del 14 novembre 2013 (r.o. n. 30 del 2014), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 309, comma 9, cod. proc. pen., «nella parte in cui esclude che il Tribunale del riesame possa annullare l’ordinanza cautelare nelle ipotesi di nullità per difetto di motivazione sui gravi indizi di colpevolezza di cui all’art. 292 comma 2 lett. c) c.p.p.».

Il Tribunale rimettente riferisce che, in seguito all’annullamento con rinvio da parte della Corte di cassazione delle ordinanze pronunciate l’11 e il 18 dicembre 2012, è investito delle richieste di riesame presentate dagli indagati avverso l’ordinanza del 23 novembre 2012, con la quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Brescia aveva applicato nei loro confronti la misura cautelare della custodia in carcere.

Il Tribunale del riesame, con le due ordinanze indicate, aveva dichiarato la nullità dell’ordinanza cautelare perché priva di una valida motivazione, rilevando che il giudice per le indagini preliminari si era limitato a trasporre integralmente, nel provvedimento coercitivo, la comunicazione della polizia giudiziaria e la richiesta del pubblico ministero, «senza compiere alcuna selezione né vaglio critico del ponderoso materiale informativo raccolto nel corso delle indagini».

Come ricorda l’ordinanza di rimessione, in seguito al ricorso del pubblico ministero, la Corte di cassazione, con sentenza n. 41829 del 27 settembre 2013, aveva annullato con rinvio le due ordinanze impugnate, affermando che al tribunale del riesame è precluso «l’annullamento del provvedimento custodiale che sia carente di motivazione (con specifico riguardo all’ordinanza gravata, per difetto dei soli requisiti legali di cui all’art. 292 comma 2 lett. c) c.p.p.), a meno che detta carenza non si risolva eccezionalmente in una mancanza di motivazione in senso grafico o in un impiego di mere clausole di stile che non consentano di “individuare le esigenze cautelari il cui soddisfacimento si persegue”».

Secondo la Corte di cassazione, l’ordinamento processuale, a fronte delle nullità comminate per omessa motivazione dei provvedimenti, riserverebbe, di regola, solo al giudice di legittimità il potere di pronunciare il relativo annullamento.

Ciò posto, il Tribunale rimettente premette di essere legittimato, in sede di giudizio di rinvio, a sollevare questione di legittimità costituzionale della norma da applicare, perché, essendo vincolato al principio di diritto stabilito dalla Corte di cassazione, non potrebbe effettuarne un’interpretazione diversa, conforme alla Costituzione. In particolare, nel caso in esame, la rigorosa statuizione della Corte di cassazione precluderebbe al giudice del rinvio la possibilità di dichiarare nuovamente la nullità dell’ordinanza cautelare per difetto di motivazione, ma la sua interpretazione dell’art. 309, comma 9, cod. proc. pen., in riferimento all’art. 292, comma 2, lettera c), cod. proc. pen., darebbe luogo a dubbi di costituzionalità, in relazione agli artt. 3 e 24 Cost.

L’esclusione del potere del tribunale del riesame di sindacare la legittimità dell’ordinanza cautelare e di dichiararne la nullità, ove sia priva di una valida motivazione sui gravi indizi di colpevolezza, potrebbe comportare «una grave ed ingiustificata compromissione del diritto di difesa proprio del soggetto in regime di coercizione». Questi, infatti, sarebbe obbligato, in mancanza di altri strumenti processuali di tutela, a dedurre tale nullità attraverso il ricorso per cassazione per saltum, previsto dall’art. 311, comma 2, cod. proc. pen., e ciò determinerebbe «incongrui pregiudizi» alla parte interessata che, per il rapporto di alternatività di tale mezzo d’impugnazione rispetto al riesame, sarebbe costretta a rinunciare al vaglio del provvedimento da parte del tribunale del riesame e al relativo procedimento caratterizzato da termini accentuatamente acceleratori.

La norma impugnata, inoltre, darebbe luogo a una situazione in contrasto con l’art. 3 Cost., perché determinerebbe un’ingiustificata difformità dell’ordinanza cautelare nulla per vizio di motivazione rispetto «ad altre fattispecie di nullità del medesimo titolo coercitivo», derivanti, ad esempio, dalla mancanza della richiesta cautelare da parte del pubblico ministero o dall’applicazione della misura per un reato sanzionato con pena inferiore ai limiti edittali di cui all’art. 280 cod. proc. pen., o, ancora, dalla mancata traduzione del provvedimento in lingua conosciuta dall’interessato alloglotta.

4.– È intervenuto nel giudizio di legittimità costituzionale, con memoria depositata il 1° aprile 2014, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza o, comunque, non fondata.

A sostegno delle proprie richieste, l’Avvocatura dello Stato ripropone gli argomenti già svolti nell’atto di intervento relativo all’ordinanza del 13 novembre 2013 (r.o. n. 29 del 2014) e in precedenza richiamati.

Considerato in diritto

1.– Il Tribunale ordinario di Brescia, sezione del riesame, con ordinanza del 13 novembre 2013 (r.o. n. 29 del 2014), ha sollevato, in riferimento agli artt. 111, secondo e sesto comma, 24, e 13, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del «combinato disposto degli artt. 292 c. 1-2 lett. c) e 309 c. 9 c.p.p. nella parte in cui esclude la nullità della motivazione e consente il potere integrativo del Tribunale del riesame nelle ipotesi di ordinanza cautelare la cui motivazione sulla gravità indiziaria coincide integralmente con la comunicazione di reato della polizia giudiziaria, recepita per relationem nel provvedimento cautelare».

Il Tribunale rimettente aveva annullato per difetto di motivazione un’ordinanza di custodia in carcere, emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Bergamo, perché, nel motivare sugli indizi di colpevolezza, il giudice si era limitato a riportare il contenuto della comunicazione della notizia di reato ricevuta dalla polizia giudiziaria, e la Corte di cassazione, a sua volta, aveva annullato tale decisione. Nella sentenza di annullamento, la Corte di cassazione aveva chiarito che il tribunale del riesame può dichiarare la nullità del provvedimento applicativo della misura coercitiva «solo nei casi di carenza grafica dell’ordinanza del G.I.P. o di giustificazione della misura mediante l’impiego di clausole di stile ed un generico rinvio ai risultati delle indagini».

Ad avviso del Tribunale rimettente, la norma impugnata, nell’escludere nel caso in questione il potere del giudice del riesame di dichiarare la nullità per difetto di motivazione dell’ordinanza cautelare, integrerebbe la violazione degli artt. 111, sesto comma, e 13, secondo comma, Cost., che imporrebbero la necessità di una motivazione adeguata, specifica e puntuale, «perché vi sia la concreta dimostrazione che il giudice ha correttamente esercitato il potere che gli è attribuito».

È prospettata anche la violazione del diritto di difesa, garantito dall’art. 24 Cost., in quanto una motivazione non rispondente ai requisiti costituzionali di adeguatezza e specificità non consentirebbe alla difesa di rappresentare al giudice dell’impugnazione le proprie «doglianze avverso la decisione e circa il corretto esercizio del potere restrittivo appunto perché all’oscuro del percorso valutativo seguito dal giudice nell’adozione della misura».

La normativa impugnata violerebbe, infine, il principio di terzietà-imparzialità del giudice, di cui all’art. 111, secondo comma, Cost., dato che solo la linearità e la trasparenza del percorso motivazionale consentirebbero di «esplicitare l’estraneità del giudice alla vicenda e di garantire la parità processuale delle parti».

2.– Il Tribunale ordinario di Brescia, sezione del riesame, con ordinanza del 14 novembre 2013 (r.o. n. 30 del 2014), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 309, comma 9, cod. proc. pen., «nella parte in cui esclude che il Tribunale del riesame possa annullare l’ordinanza cautelare nelle ipotesi di nullità per difetto di motivazione sui gravi indizi di colpevolezza di cui all’art. 292 comma 2 lett. c) c.p.p.».

In questo caso, il Tribunale rimettente, con due successivi provvedimenti, aveva dichiarato la nullità di due ordinanze cautelari per difetto di motivazione e i due provvedimenti erano stati annullati dalla Corte di cassazione.

Secondo il Tribunale del riesame, la norma impugnata violerebbe l’art. 24 Cost., perché determinerebbe una grave ed ingiustificata compromissione del diritto di difesa «del soggetto in regime di coercizione», il quale potrebbe dedurre tale ipotesi di nullità solo attraverso il c.d. ricorso per saltum dinanzi al giudice di legittimità, così rinunziando, stante il rapporto di alternatività tra i due mezzi impugnatori, al ricorso di cui all’art. 309 cod. proc. pen., caratterizzato da termini acceleratori, in «ossequio al principio del favor libertatis».

È prospettata anche la violazione dell’art. 3 Cost., in quanto la norma oggetto di scrutinio costituzionale sarebbe irragionevole e determinerebbe ingiustificate disparità di trattamento rispetto a casi sostanzialmente analoghi.

3.– I giudizi vanno riuniti perché, in relazione alla normativa censurata, pongono questioni fra loro strettamente connesse, da decidere con un’unica pronuncia.

4.– Le questioni sono inammissibili, anche se per una ragione diversa da quella dedotta dall’Avvocatura generale dello Stato.

Secondo la difesa dello Stato, i giudici rimettenti non avrebbero valutato la possibilità di riconsiderare l’ordinanza custodiale, per verificare se la motivazione, pur esistente in senso grafico, fosse o meno del tutto carente in tema di gravità indiziaria, risolvendosi in clausole di stile. Le questioni di legittimità costituzionale prospettate, infatti, a parere dell’Avvocatura di Stato, tenderebbero ad ottenere da questa Corte «un avallo interpretativo […] rispetto ad un esito decisorio (preclusione per il giudice del riesame di vagliare la nullità, per difetto di motivazione, dell’ordinanza genetica)», senza verificare la possibilità di annullare nuovamente l’ordinanza cautelare e di superare così i dubbi relativi alla legittimità costituzionale della norma in questione.

Il rilievo però non è fondato, perché i giudici rimettenti hanno correttamente osservato che le due sentenze di annullamento, pronunciate dalla Corte di cassazione, avevano preso specificamente in esame le motivazioni delle ordinanze cautelari annullate dal tribunale del riesame e ne avevano escluso la nullità, sicché in sede di rinvio il giudice era vincolato da tali decisioni e gli era preclusa la possibilità di giungere sul punto a una conclusione diversa.

È questa preclusione, e non l’inesistente potere decisorio richiamato dall’Avvocatura dello Stato, che rende prive di rilevanza le questioni sollevate dal Tribunale del riesame di Brescia; infatti, gli stessi giudici rimettenti hanno riconosciuto che la sentenza della Corte di cassazione impedisce loro di rivalutare la motivazione delle ordinanze cautelari, per pronunciarne un nuovo annullamento, e questo impedimento non verrebbe meno se fosse dichiarata l’illegittimità costituzionale delle disposizioni censurate.

È vero che, secondo la giurisprudenza di questa Corte il giudice, come è stato ricordato dal Tribunale rimettente, «in sede di giudizio di rinvio ex art. 627 c. 3 c.p.p., è certamente legittimato a proporre questione di legittimità costituzionale della norma da applicare, e nell’interpretazione stabilita e vincolante nel giudizio a quo», ma è anche vero che, nel caso in esame, nel giudizio a quo non deve farsi alcuna applicazione delle disposizioni censurate. Queste, infatti, sono state applicate dalla Corte di cassazione e non formano oggetto della cognizione devoluta al giudice del rinvio.

La giurisprudenza di questa Corte, alla quale il Tribunale rimettente fa riferimento, riguarda il caso in cui nella sentenza di annullamento è affermato un principio di diritto relativo a una norma che deve trovare ulteriore applicazione nel giudizio di rinvio, perché in questo caso, da un lato, «non si è al cospetto di un rapporto “esaurito”; dall’altro la proposizione di una simile questione di legittimità costituzionale rappresenta l’unico mezzo a disposizione del giudice del rinvio per contestare la regula iuris che sarebbe costretto altrimenti ad applicare, in forza dell’art. 627, comma 3, cod. proc. pen.» (sentenze n. 293 del 2013, n. 204 del 2012 e n. 197 del 2010).

Diverso è il caso in oggetto, perché il tribunale del riesame non deve fare alcuna applicazione delle disposizioni censurate. Queste, infatti, sono state applicate direttamente dalla Corte di cassazione, la quale, dopo avere affermato il principio di diritto contestato dai giudici rimettenti, ha preso in esame la motivazione delle due ordinanze cautelari, sia negli aspetti formali, sia in quelli contenutistici, e ne ha escluso la nullità, aggiungendo che nel giudizio di rinvio il Tribunale del riesame aveva l’obbligo di «valutare autonomamente il materiale indiziario esposto nell’ordinanza al fine di trarne il proprio autonomo ed eventualmente divergente convincimento» (Cass. pen., sez. III, 20 giugno 2013, n. 29772) e «ben avrebbe potuto esercitare il suo potere dovere di integrazione […] e se, del caso, sopperire, con la propria motivazione, alla motivazione del provvedimento genetico» (Cass. pen., sez. II, 27 settembre 2013, n. 41829).

Ciò posto, la questione relativa alla dedotta nullità dell’ordinanza cautelare per difetto di motivazione, essendo stata decisa in modo definitivo dalla Corte di cassazione, non doveva formare oggetto della cognizione del giudice del rinvio, e questo perciò non era più chiamato a fare applicazione delle disposizioni censurate. Come è stato già rilevato in altre occasioni, «sub specie di giudizio di costituzionalità, la questione in esame si traduce in realtà nella richiesta a questa Corte di operare una sorta di “revisione in grado ulteriore” della sentenza della Corte di cassazione che ha dato origine al giudizio a quo, e cioè di svolgere un ruolo di giudice dell’impugnazione che ovviamente non le compete» (sentenza n. 294 del 1995).

Deve quindi concludersi che le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale del riesame di Brescia con le ordinanze indicate sono inammissibili per difetto di rilevanza.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 292, comma 1, e comma 2, lettera c), e 309, comma 9, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 111, secondo e sesto comma, 24, e 13, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Brescia, sezione del riesame, con l’ordinanza indicata in epigrafe;

2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 309, comma 9, cod. proc. pen., sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., dal Tribunale ordinario di Brescia, sezione del riesame, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 novembre 2014.

F.to:

Paolo Maria NAPOLITANO, Presidente

Giorgio LATTANZI, Redattore

Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 3 dicembre 2014.