ORDINANZA N. 166
ANNO 2013
REPUBBLICA ITALIANA
IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA
CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco GALLO Presidente
- Luigi MAZZELLA Giudice
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
ha pronunciato la
seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale
dell’articolo 59 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni
sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta
nell’articolo 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), promosso dalla
Commissione tributaria regionale delle Marche, nel procedimento vertente tra
P.G. e l’Agenzia delle entrate, Direzione provinciale, Ufficio controlli
Pesaro-Urbino, con ordinanza del 21 novembre 2012, iscritta al numero 12 del
registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell’anno 2013.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio
dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 5 giugno 2013 il
Giudice relatore Giancarlo Coraggio.
Ritenuto che la Commissione tributaria regionale delle
Marche, con ordinanza del 21 novembre 2012, ha sollevato, in riferimento
all’articolo 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale
dell’art. 59 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul
processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta
nell’articolo 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), nella parte in cui non contempla, tra i casi di rimessione alla
Commissione provinciale, quello dell’erronea dichiarazione di inammissibilità
da parte del giudice di primo grado senza trattazione nel merito della causa;
che, ad avviso del rimettente, al
giudice di appello nel giudizio tributario sarebbero preclusi l’esame del
merito, in assenza di censure sollevate al riguardo dall’appellante, e, al
contempo, la possibilità di rimettere la causa al giudice di primo grado ai
sensi del citato art. 59;
che il sistema così delineato, non
suscettibile di interpretazioni correttive, darebbe luogo ad una compromissione
del diritto di difesa, privando la parte di una piena tutela processuale, in
violazione dell’art. 24 Cost.;
che, in punto di rilevanza, la
Commissione tributaria osserva come nel giudizio a quo si crei, in tal modo, un vuoto processuale che non consente
il corretto svolgimento del processo;
che è intervenuto nel giudizio di
costituzionalità, con atto depositato il 26 febbraio 2013, il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo la declaratoria di inammissibilità della questione sollevata;
che, secondo la difesa dello Stato,
infatti, il diritto vivente già fornisce una risposta al caso prospettato, il
che renderebbe la questione anche irrilevante;
che, nel merito, la questione sarebbe
manifestamente priva di fondamento, in quanto, alla luce del quadro normativo
di riferimento e del consolidato orientamento della Corte di cassazione in
materia, l’appellante, nel proprio atto di gravame, ben poteva, anzi doveva,
far valere, oltre all’erroneità della decisione di primo grado, gli originari
motivi di ricorso;
che, sempre nel merito, la questione
sarebbe manifestamente priva di fondamento, posto che la norma impugnata
costituisce il ragionevole punto di equilibrio tra due diverse esigenze: da un
lato, quella di evitare la perdita di un grado di giudizio, allorché la
sentenza di primo grado (pronunciando in rito) abbia illegittimamente omesso di
valutare il merito della causa; dall’altro, quella di limitare l’eccessiva
durata del processo, che dovrebbe ricominciare dal primo grado.
Considerato
che la Commissione tributaria
regionale delle Marche, con ordinanza del 21 novembre 2012, ha sollevato, in
riferimento all’articolo 24 della Costituzione, questione di legittimità
costituzionale dell’art. 59 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546
(Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo
contenuta nell’articolo 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), nella parte in cui non contempla, tra i casi
di rimessione, quello dell’erronea dichiarazione di inammissibilità del
ricorso, emessa da parte del giudice di primo grado senza trattazione nel
merito della causa;
che i dubbi prospettati dal rimettente
in punto di legittimità costituzionale della norma censurata sono
manifestamente infondati, in quanto espressi sulla base di un erroneo
presupposto interpretativo;
che la norma censurata, infatti, non
limita in alcun modo la trattazione del processo né pone il giudice
dell’appello nella situazione di stallo prospettata dal rimettente;
che, in particolare, l’art. 59 del
d.lgs. n. 546 del 1992, qualora non ricorra una delle ipotesi di rimessione
alla commissione tributaria di primo grado elencate al comma 1, non preclude in
appello la possibilità di esame del processo nel merito, a condizione che
l’appellante abbia correttamente riproposto, insieme alla censura di erroneità
della dichiarazione di inammissibilità, le relative censure di merito;
che, dunque, la preclusione lamentata
dal giudice a quo è dovuta, nel caso
di specie, non all’applicazione della norma impugnata, ma alla mera circostanza
di fatto della mancata deduzione delle questioni di merito da parte
dell’appellante, il quale ha male esercitato il suo diritto di appellare;
che la Corte di cassazione ha precisato,
al riguardo, che «costituisce principio giurisprudenziale univoco e consolidato
nella giurisprudenza di questa Corte, quello anche di recente ribadito secondo
il quale è ammissibile l’impugnazione con la quale l’appellante si limiti a
dedurre unicamente i vizi di rito avverso una pronuncia a lui sfavorevole, solo
se i vizi denunciati comporterebbero, se fondati, una rimessione al primo
giudice ai sensi degli artt. 353 e 354 c.p.c e nel
caso specifico del processo tributario, ai sensi dell’art. 59, comma 1, del
d.lgs. n. 546 del 1992; nelle ipotesi in cui, invece, il vizio non rientra in
uno dei casi tassativamente previsti dalle citate norme è necessario che
l’appellante deduca ritualmente anche le questioni di merito, con la
conseguenza che, in tali ipotesi, "l’appello fondato esclusivamente su vizi di
rito, senza contestuale gravame contro l’ingiustizia della sentenza di primo
grado dovrà ritenersi inammissibile, oltre che per difetto d’interesse, per non
rispondenza al modello legale dell’impugnazione”» (sezioni unite, sentenza 14
dicembre 1998, n. 12541);
che in conclusione la questione sollevata dal
rimettente si risolve nella denuncia di un inconveniente di mero fatto che,
secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, non rileva ai fini del
controllo di legittimità costituzionale (sentenze n. 117 del
2012, n. 303
del 2011 e n.
329 del 2009; ordinanze n. 270 e n. 112 del 2013).
Visti gli articoli 26, comma 2,
della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, commi 1 e 2, delle norme integrative per
i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
LA
CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale
dell’articolo 59 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni
sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta
nell’articolo 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), promossa, in
riferimento all’art. 24 della Costituzione, dalla Commissione tributaria
regionale delle Marche, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede
della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il
19 giugno 2013.
F.to:
Franco GALLO, Presidente
Giancarlo CORAGGIO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere