Ordinanza n. 253 del 2012

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ORDINANZA N. 253

ANNO 2012

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Alfonso                         QUARANTA                                    Presidente

-           Franco                           GALLO                                                Giudice

-           Luigi                             MAZZELLA                                               "

-           Gaetano                        SILVESTRI                                                "

-           Sabino                           CASSESE                                                   "

-           Giuseppe                       TESAURO                                                  "

-           Paolo Maria                   NAPOLITANO                                          "

-           Giuseppe                       FRIGO                                                        "

-           Alessandro                    CRISCUOLO                                             "

-           Paolo                             GROSSI                                                      "

-           Giorgio                          LATTANZI                                                 "

-           Aldo                              CAROSI                                                      "

-           Marta                            CARTABIA                                                "

-           Sergio                            MATTARELLA                                          "

-           Mario Rosario               MORELLI                                                   "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 435, secondo comma, del codice di procedura civile, promossi dalla Corte d’appello di Roma, con ordinanze del 15 e del 29 febbraio 2012, iscritte ai nn. 92 e 93 del registro ordinanze 2012 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell’anno 2012.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 10 ottobre 2012 il Giudice relatore Mario Rosario Morelli.

Ritenuto che – nel corso di due procedimenti civili, in sede di impugnazione avverso altrettante sentenze di primo grado aventi ad oggetto rilascio di immobile per finita locazione – l’adita Corte d’appello di Roma, con due ordinanze di identico contenuto, ha sollevato, in riferimento all’articolo 111, secondo comma, Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 435, secondo comma, del codice di procedura civile, nella parte in cui, con riguardo alle controversie disciplinate dal rito del lavoro, stabilisce che «l’appellante nei dieci giorni successivi al deposito del decreto [di fissazione dell’udienza di discussione] provvede alla notifica del ricorso [introduttivo del gravame] e del decreto all’appellato»;

 

che – premesso che l’originario conduttore non aveva, in entrambi i giudizi, rispettato il suddetto termine di deposito, dal che la rilevanza della questione – ha puntualizzato, poi, la Corte rimettente, in ordine alla correlativa non manifesta sua infondatezza, che il dubbio di costituzionalità, in riferimento al parametro evocato, è riferito propriamente alla interpretazione della norma denunciata come consolidatasi nella giurisprudenza di legittimità e già recepita nella ordinanza n. 60 del 2010 di questa Corte. A tenore della quale, nel caso di notificazione eseguita tardivamente, in relazione al solo termine (di dieci giorni) per il deposito, come nella specie, la violazione resta sanata dal rispetto del termine c.d. a comparire, di cui al successivo terzo comma dello stesso articolo 435;

 

che sarebbe, appunto, un tale «diritto vivente», ad avviso del giudice a quo, a determinare, nel rito in esame, una irragionevole alterazione delle “condizioni di parità” tra le parti, garantite dall’art. 111 Cost., nella cornice del giusto processo;

che, infatti – stante l’iniziale «squilibrio» tra appellante ed appellato, che contrassegnerebbe l’introduzione del giudizio, rimessa all’iniziativa del primo, al quale unicamente è data diretta comunicazione della data dell’udienza – solo l’onere di una «tempestiva» notifica, a carico dell’appellante medesimo, sarebbe idonea a porre rimedio al “deficit informativo” della controparte;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, per il tramite della Avvocatura generale dello Stato, che preliminarmente ha eccepito l’inammissibilità della questione – sul rilievo della solo assertivamente presupposta posizione di privilegio del ricorrente nel rito del lavoro e delle non ben chiarite ragioni per cui la perentorietà del temine sub art. 435, secondo comma, cod. proc. civ. dovrebbe porvi rimedio – e ne ha dedotto, in subordine, la non fondatezza, in linea con il precedente di cui alla ordinanza n. 60 del 2010 di questa Corte.

Considerato che, le riferite eccezioni preliminari dell’Avvocatura attengono più propriamente al merito che alla ammissibilità della questione in esame;

che, per altro, neppure può addebitarsi al collegio a quo di aver chiesto un non consentito avallo ad una propria interpretazione in contrasto con l’esegesi della norma denunciata consolidatasi in termini di diritto vivente, poiché proprio tale diritto vivente il rimettente assume ad oggetto dei propri dubbi di costituzionalità, essendo in sua facoltà di uniformarvisi o meno (da ultimo, sentenze n. 117 del 2012 e n. 338 del 2011);

che la questione portata all’esame della Corte è dunque ammissibile, ed è adeguatamente, inoltre, motivata per il profilo della sua rilevanza;

che, nel merito, la stessa è, però, manifestamente infondata;

che, infatti – come già è dato a contrario desumere dalla richiamata ordinanza di questa Corte n. 60 del 2010, che ha dichiarato la manifesta infondatezza di questioni di costituzionalità del medesimo articolo 435, comma secondo, del codice di procedura civile proprio in quanto sollevate sull’opposta, ma errata, premessa del carattere perentorio del termine, ivi previsto, per la notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza – la predetta norma, nella interpretazione censurata dal collegio rimettente, lungi dal violare la parità delle parti, è finalizzata, invece, a realizzarla sul piano del reciproco diritto di azione e di difesa. Con il risultato di tutelare, all’un tempo, l’interesse dell’appellante – impedendo che la sola violazione del termine ordinatorio in questione determini l’improcedibilità del gravame – e quello dell’appellato, cui resta comunque garantito un termine a comparire sufficiente ad apprestare le proprie difese.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 435, secondo comma, del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento all’articolo 111, secondo comma, della Costituzione, dalla Corte d’appello di Roma con le ordinanze di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 novembre 2012.

F.to:

Alfonso QUARANTA, Presidente

Mario Rosario MORELLI, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 15 novembre 2012.