ORDINANZA N. 60
ANNO 2010
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 435, secondo comma, del codice di procedura civile promossi dalla Corte d’appello di Genova – sezione per le controversie in materia di lavoro, con sei ordinanze del 3 marzo 2009 iscritte ai nn. 139, da 157 a 160 e 180 del registro ordinanze 2009 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 20, 23 e 26, prima serie speciale, dell’anno 2009.
Visti gli atti di costituzione dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) e della Banca Carige s.p.a. nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 12 gennaio 2010 e nella camera di consiglio del 13 gennaio 2010 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro;
uditi gli avvocati Alessandro Riccio per l’INPS, Camillo Paroletti e Giampaolo Parodi per la Banca Carige s.p.a. e l’avvocato dello Stato Daniela Giacobbe per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto che la Corte d’appello di Genova – sezione per le controversie in materia di lavoro, nel corso di un procedimento, promosso dall’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) – avente ad oggetto la corresponsione di somme da parte del predetto Istituto in favore di un lavoratore a titolo di differenze pensionistiche, procedimento nel quale l’appellato aveva eccepito preliminarmente la improcedibilità del gravame per non essere stato rispettato il termine previsto dall’art. 435, secondo comma, del codice di procedura civile, per la notifica all’appellato del ricorso e del decreto di nomina del relatore e di fissazione dell’udienza di discussione – ha sollevato, con ordinanza del 3 marzo 2009 (reg. ord. n. 139 del 2009), questione di legittimità costituzionale del citato art. 435, secondo comma, cod. proc. civ., nella parte in cui fissa all’appellante un termine per provvedere a detta notifica, per contrasto con gli artt. 24 e 111 della Costituzione;
che i difensori dell’appellante hanno sollecitato la Corte d’appello a rimeditare l’orientamento giurisprudenziale inaugurato dalle Sezioni unite della Corte di cassazione con la sentenza n. 20604 del 30 luglio 2008, alla stregua del quale gli effetti del tempestivo deposito del ricorso e la tempestività dell’impugnazione non si stabilizzano, in mancanza di valida notifica all’appellato del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza di discussione nel termine imposto dalla legge;
che, in conseguenza, la Corte d’appello dovrebbe ritenere, sempre secondo i difensori dell’appellante, che alla violazione dell’art. 435, secondo comma, cod. proc. civ. non consegua la sanzione della decadenza e dell’improcedibilità del giudizio, non espressamente prevista dalla legge;
che il Collegio rimettente ritiene che il mancato rispetto del termine previsto dall’art. 435, secondo comma, cod. proc. civ. determini la preclusione della possibilità di potere validamente notificare il ricorso di impugnazione e il decreto di fissazione dell’udienza, con la conseguenza che il complesso atto unitario di introduzione del giudizio di impugnazione, caratterizzato da una fase iniziale di deposito del ricorso e da una successiva fase di instaurazione del contraddittorio, non si perfeziona, cosicché gli effetti prodromici e preliminari conseguenti alla edictio actionis non si stabilizzano in assenza di una valida vocatio in ius, e l’impugnazione, anche se valida e tempestiva al momento del deposito del ricorso, non si perfeziona, con la conseguenza dell’improcedibilità del giudizio di appello, pur se ritualmente instaurato;
che dalle considerazioni sopra esposte il giudice a quo fa derivare la rilevanza della questione prospettata, dal momento che l’accoglimento dell’eccezione dell’appellato determinerebbe una pronuncia di declaratoria dell’improcedibilità dell’appello;
che, quanto alla non manifesta infondatezza del dubbio di illegittimità costituzionale, il giudice a quo assume che la previsione del termine di dieci giorni per la notifica all’appellato del ricorso e del decreto di fissazione d’udienza non sia ragionevole e tale da giustificare, in caso di suo vano decorso, la preclusione che ne deriva e che non differisce da quella risultante dal decorso di un termine perentorio;
che la sola funzione concreta che può essere attribuita a quel termine è – secondo il collegio rimettente – quella di impedire che l’udienza di discussione possa essere fissata dal Presidente della Corte di appello in tempi così brevi da rendere perfino difficoltosa la notifica all’appellato, con la conseguenza che risulterebbe irragionevole gravare l’appellante di un onere di notifica in termini prestabiliti, non già per la loro brevità – che comunque è idonea a consentire di provvedere all’adempimento – bensì per la gravità delle conseguenze derivanti dal mancato rispetto del termine, comportanti la perdita del diritto all’azione, senza che ciò appaia in alcun modo giustificato da ragioni di equilibrio tra i poteri delle parti o di celerità del processo;
che, pertanto, l’art. 435, secondo comma, cod. proc. civ., nella parte in cui fissa all’appellante un termine per provvedere alla notifica del ricorso e del decreto, appare alla rimettente in contrasto con gli artt. 24 e 111 della Costituzione, poiché comporterebbe, quale sanzione della decorrenza del termine medesimo, «il pregiudizio del diritto alla difesa, come diritto ad agire in giudizio», senza che ricorrano motivi ragionevoli che possano giustificare tale effetto, così violando il diritto al giusto processo;
che nel giudizio innanzi alla Corte si è costituito l’INPS, che ha concluso per la inammissibilità della questione, attesa la possibilità di una esegesi della norma censurata diversa da quella scaturente dalla sentenza delle Sezioni unite della Cassazione sulla quale si è fondato il percorso argomentativo del rimettente, che scongiuri il pregiudizio al diritto di difesa dallo stesso lamentato;
che – rileva l’Istituto – la fattispecie al vaglio delle Sezioni unite verteva in una ipotesi in cui, depositata opposizione a decreto ingiuntivo per crediti di lavoro, l’opponente non aveva affatto provveduto alla notificazione del ricorso e del decreto, laddove, nel giudizio in corso, la notifica era stata effettuata sia pure con ritardo;
che la inosservanza del termine di cui alla norma censurata non inciderebbe sulla complessiva durata del processo, poiché il mero ritardo nella notificazione, purché effettuata nel rispetto del termine dilatorio di cui al terzo comma dello stesso art. 435, non escluderebbe che l’udienza fissata con il decreto presidenziale possa comunque essere deputata alla discussione della causa ed alla immediata decisione;
che non sarebbe esatto il presupposto dal quale muove il rimettente, secondo cui la inutile scadenza del termine previsto dal secondo comma dell’art. 435 cod. proc. civ., in difetto di proroga accordata prima della scadenza, potrebbe comportare comunque il venir meno del potere di compiere l’atto, trattandosi di affermazione compiuta dalle Sezioni unite della Corte di cassazione con riguardo alla fattispecie già descritta, in cui al mancato rispetto dei termini per la notifica del ricorso ha fatto seguito anche la sopravvenuta impossibilità di osservare i termini a comparire per la udienza di discussione, non essendo stati notificati l’atto di opposizione e il decreto di fissazione non solo nel rispetto del termine di cui all’art. 415, terzo comma, cod. proc. civ., ma neppure alla data della stessa udienza di discussione;
che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la inammissibilità o, comunque, per la infondatezza della questione;
che, sotto il primo profilo, rileva l’Autorità intervenuta che, nel giudizio a quo, la controparte si era regolarmente costituita nel giudizio e che il ricorso e il decreto di fissazione dell’udienza erano stati notificati a questa nel rispetto del termine di cui all’art. 435, terzo comma, cod. proc. civ, a differenza della fattispecie di cui alla decisione delle Sezioni unite, in cui era del tutto mancata la notifica e solo all’udienza di discussione il ricorrente aveva chiesto un termine per rinnovare la notificazione, con la conseguenza che la sanzione della decadenza sarebbe derivata non già dal mancato rispetto del termine ordinatorio per la notifica, ma dalla circostanza che quest’ultima non era avvenuta;
che, nel merito, secondo la interpretazione giurisprudenziale dell’art. 435, secondo comma, cod. proc. civ., la proposizione dell’appello si perfezionerebbe con il deposito del ricorso, mentre la notifica dello stesso, anche se nulla, non eliminerebbe gli effetti della litispendenza, con la conseguenza che la costituzione dell’appellato sanerebbe la irrituale notifica dell’atto di appello e del decreto per raggiungimento dello scopo (v. Cass., sent. n. 5699 del 2007), attesa la natura ordinatoria e non perentoria della notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza di discussione al convenuto;
che la medesima questione è stata sollevata nella stessa data, con ordinanza di contenuto sostanzialmente identico (reg. ord. n. 180 del 2009), dalla stessa Corte d’appello di Genova, nel corso di un procedimento di appello avente ad oggetto il riconoscimento del diritto agli aumenti di perequazione automatica;
che nel giudizio innanzi a questa Corte si è costituita la Banca CARIGE s.p.a., parte nel giudizio a quo;
che nell’atto di costituzione si rileva anzitutto la praticabilità di una interpretazione adeguatrice della norma censurata – anche sulla base dell’orientamento giurisprudenziale incontestato prima della sentenza n. 20604 del 2008, e in conformità al principio della ragionevole durata del processo – secondo la quale i termini fissati nell’art. 435, secondo comma, cod. proc. civ. devono ritenersi tra loro coordinati e nessuna variante dilatoria può derivare dal superamento del termine ordinatorio di cui alla stessa norma tutte le volte in cui sia rispettato il termine a difesa di cui all’art. 435, terzo comma, cod. proc. civ. e sia rimasta immutata la data della discussione non sussistendo la necessità di una nuova udienza;
che, in ogni caso, la parte costituita richiede alla Corte una interpretazione costituzionalmente orientata tale da escludere la sanzione della improcedibilità qualora la notifica dell’appello sia comunque avvenuta, quanto meno se perfezionata nel rispetto del termine di cui all’art. 435, terzo comma, cod. proc. civ.;
che, peraltro, nella interpretazione che della norma censurata ha fornito la Corte rimettente, la questione appare alla parte fondata, specialmente se applicata ai giudizi in corso alla data di pubblicazione della richiamata sentenza delle Sezioni unite, e ciò anche indipendentemente dalla brevità del termine di cui si tratta, avuto riguardo alla irreparabilità delle conseguenze che il mancato rispetto dello stesso comporta qualora la notificazione sia stata comunque eseguita nel rispetto del termine a comparire di cui al terzo comma dell’art. 435 cod. proc. civ;
che anche in tale giudizio ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, per il tramite dell’Avvocatura generale dello Stato, concludendo nei termini già riferiti;
che la medesima questione è stata sollevata, con identiche ordinanze, nel corso di quattro giudizi pendenti innanzi alla Corte d’appello di Genova – sezione per le controversie in materia di lavoro (reg. ord. nn. 157, 158, 159 e 160 del 2009);
che, nell’imminenza dell’udienza pubblica e della discussione in camera di consiglio, le parti dei giudizi di merito e il Presidente del consiglio dei ministri hanno depositato memorie, con le quali hanno illustrato le conclusioni in precedenza esposte.
Considerato che la Corte d’appello di Genova – sezione per le controversie in materia di lavoro, con sei distinte ma identiche ordinanze (reg. ord. nn. 139, 157, 158, 159, 160 e 180 del 2009), dubita della legittimità costituzionale dell’art. 435, secondo comma, cod. proc. civ., nella parte in cui impone all’appellante il termine di dieci giorni per provvedere alla notifica all’appellato del ricorso e del decreto di nomina del relatore e di fissazione dell’udienza di discussione, per violazione degli artt. 24 e 111 Cost., comportando, quale sanzione dell’inutile decorso del termine medesimo, l’improcedibilità dell’appello, con «il pregiudizio del diritto di difesa, come diritto di agire in giudizio», senza che ricorrano motivi ragionevoli che possano giustificare tale effetto, e così recando vulnus anche al diritto al giusto processo;
che i vari giudizi, comportando la soluzione della medesima questione, vanno riuniti, perché siano decisi con unica pronuncia;
che l’art. 435, secondo comma, cod. proc. civ. dispone che, nei procedimenti in materia di lavoro e di previdenza, l’appellante, nei dieci giorni successivi al deposito del decreto con il quale il Presidente della Corte d’appello, a norma del primo comma dello stesso art. 435, nomina il giudice relatore e fissa l’udienza di discussione dinanzi al collegio, provvede alla notifica del ricorso e del decreto all’appellato;
che l’art. 435, terzo comma, cod. proc. civ. stabilisce che tra la data di notificazione all’appellato e quella dell’udienza di discussione deve intercorrere un termine non minore di venticinque giorni;
che il giudice rimettente sospetta l’illegittimità costituzionale della norma denunciata, partendo dall’affermazione contenuta nella sentenza delle Sezioni unite della Corte di cassazione (sentenza n. 20604 del 2008), secondo cui l’inosservanza del termine di cui all’art. 435, secondo comma, cod. proc. civ. determina l’improcedibilità dell’appello, senza tenere presente che nella fattispecie esaminata dalle S.U. tale improcedibilità era stata affermata non già per la sola violazione dell’art. 435, secondo comma, ma per la inosservanza dell’art. 435, terzo comma, per non essere mai intervenuta la notifica ivi prevista;
che, nelle fattispecie in esame, invece, malgrado l’inosservanza del termine di cui all’art. 435, secondo comma, la notifica del ricorso e del decreto era intervenuta nel rispetto del termine di cui al successivo terzo comma, con la conseguente astratta possibilità dello svolgimento dell’udienza di discussione e della realizzazione del diritto di difesa dell’appellato;
che da tali rilievi discende la manifesta infondatezza della questione proposta per la evidente erroneità del presupposto interpretativo (ex plurimis: ordinanze n. 301 e n. 97 del 2009).
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
riuniti i giudizi;
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 435, secondo comma, cod. proc. civ., sollevata, in riferimento agli artt. 24 e 111 della Costituzione dalla Corte d’appello di Genova – sezione per le controversie in materia di lavoro, con le ordinanze in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 febbraio 2010.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Alfio FINOCCHIARO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 24 febbraio 2010.