ORDINANZA N. 301
ANNO 2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA “
- Alfio FINOCCHIARO “
- Alfonso QUARANTA “
- Franco GALLO “
- Luigi MAZZELLA “
- Gaetano SILVESTRI “
- Maria Rita SAULLE “
- Giuseppe TESAURO “
- Paolo Maria NAPOLITANO “
- Giuseppe FRIGO “
- Alessandro CRISCUOLO “
- Paolo GROSSI “
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 200 e 322-ter del codice penale, dell’art. 321, comma 2, del codice di procedura penale, nonché dell’art. 1, comma 143, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2008), promosso con ordinanza del 26 luglio 2008 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Napoli nel procedimento penale a carico di P.V., iscritta al n. 65 del registro ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10, prima serie speciale, dell’anno 2009.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 23 settembre 2009 il Giudice relatore Franco Gallo.
Ritenuto che con ordinanza del 26 luglio 2008, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Napoli ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 200 e 322-ter del codice penale, dell’art. 321, comma 2, del codice di procedura penale, nonché dell’art. 1, comma 143, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2008), «nella parte in cui consentono la confisca obbligatoria e, correlativamente, il sequestro preventivo, per un valore corrispondente a quello del profitto, per reati tributari commessi precedentemente alla entrata in vigore della legge n. 244 del 2007»;
che, secondo quanto premesso dal rimettente: a) nel corso di un procedimento penale instaurato nei confronti di un soggetto imputato di aver omesso, per gli anni 2004, 2005 e 2006, la presentazione delle dichiarazioni annuali relative alle imposte sui redditi e sul valore aggiunto, al fine di evadere le suddette imposte (artt. 81, comma 2, del codice penale e 5 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74), il pubblico ministero aveva richiesto il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca, di tutte le disponibilità finanziarie o di beni immobili dell’imputato, «con sottoposizione a vincolo reale equivalente» di essi; b) tale richiesta si fondava sull’art. 1, comma 143, della legge n. 244 del 2007, per il quale, nelle ipotesi di reati tributari «di cui agli articoli 2, 3, 4, 5, 8, 10-bis, 10-ter, 10-quater e 11 del decreto legislativo 10 marzo 2000 n. 74, si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni di cui all’art. 322-ter del codice penale»; c) in forza del citato comma 143, la confisca per equivalente − e la possibilità di disporre il sequestro preventivo per equivalente, ai sensi dell’art. 321, comma 2, cod. proc. pen., ad essa funzionale − era stata estesa a (quasi) tutti i reati tributari e si applicava anche ai reati commessi precedentemente all’entrata in vigore del medesimo comma (1° gennaio 2008); d) tale retroattività di effetti scaturiva dal principio − affermato dalla Corte di cassazione costantemente, al punto da potersi assumere quale diritto vivente − che l’irretroattività della legge penale, sancita dall’art. 25, secondo comma, Cost. e dall’art. 2 cod. pen., è operante esclusivamente nei riguardi delle norme penali incriminatrici e non anche delle misure di sicurezza, come la confisca, con la conseguenza che quest’ultima «può essere disposta anche in riferimento a reati commessi nel tempo in cui non era legislativamente prevista ovvero era diversamente disciplinata quanto a tipo, qualità e durata»; e) solo con riguardo a reati non tributari, l’art. 15 della legge 29 settembre 2000, n. 300, nel disciplinare la misura della “confisca per equivalente”, stabilisce che «le disposizioni di cui all’articolo 322-ter del codice penale, introdotto dal comma 1 dell’articolo 3 della presente legge, non si applicano ai reati ivi previsti, nonché a quelli indicati nel comma 2 del medesimo articolo 3, commessi anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge»,
che, in ragione di tali premesse, il rimettente ritiene che la domanda di cautela reale avanzata dal pubblico ministero dovrebbe essere accolta, perché la somma di denaro ed i beni in essa indicati, rappresentando l’equivalente del profitto conseguito dall’indagato per il reato tributario contestato, dovrebbero essere confiscati, a nulla rilevando in contrario che la confisca per equivalente non fosse prevista al tempo della commissione del reato;
che tuttavia, per lo stesso rimettente, proprio l’applicazione retroattiva della confisca per equivalente per i reati tributari si pone in contrasto con gli evocati parametri;
che la violazione dell’art. 3 Cost. deriverebbe, secondo il giudice a quo, dalla ingiustificata diversità, a seconda che vengano in rilievo reati tributari o non tributari, dei limiti temporali previsti dalla legge per l’applicazione degli istituti della “confisca per equivalente” e del sequestro preventivo ad essa strumentale;
che infatti, ad avviso del rimettente, mentre le norme denunciate consentono l’applicazione dei suddetti istituti con riguardo ai menzionati reati tributari, anche se commessi anteriormente alla data di entrata in vigore della legge n. 244 del 2007, tale efficacia retroattiva è esclusa dal citato art. 15 della legge n. 300 del 2000, con riguardo ai reati non tributari indicati nel medesimo articolo;
che la violazione del primo comma dell’art. 117 Cost. – secondo cui il legislatore deve rispettare i vincoli derivanti dagli obblighi internazionali – deriverebbe, invece, dal contrasto con l’art. 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, nella parte in cui prevede che «Non può essere inflitta una pena piú grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso»;
che, in proposito, il giudice rimettente – nel richiamare la giurisprudenza della Corte di cassazione, secondo cui la confisca per equivalente costituisce «una forma di prelievo pubblico a compensazione di prelievi illeciti» di carattere «eminentemente sanzionatorio» e, pertanto, una “pena”, «secondo la nozione che ne fornisce la Corte europea dei diritti dell’uomo» – osserva che l’applicazione retroattiva della confisca per equivalente e del prodromico sequestro comporta, di fatto, l’inflizione di una “pena” per reati per i quali, al momento della loro commissione, tale misura non era prevista;
che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata inammissibile o comunque infondata, per l’erroneità del presupposto interpretativo da cui muove il rimettente;
che la difesa erariale rammenta che l’art. 322-ter cod. pen. − il quale prevede, appunto, la “confisca per equivalente” − è stato inserito nell’ordinamento dall’art. 3 della legge n. 300 del 2000, il cui art. 15 esclude l’applicazione retroattiva dell’istituto con riguardo a reati non tributari;
che, per l’Avvocatura dello Stato, il citato art. 15 della legge n. 300 del 2000 è espressivo − come chiarito dalla giurisprudenza della Corte di legittimità − del principio generale secondo cui è impossibile applicare la suddetta confisca a reati per i quali, al momento della loro commissione, detta misura non era prevista;
che da ciò discende − sempre secondo la difesa erariale – che, contrariamente a quanto affermato dal giudice a quo, la confisca per equivalente si applica solo a quei reati tributari «commessi nella vigenza della legge n. 244 del 2007».
Considerato che il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Napoli dubita, in riferimento al primo comma dell’art. 3 ed al primo comma dell’art. 117 della Costituzione, della legittimità degli artt. 200, 322-ter del codice penale, 321, comma 2, del codice di procedura penale ed 1, comma 143, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2008), «nella parte in cui consentono la confisca obbligatoria − e, correlativamente, il sequestro preventivo − per un valore corrispondente a quello del profitto, per i reati tributari commessi precedentemente alla entrata in vigore della legge n. 244/2007»;
che, secondo il rimettente, tali disposizioni víolano: a) l’art. 3, primo comma, Cost., sotto il profilo della irragionevole disparità di trattamento, perché, mentre l’art. 15 della legge 29 settembre 2000, n. 300, esclude espressamente l’applicabilità della “confisca per equivalente” del profitto ai reati non tributari indicati nel medesimo testo di legge, che siano stati commessi anteriormente alla sua entrata in vigore; invece, per i reati tributari indicati dalla legge n. 244 del 2007, l’applicazione retroattiva della medesima “confisca per equivalente” del profitto, da qualificarsi come una misura di sicurezza, consegue alla «giurisprudenza costante della Corte di cassazione, costituente ormai diritto vivente», in tema di applicabilità retroattiva delle misure di sicurezza; b) l’art. 117, primo comma, Cost., per contrasto con l’art. 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, il quale, nel prevedere che non possa essere inflitta una pena piú grave di quella applicabile al momento in cui il reato è commesso, vieta − secondo l’interpretazione della Corte europea dei diritti dell’uomo − l’applicazione retroattiva anche della “confisca per equivalente”, quale misura di sicurezza dal carattere eminentemente sanzionatorio e, dunque, di pena;
che il giudice a quo muove dal presupposto interpretativo che la confisca in questione − ed il sequestro preventivo per equivalente disposto ai sensi dell’art. 321, comma 2, cod. proc. pen., ad essa funzionale − possa essere applicata, in via retroattiva, anche ai reati tributari indicati dalla legge n. 244 del 2007 commessi nel tempo in cui tale istituto non era legislativamente previsto oppure risultava diversamente disciplinato quanto a tipo, qualità e durata;
che tale interpretazione è erronea perché, come già rilevato da questa Corte (ordinanza n. 97 del 2009) e contrariamente a quanto affermato dal rimettente, «l’art. 1, comma 143, della legge n. 244 del 2007 − con il quale la disciplina della confisca “per equivalente” di cui all'art. 322-ter cod. pen. è stata estesa ai reati tributari di cui agli artt. 2, 3, 4, 5, 8, 10-bis, 10-ter e 11 del d.lgs. n. 74 del 2000 − non opera retroattivamente»;
che, infatti, la confisca per equivalente − in ragione della mancanza di pericolosità dei beni che ne costituiscono oggetto, unitamente all’assenza di un “rapporto di pertinenzialità” (inteso come nesso diretto, attuale e strumentale) tra il reato ed i beni − palesa una connotazione prevalentemente afflittiva ed ha, dunque, una natura «eminentemente sanzionatoria», tale da impedire l’applicabilità a tale misura patrimoniale del principio generale della retroattività delle misure di sicurezza, sancito dall’art. 200 cod. pen.;
che − come osservato da questa Corte nella richiamata ordinanza − «a tale conclusione si giunge sulla base della duplice considerazione che il secondo comma dell'art. 25 Cost. vieta l’applicazione retroattiva di una sanzione penale, come deve qualificarsi la confisca per equivalente, e che la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo ha ritenuto in contrasto con i princípi sanciti dall'art. 7 della Convenzione l'applicazione retroattiva di una confisca di beni riconducibile proprio ad un’ipotesi di confisca per equivalente (Corte europea dei diritti dell'uomo, sentenza n. 307A/1995, Welch v. Regno Unito)»;
che, proprio per tali ragioni, non è applicabile alla fattispecie la giurisprudenza di legittimità richiamata dal rimettente, la quale riguarda solo la diversa ipotesi di misure di sicurezza prive dell’evidenziato carattere di afflittività peculiare della confisca per equivalente (ex multis, Cassazione penale, sentenze n. 39173, n. 39172 e n. 21566 del 2008);
che da tali rilievi discende la manifesta infondatezza della questione, per erroneità del presupposto interpretativo.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, commi 1 e 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 200 e 322-ter del codice penale, dell’art. 321, comma 2, del codice di procedura penale, nonché dell’art. 1, comma 143, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2008), sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Napoli con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Cosí deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 novembre 2009.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Franco GALLO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 20 novembre 2009.