ORDINANZA N. 102
ANNO 2012
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alfonso QUARANTA Presidente
- Franco GALLO Giudice
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
- Aldo CAROSI "
- Marta CARTABIA "
- Sergio MATTARELLA "
- Mario Rosario MORELLI "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 6, commi 4 e 5, lettera b), e 14, comma 3, lettera b), della legge della Regione Marche 17 giugno 2008, n. 14 (Norme per l’edilizia sostenibile), promosso dal Tribunale amministrativo regionale per le Marche nel procedimento vertente tra la Federazione regionale degli ingegneri delle Marche ed altri e la Regione Marche con ordinanza dell’11 febbraio 2011, iscritta al n. 170 del registro ordinanze 2011 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell’anno 2011.
Visti gli atti di costituzione del Consiglio nazionale degli ingegneri e della Regione Marche;
udito nell’udienza pubblica del 20 marzo 2012 il Giudice relatore Paolo Grossi;
uditi gli avvocati Giovanni Pellegrino per il Consiglio nazionale degli ingegneri e Stefano Grassi per la Regione Marche.
Ritenuto che – nel corso di un giudizio promosso dalla Federazione regionale degli ingegneri delle Marche e dagli Ordini degli ingegneri delle relative Province per l’annullamento della delibera della Giunta regionale delle Marche del 18 ottobre 2010, n. 1494 (Art. 14 comma 3 lett. b della L.R. 14/2008 - Norme per l’edilizia sostenibile - Sistema e procedure per la certificazione energetica e ambientale degli edifici di cui all’art. 6 comma 5 - Sostituzione D.G.R. 1141/2009), il Tribunale amministrativo regionale per le Marche, con ordinanza emessa l’11 febbraio 2011, ha sollevato, in riferimento all’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli articoli 6, commi 4 e 5, lettera b), e 14, comma 3, lettera b), della legge della Regione Marche 17 giugno 2008, n. 14 (Norme per l’edilizia sostenibile), «nella parte in cui, istituendo un sistema regionale di accreditamento per l’abilitazione al rilascio delle certificazioni di sostenibilità energetico-ambientale, crea, nella sostanza, una nuova figura professionale non prevista dai principi fondamentali stabiliti dallo Stato»;
che, preliminarmente, il giudice a quo – rigettata una eccezione di tardività del ricorso «perlomeno limitatamente ai motivi attraverso cui si contesta la legittimità costituzionale» dei menzionati articoli, «che costituiscono il presupposto giuridico del provvedimento impugnato e che lo vizierebbero per illegittimità derivata qualora l’eccezione di incostituzionalità dovesse risultare fondata» e ritenute inammissibili le censure volte a contestare la legittimità per vizi propri della delibera impugnata, in assenza «di un concreto interesse ad agire poiché, in caso di loro fondatezza, riprenderebbe vigore il sistema di accreditamento precedente di cui alla delibera di GR n. 1141/2009 contenente, peraltro, requisiti di accreditamento più gravosi e quindi penalizzanti per i professionisti rappresentati dagli ordini qui ricorrenti» – «esclude l’esigenza di disporre l’invocata misura cautelare di sospensione del provvedimento impugnato»;
che per il Tar, «sotto il profilo del merito», «assume invece rilevanza la dedotta questione di incostituzionalità delle norme poste a fondamento del provvedimento impugnato»;
che infatti il rimettente rileva che la previsione dei censurati commi 4 e 5, lettera b), dell’art. 6 – secondo cui il certificato volontario di sostenibilità energetico-ambientale degli edifici (che ricomprende in sé la certificazione energetica obbligatoria di cui al decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, recante «Attuazione della direttiva 2002/91/CE relativa al rendimento energetico nell’edilizia») è rilasciato da un professionista accreditato, demandando alla Giunta regionale la definizione del sistema di accreditamento dei soggetti abilitati al rilascio – comporta che l’iscrizione nel predetto sistema di accreditamento costituisce la condizione necessaria per ottenere l’abilitazione, senza la quale nessun professionista, iscritto negli attuali albi professionali, potrebbe rilasciare la certificazione in esame;
che però, in tal modo, la creazione di una nuova figura professionale (definibile certificatore energetico-ambientale), distinta, per requisiti abilitanti, dalle tradizionali figure professionali che operano in materia edilizia (ingegneri, architetti, geometri, periti industriali, ecc.) e non prevista dalla legislazione statale vigente in materia di professioni tecniche, lede l’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, trattandosi di materia («professioni») soggetta a legislazione concorrente, rispetto alla quale (come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza costituzionale) è riservata allo Stato l’individuazione di nuove figure professionali e la disciplina dei relativi profili e titoli abilitanti, nonché l’istituzione di un registro professionale e la previsione delle condizioni per l’iscrizione ad esso, prescindendosi dalla circostanza che tale iscrizione si caratterizzi o meno per essere necessaria ai fini dello svolgimento delle attività cui l’elenco fa riferimento;
che si è costituito il Presidente della Giunta della Regione Marche (resistente nel giudizio a quo), il quale – sottolineato in fatto che nel giudizio a quo erano state sollevate numerose censure di illegittimità della delibera ivi impugnata per contrasto con il quadro normativo nazionale vigente e con lo stesso art. 117, terzo comma, Cost. e che l’ordinanza di rimessione è stata emessa in sede di trattazione della domanda cautelare di sospensione dell’efficacia della delibera medesima (rigettata dal rimettente) – conclude per la declaratoria di inammissibilità o, comunque, di non fondatezza della sollevata questione;
che quanto ai profili di inammissibilità, il resistente ne deduce il difetto assoluto di rilevanza in ragione del fatto che il Tar: a) trovandosi a giudicare in sede cautelare sulla sola istanza di sospensione della delibera impugnata dai ricorrenti, si è già espressamente pronunciato nel senso del rigetto della medesima, con ciò esaurendo la propria potestas iudicandi (tant’è che l’ordinanza di rimessione è stata impugnata in parte qua davanti al Consiglio di Stato che l’ha riformata, ordinando la fissazione dell’udienza di merito davanti al Tribunale di primo grado); b) ha ritenuto «l’assenza di un concreto interesse ad agire» dei ricorrenti «per vizi propri» del provvedimento impugnato (perché riprenderebbe vigore la precedente delibera, non impugnata e più sfavorevole), ma non ha fornito alcuna argomentazione circa l’asserita sussistenza dell’interesse al ricorso limitatamente ai motivi di censura prospettati dai ricorrenti in via subordinata e concernenti l’illegittimità derivata del provvedimento impugnato per l’incostituzionalità delle norme di legge che ne avrebbero costituito il fondamento; c) ha omesso qualsiasi descrizione (seppure sommaria) delle disposizioni e dei contenuti della delibera impugnata e dei motivi di impugnazione prospettati nel ricorso, così da impedire la verifica della pregiudizialità del giudizio di costituzionalità rispetto al giudizio di invalidità della delibera; d) non ha tentato di dare alle disposizioni censurate una interpretazione costituzionalmente conforme, limitandosi ad affermare apoditticamente che la legge regionale de qua avrebbe creato una nuova figura professionale così violando l’evocato parametro costituzionale;
che, peraltro, secondo la difesa regionale (che ribadisce le proprie argomentazioni in una memoria di udienza), dal tenore testuale delle disposizioni censurate è agevole escludere che il legislatore regionale abbia “imposto” (o anche solo “consentito”) alla Giunta di “creare” una nuova figura professionale distinta da quelle già contemplate dalla legislazione statale o di istituire un registro atto a svolgere una funzione individuatrice della suddetta professione; laddove è la stessa legislazione nazionale vigente in tema di certificazione energetica obbligatoria (che è ricompresa nella certificazione di sostenibilità energetico-ambientale disciplinata dalla legge regionale) che (all’art. 18 del decreto legislativo 30 maggio 2008, n. 115, recante «Attuazione della direttiva 2006/32/CE relativa all’efficienza degli usi finali dell’energia e i servizi energetici e abrogazione della direttiva 93/76/CEE», ed al relativo allegato III) riconosce in termini espliciti il potere delle Regioni di individuare ed abilitare – scegliendo tra diverse opzioni e modalità – soggetti certificatori ulteriori rispetto a quelli già individuati a livello nazionale;
che si è, altresì, costituito il Consiglio nazionale degli ingegneri, in persona del Presidente pro tempore (intervenuto nel giudizio principale, ad adiuvandum le ragioni dei ricorrenti), il quale richiama il contenuto della delibera della Giunta regionale impugnata – dove si prevede che, per svolgere l’attività di certificazione energetico-ambientale, gli ingegneri (contrariamente a quanto previsto, per la certificazione energetica di cui al decreto legislativo n. 192 del 2005, dall’allegato III al decreto legislativo n. 115 del 2008) sono obbligati a frequentare appositi corsi di formazione con esami finali, previsti anche per mantenere l’accreditamento – concordando con il rimettente sul fatto che, così operando la Giunta regionale, con un atto amministrativo e sulla base delle norme censurate ha sostanzialmente individuato una nuova figura professionale in relazione al rilascio della certificazione de qua, stabilendo specifici e nuovi requisiti abilitanti;
che la parte (rilevato che il Consiglio di Stato, sezione V, con ordinanza del 1° giugno 2011, n. 2336, ha riformato la pronuncia del rimettente di rigetto dell’istanza di sospensione della delibera impugnata), conclude per l’accoglimento della questione, ritenendo del tutto condivisibili le argomentazioni svolte nell’ordinanza di rimessione, precisando (a sostegno dell’affermazione della invasione della competenza statale in materia) che ad oggi il legislatore statale non ha ancora definito i requisiti e i criteri di accreditamento per assicurare la qualificazione e l’indicazione degli esperti o degli organismi cui affidare la certificazione energetica degli edifici, di cui al citato decreto legislativo n. 192 del 2005.
Considerato che il Tribunale amministrativo regionale per le Marche ha censurato, in riferimento all’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, gli articoli 6, commi 4 e 5, lettera b), e 14, comma 3, lettera b), della legge della Regione Marche 17 giugno 2008, n. 14 (Norme per l’edilizia sostenibile), «nella parte in cui, istituendo un sistema regionale di accreditamento per l’abilitazione al rilascio delle certificazioni di sostenibilità energetico-ambientale, crea, nella sostanza, una nuova figura professionale non prevista dai principi fondamentali stabiliti dallo Stato»;
che, preliminarmente, la Regione Marche – rilevato che nel giudizio a quo sono state sollevate dai ricorrenti numerosi motivi di illegittimità della delibera di Giunta ivi impugnata e che l’ordinanza di rimessione è stata emessa in sede di trattazione della domanda cautelare di sospensione dell’efficacia della delibera medesima (peraltro rigettata dal rimettente) – ha eccepito l’inammissibilità della questione per difetto assoluto di rilevanza in riferimento a diversi profili, riassumibili: a) nell’esaurimento della potestas iudicandi del rimettente in sede cautelare; b) nel difetto di motivazione in ordine alla sussistenza dell’interesse al ricorso (negato con riferimento ai vizi propri del provvedimento impugnato) limitatamente ai motivi di censura prospettati dai ricorrenti in via subordinata e concernenti l’illegittimità derivata della delibera per l’incostituzionalità delle norme di legge che ne avrebbero costituito il fondamento; c) nell’omessa descrizione delle disposizioni e dei contenuti della delibera impugnata e dei motivi di impugnazione prospettati nel ricorso; d) nel mancato tentativo di dare alle disposizioni censurate una interpretazione costituzionalmente conforme;
che la prima eccezione non è fondata giacché, dalla pur sintetica motivazione dell’ordinanza di rimessione, si evince che il dubbio di costituzionalità delle norme de quibus non viene sollevato per decidere l’istanza cautelare di sospensione del provvedimento impugnato, bensì (dopo il rigetto di tale istanza) al fine di dare soluzione al giudizio «sotto il profilo del merito» e di accertare la validità o meno del provvedimento medesimo per vizi derivati dalla eventuale illegittimità costituzionale delle norme della legge regionale oggetto di censura;
che, dunque, con la decisione sull’istanza cautelare, non può dirsi esaurita la potestas iudicandi del rimettente, in quanto – secondo la non implausibile prospettazione sul punto – il dubbio di costituzionalità è posto per la definizione del merito del giudizio, di cui il rimettente è comunque investito;
che, viceversa, quanto alla seconda eccezione mossa dalla difesa della Regione, dal contesto motivazionale emerge che il rimettente – dopo avere esplicitamente affermato «l’assenza di un concreto interesse ad agire» dei ricorrenti rispetto alla impugnazione in via principale del provvedimento in contestazione «per vizi propri» (poiché, a suo dire, per effetto dell’eventuale fondatezza delle censure mosse a tale provvedimento «riprenderebbe vigore il sistema di accreditamento precedente di cui alla delibera di GR n. 1141/2009 contenente, peraltro, requisiti di accreditamento più gravosi e quindi penalizzanti per i professionisti rappresentati dagli ordini qui ricorrenti»), e dopo avere appunto fondato, sulla base di tale assunto, la decisione di rigetto della misura cautelare – si limita a ritenere in maniera del tutto apodittica che «sotto il profilo del merito assume invece rilevanza la dedotta questione di incostituzionalità delle norme poste a fondamento del provvedimento impugnato»;
che la completa carenza di motivazione a sostegno di tale assunto – cui si accompagna la mancata indicazione degli specifici motivi di impugnazione della delibera in oggetto proposti dai ricorrenti (in via principale ed in via subordinata) nel giudizio principale – non lascia comprendere perché il dichiarato difetto di interesse ad agire dei ricorrenti valga per i soli «vizi propri» dell’atto impugnato e non già anche per i «vizi derivati», scaturenti dall’eventuale illegittimità costituzionale delle norme legislative su cui il provvedimento risulti fondato;
che, di conseguenza, è parimenti fondata anche l’altra eccezione della Regione, che contesta l’omessa indicazione, neppure sommaria (non tanto delle disposizioni e dei contenuti della delibera impugnata, conoscibili attraverso i normali strumenti di pubblicità legale, quanto piuttosto) dei motivi di impugnazione prospettati nel ricorso;
che ciò determina un ulteriore vizio di carenza della necessaria motivazione a sostegno della pregiudizialità del sollevato incidente di costituzionalità rispetto al giudizio principale, giacché la completa assenza di descrizione della (pur articolata) causa petendi, posta a fondamento dell’impugnazione della delibera de qua davanti al giudice amministrativo, si oppone alla possibilità per questa Corte di valutare la effettiva configurabilità della asserita rilevanza della questione (soprattutto in ragione del diverso approccio, non altrimenti spiegato, dato dal rimettente alla sussistenza dell’interesse ad agire: esclusa, da un lato, rispetto ai vizi propri dell’atto ed affermata, dall’altro lato, rispetto ai vizi derivati);
che altrettanto evidente si appalesa l’ulteriore eccepito profilo di inammissibilità, conseguente al mancato esperimento da parte del collegio del doveroso tentativo di attribuire alle norme una interpretazione conforme a Costituzione (ordinanze n. 212, n. 103 e n. 101 del 2011), essendosi il Tar limitato ad affermare che le norme legislative censurate costituiscono il «presupposto giuridico» formale della delibera di Giunta, senza tuttavia individuare e definire il rapporto di dipendenza (vincolata o anche meramente facoltizzante) e di derivazione dei contenuti normativi dell’atto impugnato dai precetti di legge;
che infatti il rimettente, senza altro spiegare – muovendo dalla assertiva premessa secondo la quale «l’iscrizione nel […] sistema di accreditamento, nel rispetto dei requisiti e delle modalità definiti dalla giunta regionale, costituisce […] la condizione necessaria per ottenere l’abilitazione, senza la quale nessun professionista, iscritto negli attuali albi professionali, potrebbe rilasciare la certificazione di sostenibilità energetico-ambientale di cui al citato art. 6 della L.r. n. 14/2008» –, perviene alla conclusione che proprio la legge regionale censurata avrebbe provveduto a “creare”, nella sostanza, «una nuova figura professionale (definibile certifìcatore energetico-ambientale) distinta, per requisiti abilitanti, dalle tradizionali figure professionali che operano in materia edilizia (ingegneri, architetti, geometri, periti industriali, ecc.)»;
che, tuttavia, argomentando in questo modo il Tar, da un lato, si sottrae alla doverosa sperimentazione della possibilità (anche alla luce di quanto disposto dall’art. 18, comma 6, del decreto legislativo 30 maggio 2008, n. 115, recante «Attuazione della direttiva 2006/32/CE relativa all’efficienza degli usi finali dell’energia e i servizi energetici e abrogazione della direttiva 93/76/CEE», e dal relativo allegato III) di dare alla disciplina legislativa de qua un significato diverso, tale da renderla compatibile con l’evocato parametro costituzionale, quanto meno nei termini di una possibile “neutralità” della previsione di legge rispetto alla concreta attuazione dei relativi precetti operata dalla Giunta regionale; e, dall’altro lato, sembra non distinguere il piano della produzione legislativa (soggetto al vaglio di costituzionalità) da quello della attuazione amministrativa (oggetto di impugnazione in sede giurisdizionale);
che, pertanto, la sollevata questione è manifestamente inammissibile.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli articoli 6, commi 4 e 5, lettera b), e 14, comma 3, lettera b), della legge della Regione Marche 17 giugno 2008, n. 14 (Norme per l’edilizia sostenibile), sollevata, in riferimento all’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per le Marche, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 aprile 2012.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Paolo GROSSI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 20 aprile 2012.