SENTENZA N. 34
ANNO 2012
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alfonso QUARANTA Presidente
- Franco GALLO Giudice
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della Regione Calabria 7 marzo 2011, n. 7 (Istituzione dell’Agenzia regionale per i beni confiscati alle organizzazioni criminali in Calabria), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso spedito per la notifica il 13 maggio 2011, depositato in cancelleria il 17 maggio 2011 ed iscritto al n. 47 del registro ricorsi 2011.
Udito nell’udienza pubblica del 24 gennaio 2012 il Giudice relatore Giuseppe Frigo;
udito l’avvocato dello Stato Giacomo Aiello per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato a mezzo del servizio postale il 13 maggio 2011 e depositato il successivo 17 maggio, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettere g), h) e l), della Costituzione, questione di legittimità costituzionale in via principale della legge della Regione Calabria 7 marzo 2011, n. 7 (Istituzione dell’Agenzia regionale per i beni confiscati alle organizzazioni criminali in Calabria), e in particolare dell’art. 3, comma 1, lettere b), c), f) e h) con cui sono definiti i compiti di detta Agenzia.
1.1.– Ad avviso del ricorrente con le norme censurate sarebbe stata invasa la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali, ordine pubblico e sicurezza, giurisdizione, norme processuali e ordinamento penale (art. 117, secondo comma, lettere g, h e l, Cost.), introducendo – sulle modalità di amministrazione e utilizzazione dei beni confiscati alle organizzazioni criminali in Calabria – una disciplina incompatibile con la vigente normativa statale in materia.
Più specificamente, l’art. 3, comma 1, lettera b), della legge regionale, nel prevedere che l’Agenzia regionale «sottopone le indicazioni per il riutilizzo dei beni confiscati in Calabria all’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, con cui sottoscrive appositi protocolli d’intesa, richiedendone eventualmente l’assegnazione», si porrebbe in contrasto con quanto stabilito dalla legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso, anche straniere). L’art. 2-undecies, secondo comma, lettera b), di tale legge prevede, infatti, che i beni immobili confiscati alla criminalità organizzata all’esito dei procedimenti di prevenzione vengano «trasferiti per finalità istituzionali o sociali, in via prioritaria al patrimonio del comune ove l’immobile è sito, ovvero al patrimonio della provincia o della regione», escludendo, così, la possibilità di una loro assegnazione diretta all’Agenzia regionale, consentita invece dalla norma censurata.
Parimenti in contrasto con la norma statale citata sarebbe la lettera c) dell’art. 3, comma 1, della legge regionale impugnata, secondo cui l’Agenzia regionale «amministra i beni eventualmente assegnati alla Regione Calabria assicurandone il riutilizzo per fini di utilità pubblica e sociale anche attraverso appositi bandi o concorsi di idee». L’art. 2-undecies, secondo comma, lettera b), della legge n. 575 del 1965 stabilisce, infatti, che i beni immobili confiscati in esito ai procedimenti di prevenzione possono essere, alternativamente, amministrati in via diretta dagli enti territoriali, ovvero assegnati in concessione a titolo gratuito, sulla base di apposita convenzione, ai soggetti ivi indicati (comunità, anche giovanili, enti, associazioni maggiormente rappresentative degli enti locali, associazioni di volontariato e via dicendo); con la precisazione che, in caso di assegnazione, gli enti territoriali debbono rispettare i «principi di trasparenza, adeguata pubblicità e parità di trattamento» e prevedere, nell’apposita convenzione, «la durata, l’uso del bene, le modalità di controllo sulla sua utilizzazione, le cause di risoluzione del rapporto e le modalità del rinnovo».
La successiva lettera f) dell’art. 3, comma 1, della legge regionale, nel demandare all’Agenzia regionale la vigilanza «sul corretto utilizzo dei beni confiscati da parte degli assegnatari e sull’effettiva corrispondenza tra la destinazione dei beni ed il loro utilizzo», confliggerebbe, a sua volta, con l’art. 3, comma 4, lettere f) e g), del decreto-legge 4 febbraio 2010, n. 4 (Istituzione dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata), convertito, con modificazioni, dalla legge 31 maggio 2010, n. 50, che assegna i predetti compiti di vigilanza all’Agenzia nazionale.
Infine, la lettera h) dell’art. 3, comma 1, della legge reg. Calabria n. 7 del 2011, nello stabilire che l’Agenzia regionale «collabora con gli appositi organismi istituzionali per prevenire il deterioramento dei beni tra la fase di sequestro e quella di confisca», colliderebbe con l’art. 1, comma 3, del citato decreto-legge n. 4 del 2010, che individua, del pari, nella sola Agenzia nazionale il soggetto deputato a collaborare con l’autorità giudiziaria nella gestione dei beni sequestrati, fino alla confisca.
1.2.‒ Con successiva memoria, il Presidente del Consiglio dei ministri ha ribadito le argomentazioni svolte nel ricorso introduttivo, insistendo per l’invocata declaratoria di illegittimità costituzionale.
2.‒ La Regione Calabria non si è costituita in giudizio.
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questione di legittimità costituzionale in via principale della legge della Regione Calabria 7 marzo 2011, n. 7 (Istituzione dell’Agenzia regionale per i beni confiscati alle organizzazioni criminali in Calabria), e in particolare dell’art. 3, comma 1, lettere b), c), f) e h), deducendo la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettere g), h) e l), della Costituzione.
Ad avviso del ricorrente, la legge impugnata – nell’istituire l’«Agenzia regionale della Calabria per i beni confiscati alle organizzazioni criminali» e nel prevedere, tra le altre funzioni, che essa possa richiedere l’assegnazione dei beni confiscati in Calabria (art. 3, lettera b); amministri i beni eventualmente assegnati alla Regione Calabria (art. 3, lettera c); vigili «sul corretto utilizzo dei beni confiscati da parte dei soggetti assegnatari e sull’effettiva corrispondenza tra la destinazione dei beni e il loro utilizzo» (art. 3, lettera f); e che collabori «con gli appositi organismi istituzionali per prevenire il deterioramento dei beni tra la fase di sequestro e quella di confisca» (art. 3, lettera h) – invaderebbe l’ambito della competenza legislativa esclusiva statale nelle materie afferenti all’ordinamento e all’organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali, all’ordine pubblico e sicurezza, alla giurisdizione, alle norme processuali e all’ordinamento penale.
Le norme impugnate interverrebbero, infatti, sulla disciplina delle modalità di amministrazione e utilizzazione dei beni confiscati alle organizzazioni criminali in Calabria, recando previsioni incompatibili con quelle contenute nella legislazione statale in materia e, in particolare, nell’art. 2-undecies, secondo comma, lettera b), della legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso, anche straniere) e nell’art. 3, comma 4, lettere f) e g), del decreto-legge 4 febbraio 2010, n. 4 (Istituzione dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata), convertito con modificazioni dalla legge 31 maggio 2010, n. 50.
2.– In via preliminare, va rilevato che, successivamente alla proposizione del ricorso, le disposizioni statali in esso evocate sono confluite nel decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136), e, precisamente, nell’art. 48, comma 3, lettera c), e nell’art. 112, lettere g) e h), con contenuto, peraltro, sostanzialmente inalterato.
3.– La questione è fondata, nei termini di seguito specificati.
Il Presidente del Consiglio dei ministri lamenta, nella sostanza, che l’istituzione dell’Agenzia regionale ed i compiti ad essa conferiti si sovrappongano alla disciplina statale e, precipuamente, a quella concernente l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata; disciplina che si collocherebbe nel solco delle materie, riservate allo Stato, inerenti all’ordine pubblico e sicurezza, all’organizzazione amministrativa, alla giurisdizione, alle norme processuali e all’ordinamento penale.
Detta Agenzia nazionale – avente sede principale in Reggio Calabria – è stata istituita con il decreto-legge n. 4 del 2010, al fine di rendere rapida ed effettiva l’utilizzazione dei beni sottratti alle organizzazioni criminali, concentrando presso un’autorità specializzata di rilevanza nazionale la competenza in ordine alla loro destinazione.
Compiti precipui dell’Agenzia nazionale sono, infatti, da un lato, di assicurare la conservazione e l’efficiente amministrazione dei beni sottoposti a sequestro, tanto nel corso dei procedimenti penali per i delitti di cui all’art. 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale, che nel corso dei procedimenti di prevenzione; dall’altro, di consentire all’esito di detti procedimenti la più rapida ed efficace allocazione dei beni confiscati, che vengono devoluti al patrimonio dello Stato, ovvero trasferiti, per finalità istituzionali o sociali, a quello del Comune, della Provincia o della Regione in cui si trova l’immobile.
La restituzione alle collettività territoriali – le quali sopportano il costo più alto dell’“emergenza mafiosa” – delle risorse economiche acquisite illecitamente dalle organizzazioni criminali rappresenta, infatti, uno strumento fondamentale per contrastarne l’attività, mirando ad indebolire il radicamento sociale di tali organizzazioni ed a favorire un più ampio e diffuso consenso dell’opinione pubblica all’intervento repressivo dello Stato per il ripristino della legalità. D’altronde questa Corte, con specifico riferimento alle misure patrimoniali antimafia, ha già avuto modo di ritenere che il fine ultimo perseguito dalla confisca sia proprio quello di «sottrarre definitivamente i beni di provenienza illecita al circuito economico di origine per inserirli in altro esente da condizionamenti criminali» (sentenza n. 335 del 1996).
In considerazione della ratio sottesa alla normativa, dianzi specificata, concernente la regolamentazione dei beni sequestrati o confiscati alla criminalità organizzata, le disposizioni in esame ‒ peraltro sovrapponendosi in maniera distonica a quelle nazionali ‒ invadono l’ambito di competenza esclusiva riservato allo Stato dall’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., in materia di ordine pubblico e sicurezza.
Ed infatti l’istituzione di un’apposita Agenzia regionale «il cui nome di per sé evoca un ruolo operativo non riducibile a meri compiti istruttori, consultivi o di studio e ricerca» e il fatto che l’ambito di intervento, inteso nel suo complesso, è «parzialmente sovrapponibil[e] con le competenze statali in materia di sicurezza e di amministrazione di beni sequestrati» sono stati indicati da questa Corte (sentenza n. 325 del 2011) elementi già di per sé idonei a concludere che la Regione ha invaso la materia dell’ordine pubblico e sicurezza, riservata alla competenza legislativa statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost.
Va specificamente rimarcato che la legge regionale oggetto dell’odierno giudizio ha espressamente conferito non solo delle facoltà (come quella, a esempio, di richiedere l’assegnazione dei beni confiscati), ma anche precipui compiti di amministrazione, vigilanza e custodia dei beni sequestrati, muovendosi in direzione opposta rispetto all’obiettivo perseguito dal legislatore nazionale di gestire in maniera unitaria e coordinata i beni sequestrati e di programmare organicamente la loro destinazione.
Diversamente da quanto previsto dalla legislazione nazionale, invero, la legge regionale conferisce direttamente all’Agenzia regionale, e non alla Regione, tanto la facoltà di chiedere in assegnazione detti beni, quanto il compito di amministrare quelli eventualmente assegnati alla Regione Calabria.
Inoltre, le funzioni di vigilanza sul corretto utilizzo dei beni da parte dei soggetti assegnatari e sull’effettiva corrispondenza tra la destinazione ed il loro utilizzo si sovrappongono a quelle previste in capo alla più volte menzionata Agenzia nazionale, la quale, oltre al potere-dovere di verificare detto utilizzo, dispone del potere di revoca del provvedimento di assegnazione e destinazione (attualmente, art. 112, lettere g e h, del d.lgs. n. 159 del 2011). Del pari, la previsione della collaborazione con gli appositi organismi istituzionali per prevenire il deterioramento dei beni tra la fase di sequestro e quella di confisca – oltre a ledere l’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost., perché stabilisce unilateralmente forme di coordinamento che coinvolgono attribuzioni dello Stato – coincide con le funzioni demandate all’Agenzia nazionale nella fase che precede la confisca (attualmente, art. 110, lettere b e c, del d.lgs. n. 159 del 2011).
4.– Le ulteriori disposizioni della legge regionale impugnata riguardano l’organizzazione, la programmazione, il finanziamento, il coordinamento e la divulgazione dell’attività svolta dall’Agenzia regionale, i cui compiti qualificanti, sono, peraltro, in via esemplificativa esplicitati negli articoli censurati.
In ragione, da un canto, dell’omogeneità del contenuto e, dall’altro, del rapporto di stretta concatenazione oggettiva e funzionale di tutte le previsioni dei diversi articoli, deve essere quindi dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’intera legge della Regione Calabria n. 7 del 2011.
Restano assorbiti gli ulteriori motivi.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale della legge della Regione Calabria 7 marzo 2011, n. 7 (Istituzione dell’Agenzia regionale per i beni confiscati alle organizzazioni criminali in Calabria).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 febbraio 2012.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Giuseppe FRIGO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 23 febbraio 2012.