SENTENZA N. 319
ANNO 2011
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alfonso QUARANTA Presidente
- Franco GALLO Giudice
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZAnel giudizio per conflitto di attribuzione tra enti sorto a seguito del decreto direttoriale del Ministero della difesa 8 settembre 2010, n. 13/2/5/2010, con cui sono stati individuati, nell’elenco allegato al decreto stesso, al fine del trasferimento al patrimonio disponibile dello Stato, gli immobili in uso all’Amministrazione della difesa, da assoggettare a procedure di alienazione, permuta, valorizzazione e gestione previste dall’art. 14-bis, comma 3, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2008, n. 133, giudizio promosso dalla Regione siciliana con ricorso notificato il 9 marzo 2011, depositato in cancelleria il 22 marzo 2011 ed iscritto al n. 2 del registro conflitti tra enti 2011.
Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica dell’8 novembre 2011 il Giudice relatore Gaetano Silvestri;
uditi l’avvocato Marina Valli per la Regione siciliana e l’avvocato dello Stato Vittorio Cesaroni per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto1. — Con ricorso notificato il 9 marzo 2011 e depositato il successivo 22 marzo, la Regione siciliana, in persona del Presidente pro-tempore, ha promosso conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, in relazione al decreto direttoriale del Ministero della difesa 8 settembre 2010, n. 13/2/5/2010, per violazione degli artt. 32 e 33 dello statuto della Regione siciliana, approvato con il r.d.lgs. 15 maggio 1946, n. 455, e del principio di leale collaborazione.
1.1. — In punto di fatto, la ricorrente sottolinea che con il decreto impugnato – del quale è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il solo elenco allegato – sono stati individuati, al fine del trasferimento al patrimonio disponibile dello Stato, gli immobili in uso all’Amministrazione della difesa, da assoggettare a procedure di alienazione, permuta, valorizzazione e gestione previste dall’art. 14-bis, comma 3, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2008, n. 133, ora sostituito dall’art. 307 del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell’ordinamento militare).
Nel richiamato elenco sono indicati numerosi beni ubicati in Sicilia, fra i quali il Faro Capo Mulini di Acireale e l’ex carcere militare di Palermo, che, in quanto beni d’interesse storico-artistico, erano stati già inseriti nell’elenco dei beni da trasferire alla Regione siciliana, approvato dalla Commissione paritetica nella seduta del 30 settembre 2010 e poi trasmesso alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Secondo la difesa regionale, quest’ultima circostanza sarebbe indicativa del «convincimento anche dei rappresentanti di parte statale della spettanza alla Regione dei suddetti beni», per i quali è venuto meno l’uso a fini militari.
La ricorrente precisa altresì che, in esito alle riunioni della Commissione paritetica, sono stati emanati due decreti legislativi concernenti il trasferimento alla Regione di beni immobili dello Stato: il decreto legislativo 23 dicembre 2010, n. 265 (Norme di attuazione dello statuto speciale della Regione siciliana concernenti il trasferimento alla Regione di beni immobili dello Stato) e il decreto legislativo 23 dicembre 2010, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale della Regione siciliana concernenti il trasferimento, alla Regione, del Castello della Colombaia di Trapani).
La Regione siciliana afferma di essersi subito attivata al fine di prevenire una lesione delle proprie prerogative statutarie, «non appena venuta a conoscenza della richiesta del Ministero della difesa di espungere alcuni immobili dagli elenchi allegati allo schema di norme di attuazione predisposto dalla Commissione paritetica». In particolare, con lettera del 10 dicembre 2010, prot. 6056/Gab, indirizzata alla Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per gli affari regionali, la ricorrente avrebbe richiesto il mantenimento, negli elenchi in esame, degli immobili per i quali era stata sollevata l’eccezione di diverso utilizzo, ai sensi del d.l. n. 112 del 2008, rappresentando che, a norma dell’art. 32 dello statuto speciale, tutti i beni del demanio dello Stato esistenti nella Regione sono a questa assegnati, con la sola esclusione di quelli che interessano la difesa dello Stato o servizi di carattere nazionale.
A conferma della volontà di agire in questa sede solo per tutelare le proprie attribuzioni statutarie, la Regionesottolinea di non aver fatto questione per altri cespiti, in relazione ai quali il Ministero della difesa ha chiesto di non procedere al trasferimento perché tuttora necessari ai fini istituzionali del medesimo.
Alla richiesta sopra indicata avrebbe fatto seguito, sempre in base a quanto riferito dalla ricorrente, la convocazione presso il Gabinetto del Ministro della difesa di una riunione per il 13 gennaio 2011, in ordine alle «richieste di cessione di beni del patrimonio militare».
Nelle more della riunione, la Regione siciliana ha appreso della pubblicazione, nella Gazzetta Ufficiale dell’8 gennaio 2011, dell’elenco allegato al decreto direttoriale oggetto delle odierne censure, e, con una nota del 12 gennaio 2011, ha eccepito l’illegittimità del detto decreto e di quello del 5 marzo 2010, n. 1/2/5/2010, richiedendone la modifica con l’estrapolazione degli immobili militari siti in Sicilia.
A seguito della riunione del 13 gennaio 2011, permanendo le parti nel reciproco convincimento, la Regione ha rinnovato la richiesta di copia del decreto direttoriale impugnato, già precedentemente formulata, ed ha deliberato la proposizione del presente conflitto di attribuzione.
1.2. — In punto di diritto, la ricorrente sostiene che, ai sensi dell’art. 32 dello statuto della Regione siciliana, i beni del demanio statale – una volta venuta meno la condizione impeditiva dell’utilizzo per i fini istituzionali della difesa nazionale o per servizi di carattere nazionale – entrano «in ogni tempo a far parte del demanio della Regione». Ciò sarebbe stato confermato dalla Corte costituzionale in pronunce relative a norme di altri statuti speciali. Né potrebbe giungersi ad una diversa conclusione sulla base dell’art. 33 dello statuto siciliano, il quale assegna al patrimonio della Regione i beni non demaniali dello Stato «oggi esistenti nel territorio della Regione». Secondo la ricorrente, anche se si ammettesse che i beni non più destinati all’utilizzo militare non possono transitare nel demanio regionale perché privi del carattere della demanialità, occorrerebbe concludere per il loro trasferimento al patrimonio della Regione, in quanto già esistenti nel territorio della stessa alla data di entrata in vigore dello statuto speciale. Di conseguenza, pure in questo caso, il decreto impugnato risulterebbe gravemente lesivo di attribuzioni regionali costituzionalmente garantite.
In generale, la difesa regionale ritiene che sia «assolutamente pretestuoso far derivare l’inoperatività di articoli dello statuto, fonte di rango costituzionale, da una norma sotto ordinata, qual è quella del d.l. n. 112 del 2008».
Quanto al tono costituzionale del conflitto, la ricorrente sottolinea come alcuni beni che lo Stato pretende illegittimamente di dismettere ai sensi dell’art. 14-bis, comma 3, del d.l. n. 112 del 2008, siano di interesse storico-artistico, con la conseguenza che la loro mancata assegnazione alla Regione comporterebbe una grave lesione della speciale autonomia di quest’ultima in materia di beni culturali.
La ricorrente illustra, poi, i «benefici» per la collettività, derivanti dall’assegnazione alla Regione dei beni in oggetto, soprattutto in termini di riqualificazione urbana e di occupazione.
In ulteriore subordine, la difesa regionale ritiene che il decreto impugnato e il relativo elenco violino il principio di leale collaborazione, in quanto adottati senza il coinvolgimento della Regione, la quale, peraltro, non sarebbe stata messa in condizione di conoscere il testo dell’atto censurato.
In definitiva, la Regione siciliana chiede che la Corte costituzionale dichiari che non spettava allo Stato, e per esso al Ministero della difesa «individuare immobili di pertinenza della Regione siciliana al fine del trasferimento al patrimonio disponibile dello Stato per le successive procedure di alienazione, permuta, valorizzazione e gestione» previste dall’art. 14-bis, comma 3, del d.l. n. 112 del 2008. Di conseguenza, la ricorrente sollecita l’annullamento del decreto direttoriale del Ministero della difesa n. 13/2/5/2010 dell’8 settembre 2010, nella parte in cui riporta, nell’elenco ad esso allegato, beni siti in Sicilia.
2. — Con atto depositato il 18 aprile 2011, il Presidente del Consiglio dei ministri si è costituito in giudizio chiedendo che le censure proposte con il ricorso siano dichiarate inammissibili e comunque infondate.
2.1. — In punto di fatto, la difesa statale osserva come la Commissione paritetica abbia espresso un mero orientamento favorevole sullo schema di norma approvativa di un elenco di beni predisposto dagli uffici regionali, sottolineando altresì la necessità di trasmettere il detto schema al Dipartimento per gli affari regionali per il conseguente iter istruttorio presso le amministrazioni statali interessate.
2.2. — In via pregiudiziale, il resistente ritiene che il ricorso sia inammissibile, in quanto l’oggetto dello stesso non sarebbe una vindicatio potestatis, ma una vindicatio rerum, come tale estranea al giudizio della Corte costituzionale. In particolare, la difesa statale rileva come l’oggetto del conflitto sia la spettanza di beni immobili, piuttosto che attribuzioni costituzionalmente garantite della Regione siciliana; peraltro, nel caso di specie non potrebbe rinvenirsi un nesso di strumentalità tra beni e attribuzioni, poiché la pretesa della ricorrente sarebbe diretta esclusivamente al riconoscimento dell’appartenenza alla Regione dei medesimi beni.
2.3. — Nel merito, il ricorso sarebbe comunque privo di fondamento, in quanto l’art. 32 dello statuto della Regione siciliana, a differenza degli altri statuti speciali, assume, come criterio di individuazione dei beni oggetto di trasferimento, le situazioni esistenti al momento dell’entrata in vigore dello statuto e non anche quelle verificatesi successivamente. Ne deriva che oggetto dell’obbligo di devoluzione ex art. 32 sono soltanto i beni che non riguardano la difesa dello Stato o servizi di carattere nazionale, e che a quella data (entrata in vigore dello statuto) facevano parte del demanio dello Stato, con conseguente irrilevanza delle sopravvenute cessate destinazioni. Sono richiamate al riguardo le sentenze della Corte costituzionale n. 383 del 1991, n. 13 del 1960 e n. 31 del 1959, ed il parere del Consiglio di Stato 5 giugno 2005, n. 1199.
Quanto alla norma di cui all’art. 14-bis, comma 3, del d.l. n. 112 del 2008, oggi sostituita dall’art. 307 del d.lgs. n. 66 del 2010, la difesa statale ritiene che essa riconosca al Ministero della difesa la facoltà di procedere alla riallocazione delle funzioni istituzionali, valorizzando immobili sottoutilizzati per ottenere beni o capitali da destinare alla riorganizzazione sul territorio delle funzioni stesse. In altri termini, tale norma avrebbe assegnato anche ai beni immobili non più oggetto di diretta utilizzazione da parte delle Forze Armate, «una specifica funzione di ottimizzazione dello strumento militare», cosicché siffatti immobili dovrebbero essere considerati «a tutti gli effetti ancora strumentali alle esigenze istituzionali della Difesa».
Il resistente contesta anche la ricostruzione operata dalla Regione, in via subordinata, secondo cui i beni in questione – ove non riconducibili alla previsione dell’art. 32 dello statuto, perché non più demaniali, ma patrimoniali disponibili in seguito all’inclusione nell’elenco censurato – avrebbero dovuto ugualmente essere trasferiti alla Regione in quanto già esistenti nel suo territorio alla data di entrata in vigore dello statuto (ex art. 33 dello statuto).
Al riguardo, la difesa statale eccepisce che l’art. 33 dello statuto, in maniera ancora più esplicita dell’art. 32, assegna alla Regione non tutti i beni patrimoniali «esistenti nel territorio», ma solo quelli disponibili alla data di entrata in vigore dello statuto, con conseguente irrilevanza di ogni mutamento successivamente prodottosi riguardo alla disponibilità di quei beni.
In riferimento, poi, all’asserita violazione del principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni, tale principio avrebbe trovato piena attuazione attraverso i decreti legislativi n. 265 e n. 266 del 2010, i quali hanno consentito l’acquisizione da parte della Regione di beni dello Stato ulteriori rispetto a quelli il cui trasferimento era imposto dallo statuto. D’altronde, la violazione del principio in parola non potrebbe essere dedotta dal procedimento di approvazione del decreto, che si è svolto nel rispetto di tutte le previsioni di legge. Infatti: i beni sono stati individuati in stretto coordinamento con la componente tecnico-operativa del Ministero della difesa; l’elenco redatto è stato inviato all’Agenzia del demanio per acquisirne l’avviso; quest’ultima, con una nota del 7 giugno 2010, ha chiesto all’Amministrazione della difesa di valutare la possibilità di espungere alcuni immobili ai fini dell’utilizzo per altre finalità governative; infine, l’espunzione è stata effettuata conformemente alle richieste dell’Agenzia.
3. — In prossimità dell’udienza, la Regione siciliana ha depositato una «memoria con atto di proposizione, in via incidentale, di questione di legittimità costituzionale».
3.1. — In ordine all’eccezione di inammissibilità prospettata dal resistente, la difesa regionale precisa che le censure formulate nel ricorso non attengono alla titolarità di beni e non si risolvono, dunque, in una rivendicazione di essi, «ma concernono il corretto esercizio di attribuzioni amministrative dello Stato, a tutela delle attribuzioni regionali in materia di demanio e patrimonio».
3.2. — Nel merito, la Regioneinsiste nelle conclusioni già precisate nel ricorso e «propone, con il presente atto, questione di legittimità costituzionale in via incidentale dell’art. 14-bis, comma 3, del d.l. n. 112 del 2008», nella parte in cui «non prevede alcuna forma di intesa con la Regione nella predisposizione del relativo procedimento di attuazione». In particolare, sarebbero violati gli artt. 32 e 33 dello statuto speciale ed il principio di leale collaborazione.
Secondo la ricorrente, detta questione sarebbe rilevante nel conflitto di attribuzione, in quanto quest’ultimo non potrebbe essere definito senza il previo accertamento della legittimità degli elenchi impugnati, a sua volta condizionato dalla verifica di compatibilità costituzionale delle disposizioni legislative su cui il decreto si fonda.
In subordine, qualora la Corte costituzionale dovesse ritenere di non poter accogliere la presente eccezione, la Regione siciliana chiede che «sia la medesima Corte a sollevare d’ufficio, dinanzi a se stessa, questione incidentale di legittimità costituzionale della suindicata disposizione legislativa».
La difesa regionale chiede, altresì, che la Corte costituzionale, prima di sospendere il giudizio per la trattazione della questione di legittimità costituzionale, disponga la sospensione degli effetti del provvedimento impugnato, in quanto invasivo delle attribuzioni regionali.
Considerato in diritto1. — La Regione siciliana, in persona del Presidente pro-tempore, ha promosso conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, in relazione al decreto direttoriale del Ministero della difesa 8 settembre 2010, n. 13/2/5/2010, per violazione degli artt. 32 e 33 dello statuto della Regione siciliana, approvato con il r.d.lgs. 15 maggio 1946, n. 455, e del principio di leale collaborazione.
2. — Il ricorso è inammissibile.
2.1. — La Regione ricorrente si duole del mancato trasferimento al suo demanio – o, in subordine, al suo patrimonio – di due immobili indicati nel decreto direttoriale sopra citato: il Faro Capo Mulini di Acireale e l’ex carcere militare di Palermo. In ulteriore subordine, la ricorrente lamenta di non essere stata coinvolta nel procedimento volto alla dismissione dei suddetti immobili.
Questa Corte, con giurisprudenza consolidata, ha ritenuto che siano estranee alla materia dei conflitti di attribuzione tra Stato e Regioni le controversie circa la titolarità di un bene, «che non coinvolgano, neppure mediatamente, l’accertamento della violazione di norme attributive di competenza di rango costituzionale» (in questi termini, sentenze n. 443 del 2008 e n. 213 del 2001). L’art. 39 della legge 11 marzo 1953, n. 87, delimita chiaramente l’oggetto del conflitto di attribuzione tra Stato e Regioni nella richiesta di un «regolamento di competenza», sicché «la controversia relativa alla titolarità di un bene e la interpretazione della normativa – di rango legislativo o costituzionale – che ad essa si riferisce restano di competenza dei giudici comuni se non pongono in questione la delimitazione delle attribuzioni costituzionali degli enti in conflitto» (sentenza n. 213 del 2001).
Nel caso di specie, il fatto che la ricorrente evochi, come parametri asseritamente violati, gli artt. 32 e 33 dello statuto speciale siciliano non implica l’ammissibilità dell’odierno conflitto, poiché l’oggetto di quest’ultimo non è la lesione di una sfera di competenza della Regione, ma la spettanza dei suddetti beni; né è possibile rinvenire un nesso di strumentalità tra beni e attribuzioni costituzionali, in quanto la pretesa della ricorrente è esclusivamente diretta al riconoscimento dell’appartenenza alla Regione dei beni in questione.
In definitiva, il conflitto in esame non concerne la delimitazione delle attribuzioni costituzionali degli enti interessati e si risolve in una controversia sull’interpretazione delle disposizioni dirette a stabilire a quale, tra gli enti medesimi, spetti la proprietà di determinati beni, nonché quale sia il titolo giuridico di appartenenza dei beni stessi. Il ricorso finalizzato a reclamare la titolarità di alcuni beni non costituisce, pertanto, una vindicatio potestatis, bensì una vindicatio rerum, estranea alla competenza del giudice costituzionale (ex plurimis, sentenze n. 102 del 2010, n. 443 del 2008, n. 302 del 2005).
3. — L’inammissibilità del ricorso impedisce di prendere in esame la questione incidentale di legittimità costituzionale formulata – nella memoria depositata in prossimità dell’udienza – dalla Regione siciliana, avente ad oggetto l’art. 14-bis del d.l. n. 112 del 2008.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile il conflitto di attribuzione, promosso dalla Regione siciliana nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, in relazione al decreto direttoriale del Ministero della difesa 8 settembre 2010, n. 13/2/5/2010, per violazione degli artt. 32 e 33 dello statuto della Regione siciliana, approvato con il r.d.lgs. 15 maggio 1946, n. 455, e del principio di leale collaborazione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 novembre 2011.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Gaetano SILVESTRI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 23 novembre 2011.