SENTENZA N. 271
ANNO 2010
Commento
alla decisione di
Marco
Betzu
Mezzogiorno
e seggi europei quattro anni dopo la sentenza della Corte costituzionale 271
del 2010
(per g.c. del Forum di Quaderni Costituzionali)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai
signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE
"
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Paolo GROSSI "
ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 21,
comma 1, n. 2 e n. 3, della legge 24 gennaio 1979, n. 18 (Elezione dei membri
del Parlamento europeo spettanti all’Italia), promossi dal Tribunale
amministrativo regionale del Lazio con ordinanze dell’11 (nn.
3 ordinanze), del 14, del 15 dicembre 2009, dell’11 (nn.
2 ordinanze) e del 14 dicembre 2009 rispettivamente iscritte ai nn. 22, 23, 28, 29, 30, 31, 32 e 33 del registro ordinanze
2010 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 6 e 7, prima serie speciale, dell’anno 2010.
Visti gli atti di costituzione di Giuseppe Gargani,
Pasquale Sommese, Maddalena Calia, Nicola Vendola ed altri, Oliviero Diliberto
ed altri, Felice Carlo Besostri ed altri, Salvatore Caronna ed altra, Roberto Gualtieri, Giovanni Collino, Oreste Rossi, Iva Zanicchi, Sonia Viale, del PD –
Partito Democratico, della Regione Sardegna, di Sebastiano Sanzarello,
della Regione Siciliana, di Gino Trematerra,
Giommaria Uggias, dell’IDV
– Italia dei Valori, di Giuseppe Arlacchi ed altro
nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 6 luglio
2010 il Giudice relatore Sabino Cassese;
uditi gli
avvocati Mario Sanino e Lorenzo Lentini per Giuseppe Gargani e Pasquale
Sommese, Federico Sorrentino e Antonello Rossi per Maddalena Calia, Oreste Morcavallo per Gino Trematerra,
Giampaolo Parodi e Luigi Manzi per Sonia Viale, Vincenzo Cerulli
Irelli per il PD – Partito Democratico e Roberto Gualtieri, Stelio Mangiameli
per Giovanni Collino, Oreste Rossi e Iva Zanicchi,
Giuseppe Morbidelli e Paolo Trombetti per Salvatore Caronna,
Alessandra Camba per la Regione Sardegna, Giovanni
Pitruzzella per la Regione Siciliana, Luca Di Raimondo per Nicola Vendola ed
altri, Silvio Crapolicchio per Oliviero Diliberto ed
altri, Felice Carlo Besostri per Felice Carlo Besostri, Sergio Scicchitano e
Giommaria Uggias per Giommaria Uggias,
Sergio Scicchitano per l’IDV
– Italia dei Valori e Giuseppe Arlacchi ed altro e
l’avvocato dello Stato Sergio Fiorentino per il Presidente del Consiglio dei
ministri.
Ritenuto in fatto
1. – Il
Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione II bis, con tre ordinanze di identico tenore dell’11 dicembre 2009
(r.o. nn. 29 e 30 del 2010) e del 14 dicembre 2009
(r.o. n. 31 del 2010), ha sollevato questione di legittimità costituzionale
dell’art. 21, comma 1, n. 2, della legge
24 gennaio 1979, n. 18 (Elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti
all’Italia), in riferimento agli artt. 1, 3, 48, 49, 51 e 97 della
Costituzione, e all’art. 11 della Costituzione, in relazione all’art. 10 del
Trattato sull’Unione europea, come modificato dal Trattato di Lisbona, e agli
artt. 10, 11, 39 e 40 della Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata e
resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (d’ora in avanti «CEDU»).
Ad avviso
del collegio rimettente, la norma censurata sarebbe illegittima in quanto
prevede «la soglia nazionale di sbarramento […] senza stabilire alcun
correttivo, anche in sede di riparto dei resti», in particolare «non
consentendo anche alle liste escluse dalla soglia di sbarramento di partecipare
all’assegnazione dei seggi attribuiti con il meccanismo dei resti», in tal modo
privandole del «c.d. diritto di tribuna».
1.1. – Il
giudice a quo riferisce che i
ricorrenti nei giudizi principali hanno impugnato il verbale delle operazioni
dell’Ufficio elettorale centrale nazionale presso la suprema Corte di cassazione,
con cui è stato adottato l’atto di proclamazione degli eletti al Parlamento
europeo in esito alle elezioni svoltesi in data 6 e 7 giugno 2009, nonché gli
atti presupposti, connessi e consequenziali, chiedendone l’annullamento nella
parte in cui non sono stati assegnati seggi alle seguenti liste: «Sinistra e
Libertà – Federazione dei Verdi» (r.o. nn. 29 e 31
del 2010); «Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea – Partito
dei Comunisti italiani» (r.o. nn. 30 e 31 del 2010);
«Associazione politica nazionale Lista Pannella»; «La Destra»; «Movimento per
le Autonomie»; «Partito Pensionati»; «Alleanza di Centro per la Libertà» (r.o.
n. 31 del 2010). I ricorrenti nei giudizi principali hanno altresì chiesto,
secondo quanto riferisce il collegio rimettente, la conseguente proclamazione
dei candidati della Lista «Sinistra e Libertà – Federazione dei Verdi», Nicola
Vendola (r.o. n. 29 del 2010) e della lista «Partito della Rifondazione
Comunista – Sinistra Europea – Partito dei Comunisti italiani», Oliviero
Diliberto (r.o. n. 30 del 2010), in sostituzione dei candidati risultati eletti
della lista «Lega Nord», ovvero del candidato della lista «Italia dei Valori –
Lista Di Pietro».
I
ricorrenti nei giudizi principali hanno lamentato, secondo quanto rappresenta
il Tribunale rimettente, che alle predette liste «Sinistra e Libertà –
Federazione dei Verdi» e «Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra
Europea – Partito dei Comunisti italiani», in ragione del mancato
raggiungimento della soglia di sbarramento, non siano stati attribuiti seggi,
pur avendo alcuni candidati delle medesime liste ottenuto un numero di voti
maggiore rispetto ai «resti» che hanno consentito ai candidati di altre liste,
le quali hanno superato la soglia di sbarramento, di beneficiare «dei due seggi
residuati dopo l’assegnazione dei seggi a quoziente intero». Il collegio
rimettente, in particolare, espone che i ricorrenti nel giudizio principale
hanno dedotto la falsa applicazione della disposizione contenuta nell’ultimo periodo
dell’art. 21, comma 1, n. 2, della legge n. 18 del 1979 («si considerano resti
anche le cifre elettorali nazionali delle liste che non hanno raggiunto il
quoziente elettorale nazionale»). Questa disposizione, a loro avviso,
imporrebbe di considerare come resti, ai fini della attribuzione dei seggi non
assegnati a quoziente intero, anche la cifra elettorale nazionale delle liste
che non hanno superato la soglia di sbarramento del 4%, di cui all’art. 21,
comma 1, n. 1-bis, della legge n. 18
del
Nei giudizi
principali si sono costituiti o sono intervenuti i seguenti soggetti: Ministero
dell’interno – Ufficio elettorale centrale nazionale e Italia dei Valori (r.o.
n. 30 del 2010); Giommaria Uggias, Sonia Viale e Lega
Nord per l’Indipendenza della Padania (r.o. nn. 29 e
30 del 2010), Salvatore Caronna, Roberto Gualtieri,
Oreste Rossi e Luigi De Magistris (r.o. n. 31 del 2010).
1.2. – Il
giudice a quo, innanzitutto, esclude
di poter accogliere il ricorso in virtù della prospettata interpretazione
dell’art. 21, comma 1, n. 2, ultimo periodo, della legge n. 18 del
L’impossibilità
di aderire alla interpretazione offerta dai ricorrenti impone al Tribunale
rimettente di esaminare le eccezioni di legittimità costituzionale da essi
sollevate in via subordinata. Il rimettente, peraltro, esclude anche che la
previsione della clausola di sbarramento del 4%, in sé considerata, contrasti
con le norme costituzionali o con il diritto comunitario. Tuttavia, il giudice a quo ritiene rilevante, e non manifestamente
infondata, la questione di legittimità costituzionale della disciplina
censurata, in quanto riferita al «meccanismo che esclude il c.d. diritto di
tribuna, non consentendo anche alle liste escluse dalla soglia di sbarramento
di partecipare all’assegnazione dei seggi attribuiti con il meccanismo dei
resti».
In punto di
rilevanza, il collegio rimettente osserva che la norma censurata osta
all’accoglimento della domanda dei ricorrenti nel giudizio principale,
candidati per una lista che non ha superato la soglia di sbarramento, di
partecipare con i propri voti alla ripartizione dei «resti».
In ordine
alla non manifesta infondatezza, ad avviso del rimettente, la disposizione, in
primo luogo, violerebbe l’art. 3 Cost. sotto diversi
profili. Essa sarebbe manifestamente irragionevole, in quanto consentirebbe
alle liste che hanno superato la soglia di sbarramento, «in sede di computo dei
resti eccedenti il quorum elettorale
intero», di ottenere ulteriori seggi «sulla base di cifre elettorali
irragionevolmente ben più modeste […] rispetto a quelle riportate dalle liste
che non hanno raggiunto la soglia di sbarramento del 4% e che vengono escluse
dalla norma in esame anche dal predetto riparto dei resti». La disposizione
sarebbe, poi, non proporzionata rispetto al fine di favorire le aggregazioni
politiche, il quale verrebbe già sufficientemente assicurato dalla esclusione
delle liste minori ad opera della clausola di sbarramento del 4%. Un «ulteriore
profilo di irragionevolezza», infine, risiederebbe nel «denegato accesso al
rimborso delle spese effettuate dai partiti che hanno partecipato con proprie
liste alla competizione elettorale, ma che non hanno raggiunto il quorum, in quanto ciò appare
suscettibile di determinare una possibile disparità di trattamento fra i
diversi attori politici».
In secondo
luogo, la disciplina censurata, ad avviso del giudice a quo, sarebbe illegittima in quanto «porrebbe radicalmente nel
nulla la volontà popolare di una più o meno ampia platea di elettori», rispetto
ad essi interrompendo il «filo democratico» che unisce insieme i diversi
momenti in cui si articola l’esercizio della sovranità popolare (art. 1 Cost.):
il diritto di associarsi in partiti politici al fine di concorrere a
determinare la politica nazionale (art. 49 Cost.); il diritto di concorrere
direttamente all’elezione dei parlamentari (art. 48 Cost.); il principio
secondo cui ciascun parlamentare esercita i suoi poteri rappresentando l’intera
Nazione e non una limitata cerchia di elettori (art. 67 Cost.).
In terzo
luogo, la norma impugnata violerebbe l’art. 11 Cost., in relazione sia all’art.
10 del Trattato sull’Unione europea, come modificato dal Trattato di Lisbona,
secondo cui «il funzionamento dell’Unione si fonda sulla democrazia
rappresentativa» e «ogni cittadino ha diritto di partecipare alla vita
democratica dell’Unione», sia agli artt. 10, 11, 39 e 40 della CEDU [recte: della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione
europea], che sanciscono «il diritto di ciascun individuo di manifestare le proprie
convinzioni e di godere dell’elettorato attivo e passivo per il Parlamento
europeo» e «non possono non porsi anche a fondamento della necessità di
rappresentanza degli elettori comunitari nel Parlamento europeo».
1.4. – È
intervenuto, in tutti i giudizi, il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le
questioni sollevate siano dichiarate manifestamente inammissibili o, comunque,
manifestamente infondate.
Secondo la
difesa dello Stato, la questione sarebbe inammissibile, innanzitutto, per la
«evidente perplessità e contraddittorietà delle censure» prospettate dal
giudice rimettente, il quale, da un lato, «riconosce la compatibilità con la
Costituzione della clausola di sbarramento» e, dall’altro lato, «solleva
questioni attinenti alla legittimità del sistema di attribuzione dei seggi che
non potrebbero essere accolte senza mettere in discussione la stabilità di
quella scelta legislativa», dal momento che la clausola di sbarramento «sarebbe
inevitabilmente superata» ove si consentisse anche alla liste che non l’hanno
raggiunta di concorrere alla assegnazione dei seggi non attribuiti in base ai
quozienti interi. Costituisce ulteriore ragione di inammissibilità, ad avviso
dell’Avvocatura generale dello Stato, la «manifesta irragionevolezza
dell’intervento additivo» richiesto. Il riconoscimento di un diritto di tribuna
alle liste che non hanno superato lo sbarramento risulterebbe infatti affidato,
nella prospettiva fatta propria dal giudice a
quo, a circostanze accidentali: esso dipenderebbe, secondo la difesa dello
Stato, dalla duplice circostanza che residuino seggi da assegnare dopo il
riparto effettuato in base ai quozienti interi e che i voti ottenuti dalla
lista che non ha superato la soglia di sbarramento siano maggiori dei resti
rimasti a disposizione della lista che la ha superata.
Nel merito,
la difesa dello Stato richiama la giurisprudenza di questa Corte secondo cui
l’eguaglianza del voto non è compromessa se, in virtù del sistema elettorale
prefigurato dal legislatore, «i suffragi espressi da taluni elettori non
concorrono, in concreto, all’attribuzione di seggi» ed aggiunge che la
previsione di un quorum funzionale
per l’attribuzione dei seggi non comporta che coloro che hanno votato per liste
che non raggiungono il quorum restano
privi di rappresentanza politica, ma significa solo che tale rappresentanza «è
costituita […] sulla base della prevalente aggregazione dell’opinione politica
degli elettori».
1.5. – Si
sono costituiti in giudizio i ricorrenti nei giudizi principali, chiedendo che
questa Corte dichiari l’illegittimità costituzionale della disposizione
censurata. In prossimità dell’udienza, i ricorrenti hanno depositato memorie
illustrative, ribadendo e sviluppando quanto affermato nei rispettivi atti di
costituzione e insistendo per l’accoglimento della questione di legittimità
costituzionale
1.6. – Si
sono altresì costituiti in giudizio, chiedendo che la questione di legittimità
costituzionale sia dichiarata inammissibile o infondata, alcuni soggetti
controinteressati nei giudizi principali (Giommaria Uggias,
Oreste Rossi, Roberto Gualtieri, Luigi De Magistris, Salvatore Caronna e Francesca Balzani, Sonia Viale, Italia dei
Valori, Giuseppe Arlacchi). In prossimità dell’udienza,
alcuni di essi (Roberto Gualtieri, Salvatore Caronna
e Francesca Balzani, Sonia Viale) hanno depositato memorie illustrative,
ribadendo quanto affermato nei rispettivi atti di costituzione e insistendo per
la dichiarazione di inammissibilità o infondatezza della questione.
2. – Il
Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione II bis, con cinque ordinanze di identico tenore dell’11 dicembre 2009
(r.o. nn. 22, 23 e 28 del 2010), del 14 dicembre 2009
(r.o. n. 32 del 2010) e del 15 dicembre 2009 (r.o. n. 33 del 2010), ha
sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 21, comma 1, n. 3,
della legge n. 18 del
Secondo il Tribunale rimettente, tale disposizione sarebbe illegittima
nella parte in cui, «senza rispettare il numero dei seggi preventivamente attribuito alle
singole circoscrizioni, in relazione alla popolazione residente, ai sensi
dell’art. 2 della legge n. 18 del 1979», stabilisce quanto segue: «[l’Ufficio elettorale] attribuisce, poi,
alla lista, sia essa singola sia formata da liste collegate a norma
dell’articolo 12, nelle varie circoscrizioni, tanti seggi quante volte il
rispettivo quoziente elettorale di lista risulti contenuto nella cifra
elettorale circoscrizionale della lista. I seggi che rimangono ancora da
attribuire sono assegnati, rispettivamente, nelle circoscrizioni per le quali
le ultime divisioni hanno dato maggiori resti e, in caso di parità di resti, a
quelle circoscrizioni nelle quali si è ottenuta la maggiore cifra elettorale
circoscrizionale».
2.1. – Il Collegio rimettente riferisce che i ricorrenti nei giudizi principali
hanno impugnato il verbale delle operazioni dell’Ufficio elettorale centrale
nazionale del 26 giugno 2009, nella parte in cui con esso «si è provveduto
all’assegnazione dei seggi nella competizione per il rinnovo dei rappresentanti
del Parlamento europeo del 6 e 7 giugno 2009», contestando, in particolare,
l’effetto di «contrazione» del numero di seggi previamente attribuiti, ai sensi
dell’art. 2 della legge n. 18 del 1979, alle circoscrizioni territoriali
dell’Italia meridionale e dell’Italia insulare, asseritamente
determinato dall’applicazione della norma censurata. Quest’ultima prevede,
infatti, un sistema di assegnazione dei seggi alle liste in base al numero dei
votanti nelle singole circoscrizioni che, ad avviso dei ricorrenti nei giudizi
principali, si porrebbe in contrasto con il diverso criterio di attribuzione
dei seggi sulla base della popolazione, stabilito dal predetto art. 2 della
legge n. 18 del 1979 conformemente al diritto europeo (art. 189 Tr. CE e Atto
di Bruxelles). Il giudice a quo
espone che, alla luce di tali considerazioni, i ricorrenti nei giudizi
principali hanno chiesto: in via principale, la correzione del verbale
dell’Ufficio elettorale centrale nazionale, nonché di quelli degli uffici
circoscrizionali, con conseguente elezione dei ricorrenti stessi a parlamentari
europei, previa disapplicazione dell’art. 21 della legge n. 18 del 1979; in via
subordinata, la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale ai fini della
dichiarazione di illegittimità costituzionale degli artt. 21 e 22 della legge
n. 18 del 1979.
Il
Tribunale amministrativo rimettente riferisce che si sono costituiti o sono
intervenuti nei giudizi principali i seguenti soggetti: Ministero dell’Interno
e Ufficio elettorale centrale nazionale presso la Corte suprema di cassazione
(r.o. nn. 22, 28, 32 e 33 del 2010); Roberto
Gualtieri (r.o. nn. 22, 23, 28, 32 e 33 del 2010);
Salvatore Caronna (r.o. nn. 22, 28 e 33 del 2010); Sonia Viale (r.o. n. 22 del
2010); Lega Nord per l’Indipendenza della Padania (r.o. n. 22 del 2010);
Partito Democratico (r.o. n. 22 del 2010); Regione Sardegna (r.o. nn. 28, 32 del 2010); Regione Siciliana (r.o. n. 32 del
2010).
2.2. – Ciò
premesso, il giudice a quo, dopo aver
ricostruito il contenuto della disciplina, nazionale e sovranazionale, per le
elezioni del Parlamento europeo, osserva che l’applicazione della norma
censurata produce, «di fatto», un effetto distorsivo, consistente nella
assegnazione a ciascuna circoscrizione di un numero di seggi «direttamente
correlato all’affluenza al voto», anziché proporzionale alla popolazione
residente, come è invece previsto dall’art. 2 della legge n. 18 del 1979,
nonché dal diritto comunitario, che stabilisce i principi della «rappresentanza
territoriale» e della «proporzionalità degressiva»,
in base alla quale «il numero degli eletti in ciascuna ripartizione
territoriale deve garantire un’adeguata rappresentanza della popolazione nella
corrispondente circoscrizione». In particolare, rispetto alla ripartizione di
seggi effettuata in attuazione dell’art. 2 della legge n. 18 del 1979 (che
prevede 18 seggi per la circoscrizione dell’Italia meridionale e 8 seggi per
quella dell’Italia insulare), i risultati elettorali del 2009 avrebbero
determinato, secondo quanto rileva il giudice a quo, «un deficit di rappresentanza […] per i cittadini delle
circoscrizioni del Sud e delle Isole, che hanno visto la diminuzione di 3 e 2
rappresentanti rispettivamente (con la conseguente mancata elezione de[i] ricorrent[i]) in ragione della ripartizione di voti sulla
base di altro e discordante criterio (di cui all’art. 21) riferito al numero di
cittadini che hanno esercitato il diritto di voto».
In ragione
del descritto effetto distorsivo, il collegio rimettente ha sollevato la
questione di legittimità costituzionale della disposizione censurata,
osservando, in punto di rilevanza, che «una eventuale pronuncia di
incostituzionalità della Corte costituzionale imporrebbe di decidere la
posizione de[i] ricorrent[i] […] alla stregua della
nuova disciplina che ne risulterebbe».
In ordine
alla non manifesta infondatezza, il Tribunale amministrativo rimettente dubita
della legittimità costituzionale della disposizione censurata in relazione a
diversi parametri costituzionali.
Essa
sarebbe in contrasto, in primo luogo, con l’art. 3 Cost., con riguardo sia alla
ragionevolezza, sia all’uguaglianza: la «intrinseca irragionevolezza»
deriverebbe dalla «prospettata contraddittorietà […] con l’intenzione del
legislatore, quale risultante dai lavori parlamentari preparatori e dal tenore
del citato art. 2» della legge n. 18 del 1979, secondo il quale i seggi devono
essere distribuiti in proporzione della popolazione residente in ogni
circoscrizione; il canone dell’eguaglianza sarebbe violato con riferimento sia
al diritto di elettorato attivo, per la lesione del principio di uguaglianza
del voto, sia al diritto di elettorato passivo, in quanto si consentirebbe «ad
una o più liste, all’interno delle circoscrizioni in cui vi è stata una maggiore
affluenza di elettori, di ottenere più seggi, alterando il numero di quelli
assegnati alle medesime circoscrizioni, a scapito dei candidati che concorrono
nelle circoscrizioni con minore affluenza di votanti».
In secondo
luogo, risulterebbero violati i principi di buon andamento e imparzialità di
cui all’art. 97 Cost., in quanto, mentre l’art. 2 della legge n. 18 del 1979
avrebbe correttamente accolto l’indicazione del legislatore comunitario
relativa alla facoltà degli Stati «di autovincolarsi
ad un sistema di ripartizione territoriale – per circoscrizione – dei seggi»,
al contrario la norma censurata «àncora il risultato elettorale […] ad un
sistema premiante delle circoscrizioni in cui la popolazione […] si è
dimostrata politicamente e civicamente più matura», senza che tale diverso
criterio trovi «una sua ratio
nell’ordinamento».
In terzo
luogo, vi sarebbe un contrasto con l’art. 1 Cost., in
base al quale «anche l’esercizio delle procedure nazionali relative
all’attribuzione di profili di sovranità all’Unione europea, quali l’elezione
degli europarlamentari», deve avvenire «in conformità al principio
democratico».
In quarto
luogo, sarebbero lesi gli artt. 10 e 11 Cost., in relazione agli artt. 1, 2 e 7
dell’Atto di Bruxelles, in quanto il «sistema della ripartizione territoriale»
dei seggi, benché non obbligatorio in base al diritto comunitario, «risponde
alle esigenze di proporzionalità e rappresentatività della popolazione», con la
conseguenza che il legislatore nazionale non potrebbe prevedere un «meccanismo
contrastante» con tale sistema, ma semmai alternativo ed equivalente nel
perseguimento dello scopo.
In quinto
luogo, sarebbero violati gli artt. 48, 49 e 51 Cost.,
considerati anche in congiunzione con gli artt. 2, 18, 21, 39, 64, 67, 82 e 118
Cost., i quali «affermano il criterio della rappresentatività della
popolazione, quale derivazione del più alto principio democratico».
In sesto
luogo, la disposizione impugnata violerebbe gli artt. 10 e 117, primo comma,
Cost., in relazione agli artt. 10, 11, 39 e 40 della CEDU
[recte:
della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea], i quali «sanciscono
il diritto di ciascun individuo di manifestare le proprie convinzioni e di
godere dell’elettorato attivo e passivo per il Parlamento europeo», a sua volta
«strettamente conness[i] a quelli tutelati dagli
articoli che nella Carta costituzionale affermano la regola democratica secondo
il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost». Ad avviso del collegio
rimettente, che richiama in proposito le sentenze n. 348 e n. 349 del 2007 di
questa Corte, la disposizione censurata sarebbe incompatibile con le
predette norme della CEDU e, dunque, con gli obblighi internazionali di cui
agli artt. 10 e 117 Cost.
Infine, il
giudice a quo ritiene che la norma
censurata violi anche gli artt. 56 e 57 Cost., che
sanciscono il principio di «rappresentatività del cittadino nelle istituzioni»,
del quale costituisce espressione «il criterio della rappresentanza
proporzionale territoriale».
2.3. – È
intervenuto in tutti i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le
questioni sollevate siano dichiarate manifestamente non fondate.
L’Avvocatura
osserva, preliminarmente, che la legge n. 18 del 1979 prevede un sistema
elettorale proporzionale «c.d. perfetto», il quale cioè «garantisce in massimo
grado la rappresentatività politica del corpo elettorale, a parziale scapito
della rappresentatività territoriale». Ciò premesso, la difesa dello Stato
rileva che, in base al diritto comunitario citato dal rimettente, il criterio
della rappresentatività territoriale del Parlamento europeo (c.d.
proporzionalità degressiva) è riferibile alle sole
«rappresentanze nazionali» e non anche a rappresentanze di realtà territoriali
interne agli Stati membri. In particolare, ad avviso dell’Avvocatura generale
dello Stato, l’Atto di Bruxelles, all’opposto di quanto ritenuto dal giudice
rimettente, recherebbe «una decisa opzione in favore della rappresentatività
politica, in senso proporzionale e su base nazionale, degli eletti al
Parlamento europeo», dal momento che esso consente la «costituzione di
circoscrizioni o altre suddivisioni interne […] solo in funzione di specificità
nazionali e a condizione che non venga pregiudicato il carattere proporzionale
del voto, vale a dire la rappresentatività del voto rispetto alla composizione politica
dell’elettorato dell’intero Stato membro». Secondo la difesa dello Stato, il
legislatore nazionale non avrebbe inteso avvalersi di tale facoltà, dato che le
circoscrizioni di cui alla legge n. 18 del 1979 non perseguono lo scopo di
«attribuire rilevanza a realtà territoriali omogenee sul piano istituzionale»,
ma rispondono a mere finalità amministrative «volte a favorire l’ordinato
svolgimento delle operazioni elettorali oltre che a consentire una effettiva
campagna elettorale, mantenendo a livelli fisiologici il rapporto tra elettori
e candidati».
Sulla base
di tali considerazioni, l’Avvocatura generale dello Stato esclude l’asserita
lesione delle fonti sovranazionali. Né sussisterebbe, secondo la difesa dello
Stato, il prospettato contrasto con l’art. 3 Cost. Il principio della
eguaglianza del voto, infatti, sarebbe potuto semmai essere «vulnerato» dalla
scelta dell’opposto criterio dell’attribuzione alle varie circoscrizioni di un
numero di seggi fisso, in base al quale «gli eletti nelle circoscrizioni con
minore affluenza finirebbero per rappresentare un numero minore di votanti».
Quanto, poi, all’asserita intrinseca irragionevolezza della disposizione
censurata, per contraddittorietà rispetto all’art. 2 della medesima legge n. 18
del 1979, l’Avvocatura generale dello Stato osserva che, in realtà, le due
previsioni «fa[nno] corpo», «perché la suddivisione
dei seggi in circoscrizioni non può prescindere dalla fissazione del metodo di
attribuzione dei seggi medesimi, che la legge elettorale in esame ha stabilito
in funzione della maggiore garanzia della rappresentatività in senso
proporzionale, come previsto nel principio fondamentale contenuto nell’art. 1,
comma 2, della legge, secondo il quale "l’assegnazione dei seggi tra le liste
concorrenti è effettuata in ragione proporzionale” (non, quindi, su base
circoscrizionale)».
2.4. – Si
sono costituiti tutti i ricorrenti nei giudizi principali, chiedendo che questa
Corte dichiari l’illegittimità costituzionale della disposizione censurata. Si
sono altresì costituite in giudizio, insistendo per l’accoglimento della
sollevata questione di legittimità costituzionale, le Regioni Sardegna e
Sicilia, intervenute in alcuni dei giudizi principali. In prossimità
dell’udienza, alcuni dei ricorrenti nei giudizi principali costituitisi nel
giudizio costituzionale (Giuseppe Gargani, Pasquale Sommese, Maddalena Calia e
Sebastiano Sanzarello) hanno depositato memorie
illustrative, ribadendo e sviluppando quanto sostenuto nei rispettivi atti di
costituzione e insistendo affinché la Corte dichiari l’illegittimità
costituzionale della disciplina censurata. Anche le Regioni Sicilia e Sardegna
hanno depositato memorie illustrative in prossimità dell’udienza, confermando
quanto sostenuto nei rispettivi atti di costituzione e insistendo per
l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale
2.5. – Si
sono costituiti in giudizio, chiedendo che la Corte dichiari inammissibile o
infondata la questione, alcuni soggetti controinteressati nei giudizi
principali (Salvatore Caronna, Roberto Gualtieri,
Sonia Viale, Iva Zanicchi, Giovanni Collino, Oreste
Rossi, Partito democratico). In prossimità dell’udienza, alcuni di tali
soggetti (Salvatore Caronna, Roberto Gualtieri, Sonia
Viale, Partito democratico) hanno depositato memorie illustrative, sviluppando
le argomentazioni svolte nei rispettivi atti di costituzione e insistendo
affinché la Corte dichiari inammissibile o comunque non fondata la questione.
Considerato in diritto
1. – Con otto ordinanze, il Tribunale amministrativo regionale del Lazio
solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 21, comma 1, n. 2 e
n. 3, della legge 24 gennaio 1979, n.
18 (Elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia), in
riferimento agli artt. 1, 3, 48, 49, 51, 56, 57 e 97 della Costituzione, nonché
agli artt. 10, 11 e 117 della Costituzione, in relazione all’art. 10 del
Trattato sull’Unione europea, agli artt. 1, 2 e 7 dell’Atto relativo
all’elezione dei rappresentanti del Parlamento europeo a suffragio universale
diretto, allegato alla Decisione del Consiglio del 20 settembre 1976, n. 76/787/CECA/CEE/Euratom,
come modificato dalla Decisione del Consiglio 25 giugno 2002, n. 2002/772/CE/Euratom (d’ora in avanti «Atto di Bruxelles») e agli artt.
10, 11, 39 e 40 della Convenzione europea per
la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata
e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (d’ora in avanti «CEDU») [recte: della
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea].
All’art. 21, comma 1, n. 2, della legge n. 18 del
1979 si riferiscono, in particolare, le censure contenute in tre ordinanze di
rimessione del Tar del Lazio (r.o. nn. 29, 30 e 31 del 2010),
di identico tenore, le quali riguardano l’accesso al riparto dei seggi, in base
ai resti, delle liste che non abbiano superato la soglia di sbarramento del 4%.
All’art.
21, comma 1, n. 3, si riferiscono, invece, le censure proposte dal Tar del
Lazio con cinque ordinanze di rimessione (r.o. nn.
22, 23, 28, 32 e 33 del 2010), anch’esse di identico tenore, le quali attengono
alle modalità di ripartizione dei seggi fra le diverse circoscrizioni
elettorali.
2. – In
ragione della loro connessione oggettiva, i giudizi possono essere riuniti, per
essere decisi con un’unica pronuncia.
3. –
Preliminarmente, vanno esposte le principali caratteristiche della disciplina
per l’elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia, nel cui
contesto si collocano le disposizioni oggetto di censura.
3.1. –
L’ordinamento comunitario, nell’attesa dell’introduzione di una procedura
uniforme per l’elezione dei rappresentanti al Parlamento europeo, ha demandato
agli Stati membri la definizione di tale disciplina, fissando tuttavia alcuni
principi comuni. Tali principi sono contenuti nell’Atto di Bruxelles, che
esprime una scelta di fondo a favore di sistemi elettorali di tipo
proporzionale. Esso stabilisce, infatti, che «in ciascuno Stato membro, i
membri del Parlamento europeo sono eletti a scrutinio di lista o uninominale
preferenziale con riporto di voti di tipo proporzionale» (art. 1), secondo
disposizioni nazionali che «non devono nel complesso pregiudicare il carattere
proporzionale del voto» (art. 7); permette agli Stati membri di costituire
circoscrizioni elettorali, ma «senza pregiudicare complessivamente il carattere
proporzionale del voto» (art. 2); consente ai legislatori nazionali di
prevedere una soglia minima per l’attribuzione dei seggi, purché essa non sia «
fissata a livello nazionale oltre il 5% dei suffragi espressi» (art. 2-bis). La disciplina europea, dunque, è
ispirata al principio di proporzionalità politica: consente l’istituzione di
circoscrizioni interne, purché non pregiudichino tale principio.
3.2. – In
attuazione della disciplina europea, l’Italia, con la legge n. 18 del
3.3. – Le
modalità di assegnazione dei seggi sono definite dall’art. 21 della legge n. 18
del 1979, che prevede le seguenti fasi.
Innanzitutto,
è determinata la «cifra elettorale nazionale» di ciascuna lista, data dalla
«somma dei voti riportati nelle singole circoscrizioni dalle liste aventi il
medesimo contrassegno» (art. 21, comma 1, n. 1), e sono individuate «le liste
che abbiano conseguito sul piano nazionale almeno il 4 per cento dei voti
validi espressi» (art. 21, comma 1, n. 1-bis).
Successivamente,
si procede al riparto proporzionale dei seggi tra le diverse liste che hanno
superato la soglia di sbarramento, in base alla cifra elettorale nazionale di
ciascuna lista e secondo la formula dei quozienti interi e dei più alti resti.
In particolare, la cifra elettorale nazionale di ciascuna lista è divisa per il
«quoziente elettorale nazionale» (dato dal totale delle cifre elettorali
nazionali delle liste ammesse alla ripartizione dei seggi diviso per il numero
dei seggi da attribuire) e si assegnano ad ogni lista tanti seggi quante volte
il quoziente elettorale nazionale risulti contenuto nella rispettiva cifra
elettorale nazionale. I seggi residui sono poi attribuiti alle liste per le
quali le ultime divisioni hanno dato maggiori resti, considerandosi resti anche
«le cifre elettorali nazionali delle liste che non hanno raggiunto il quoziente
elettorale nazionale» (art. 21, comma 1, n. 2).
Infine, si
procede alla distribuzione, nelle singole circoscrizioni, dei seggi assegnati
alle varie liste. A tal fine, la cifra elettorale circoscrizionale di ciascuna
lista viene divisa per il «quoziente elettorale di lista» (che è dato dalla
cifra elettorale nazionale di lista diviso per il numero di seggi assegnati
alla lista stessa). Si attribuiscono, poi, ad ogni lista, nelle varie
circoscrizioni, tanti seggi quante volte il rispettivo quoziente elettorale di
lista risulti contenuto nella cifra elettorale circoscrizionale della lista. I
seggi che rimangono ancora da attribuire sono assegnati nelle circoscrizioni
per le quali le ultime divisioni hanno dato maggiori resti (art. 21, comma 1,
n. 3).
4. – Con le
ordinanze di cui al r.o. nn. 29, 30 e 31, il
Tribunale amministrativo regionale del Lazio ha sollevato questione di
legittimità costituzionale dell’art. 21, comma 1, n. 2, della legge n. 18 del
4.1. – Il
Collegio rimettente, pur riconoscendo la legittimità costituzionale della
soglia di sbarramento in sé considerata, osserva che, secondo la disposizione
censurata, ai fini del riparto dei seggi non attribuiti in base ai quozienti
interi, «si considerano resti anche le cifre elettorali nazionali delle liste
che non hanno raggiunto il quoziente elettorale nazionale». Ad avviso del
giudice a quo, tale disciplina
sarebbe illegittima nella parte in cui essa non prevede che si considerino
resti anche le cifre elettorali nazionali delle liste che non hanno raggiunto
la soglia di sbarramento del 4%, negando, in tal modo, a tali liste il c.d.
«diritto di tribuna».
Secondo il
Tribunale rimettente, la norma censurata, in primo luogo, sarebbe in contrasto
con l’art. 3 Cost., sotto diversi profili: essa irragionevolmente consentirebbe
alle liste che hanno superato la soglia di ottenere seggi, in sede di computo
dei resti, sulla base di cifre elettorali più modeste di quelle delle liste
che, non avendo superato la soglia, risultano invece escluse anche dal riparto
dei seggi in base ai resti; la norma oggetto di censura sarebbe, poi, non
proporzionata rispetto al fine di favorire le aggregazioni politiche, già
sufficientemente assicurato dalla esclusione delle liste minori dal riparto dei
seggi a quoziente intero; infine, un ulteriore profilo di irragionevolezza
viene individuato dal Collegio rimettente nella circostanza che le liste le
quali, per mancato superamento della soglia, non ottengono alcun seggio, si
vedono private (in base peraltro a diversa disciplina non censurata dal
rimettente) del rimborso delle spese elettorali. In secondo luogo, il Tribunale
amministrativo rimettente lamenta la violazione degli artt. 1, 48, 49, 51 e 97 Cost., in quanto la disposizione censurata «porrebbe
radicalmente nel nulla la volontà popolare di una più o meno ampia platea di
elettori». Infine, il Collegio rimettente deduce la violazione dell’art. 11
Cost, in relazione sia all’art. 10 del Trattato sull’Unione europea, come
modificato dal Trattato di Lisbona, secondo cui «il funzionamento dell’Unione
si fonda sulla democrazia rappresentativa» e «ogni cittadino ha diritto di
partecipare alla vita democratica dell’Unione», sia agli artt. 10, 11, 39 e 40
della CEDU [recte: della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea], che sanciscono «il diritto di ciascun individuo di manifestare le
proprie convinzioni e di godere dell’elettorato attivo e passivo per il
Parlamento europeo».
4.2. – La
questione è inammissibile.
In primo
luogo, essa è prospettata in modo contraddittorio. Il Collegio rimettente,
infatti, da un lato, giudica manifestamente infondata una ipotetica questione
di legittimità costituzionale riferita alla introduzione della soglia di
sbarramento, per effetto della quale le liste che non raggiungono il 4% dei
voti validi sono escluse dal riparto dei seggi; dall’altro lato, censura la
disciplina relativa all’attribuzione dei seggi in base ai resti in quanto, in
applicazione della previsione della soglia di sbarramento, esclude da tale
attribuzione le liste che non l’abbiano superata. Di qui la contraddizione: se
la soglia di sbarramento è legittima – come il giudice rimettente riconosce –
allora non può censurarsi la conseguente scelta del legislatore di escludere
dall’attribuzione dei seggi in base ai resti le liste che non l’abbiano
superata; se, invece, la disciplina sul riparto dei seggi in base ai resti è
illegittima, nella parte in cui esclude le liste che non abbiano superato la
soglia di sbarramento – come il giudice rimettente lamenta – allora non può
sostenersi che il legislatore possa legittimamente introdurre tale soglia.
In ogni
caso, ove pure si ammettesse che una clausola di sbarramento, che estrometta
del tutto dall’attribuzione dei seggi le liste sotto il 4%, senza alcun
correttivo, sia in contrasto con i parametri costituzionali indicati dal
Collegio rimettente, va osservato che quest’ultimo domanda una pronuncia
additiva. Il giudice a quo, infatti, chiede a questa Corte di introdurre un
meccanismo diretto ad attenuare gli effetti della soglia di sbarramento,
consistente nel concedere alle liste che non l’abbiano superata la possibilità
di partecipare, con le rispettive cifre elettorali, alla aggiudicazione dei
seggi distribuiti in base ai resti. Ma tale attenuazione non ha una soluzione
costituzionalmente obbligata, potendosi immaginare numerosi correttivi volti a
temperare gli effetti della soglia di sbarramento, a partire dalla riduzione
della soglia stessa.
Ne deriva,
secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, che la questione sollevata,
sollecitando un intervento additivo in assenza di una soluzione
costituzionalmente obbligata, deve ritenersi inammissibile (fra le più recenti,
sentenza n. 58
del 2010; ordinanze n. 59 e n. 22 del 2010).
5. – Con le
ordinanze di rimessione di cui al r.o. nn. 22, 23, 28, 32 e 33 del 2010, il Tribunale
amministrativo regionale del Lazio ha sollevato questione di legittimità
costituzionale dell’art. 21, comma 1, n. 3, della legge n. 18 del 1979, in
riferimento agli artt. 1, 3, 48, 49, 51, 56, 57 e 97 Cost., nonché in riferimento
agli artt. 10, 11 e 117 Cost., in relazione agli
artt. 1, 2 e 7 dell’Atto di Bruxelles e agli artt. 10, 11, 39 e 40 della CEDU [recte: della Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione europea]. La disposizione è censurata nella
parte in cui regola la distribuzione nelle varie circoscrizioni dei seggi
attribuiti a ciascuna lista sul piano nazionale, «senza rispettare il numero
dei seggi preventivamente attribuito alle singole circoscrizioni, in relazione
alla popolazione residente, ai sensi dell’art. 2 della legge n. 18 del 1979».
5.1. – Ad
avviso del Tribunale rimettente, l’applicazione della norma censurata darebbe
luogo ad un effetto distorsivo, consistente nella «traslazione» di seggi da una
circoscrizione all’altra: alcuni seggi, assegnati ad una determinata
circoscrizione in base al criterio della popolazione, ai sensi dell’art. 2
della legge n. 18 del 1979, si trasferirebbero, invece, ad altra
circoscrizione, in virtù del diverso criterio di riparto previsto dalla norma
censurata, fondato sui voti validi espressi. Più precisamente, tale
«traslazione», essendo conseguenza del differente rapporto, nelle varie
circoscrizioni, fra numero di abitanti e numero di voti validi espressi,
penalizzerebbe le circoscrizioni nelle quali è più bassa l’affluenza alle urne.
In particolare, il Collegio rimettente rileva come i risultati elettorali del
2009 avrebbero determinato «un deficit di rappresentanza […] per i cittadini
delle circoscrizioni del Sud e delle Isole, che hanno visto la diminuzione di 3
e 2 rappresentanti rispettivamente, con la conseguente mancata elezione dei ricorrenti nei
giudizi principali».
Sotto tale
profilo, secondo il giudice a quo, la disposizione censurata contrasterebbe con diversi parametri
costituzionali. Sarebbe violato, innanzitutto, l’art. 3 Cost.,
sia sotto il profilo dell’eguaglianza, con riferimento al diritto di elettorato
attivo e passivo, sia sotto il profilo della «intrinseca irragionevolezza»
della norma censurata, che sarebbe contraddittoria rispetto alla «intenzione
del legislatore, quale risultante dai lavori parlamentari preparatori e dal
tenore dell’[…] art. 2» della legge n. 18 del 1979, secondo il quale i seggi
devono essere distribuiti in proporzione della popolazione residente in ogni
circoscrizione. Sarebbe leso, poi, il «principio di rappresentanza
territoriale», che il collegio rimettente ritiene imposto sia da principî della
Costituzione italiana (artt. 1, 48, 49, 51, 56 e 57 Cost.),
nel presupposto che essi si applichino anche alle modalità di elezione dei
membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia, sia, per il tramite degli
artt. 10, 11 e 117 Cost., dal diritto europeo e,
segnatamente, dagli artt. 1, 2 e 7 dell’Atto di Bruxelles, nonché dagli artt.
10, 11, 39 e 40 della CEDU [recte:
della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea].
5.2. – La
questione è inammissibile.
Il
legislatore italiano, cui, come chiarito, spetta disciplinare la materia in
attesa che l’Unione europea introduca una procedura uniforme, ha optato per un
sistema elettorale proporzionale a collegio unico nazionale, articolato in
circoscrizioni, nell’ambito delle quali devono essere presentate le liste.
Peraltro, la legge n. 18 del 1979, nella sua versione originaria, non assegnava
a ciascuna circoscrizione un determinato numero di seggi in base alla
popolazione residente, limitandosi ad indicare il numero minimo e massimo di
candidati per lista. Nelle elezioni del 1979, quindi, la distribuzione dei
seggi fra le circoscrizioni avvenne in ragione dei voti espressi in ciascuna di
esse, secondo la disciplina oggi censurata. Le liste presentate nelle
circoscrizioni meridionali e insulari, a causa anche della minore
partecipazione alla votazione, ottennero un numero di seggi inferiore a quello
che ad esse sarebbe spettato in proporzione alla popolazione residente nelle
medesime circoscrizioni. Per tentare di rimediare a questo inconveniente, con
la legge n. 61 del 1984, il legislatore ha modificato l’art. 2 della legge n.
18 del 1979, prevedendo espressamente che a ciascuna circoscrizione venga
assegnato un numero di seggi proporzionale alla popolazione in essa residente.
La legge n. 61 del 1984, però, non ha tratto tutte le conseguenze dalla
assegnazione dei seggi alle circoscrizioni in base alla popolazione. Essa,
infatti, ha lasciato inalterata la disciplina censurata, che, ai fini della
distribuzione dei seggi fra le circoscrizioni, considera il rapporto fra la
cifra elettorale circoscrizionale della lista e il quoziente elettorale
nazionale di lista, anziché il quoziente circoscrizionale.
Dal 1984 in
poi, pertanto, nella disciplina elettorale italiana per il Parlamento europeo,
convivono due ordini di esigenze: da un lato, l’assegnazione dei seggi nel
collegio unico nazionale in proporzione ai voti validamente espressi;
dall’altro, la distribuzione dei seggi fra le circoscrizioni in proporzione
alla popolazione. Il primo riflette il criterio della proporzionalità politica
e premia la partecipazione alle consultazioni elettorali e l’esercizio del
diritto di voto. Il secondo riflette il principio della rappresentanza c.d.
territoriale, determinata in base alla popolazione (ma astrattamente
determinabile anche in base ai cittadini, o agli elettori, o in base a una
combinazione di tali criteri).
Tali ordini
di esigenze, però, sono difficilmente armonizzabili e, anzi, non possono essere
fra loro perfettamente conciliati. Esistono, tuttavia, diversi possibili
meccanismi correttivi che, senza modificare la ripartizione proporzionale dei
seggi in sede di collegio unico nazionale, riducono l’effetto traslativo
lamentato dal rimettente, cioè lo scarto fra seggi conseguiti nelle
circoscrizioni in base ai voti validamente espressi e seggi ad esse spettanti
in base alla popolazione. Questi meccanismi, peraltro, conseguono tale
obiettivo al prezzo di alterare, in maggiore o minore misura, il rapporto
proporzionale fra voti conseguiti e seggi attribuiti a ciascuna lista
nell’ambito della singola circoscrizione. Ma il legislatore, sia nel 1984 che
nelle successive occasioni in cui ha riesaminato la disciplina elettorale in
questione, non ha introdotto un meccanismo correttivo, con la conseguenza che,
nonostante il disposto dell’art. 2 della legge n. 18 del 1979, come modificato
nel 1984, il riparto dei seggi fra le circoscrizioni ha continuato ad avvenire,
come in precedenza, in proporzione ai voti validi, a prescindere dalla previa
assegnazione in ragione della popolazione. Anche dai lavori preparatori della
legge n. 61 del 1984 emerge la consapevolezza, da parte del legislatore, che la
finalità di rispettare la previa assegnazione dei seggi in proporzione alla
popolazione avrebbe richiesto una più ampia revisione della disciplina
contenuta negli artt. 21 e 22 della legge n. 18 del 1979. Ciò non è però
avvenuto, né allora, né successivamente, quando, con la legge n. 10 del 2009,
il legislatore si è limitato ad introdurre la soglia di sbarramento, oltretutto
calcolandola «sul piano nazionale».
Tutto ciò
premesso, deve osservarsi che il Collegio rimettente sollecita una pronuncia
che abbia come effetto l’introduzione, ad opera di questa Corte, di un sistema
di distribuzione dei seggi fra le circoscrizioni che, a differenza di quello
previsto dalla disposizione censurata, sia rispettoso del riparto previamente
effettuato in base alla popolazione ai sensi dell’art. 2 della legge n. 18 del
1979. Ma il giudice a quo non precisa quale dei possibili sistemi dovrebbe
essere introdotto per contemperare il principio della proporzionalità politica
con quello della rappresentanza territoriale. Alla disciplina prevista, per la
Camera dei deputati, dall’art. 83, comma 1, n. 8, del d.P.R.
30 marzo 1957, n. 361 (Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme
per la elezione della Camera dei deputati), che secondo alcune parti private
intervenute nel giudizio costituzionale potrebbe applicarsi in virtù del rinvio
di cui all’art. 51 della legge n. 18 del 1979, il Collegio rimettente, in
realtà, riserva solo un breve cenno, in quella parte dell’ordinanza di
rimessione in cui riferisce le tesi dei ricorrenti nei giudizi principali. In
ogni caso, va detto che tale disciplina rappresenta soltanto uno dei diversi
possibili meccanismi in grado di ridurre l’effetto di slittamento di seggi da
una circoscrizione all’altra. Ma non può che spettare al legislatore
individuare, con specifico riferimento all’organo rappresentativo preso in
considerazione, la soluzione più idonea a porre rimedio alla lamentata
incongruenza della disciplina censurata. In presenza di una pluralità di
soluzioni, nessuna delle quali costituzionalmente obbligata, questa Corte non
potrebbe sostituirsi al legislatore in una scelta ad esso riservata (fra le più
recenti, sentenza
n. 58 del 2010; ordinanze n. 59
e n. 22 del 2010).
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara
inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 21, comma 1,
n. 2 e n. 3, della legge 24 gennaio 1979, n. 18 (Elezione dei membri del
Parlamento europeo spettanti all’Italia), sollevate, in riferimento agli artt.
1, 3, 48, 49, 51, 56, 57 e 97 della Costituzione, nonché agli artt. 10, 11 e
117 della Costituzione, in relazione all’art. 10 del Trattato sull’Unione
europea, agli artt. 1, 2 e 7 dell’Atto relativo all’elezione dei rappresentanti
del Parlamento europeo a suffragio universale diretto, allegato alla Decisione
del Consiglio del 20 settembre 1976, n. 76/787/CECA/CEE/Euratom,
come modificato dalla Decisione del Consiglio 25 giugno 2002, n. 2002/772/CE/Euratom e agli artt. 10, 11, 39 e 40 della Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea, dal Tribunale amministrativo regionale del
Lazio con le ordinanze in epigrafe.
Così deciso
in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8
luglio 2010.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Sabino CASSESE, Redattore
Giuseppe DI
PAOLA, Cancelliere
Depositata
in Cancelleria il 22 luglio 2010.