ORDINANZA N. 166
ANNO 2010
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA ”
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Alfonso QUARANTA ”
- Franco GALLO ”
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Maria Rita SAULLE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Paolo GROSSI ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZAnel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 656, comma 9, del codice di procedura penale e dell’art. 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), come modificato dall’art. 3 del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 aprile 2009, n. 38, promosso dal Tribunale per i minorenni di Trento con ordinanza del 6 luglio 2009, iscritta al n. 250 del registro ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell’anno 2009.
Udito nella camera di consiglio del 14 aprile 2010 il Giudice relatore Gaetano Silvestri.
Ritenuto che con ordinanza deliberata il 6 luglio 2009 il Tribunale per i minorenni di Trento, in funzione di sorveglianza, ha sollevato, in riferimento agli artt. 27, terzo comma, e 31, secondo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 656, comma 9, del codice di procedura penale e dell’art. 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà) – come modificato dall’art. 3 del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 aprile 2009, n. 38 –, nella parte in cui prevede che le suddette disposizioni si applicano anche ai condannati per fatti commessi da minorenni, con conseguente possibilità di accesso ai benefici penitenziari, in caso di condanna per i reati previsti dagli artt. 609-quater e 609-octies del codice penale, solo sulla base dell’osservazione scientifica della personalità, attuata in regime di restrizione carceraria per la durata di un anno;
che il rimettente è chiamato a provvedere sull’istanza di affidamento in prova al servizio sociale presentata da un giovane ultraventunenne, condannato alla pena di anni due e mesi otto di reclusione per aver commesso, da minorenne, i reati di cui agli artt. 110, 605, 609-quater e 609-octies cod. pen.;
che, secondo quanto precisato dallo stesso rimettente, il pubblico ministero, dopo che la sentenza di condanna è divenuta irrevocabile, ha emesso ordine di carcerazione con contestuale sospensione dell’esecuzione, e successivamente il condannato ha presentato istanza di ammissione alla misura alternativa alla detenzione;
che nel giudizio conseguente il pubblico ministero ha chiesto, in via principale, il rigetto dell’istanza difensiva, sul rilievo che l’art. 4-bis della legge n. 354 del 1975, come modificato dal d.l. n. 11 del 2009 e dalla relativa legge di conversione n. 38 del 2009, prevede che i condannati per delitti di cui agli artt. 609-bis, 609-ter, 609-quater e 609-octies cod. pen. possano accedere ai benefici penitenziari «solo sulla base dei risultati dell’osservazione scientifica della personalità condotta collegialmente per almeno un anno anche con la partecipazione degli esperti di cui al quarto comma dell’art. 80 della presente legge»;
che inoltre lo stesso pubblico ministero, in via subordinata, si è rimesso alla valutazione del Tribunale in merito alla legittimità costituzionale della previsione indicata, tenuto conto delle peculiarità dell’esecuzione minorile, mentre la difesa dell’istante ha formalizzato eccezione di illegittimità costituzionale del novellato art. 4-bis della legge n. 354 del 1975, in quanto incompatibile con il principio del recupero e della risocializzazione del condannato;
che, dopo tali premesse in fatto, il rimettente osserva come, in applicazione degli artt. 656, comma 9, cod. proc. pen. e 4-bis della legge n. 354 del 1975, l’istanza sottoposta al suo giudizio dovrebbe essere dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata, e ciò senza alcuna possibilità di valutare la situazione specifica del condannato al fine di individuare «la modalità esecutiva più idonea a garantire il mantenimento del percorso di reinserimento sociale attuato»;
che, a parere del rimettente, la rigidità delle richiamate previsioni non sarebbe compatibile con il principio della finalità rieducativa della pena, a maggior ragione ove riferito alla persona condannata per fatti commessi da minorenne, per la quale deve ritenersi sicuramente prevalente l’esigenza di garantire il «recupero sociale», attraverso la valorizzazione delle specifiche caratteristiche della personalità;
che il Tribunale richiama la giurisprudenza costituzionale la quale ha più volte sottolineato la necessità di una diversificazione della disciplina dell’esecuzione penale nel caso di condannato minorenne, rilevando, in particolare, come le previsioni che sanciscono divieti generalizzati ed automatici siano da ritenersi incompatibili con gli artt. 27 e 31 Cost., poiché non consentono quelle valutazioni flessibili ed individualizzanti che sono strumentali alla risocializzazione del condannato medesimo (sentenze n. 436 del 1999, n. 450 del 1998, n. 403 del 1997 e n. 168 del 1994);
che le considerazioni svolte nelle richiamate decisioni varrebbero, a parere del rimettente, anche con riferimento alle disposizioni oggetto di censura, posto che «l’esclusione rigida delle misure alternative alla detenzione sulla base della mera tipologia dei delitti e prima del decorso di almeno un anno di permanenza in carcere» risulterebbe di ostacolo al recupero sociale del condannato;
che nella specie il Tribunale, anche in base alla relazione ed al progetto inviati dal competente Ufficio per l’esecuzione penale esterna, rileva come l’istante non abbia riportato altre condanne, mantenendo una condotta esente da rimproveri, con la conseguenza che, «a distanza di oltre quattro anni dai fatti ed a fronte della positiva evoluzione di crescita del ricorrente, impegnato nel lavoro e nel volontariato, l’inevitabile impatto carcerario, in mancanza di qualsiasi possibilità di diversa valutazione da parte dell’autorità giudiziaria, ne potrebbe compromettere in modo radicale l’avvenuto recupero e risocializzazione»;
che non vi è stata costituzione di parti, né intervento del Presidente del Consiglio dei ministri.
Considerato che il Tribunale per i minorenni di Trento, in funzione di sorveglianza, solleva, in riferimento agli artt. 27, terzo comma, e 31, secondo comma, Cost., questioni di legittimità costituzionale degli artt. 656, comma 9, del codice di procedura penale e dell’art. 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà) – come modificato dall’art. 3 del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 aprile 2009, n. 38 – nella parte in cui prevede che le suddette disposizioni si applicano anche ai condannati per fatti commessi da minorenni, con conseguente possibilità di accesso ai benefici penitenziari, in caso di condanna per i reati previsti dagli artt. 609-quater e 609-octies del codice penale, solo sulla base dell’osservazione scientifica della personalità, attuata in regime di restrizione carceraria per la durata di un anno;
che, in via preliminare, va rilevata la manifesta inammissibilità della questione sollevata riguardo all’art. 656, comma 9, cod. proc. pen., per la palese irrilevanza della predetta norma nel giudizio a quo;
che infatti, nell’ambito della disciplina della fase iniziale di esecuzione delle pene detentive, cui procede il pubblico ministero con l’emissione dell’ordine di carcerazione, la disposizione in esame stabilisce i casi in cui, in deroga alla regola fissata dal comma 5 del medesimo art. 656, lo stesso pubblico ministero non può comunque sospendere l’esecuzione delle pene detentive brevi;
che, in particolare, il comma 9, alla lettera a), prevede che la sospensione dell’esecuzione non possa essere disposta «nei confronti dei condannati per i delitti di cui all’art. 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni», sicché, per effetto del rinvio in essa contenuto, la norma processuale recepisce automaticamente le variazioni del catalogo dei delitti indicati nello stesso art. 4-bis (Corte di cassazione, Sezioni unite penali, sentenza n. 24561 del 2006);
che dunque l’art. 656, comma 9, cod. proc. pen. disciplina unicamente l’attività del pubblico ministero, vincolandone il contenuto in funzione della presunzione di pericolosità che concerne i condannati per i delitti compresi nel catalogo appena citato, mentre spetta al Tribunale di sorveglianza la valutazione delle istanze di condannati, i quali, dopo l’ordine di carcerazione e l’eventuale provvedimento sospensivo che può accompagnarlo, chiedano l’accesso a forme alternative di esecuzione della pena;
che va notato peraltro come, nel caso di specie, l’art. 656, comma 9, del codice di rito non abbia trovato applicazione (o, meglio, sia stato disapplicato) nella fase antecedente alla presentazione dell’istanza del condannato, risultando dall’ordinanza di rimessione che il pubblico ministero ha emesso l’ordine di carcerazione contestualmente sospendendone l’efficacia, e ciò sebbene alcuni tra i reati per i quali è intervenuta la condanna dell’istante fossero inseriti nel catalogo dell’art. 4-bis da epoca antecedente al momento in cui la sentenza di condanna è divenuta irrevocabile;
che, in particolare, i delitti previsti dagli artt. 609-quater e 609-octies cod. pen. risultano ostativi alla concessione dei benefici penitenziari – e quindi alla sospensione iniziale della pena detentiva breve – a far tempo dall’entrata in vigore dell’art. 15 della legge 6 febbraio 2006, n. 38 (Disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia anche a mezzo Internet);
che il giudice rimettente, pur nel complesso quadro che si è descritto, non ha svolto alcuna considerazione circa la rilevanza nel giudizio a quo della norma processuale, peraltro disapplicata dal pubblico ministero, e neppure in merito alle conseguenze della disposta sospensione dell’esecuzione sulle modalità applicative, nel caso di specie, dell’art. 4-bis;
che comunque, in riferimento alla questione concernente l’art. 4-bis della legge n. 354 del 1975, gli atti devono essere restituiti al Tribunale, poiché il legislatore è nuovamente intervenuto sulla disposizione censurata, in epoca successiva alla deliberazione dell’ordinanza di rimessione, modificando il trattamento dei condannati per il delitto di cui all’art. 609-octies cod. pen.;
che infatti, mentre nel testo dell’art. 4-bis considerato dal rimettente, l’accesso ai benefici penitenziari, per tale categoria di condannati, era subordinato alla compresenza delle condizioni previste nei commi 1 e 1-quater, e quindi alla collaborazione e all’osservazione inframuraria della personalità per la durata di un anno, il testo vigente della norma censurata non prevede più, in modo espresso, entrambe le condizioni, in quanto l’art. 2 della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), ha eliminato l’inciso «qualora ricorra anche la condizione di cui […]», che era contenuto in ciascuno dei commi indicati;
che, peraltro, il delitto di cui all’art. 609-octies cod. pen. continua ad essere inserito sia nel comma 1 sia nel comma 1-quater dell’art. 4-bis, i quali, come si è visto, richiedono condizioni diverse ai fini dell’accesso ai benefici penitenziari;
che, stante l’applicabilità della modifica ai procedimenti in corso, spetta al giudice a quo stabilire in primo luogo quale sia il regime applicabile ai condannati per il delitto di cui all’art. 609-octies cod. pen., e quindi procedere, sulla base dell’opzione prescelta, ad una nuova valutazione della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione (ex plurimis, ordinanza n. 66 del 2010).
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALEdichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 656, comma 9, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 27, terzo comma, e 31, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale per i minorenni di Trento, in funzione di tribunale di sorveglianza, con l’ordinanza indicata in epigrafe;
ordina la restituzione degli atti al medesimo Tribunale per i minorenni di Trento con riguardo alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), come modificato dall’art. 3 del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 aprile 2009, n. 38.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 aprile 2010.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Gaetano SILVESTRI, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 6 maggio 2010.