ANNO 2010
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Ugo DE SIERVO Presidente
- Alfio FINOCCHIARO Giudice
- Alfonso QUARANTA ''
- Franco GALLO ''
- Luigi MAZZELLA ''
- Gaetano SILVESTRI ''
- Sabino CASSESE ''
- Maria Rita SAULLE ''
- Giuseppe TESAURO ''
- Paolo Maria NAPOLITANO ''
- Giuseppe FRIGO ''
- Alessandro CRISCUOLO ''
- Paolo GROSSI ''
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, secondo periodo, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413) – come modificato dall’art. 3-bis, comma 1, lettera b), del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 2 dicembre 2005, n. 248 –, promossi: con ordinanza depositata il 15 maggio 2009, dalla Corte di cassazione nel giudizio per regolamento preventivo di giurisdizione promosso da Gino Miele nei confronti della s.p.a. Azienda Consorzio del Mirese - Gruppo Veritas, iscritta al numero 239 del registro ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell’anno 2009; con ordinanza depositata il 12 maggio 2009, dalla Commissione tributaria regionale della Toscana nel giudizio tributario di appello vertente tra la s.r.l. Elettrocantini di Cantini Roberto & C., il Comune di Grosseto e la s.p.a. Monte dei Paschi di Siena, iscritta al numero 252 del registro ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell’anno 2009; con ordinanza depositata il 31 luglio 2009, dal Tribunale di Pistoia, sezione distaccata di Monsummano Terme, nel giudizio civile vertente tra la s.r.l. Anico e la s.p.a. Publiambiente, iscritta al numero 260 del registro ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell’anno 2009.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 27 gennaio 2010 il Giudice relatore Franco Gallo.
Ritenuto che, nel corso di un giudizio per regolamento preventivo di giurisdizione promosso da Gino Miele nei confronti della s.p.a. Azienda Consorzio del Mirese - Gruppo Veritas, la Corte di cassazione, con ordinanza depositata il 15 maggio 2009 (r.o. n. 239 del 2009), ha sollevato, in riferimento all’art. 102, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità dell’art. 2, comma 2, secondo periodo, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413) – come modificato dall’art. 3-bis, comma 1, lettera b), del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 2 dicembre 2005, n. 248 –, nella parte in cui stabilisce che «Appartengono alla giurisdizione tributaria [...] le controversie relative alla debenza del canone [...] per lo smaltimento di rifiuti urbani»;
che il giudice a quo osserva che: a) il regolamento di giurisdizione trae origine da una controversia pendente di fronte al Giudice di pace di Dolo e concernente l’opposizione ad un decreto ingiuntivo con il quale la società convenuta ha agito per il mancato pagamento di una serie di fatture relative alla Tariffa d’igiene ambientale (TIA) per gli anni dal 2001 al 2005; b) l’opponente ha proposto ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione, sul rilievo che, trattandosi di debiti di natura tributaria, la giurisdizione spetta non al giudice ordinario, bensí al giudice tributario;
che, quanto alla ricostruzione del quadro normativo, il giudice a quo riferisce che la TIA è stata istituita con l’art. 49 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione della direttiva 91/156/CEE sui rifiuti, della direttiva 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e della direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio), in sostituzione della TARSU, cioè di un prelievo di natura tributaria, ed è finalizzata a coprire «i costi per i servizi relativi alla gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti di qualunque natura o provenienza giacenti sulle strade ed aree pubbliche e soggette ad uso pubblico» (art. 49, comma 2);
che lo stesso giudice a quo precisa, altresí, che la tariffa «deve essere applicata nei confronti di chiunque occupi oppure conduca locali, o aree scoperte ad uso privato non costituenti accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale» (art. 49, comma 3) ed «è composta da una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere e dai relativi ammortamenti, e da una quota rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito, e all’entità dei costi di gestione, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio» (art. 49, comma 4);
che – prosegue la rimettente – la TIA è stata sostituita, con l’art. 238 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), dalla Tariffa per la gestione dei rifiuti urbani, che è dovuta da «chiunque possegga o detenga a qualsiasi titolo locali, o aree scoperte ad uso privato o pubblico non costituenti accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale, che producano rifiuti urbani» e che costituisce «il corrispettivo per lo svolgimento del servizio di raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti solidi urbani e ricomprende anche i costi indicati dall’art. 15 del decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36» (art. 238, comma 1);
che la stessa Corte rimettente sottolinea che, nella nuova disciplina, la tariffa per la gestione dei rifiuti urbani è «commisurata alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolte, sulla base di parametri, determinati con il regolamento di cui al comma 6, che tengano anche conto di indici reddituali articolati per fasce di utenza e territoriali» (art. 238, comma 2) ed è «composta da una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere ed ai relativi ammortamenti, nonché da una quota rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito e all’entità dei costi di gestione, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio» (art. 238, comma 4);
che il giudice a quo premette di non condividere il presupposto interpretativo su cui si fonda la sua precedente ordinanza n. 4895 del 2006, secondo cui il legislatore – aggiungendo, con l’art. 3-bis, comma 1, lettera b), del decreto-legge n. 203 del 2005, un secondo periodo al comma 2 dell’art. 2 del d.lgs. n. 546 del 1992 – avrebbe inteso risolvere la controversa questione circa la natura, tributaria o no, della TIA, affermandone per via processuale il carattere tributario sostanziale;
che, a tale proposito, la rimettente rileva che la Corte costituzionale, con le sentenze n. 335 e n. 64 del 2008, ha escluso la natura tributaria, rispettivamente, del COSAP e del canone per lo scarico e la depurazione delle acque reflue, con ciò negando che il secondo periodo del comma 2 dell’art. 2 del d.lgs. n. 546 del 1992 valga, ex se, a determinare la natura tributaria delle prestazioni patrimoniali da esso elencate;
che, a sostegno della natura non tributaria della TIA, la rimettente afferma che: a) la considerazione che un prelievo sia diretto – come la TIA – ad assicurare la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio è già stata posta dalla Corte costituzionale a fondamento della sua natura non tributaria; b) i criteri per la determinazione della TIA sono analoghi a quelli stabiliti dall’art. 117, comma 1, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali) per le tariffe dei servizi pubblici, le quali, a norma del comma 2 della medesima disposizione, sono definite «corrispettivo» dei servizi stessi; c) mancano, nella disciplina sulla TIA, norme riguardanti l’accertamento, le sanzioni e il contenzioso; d) la TIA è soggetta ad IVA ai sensi dell’art. 6, comma 13, della legge 13 maggio 1999, n. 133 (Disposizioni in materia di perequazione, razionalizzazione e federalismo fiscale), e del d.m. 24 ottobre 2000, n. 370, e tale soggezione è indice della volontà del legislatore di non ricondurre le quote stesse al novero di quei «diritti, canoni, contributi» che l’art. 13, paragrafo 1, primo periodo, della direttiva n. 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006 esclude in linea generale dall’assoggettamento a IVA, perché percepiti da enti pubblici «per le attività od operazioni che esercitano in quanto pubbliche autorità»; e) l’Agenzia delle entrate, con la risoluzione n. 25 del 5 febbraio 2003, ha affermato che «la tariffa di igiene ambientale (TIA), configurandosi alla stregua di un “corrispettivo”, nel presupposto che l’espletamento del servizio avvenga secondo regole di diritto comune, [...] deve essere assoggettata all’IVA, con aliquota agevolata del 10 per cento, come previsto dalla Tabella A, parte terza, n. 127-sexiesdecies, allegata al suddetto d.P.R. n. 633 del 1972, nel caso che trattasi della gestione di rifiuti urbani e/o dei rifiuti speciali ad essi assimilati»; f) le operazioni di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani e assimilati sono svolte da soggetti che operano come imprese nell’esercizio di vere e proprie attività commerciali ed applicano e riscuotono direttamente la tariffa, con la duplice conseguenza della mancanza di un atto impositivo impugnabile e di un soggetto pubblico che possa assumere la qualità di parte in un eventuale giudizio tributario; g) il passaggio dalla TARSU alla TIA è «caratterizzato da una scelta legislativa per la privatizzazione (e spesso esternalizzazione) dei servizi, connessa ad un processo di detributarizzazione, in particolare riferito alla finanza locale (e specificamente all’area dei servizi erogati o gestiti dagli enti territoriali), in una prospettiva “federalista” nella quale si esalta il “principio del beneficio”»; h) il passaggio dalla TARSU alla TIA ha anche avuto la finalità di dare attuazione, in materia di rifiuti, al principio comunitario “chi inquina paga”;
che, sulla premessa della natura non tributaria della TIA, il giudice rimettente deduce che la disposizione denunciata, attribuendo la cognizione delle controversie sulla debenza di tale prelievo ai giudici tributari, comporterebbe la creazione di un giudice speciale, vietata dall’evocato parametro costituzionale;
che, a sostegno della rilevanza della prospettata questione, la Corte di cassazione afferma che il giudizio a quo ha per oggetto il regolamento di giurisdizione e che la disposizione censurata attribuisce al giudice tributario la cognizione delle controversie sulla debenza del canone per lo smaltimento di rifiuti urbani, anche se questo non ha natura tributaria, senza che vi sia spazio per un’interpretazione costituzionalmente orientata della stessa disposizione;
che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata;
che la difesa erariale richiama, al riguardo, la sentenza della Corte costituzionale n. 238 del 2009, successiva all’ordinanza di rimessione, con la quale un’analoga questione è stata dichiarata infondata, perché le caratteristiche strutturali e funzionali della TIA disciplinata dall’art. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997 «rendono evidente che tale prelievo presenta tutte le caratteristiche del tributo» e che esso «costituisce una mera variante della TARSU disciplinata dal d.P.R. n. 507 del 1993 (e successive modificazioni), conservando la qualifica di tributo propria di quest’ultima»;
che, nel corso di un giudizio tributario di appello promosso dalla s.r.l. Elettrocantini di Cantini Roberto & C. nei confronti del Comune di Grosseto e (quale agente della riscossione) della s.p.a. Monte dei Paschi di Siena, la Commissione tributaria regionale della Toscana, con ordinanza depositata il 12 maggio 2009 (r.o. n. 252 del 2009), ha sollevato, in riferimento all’art. 102, secondo comma, Cost., questione di legittimità dell’art. 2, comma 2, secondo periodo, del decreto legislativo n. 546 del 1992 – come modificato dall’art. 3-bis, comma 1, lettera b), del decreto-legge n. 203 del 2005, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 248 del 2005 –, nella parte in cui stabilisce che «Appartengono alla giurisdizione tributaria [...] le controversie relative alla debenza del canone [...] per lo smaltimento di rifiuti urbani»;
che la rimettente riferisce che la Commissione tributaria provinciale di Prato aveva respinto il ricorso della contribuente nei confronti del Comune e dell’agente della riscossione avverso una cartella di pagamento «della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU) relativa all’anno 2003» e che la ricorrente aveva proposto appello;
che il giudice a quo rileva che la TARSU oggetto di causa è stata poi sostituita dalla TIA e lamenta che le controversie relative a quest’ultima, pur non avendo essa natura tributaria, sono state attribuite dalla norma censurata alla giurisdizione tributaria;
che, a sostegno della prospettata censura, il giudice rimettente rileva che l’art. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997 costruisce la prestazione di cui si tratta come tariffa, cioè come un corrispettivo privatistico che copre «i costi per i servizi relativi alla gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti di qualunque natura o provenienza giacenti sulle strade ed aree pubbliche e soggette ad uso pubblico» (comma 2), e stabilisce al comma 4 che essa è composta da una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio e da una ulteriore quota «rapportata alla quantità dei rifiuti conferiti, al servizio fornito e all’entità dei costi di gestione», al fine di assicurare la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio;
che, in punto di rilevanza, il giudice a quo afferma che all’accoglimento della questione «conseguirebbe il difetto di giurisdizione di questa commissione tributaria a conoscere della controversia»;
che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata, sul rilievo che la TIA disciplinata dall’art. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997 deve essere considerata un tributo e non un corrispettivo;
che, nel corso di un giudizio civile vertente tra la s.r.l. Anico e la s.p.a. Publiambiente ed avente ad oggetto l’opposizione della prima ad un decreto ingiuntivo emanato a favore della seconda per il mancato pagamento della TIA relativa all’anno 2003, il Tribunale di Pistoia, sezione distaccata di Monsummano Terme, con ordinanza depositata il 31 luglio 2009 (r.o. n. 260 del 2009), ha sollevato, in riferimento agli artt. 25, primo comma, e 102, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità dell’art. 2, comma 2, secondo periodo, del decreto legislativo n. 546 del 1992 – come modificato dall’art. 3-bis, comma 1, lettera b), del decreto-legge n. 203 del 2005, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 248 del 2005 –, nella parte in cui stabilisce che «Appartengono alla giurisdizione tributaria [...] le controversie relative alla debenza del canone [...] per lo smaltimento di rifiuti urbani»;
che, in punto di non manifesta infondatezza, quanto al parametro dell’art. 102, secondo comma, Cost., il giudice a quo svolge considerazioni analoghe a quelle contenute nelle ordinanze r.o. n. 239 del 2009 e n. 252 del 2009 e rileva, altresí, che «all’art. 77-bis n. 30 del decreto-legge n. 112/2008 il legislatore ha confermato il blocco dei tributi per il triennio 2009-2011 introducendo una deroga per la TARSU ma non citando la TIA; il che non si spiega logicamente se non nella considerazione che la TIA è un’entrata extratributaria»;
che, quanto al parametro dell’art. 25, primo comma, Cost., il Tribunale afferma che la disposizione censurata víola il principio del giudice naturale;
che in punto di rilevanza della sollevata questione, il rimettente osserva che l’opponente ha eccepito, proprio in forza della norma censurata, il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore del giudice tributario e che di tale norma, pertanto, deve farsi applicazione ai fini della decisione su tale eccezione.
Considerato che la Corte di cassazione, la Commissione tributaria regionale della Toscana ed il Tribunale di Pistoia, sezione distaccata di Monsummano Terme, dubitano, in riferimento all’art. 102, secondo comma, della Costituzione, della legittimità dell’art. 2, comma 2, secondo periodo, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413) – come modificato dall’art. 3-bis, comma 1, lettera b), del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 2 dicembre 2005, n. 248 –, nella parte in cui stabilisce che «Appartengono alla giurisdizione tributaria [...] le controversie relative alla debenza del canone [...] per lo smaltimento di rifiuti urbani», quale disciplinato dall’art. 49 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione della direttiva 91/156/CEE sui rifiuti, della direttiva 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e della direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio);
che i rimettenti lamentano che la norma censurata «si risolve nella creazione di un nuovo giudice speciale», vietata dall’evocato parametro, perché attribuisce alla cognizione delle commissioni tributarie le controversie relative alla tariffa di igiene ambientale (TIA) disciplinata dall’art. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997, che non ha natura tributaria;
che il solo Tribunale di Pistoia, sezione distaccata di Monsummano Terme, dubita della legittimità dello stesso articolo anche in riferimento all’art. 25, primo comma, Cost.;
che i giudizi di legittimità costituzionale promossi dalle suddette ordinanze vanno riuniti, perché hanno ad oggetto analoghe questioni, relative alla stessa norma;
che, preliminarmente, deve essere dichiarata la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Commissione tributaria regionale della Toscana;
che, infatti, la Commissione rimettente riferisce che il giudizio a quo ha per oggetto il pagamento «della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU) relativa all’anno 2003» e non la TIA, disciplinata dall’art. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997, tariffa in relazione alla quale soltanto, data la ritenuta sua natura non tributaria, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale;
che la questione sollevata da detta Commissione non è, dunque, rilevante nel giudizio a quo, perché esso ha per oggetto un prelievo tributario (la TARSU) e, quindi, il rimettente non deve fare applicazione della disposizione censurata con riferimento alla TIA;
che deve essere dichiarata manifestamente inammissibile anche la questione sollevata dal Tribunale di Pistoia, sezione distaccata di Monsummano Terme, in riferimento all’art. 25, primo comma, Cost., perché tale questione è priva di motivazione, essendosi il rimettente limitato ad affermare genericamente che la disposizione censurata víola il principio del giudice naturale;
che le questioni sollevate dalla Corte di cassazione e dal Tribunale di Pistoia, sezione distaccata di Monsummano Terme, in riferimento all’art. 102, secondo comma, Cost. devono essere dichiarate manifestamente infondate;
che, infatti, questa Corte, con la sentenza n. 238 del 2009, ha già dichiarato non fondata identica questione di legittimità costituzionale, sollevata dalla Commissione tributaria provinciale di Prato, sul rilievo che la TIA, disciplinata dall’art. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997, costituisce non già una entrata patrimoniale di diritto privato, ma una mera variante della TARSU, disciplinata dal d.P.R. n. 507 del 1993, e conserva la qualifica di tributo propria di quest’ultima, con la conseguenza che le controversie aventi ad oggetto la debenza della TIA hanno natura tributaria e che la loro attribuzione alla cognizione delle commissioni tributarie è conforme al disposto dell’evocato art. 102, secondo comma, Cost.;
che, al riguardo, i rimettenti non hanno prospettato, nel merito, argomentazioni e profili diversi rispetto a quelli già esaminati da questa Corte con la citata sentenza o comunque idonei ad indurre ad una differente pronuncia sulle sollevate questioni di legittimità costituzionale.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, commi 1 e 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale del secondo periodo del comma 2 dell’art. 2 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413) – come modificato dall’art. 3-bis, comma 1, lettera b), del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dal comma 1 dell’art. 1 della legge 2 dicembre 2005, n. 248 –, sollevata, in riferimento al secondo comma dell’art. 102 della Costituzione, dalla Commissione tributaria regionale della Toscana con l’ordinanza indicata in epigrafe;
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale del medesimo secondo periodo del comma 2 dell’art. 2 del d.lgs. n. 546 del 1992 – come modificato dall’art. 3-bis, comma 1, lettera b), del decreto-legge n. 203 del 2005, convertito, con modificazioni, dal comma 1 dell’art. 1 della legge n. 248 del 2005 –, sollevata, in riferimento al primo comma dell’art. 25 Cost., dal Tribunale di Pistoia, sezione distaccata di Monsummano Terme, con l’ordinanza indicata in epigrafe;
dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale del medesimo secondo periodo del comma 2 dell’art. 2 del d.lgs. n. 546 del 1992 – come modificato dall’art. 3-bis, comma 1, lettera b), del decreto-legge n. 203 del 2005, convertito, con modificazioni, dal comma 1 dell’art. 1 della legge n. 248 del 2005 –, sollevate, in riferimento al secondo comma dell’art. 102 Cost., dalla Corte di cassazione e dal Tribunale di Pistoia, sezione distaccata di Monsummano Terme, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 febbraio 2010.
F.to:
Ugo DE SIERVO, Presidente
Franco GALLO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 24 febbraio 2010.