ORDINANZA N. 260
ANNO 2009
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANOLA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai Signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZAnel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 146, primo comma, numeri 1) e 2), del codice penale, promosso dal Tribunale di sorveglianza di Venezia nel procedimento relativo a J.S. con ordinanza dell’8 ottobre 2008, iscritta al n. 29 del registro ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell’anno 2009.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio dell’8 luglio 2009 il Giudice relatore Paolo Maddalena.
Ritenuto che il Tribunale di sorveglianza di Venezia, con ordinanza emessa l’8 ottobre 2008 (reg. ord. n. 29 del 2009), ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 27, terzo comma, e 30 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 146, primo comma, numeri 1) e 2), del codice penale (Rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena), nella parte in cui non prevede che il giudice possa negare il differimento della pena quando lo ritenga non adeguato alle finalità previste dall’art. 27, terzo comma, della Costituzione, sussista il pericolo di eccezionale rilevanza di commissione di altri delitti, la detenzione domiciliare non sia idonea a prevenire il pericolo di recidiva e l’espiazione della pena possa avvenire senza pregiudizio per le esigenze di tutela dello stato di gravidanza o del rapporto del minore infante con la madre;
che il Tribunale rimettente afferma di essere investito dell’istanza di differimento dell’esecuzione della pena avanzata da una donna in stato di gravidanza e madre di un bambino di età inferiore ad un anno;
che il Tribunale di sorveglianza premette che la condannata è una nomade di spiccata pericolosità sociale, più volte condannata per reati contro il patrimonio e, anche di recente, arrestata per tentato furto; e ricorda che le era stata revocata la misura della detenzione domiciliare per essersi allontanata dal luogo prescritto;
che, ad avviso del rimettente, detta pericolosità esigerebbe, ai fini di un adeguato contenimento, l’applicazione di una misura detentiva, perché il richiesto differimento, ove concesso, sarebbe abusivamente utilizzato per commettere altri reati, senza alcun riguardo per le esigenze alla cui tutela il beneficio è preordinato, posto che già in passato la nascita della figlia non ha dissuaso la donna dal commettere delitti;
che, tuttavia, il giudice a quo afferma di non poter negare il differimento della pena, potendo al più disporre, quale misura sostituiva del richiesto differimento, anche in assenza di una richiesta in tal senso dell’interessata, la detenzione domiciliare ai sensi dell’art. 47-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), già revocata dal magistrato di sorveglianza perché rivelatasi del tutto inadeguata;
che, in punto di non manifesta infondatezza, il Tribunale rimettente afferma di condividere il principio secondo il quale in un paese democratico la detenzione delle donne in gravidanza e delle madri che accudiscono figli in tenera età dovrebbe essere prevista solo «in ultima istanza», e di essere consapevole del fatto che l’alternativa tra l’immediata esecuzione della pena o la sua temporanea inesigibilità a causa di situazioni soggettive, che il legislatore ritiene di qualificare come incompatibili con la carcerazione, non comporta soluzioni univoche sul piano costituzionale, dovendosi necessariamente ammettere spazi di valutazione normativa che ben possono contemperare l’obbligatorietà della pena con le specifiche situazioni di chi vi deve essere sottoposto;
che, secondo il giudice a quo, la previsione del rinvio obbligatorio per la condannata in stato di gravidanza o madre di infante di età inferiore ad un anno, là dove la misura della detenzione domiciliare disposta dal magistrato di sorveglianza si sia già rivelata non adeguata, violerebbe il principio della proporzionalità e di individualizzazione del trattamento sanzionatorio, come pure il principio della progressività trattamentale;
che la strumentalizzazione dell’istituto del differimento (che da extrema ratio in alcuni casi diventa la regola) ha di fatto creato – osserva il rimettente – una sorta di immunità per le donne nomadi in età fertile, le quali possono dedicarsi indisturbate ad attività illecite, potendo confidare sul trattamento previsto dall’art. 146 cod. pen. per le donne in stato di gravidanza o madri di figli in tenera età; e si tratterebbe di un fenomeno imponente, considerato che generalmente si tratta di donne che iniziano a procreare precocemente, appena adolescenti, e che per le abitudini di vita non conoscono il fenomeno delle nascite ridotte;
che nel caso di specie tutte le finalità che la Costituzione assegna alla pena risulterebbero obliterate, con conseguente violazione del principio sancito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 306 del 1993: totalmente svilita sarebbe la finalità di prevenzione generale e di difesa sociale – finalità la cui realizzazione dipende non soltanto dalla minaccia legale della sanzione penale, ma anche e soprattutto dalla sua concreta esecuzione –, giacché la rigida e prevedibile sospensione del momento esecutivo esclude che la pena irrogata possa svolgere una funzione di intimidazione e dissuasione rispetto a possibili futuri comportamenti criminosi; sarebbe vanificato anche il profilo retributivo-afflittivo, posto che la rinuncia all’esecuzione (di fatto a tempo indeterminato) lascerebbe sostanzialmente impunito il reato commesso; infine, risulterebbero compromesse le finalità di prevenzione speciale e di rieducazione;
che, secondo il rimettente, la generalizzata ed automatica applicazione del trattamento di favore previsto dalla disposizione censurata, nell’assegnare un identico beneficio a condannate che presentino fra loro differenti stadi del percorso di risocializzazione e diversi gradi di pericolosità sociale, vulnererebbe non soltanto il principio di eguaglianza, finendo per omologare fra loro, senza alcuna plausibile ratio, situazioni diverse, ma anche la stessa funzione rieducativa della pena, posto che il riconoscimento di un beneficio che non risulti correlato alla positiva evoluzione nel trattamento comprometterebbe inevitabilmente l’essenza stessa della progressività, che costituisce il tratto saliente dell’iter riabilitativo;
che la norma denunciata configgerebbe con l’art. 3 Cost. anche per lesione del canone della ragionevolezza, giacché le ipotesi del differimento obbligatorio per la donna incinta o madre di figlio di età inferiore ad un anno sono le sole, tra quelle previste dall’art. 146 cod. pen., a non ammettere alcuna verifica in concreto sulla sussistenza di una effettiva situazione di pregiudizio agli interessi che la norma tende a tutelare o di contrarietà dell’esecuzione penale al senso di umanità, e ad avere una difforme regolamentazione in sede cautelare e in sede esecutiva. Difatti, nelle medesime condizioni (stato di gestazione e presenza di un figlio di età inferiore ad un anno) è consentito solo nella fase cautelare disporre la carcerazione, sia pure ove sussistano esigenze di eccezionale rilevanza (art. 275, comma 4, cod. proc. pen.): in presenza delle medesime esigenze di sicurezza sociale e delle medesime situazioni personali, l’ordinamento consente solo al giudice della cautela la salvaguardia delle prime, ove siano di eccezionale rilevanza, mentre dopo il passaggio in giudicato le stesse esigenze sarebbero postergate e nessuna verifica sarebbe consentita al giudice di sorveglianza in merito all’eccezionalità delle stesse e all’esistenza effettiva di pregiudizio per la madre e il minore. Del resto, anche in altri settori l’ordinamento, nel prevedere particolari forme di tutela della maternità e del minore nella fase immediatamente successiva al parto, non oblitera la salvaguardia delle esigenze di sicurezza sociale (si cita il divieto di espulsione della donna in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi al parto, previsto dall’art. 19 del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, che trova un limite nelle esigenze di tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza dello Stato);
che, ad avviso del rimettente, la particolare normativa di favore per le donne in stato di gravidanza e puerperio può indurre, come nella pratica avviene, «ad una strumentalizzazione a fini illeciti della maternità e del rapporto di filiazione, con conseguente scelta della procreazione al solo fine di ottenere l’impunità di fatto dai delitti commessi»: di qui lo snaturamento della funzione dell’istituto, con lesione dell’art. 30 della Costituzione;
che nel giudizio dinanzi alla Corte costituzionale è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la manifesta infondatezza della questione;
che la difesa erariale osserva che, ai sensi del secondo comma dell’art. 146 cod. pen., il differimento non opera o, se concesso, è revocato se la gravidanza si interrompe, se la madre è dichiarata decaduta dalla potestà sul figlio ai sensi dell’art. 330 del codice civile, se il figlio muore, viene abbandonato ovvero affidato ad altri, sempreché l’interruzione di gravidanza o il parto siano avvenuti da oltre due mesi;
che nel caso di specie, ad avviso dell’Avvocatura, sembrerebbero sussistere nei confronti della madre condannata tutti i gravi elementi richiesti per l’adozione, anche in via d’urgenza, da parte dell’autorità giudiziaria competente, del provvedimento di decadenza ex art. 330 cod. civ., con i conseguenti riflessi in ordine al diniego del differimento provvisorio dell’esecuzione della pena;
che la disposizione censurata, pertanto, non configgerebbe con i parametri costituzionali evocati, perché essa, in virtù dell’articolato sistema delineato al secondo comma, armonizzerebbe e bilancerebbe adeguatamente le esigenze di tutela del minore e del rapporto madre-figlio e quelle di sicurezza sociale connesse all’esecuzione penale.
Considerato che la questione di legittimità costituzionale, sollevata dal Tribunale di sorveglianza di Venezia, investe l’art. 146, primo comma, numeri 1) e 2), del codice penale, che dispone il rinvio obbligatorio della pena detentiva se deve aver luogo nei confronti di donna incinta o di madre di infante di età inferiore ad un anno;
che, ad avviso del rimettente, la disposizione denunciata violerebbe gli articoli 3, 27, terzo comma, e 30 della Costituzione, nella parte in cui non prevede che il giudice possa negare il differimento della pena quando lo ritenga non adeguato alle finalità di prevenzione generale e di difesa sociale, sussista il pericolo di eccezionale rilevanza di commissione di altri delitti, la detenzione domiciliare non sia idonea a prevenire il pericolo di recidiva e l’espiazione della pena possa avvenire senza pregiudizio per le esigenze di tutela dello stato di gravidanza o del rapporto del minore infante con la madre;
che identica questione, sollevata dal medesimo Tribunale di sorveglianza di Venezia con precedenti ordinanze, è già stata dichiarata manifestamente infondata da questa Corte con l’ordinanza n. 145 del 2009;
che, in tale occasione, la Corte ha rilevato: che non irragionevolmente il legislatore ha ritenuto, con riguardo al periodo della gravidanza e al primo anno del bambino, che la protezione del rapporto madre-figlio in un ambiente idoneo debba prevalere sull’interesse dello Stato all’esecuzione immediata della pena; che il rinvio del momento esecutivo non esclude la funzione di intimidazione e dissuasione della pena, posto che non ci si trova di fronte ad una rinuncia sine die della esecuzione; che non costituisce idoneo tertium comparationis la disciplina dettata dall’art. 275, comma 4, cod. proc. pen., né è pertinente il richiamo all’art. 19 del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286; che, infine, il pericolo che la maternità venga utilizzata come scudo per ottenere il rinvio è adeguatamente bilanciato dal fatto che il secondo comma dell'art. 146 cod. pen. prevede, tra le condizioni ostative alla concessione del differimento, la dichiarazione di decadenza della madre dalla potestà sul figlio e l’abbandono o l’affidamento del figlio ad altri;
che, pertanto, non essendo state proposte censure nuove e diverse da quelle già esaminate da questa Corte, la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 146, primo comma, numeri 1) e 2), del codice penale (Rinvio obbligatorio dell'esecuzione della pena), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 27, terzo comma, e 30, della Costituzione, dal Tribunale di sorveglianza di Venezia con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 ottobre 2009.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Paolo MADDALENA, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 19 ottobre 2009.