ANNO 2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 4, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge finanziaria 2008), promossi dalla Commissione tributaria regionale dell'Emilia-Romagna, sezione di Parma, con ordinanza del 12 marzo 2008 e dalla Commissione tributaria provinciale di Chieti con ordinanza del 27 maggio 2008, iscritte ai nn. 251 e 277 del registro ordinanze 2008 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 36 e 39, prima serie speciale, dell'anno 2008.
Visti l'atto di costituzione della Citra società cooperativa e del Comune di Ortona, nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 7 luglio 2009 e nella camera di consiglio dell'8 luglio 2009 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano;
uditi gli avvocati Ermanno Belli, Danilo Iasci e Livia Salvini per la Citra società cooperativa e l'avvocato dello Stato Ettore Figliolia per il Presidente del Consiglio dei ministri.
1. – Nel corso di un giudizio concernente la impugnazione del rigetto opposto dal Comune di Ortona alla richiesta, presentata da una Società cooperativa agricola, di rimborso delle somme dalla medesima pagate, per i periodi dal 2004 al 2007, a titolo di imposta comunale sugli immobili (di seguito: ICI) relativamente ad alcuni suoi fabbricati strumentali allo svolgimento della attività agricola, la Commissione tributaria provinciale di Chieti, con ordinanza depositata il 27 maggio 2008, ha sollevato, con riferimento agli artt. 3, 24 e 53 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 4, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge finanziaria 2008).
1.1. – Riferisce il rimettente che la pretesa della società ricorrente si fonda sul fatto che gli immobili ad essa appartenenti, devono essere considerati esclusi dall'ICI in quanto caratterizzati dalla “ruralità”, poiché non destinati a fini abitativi ma a scopi strumentali all'attività agricola.
Osserva, quindi, il rimettente che, entrato in vigore l'art. 42-bis del decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159 (Interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l'equità sociale), sono cessate, in senso favorevole al contribuente, le «incertezze interpretative» in ordine alla ruralità o meno – e quindi in ordine alla loro soggezione all'ICI – dei fabbricati delle cooperative agricole.
Aggiunge la Commissione tributaria che, ai fini della decisione, non ha importanza la qualificazione da attribuire a tale norma, cioè se essa abbia natura interpretativa o innovativa, essendo, invece, rilevante il disposto dell'art. 2, comma 4, della legge n. 244 del 2007, in base al quale, secondo la sintesi del rimettente, sebbene le cooperative agricole non siano tenute al pagamento dell'ICI sui propri fabbricati, tuttavia se lo hanno fatto non spetta loro il rimborso per gli anni precedenti al 2008.
Detta previsione, secondo il rimettente, sarebbe illogica e irragionevole in quanto il suo risultato sarebbe che le cooperative agricole che hanno omesso di pagare l'ICI sui fabbricati in proprietà – giovandosi o della giurisprudenza favorevole o della novella legislativa contenuta nel d.l. n. 159 del 2007 (come convertito dalla legge n. 222 del 2007) – si vedono riconoscere in sede contenziosa la loro esenzione, mentre quelle che si sono adeguate ad un altro orientamento, venuto meno in forza della sopravvenuta novella legislativa, resterebbero penalizzate.
Evidente sarebbe la disparità di trattamento tra situazioni identiche, diversificate solo dal fatto che alcuni contribuenti si sono accollati un'imposta non dovuta, che altri hanno, invece, contestato «in sede giurisdizionale».
Osservato che il generale diritto al rimborso è specificamente previsto, in tema di ICI, dall'art. 13 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell'articolo 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), il rimettente ritiene evidente la violazione del principio di uguaglianza e, «una volta verificato che [l'istante] ha inoltrato il ricorso tributario», anteriormente alla entrata in vigore della legge n. 244 del 2007, che ha vanificato il diritto al rimborso sub iudice, anche quella del diritto di difesa, nonché dell'art. 53 Cost., data la disparità di trattamento di soggetti aventi la medesima capacità contributiva.
Sulla rilevanza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 4, della legge n. 244 del 2007, il rimettente osserva che il diritto al rimborso, «a prescindere dalla fondatezza dei motivi addotti», può essere riconosciuto solo a seguito della espunzione dall'ordinamento della norma censurata.
2. – Si è costituita nel giudizio di legittimità costituzionale la Citra società cooperativa, ricorrente nel giudizio a quo, chiedendo che la questione sia dichiarata fondata.
2.1. – La parte privata, dopo essersi soffermata sulla rilevanza della questione nel giudizio a quo, affermando che il vaglio di costituzionalità della norma censurata costituisce un necessario antecedente rispetto alla valutazione della fondatezza del ricorso da essa presentato, svolge un ampio excursus, illustrando le norme che hanno disciplinato il concetto di ruralità fiscale nel nostro ordinamento, partendo dal rilievo che non costituisce presupposto d'imposta ai fini dell'ICI il possesso di fabbricati che, alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 504 del 1992, non erano iscrivibili nel catasto edilizio urbano.
In tal senso il legislatore si era richiamato ad una lunga tradizione normativa, risalente addirittura alla disciplina immediatamente post-unitaria, confermata dall'art. 39 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), in base al quale non erano produttive di reddito autonomo le costruzioni rurali e le loro pertinenze.
Successivamente, onde scoraggiare la dilagante indebita attribuzione della qualificazione di ruralità a costruzioni che non avevano tali caratteristiche, è intervenuto il decreto-legge 27 aprile 1990, n. 90 (Disposizioni in materia di determinazione del reddito ai fini delle imposte sui redditi, di rimborsi dell'imposta sul valore aggiunto e di contenzioso tributario, nonché altre disposizioni urgenti), convertito, con modificazioni, dalla legge 26 giugno 1990, n. 165, che ha previsto, fra l'altro, che tutte le abitazioni dovessero essere iscritte nel catasto edilizio urbano.
Dopo che la portata di tale disposizione era stata limitata dall'art. 70 della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e potenziare l'attività di accertamento; disposizioni per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonché per riformare il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia per reati tributari; istituzioni dei centri di assistenza fiscale e del conto fiscale), è intervenuto il decreto-legge 30 dicembre 1993, n. 557 (Ulteriori interventi correttivi di finanza pubblica per l'anno 1994), convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133, il quale, all'art. 9, oltre a prevedere il censimento di tutti i fabbricati rurali e la loro iscrizione nel catasto edilizio urbano, per questo motivo divenuto catasto dei fabbricati, dettava una serie di requisiti per il riconoscimento della ruralità dei fabbricati ai fini fiscali.
Detta disposizione, prosegue la parte privata, è stata novellata dall'art. 2 del d.P.R. 23 marzo 1998, n. 139 (Regolamento recante norme per la revisione dei criteri di accatastamento dei fabbricati rurali, a norma dell'articolo 3, comma 156, della legge 23 dicembre 1996, n. 662), il quale, distinguendo fra fabbricati adibiti o meno ad abitazione, ha previsto che ai primi continuasse ad applicarsi la precedente disciplina, disponendo invece, riguardo ai secondi, che la attribuzione della ruralità ai fini fiscali derivava dalla strumentalità della costruzione rispetto allo svolgimento delle attività agricole indicate nell'art. 29 del d.P.R. n. 917 del 1986 ovvero dalla destinazione all'agriturismo o ad altre attività di supporto dell'agricoltura.
Sulla applicabilità di tali regole anche ai fabbricati di proprietà di società cooperative, continua la parte privata, si è più volte favorevolmente espressa la giurisprudenza della Corte di cassazione.
2.2. – In tale quadro normativo si è andato ad inscrivere l'art. 42-bis del decreto-legge n. 159 del 2007, convertito dalla legge n. 222 del 2007, con il quale è stato definitivamente chiarito che il carattere della ruralità ai fini fiscali deve essere riconosciuto, fra l'altro, alle costruzioni destinate «alla manipolazione, trasformazione, conservazione, valorizzazione o commercializzazione dei prodotti agricoli, anche se effettuate da cooperative e loro consorzi di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228».
Questa disposizione, ad avviso della costituita parte privata, riveste i caratteri tipici della norma di interpretazione autentica in quanto è volta, peraltro in linea con l'orientamento della maggioritaria giurisprudenza di legittimità, a dare contenuto alla nozione di fabbricato rurale riferibile alle singole leggi di imposta.
Nel descritto ordito legislativo si è innestato, infine, l'art. 2, comma 4, della legge n. 244 del 2007, oggetto della attuale questione di legittimità costituzionale, il quale nega ai soggetti destinatari delle disposizioni di cui alla lettera i) del comma 3-bis dell'art. 9 del decreto-legge n. 557 del 1993, introdotta dall'art. 42-bis del decreto-legge n. 159 del 2007, il diritto al rimborso dell'ICI versata in relazione ad annate anteriori al 2008.
La disposizione censurata sarebbe, secondo la parte privata, in contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost.: essa, infatti, spiegando i suoi effetti su rapporti giuridici ancora non esauriti, sarebbe caratterizzata dalla retroattività. Tale caratteristica, ritenuta dalla giurisprudenza costituzionale in linea con il principio dell'affidamento solo se coerente sul piano della ragionevolezza e non in contrasto con altri valori e interessi costituzionalmente protetti, sarebbe, nel caso in esame, ingiustificata, poichè con la disposizione censurata il legislatore, dopo aver riconosciuto con norma interpretativa la ruralità fiscale dei fabbricati strumentali delle cooperative agricole, con la conseguente esclusione di essi dall'ambito dell'ICI, nega, in contraddizione con quanto prima stabilito, alle medesime società il diritto al rimborso dell'ICI indebitamente corrisposta.
Evidente sarebbe, allora, la irragionevolezza della norma che, qualificato un versamento come non dovuto, ne vieti la ripetizione.
Aggiunge la parte privata che la norma censurata si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost., espressivi del principio di uguaglianza e di capacità contributiva, in quanto disciplina in modo differenziato le situazioni sostanzialmente identiche delle società cooperative agricole che, versata l'ICI per i fabbricati strumentali, hanno tempestivamente chiesto la restituzione dell'indebito, e delle analoghe società che, sottrattesi al pagamento del tributo, si sono poi opposte agli avvisi di accertamento fiscale emessi dagli enti impositori.
In altre parole: per effetto della norma censurata il trattamento fiscale dei fabbricati strumentali delle cooperative agricole varia in base ad un dato – il pagamento del tributo – del tutto neutro rispetto alla ratio dell'art. 42-bis del decreto-legge n. 159 del 2007. Se, infatti, la ragione della esclusione dall'imposta di tali fabbricati è la loro ruralità, essa opera sia nei confronti di chi non ha versato il tributo opponendosi poi alla pretesa volta alla sua riscossione coattiva, sia nei confronti di chi, pagata tuzioristicamente l'imposta, ne ha successivamente chiesto il rimborso.
La disposizione censurata violerebbe anche l'art. 53 Cost. in quanto, a fronte di una medesima manifestazione reddituale, le società che hanno versato l'ICI, non potendola ripetere, avrebbero un trattamento deteriore rispetto a quelle che si sono sottratte al versamento.
Al riguardo, prosegue la parte interveniente, è superfluo evidenziare che vi è una consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale che afferma la illegittimità costituzionale di disposizioni che, in irragionevole contraddizione fra di loro, da una parte prevedono la non assoggettabilità ad un tributo (o comunque ad una prestazione patrimoniale) e poi ne escludono la ripetibilità per la parte già versata.
3. – È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la inammissibilità e, comunque, per la infondatezza della sollevata questione di legittimità costituzionale.
3.1. – Rileva la Avvocatura dello Stato che, diversamente da quanto ritenuto dal rimettente, centrale rispetto alla dedotta questione di legittimità costituzionale è la portata innovativa o interpretativa dell'art. 42-bis del decreto-legge n. 159 del 2007. Ad avviso della difesa pubblica detta norma ha contenuto innovativo e, pertanto, non è caratterizzata dalla retroattività.
La Avvocatura perviene a questa conclusione sviluppando una serie di indici: in primo luogo la considerazione che, essendo la retroattività di una disposizione l'eccezione, essa deve risultare in modo chiaro, cosa che nel caso che interessa non si verifica; in secondo luogo la circostanza che l'art. 3, comma 1, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto del contribuente), stabilisce che in materia tributaria una disposizione può, eccezionalmente, avere effetti retroattivi solo nel caso, che non ricorre nella specie, in cui abbia la forma della legge ordinaria e affermi espressamente di essere di interpretazione autentica. Infine sottolinea che l'irretroattività della legge, come ribadito anche dalla Corte costituzionale, è un principio generale del nostro ordinamento «cui il legislatore deve attenersi».
Esclusa la portata retroattiva del citato art. 42-bis del decreto-legge n. 159 del 2007, e, pertanto, considerando che l'esenzione fiscale da esso derivante sia applicabile dal 1° ottobre 2007, verrebbe meno sia il contrasto fra tale disposizione e quella, censurata, che vieta la restituzione di quanto versato a titolo di ICI per i periodi anteriori al 2008, sia la denunciata disparità di trattamento.
Aderendo a questa interpretazione dell'art. 42-bis sarebbe stato possibile al rimettente definire il giudizio a quo senza dover sollevare la questione di legittimità costituzionale che, pertanto, sarebbe, in tale procedimento giudiziario, irrilevante.
3.2. – Conclusivamente, la difesa pubblica sostiene che la questione di legittimità costituzionale non è comunque fondata né con riferimento all'art. 3 né con riferimento all'art. 53 Cost.; in particolare la ratio della disposizione censurata sarebbe quella di impedire che chi abbia già legittimamente versato l'ICI, possa, erroneamente, attribuendo all'art. 42-bis del decreto-legge n. 159 del 2007 valenza retroattiva, chiedere un rimborso non dovutogli.
Quanto alla violazione dell'art. 24 Cost., rilevato che la disposizione censurata non ha natura processuale, è sufficiente, per l'Avvocatura, per affermarne l'insussistenza, rilevare che la disposizione è estranea all'ambito del dedotto parametro.
4. – Con altra ordinanza, depositata il 12 marzo 2008, la Commissione tributaria regionale dell'Emilia-Romagna, sezione di Parma, ha sollevato, con riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 4, della legge n. 244 del 2007.
4.1. – Riferisce la Commissione tributaria che la Cooperativa Produttori Suini Pro. Sus. aveva impugnato di fronte alla Commissione tributaria provinciale di Parma il diniego opposto dal Comune di Tizzano Val Parma alla istanza di rimborso dell'ICI versata, quanto all'anno 2004, riguardo ad un fabbricato utilizzato per la conservazione, la manipolazione e la trasformazione dei prodotti conferiti dai soci.
Avendo il giudice di prime cure accolto il ricorso, avverso la relativa sentenza aveva interposto appello il Comune di Tizzano Val Parma, articolando una serie di motivi di impugnazione, cui la Cooperativa aveva resistito con proprie controdeduzioni.
Quanto sopra premesso, la Commissione tributaria rimettente osserva che è provato il rapporto di strumentalità fra gli immobili della Cooperativa e la attività agricola ad essa pertinente e che il criterio per la attribuzione, ai fini fiscali, del carattere della ruralità ad un fabbricato è stato definitivamente stabilito dall'art. 42-bis del decreto-legge n. 159 del 2007. Detta disposizione, la quale riconosce tale carattere alle costruzioni strumentali alla manipolazione, trasformazione, conservazione, valorizzazione o commercializzazione dei prodotti agricoli, anche se effettuate da cooperative e loro consorzi, ha, ad avviso della rimettente, carattere interpretativo dato che con essa si sarebbe inteso, sancendo l'orientamento cui era già pervenuta la giurisprudenza di legittimità, porre fine al contenzioso che vedeva coinvolta l'amministrazione finanziaria.
Attesa l'efficacia retroattiva della norma ora citata, il fine dell'art. 2, comma 4, della legge n. 244 del 2007 sarebbe, secondo il rimettente, quello di limitarne gli effetti, escludendo la ripetibilità delle annualità di ICI indebitamente pagate. Tale disposizione è però ritenuta dallo stesso rimettente in contrasto con l'art. 3 Cost. in quanto irragionevole.
Riguardo alla rilevanza della questione, la Commissione tributaria regionale ritiene che, essendo la disposizione applicabile al periodo d'imposta in discussione, il giudizio non può essere definito indipendentemente dalla risoluzione del dubbio di costituzionalità.
Quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente afferma che la disposizione è incoerente e contraddittoria, poiché, da un lato riconosce in favore di determinati soggetti la esenzione dall'ICI, dall'altro sottrae i pagamenti indebiti già eseguiti alla azione di ripetizione.
Essa sarebbe, altresì, in contrasto col principio di uguaglianza, disciplinando in modo difforme situazioni uguali, in ragione del fatto, del tutto casuale, che sia o meno intervenuto il pagamento di un indebito fiscale, prevedendo che in un caso quanto versato sia irripetibile e, nell'altro caso, che l'imposta, non versata, non sia dovuta.
Sarebbe, pertanto, del tutto ingiustificato il deteriore trattamento di chi abbia erroneamente effettuato l'indebito versamento rispetto a quello di chi non abbia eseguito il pagamento.
Peraltro, conclude il rimettente, la Corte costituzionale già ha dichiarato in passato la illegittimità costituzionale di disposizioni che, qualificato un pagamento come non dovuto, lo avevano poi sottratto alla azione di ripetizione.
5. – E' intervenuto, anche in questo caso, nel giudizio di legittimità costituzionale il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la inammissibilità e, comunque, per l'infondatezza della questione.
5.1. – Secondo la difesa erariale, la questione sarebbe inammissibile in quanto il rimettente non avrebbe assolto all'onere di motivare adeguatamente in ordine alla impraticabilità di una diversa interpretazione della disposizione censurata tale da renderla conforme a Costituzione. Infatti il rimettente, che basa la questione sul carattere interpretativo della disposizione contenuta nell'art. 42-bis del decreto-legge n. 159 del 2007, non fornisce un'adeguata motivazione della veridicità di tale presupposto (tale non potendo ritenersi l'affermato scopo del legislatore di porre fine ad un oneroso contenzioso), che, così, rimane enunciato «in forma puramente assertiva».
D'altra parte, la conclamata finalità della norma è scarsamente attendibile sul piano logico, in quanto l'Amministrazione, onde raggiungere il medesimo risultato, avrebbe potuto dare istruzioni per desistere dai giudizi e provvedere in via di autotutela.
Aggiunge la difesa pubblica che il rimettente, il quale non fornisce alcun altro elemento che possa giustificare la deroga al generale principio di irretroattività delle leggi, richiama un orientamento giurisprudenziale in base al quale, anche precedentemente all'entrata in vigore dell'art. 42-bis del decreto-legge n. 159 del 2007, il carattere della ruralità a fini fiscali era riconosciuto agli immobili utilizzati dalle cooperative agricole; ma, prosegue, se così fosse la valenza retroattiva si sarebbe dovuta attribuire non tanto all'art. 42-bis del d.l. n. 159 del 2007, quanto alla disposizione censurata che esclude la «condictio indebiti rispetto a fatti occorsi nel passato». Una tale previsione poteva anche essere discutibile, ma in base a parametri diversi rispetto a quelli invocati.
5.2. – La interveniente difesa propone, quindi, una diversa interpretazione del complesso normativo in questione, tale da escluderne la illegittimità costituzionale.
A suo avviso, il censurato art. 2, comma 4, della legge n. 244 del 2007, lungi dal postulare la retroattività dell'art. 42-bis del decreto-legge n. 159 del 2007, ne conferma, invece, la portata innovativa.
Infatti, osserva la difesa pubblica, non casualmente la norma censurata riguarda la sola ICI. Questa è un'imposta periodica che però deroga al principio generale secondo il quale, ai fini della determinazione dell'obbligazione tributaria, deve farsi riferimento alla situazione esistente al momento di scadenza del periodo di imposta.
Nel caso dell'ICI il pagamento deve essere eseguito non in un momento successivo alla scadenza del periodo di imposta, coincidente con l'anno solare, ma in pendenza di questo. Essendo il ricordato art. 42-bis del decreto-legge n. 159 del 2007 entrato in vigore il 1° dicembre del 2007, si poteva, pertanto, porre in dubbio la sua incidenza in ordine alla doverosità del pagamento dell'ICI per l'anno 2007, tenuto conto che tale imposta, quanto meno per una quota, già era stata versata dai contribuenti.
Il reale fine del legislatore, secondo l'Avvocatura, era, quindi, quello di dirimere questo dubbio, risolto nel senso della doverosità dell'imposta con riferimento al 2007.
6. – In prossimità della data fissata per la discussione in udienza pubblica la parte privata costituita nel primo dei due ricordati giudizi ha fatto pervenire una ampia memoria illustrativa nella quale, oltre a confutare le eccezioni di inammissibilità della questione formulate dalla Avvocatura dello Stato, evidenzia una intervenuta modifica del quadro normativo, insistendo per l'accoglimento della questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Commissione tributaria provinciale di Chieti.
Quanto alla natura interpretativa dell'art. 42-bis del d.l. n. 159 del 2007, la difesa privata osserva che essa è desumibile dal fatto che attraverso la suddetta norma il legislatore ha inteso esplicitare una delle possibili interpretazioni che della versione previgente dell'art. 9, comma 3-bis, del d.l. n. 557 del 1993 era stata data dalla giurisprudenza, sia di legittimità che di merito.
Ad avviso della costituita difesa, quanto sopra trova conferma nello stesso tenore testuale della disposizione censurata, là dove essa detta la disciplina dei rapporti anteriori alla entrata in vigore dell'art. 42-bis del d.l. n. 159 del 2007. Infatti, tale disposizione, limitando la propria portata preclusiva alla sola ripetizione delle «somme eventualmente versate» e trascurando del tutto di disciplinare le modalità di recupero dell'ICI nei confronti di coloro che si fossero sottratti al versamento dell'imposta costituisce anche essa elemento di prova del carattere retroattivo della disciplina che esonera dal pagamento del tributo.
Né ad escludere la portata interpretativa dell'art. 42-bis del d.l. n. 159 del 2007 varrebbe richiamare, come fatto dalla Avvocatura dello Stato, quanto previsto dallo statuto del contribuente in tema di disposizioni interpretative in materia tributaria. Anche di recente, infatti, la Corte costituzionale ha affermato che, stante la pari ordinazione della legge n. 212 del 2000 con le altre disposizioni di rango primario, è possibile che, anche in assenza della espressa autoqualificazione richiesta dall'art. 1, comma 2, della legge n. 212, una disposizione di carattere tributario abbia valenza interpretativa e efficacia retroattiva.
6.1. – La parte privata ribadisce, altresì, sempre con riferimento a quanto essa ha affermato circa l'esclusione dall'ICI di tutti i fabbricati strumentali delle cooperative agricole ai quali sia ascrivibile la caratteristica della “ruralità”, «che, ai sensi del comma 1-bis dell'art. 23 del d.l. 30 dicembre 2008, n. 207, aggiunto in sede di conversione dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14, è stato recentissimamente chiarito – in via di interpretazione autentica – che “l'articolo 2, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, deve intendersi nel senso che non si considerano fabbricati le unità immobiliari, anche iscritte o iscrivibili nel catasto fabbricati, per le quali ricorrono i requisiti di ruralità di cui all'articolo 9 del decreto-legge 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133, e successive modificazioni”».
Sottolinea, infine, come, essendo palese, anche in base al combinato disposto degli artt. 42-bis del d.l. n. 159 del 2007 e dell'art. 2, comma 4, della stessa legge n. 244 del 2007, che l'ICI non era dall'origine dovuta dalle cooperative agricole per i loro fabbricati caratterizzati dalla “ruralità”, è quasi superfluo sottolineare l'illegittimità costituzionale della contraddittoria disciplina che ne deriva. Il legislatore, infatti, da un lato qualifica come non dovuto il pagamento del tributo e, dall'altro, ne esclude la ripetibilità. La parte privata richiama, al riguardo, la «pacifica giurisprudenza» della Corte (sentenze n. 330 del 2007, n. 320 del 2005, n. 416 del 2000 e n. 421 del 1995) che definisce in termini di illegittimità costituzionale per violazione degli artt. 3 e 53 Cost., questo irragionevole comportamento del legislatore.
La difesa della Cooperativa agricola insiste, infine, per l'accoglimento della questione, ribadendo gli argomenti già svolti in sede di costituzione in giudizio.
7. – In data 6 luglio 2009 è stato depositato un atto di costituzione in giudizio del Comune di Ortona.
1. – Nel corso di due giudizi aventi ad oggetto la richiesta di restituzione delle somme rispettivamente versate a titolo di imposta comunale sugli immobili (di seguito ICI) da due società cooperative agricole relativamente ad anni ricompresi fra il 2004 ed il 2007, con distinte ordinanze, la Commissione tributaria provinciale di Chieti e la Commissione tributaria regionale dell'Emilia-Romagna, sezione di Parma, hanno sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 4, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge finanziaria 2008), nella parte in cui prevede la irripetibilità delle somme versate a titolo di ICI per i periodi precedenti all'anno 2008 dai soggetti destinatari delle disposizioni di cui alla lettera i) del comma 3-bis dell'art. 9 del decreto-legge 30 dicembre 1993, n. 557 (Ulteriori interventi correttivi di finanza pubblica per l'anno 1994), convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133, introdotta dall'art. 42-bis del decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159 (Interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l'equità sociale), convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222.
1.1. – In particolare, la Commissione tributaria provinciale di Chieti ha sollevato questione di legittimità costituzionale in riferimento agli artt. 3, 24 e 53 della Costituzione, mentre la Commissione tributaria regionale dell'Emilia-Romagna ha formulato il dubbio di costituzionalità in riferimento al solo art. 3 della Costituzione.
Ambedue le ordinanze di rimessione pongono in correlazione la disposizione legislativa censurata con l'art. 42-bis del d.l. n. 159 del 2007, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 222 del 2007, il quale, modificando, con finalità interpretative, il comma 3-bis dell'art. 9 del d.l. n. 557 del 1993, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 1994, ha, fra l'altro, previsto che ai fini fiscali deve riconoscersi il carattere della ruralità alle costruzioni strumentali allo svolgimento delle attività agricole di cui all'art. 2135 del codice civile e, in particolare, a quelle destinate alla manipolazione, trasformazione, conservazione, valorizzazione o commercializzazione dei prodotti agricoli, anche se effettuate da cooperative e loro consorzi.
Sulla base di questa premessa, in forza della quale il possesso dei fabbricati nella disponibilità delle due società cooperative ricorrenti nei giudizi a quibus non costituirebbe presupposto di imposta ai fini della applicabilità dell'ICI nei loro confronti, i due organi giudiziari dubitano della legittimità costituzionale del ricordato art. 2, comma 4, della legge n. 244 del 2007, deducendone il contrasto con l'art. 3 Cost., sotto il duplice profilo della irragionevolezza e della disparità di trattamento, in quanto, per mezzo di esso, il legislatore, in maniera contraddittoria ed incoerente, avrebbe dapprima escluso la assoggettabilità ad ICI dei fabbricati strumentali posseduti dalle cooperative agricole e non avrebbe poi ammesso la ripetibilità di quanto eventualmente pagato dalle medesime cooperative a tale titolo. La norma censurata tratterebbe altresì in maniera ingiustificatamente diversa il caso della cooperativa agricola che, non avendo versato a suo tempo l'ICI per i fabbricati strumentali in sua disponibilità, non sarebbe più tenuta al pagamento dell'imposta, da quello, analogo, della cooperativa che, avendo invece già versato l'imposta, risultata non dovuta, chiede la restituzione del tantundem.
1.2. – La sola Commissione tributaria provinciale di Chieti censura la predetta disposizione legislativa affermandone il contrasto con l'art. 24 Cost. – in quanto essa impedirebbe il rimborso dell'imposta indebitamente versata anche nel caso in cui il relativo ricorso giurisdizionale sia stato depositato anteriormente alla entrata in vigore della legge stessa – e con l'art. 53 Cost. – in quanto, a parità di capacità contributiva, determina un diverso trattamento nel caso della cooperativa agricola che, avendo versato l'imposta, non può ottenerne la restituzione, rispetto a quello della cooperativa agricola che, non avendo versato l'imposta, è libera dal vincolo costituito dall'obbligazione tributaria.
2. – I due giudizi, attesa l'evidente connessione fra le questioni sollevate, possono essere riuniti, così da essere definiti con un'unica decisione.
2.1. – Deve preliminarmente dichiararsi la inammissibilità della costituzione in giudizio del Comune di Ortona in quanto avvenuta oltre il termine di legge.
3. – La questione di legittimità costituzionale sollevata dai due remittenti in relazione all'art. 3 Cost. è fondata.
3.1. – Pare opportuno a questa Corte prioritariamente descrivere nei suoi aspetti più significativi l'articolato quadro normativo nel quale si innesta la disposizione censurata, prendendo le mosse dall'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell'art. 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), in base al quale costituisce presupposto di imposta ai fini della applicabilità dell'ICI «il possesso di fabbricati, di aree fabbricabili e di terreni agricoli, siti nel territorio dello Stato, a qualsiasi uso destinati, ivi compresi quelli strumentali» e dal successivo art. 2 del medesimo decreto legislativo, il quale, nel dare la definizione di fabbricati e di aree, precisa che «per fabbricato si intende l'unità immobiliare iscritta o che deve essere iscritta nel catasto edilizio urbano», là dove per terreno agricolo «si intende il terreno adibito all'esercizio delle attività indicate nell'art. 2135 del codice civile».
La riferita nozione di fabbricato doveva, quando tale normativa è entrata in vigore, essere letta in combinato disposto con quanto previsto dagli artt. 1 e 4 del regio decreto-legge 13 aprile 1939, n. 652 (Accertamento generale dei fabbricati urbani, rivalutazione del relativo reddito e formazione del nuovo catasto edilizio urbano), convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 1939, n. 1249, secondo il quale, nel disciplinare la costituzione del nuovo catasto edilizio urbano, doveva prevedersi che in esso fossero censiti come «immobili urbani» i fabbricati «diversi dai fabbricati rurali», mentre questi ultimi – poiché non produttivi di un reddito autonomo – andavano iscritti, unitamente all'area sulla quale insistevano, nel «catasto dei terreni». Da ciò derivava che, in sede di primo impianto della normativa in tema di ICI, il possesso dei fabbricati rurali, in quanto non suscettibili di iscrizione nel «catasto edilizio urbano», non costituiva presupposto ai fini della applicazione dell'ICI stessa.
3.2. – Tale assetto, tuttavia, è stato profondamente inciso a seguito della entrata in vigore dell'art. 9 del decreto-legge 30 dicembre 1993, n. 557 (Ulteriori interventi correttivi di finanza pubblica per l'anno 1994), convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133, il quale, al dichiarato fine di «realizzare un inventario completo ed uniforme del patrimonio edilizio», ha previsto, al comma 1, il «censimento di tutti i fabbricati […] rurali e la loro iscrizione nel catasto edilizio urbano», che, da quel momento, assumeva la denominazione di «catasto dei fabbricati».
Il successivo comma 3 dell'art. 9 del decreto-legge da ultimo citato prevedeva che, per il riconoscimento ai fini fiscali della «ruralità» – con il conseguente godimento dell'insieme dei benefici connessi a tale qualificazione – dovessero ricorrere alcune condizioni fra le quali, per quanto qui interessa, figuravano la coincidenza soggettiva fra il possessore del fabbricato ed il proprietario (o titolare di altro diritto reale o personale di godimento) del terreno al quale l'immobile, sebbene non insistente su di esso, era asservito con un rapporto di strumentalità e la adibizione del fabbricato stesso – se questo non aveva una funzione strumentale allo svolgimento della attività agricola – ad abitazione del titolare, di suoi parenti conviventi ovvero di suoi dipendenti addetti, con rapporto stabile o assimilato, alla azienda agricola.
3.3. – Neppure questo assetto normativo è, però, rimasto a lungo fermo in quanto, già con legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), il legislatore, al comma 156 dell'art. 3, ha previsto la emanazione di uno o più regolamenti di delegificazione volti alla «revisione dei criteri di accatastamento dei fabbricati rurali […] tenendo conto del fatto che la normativa deve essere applicata soltanto all'edilizia rurale abitativa […] e che si deve provvedere all'istituzione di una categoria di immobili a destinazione speciale per il classamento dei fabbricati strumentali».
In attuazione della predetta delega è stato emanato il d.P.R. 23 marzo 1998, n. 139 (Regolamento recante norme per la revisione dei criteri di accatastamento dei fabbricati rurali, a norma dell'articolo 3, comma 156, della legge 23 dicembre 1996, n. 662), il quale, oltre a prevedere, al comma 5 dell'art. 1, che le costruzioni strumentali all'esercizio della attività agricola, diverse dalle abitazioni, fossero censite in catasto nella categoria, di nuova istituzione, «D/10 – fabbricati con funzioni produttive connesse alle attività agricole», ha previsto, all'art. 2, la integrale sostituzione del precedente comma 3 dell'art. 9 del decreto-legge n. 557 del 1993, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 1994, con un nuovo comma 3 nel quale, disciplinandosi i requisiti affinché un fabbricato potesse godere del riconoscimento della ruralità ai fini fiscali, era stato, fra l'altro, espunto qualsiasi riferimento ai fabbricati strumentali, facendo seguire alla disposizione in tal modo sostituita, un autonomo comma 3-bis. Quest'ultimo precisava che il carattere della ruralità fiscale dei fabbricati strumentali doveva essere riconosciuto «alle costruzioni strumentali alle attività agricole di cui all'art. 29 del testo unico delle imposte sui redditi», cioè, rendendo esplicito il contenuto della richiamata disposizione, «a) [alle] attività dirette alla coltivazione del terreno, alla silvicoltura e alla funghicoltura; b) [all']allevamento di animali con mangimi ottenibili per almeno un quarto dal terreno; c) [alle] attività dirette alla manipolazione, trasformazione e alienazione di prodotti agricoli e zootecnici, ancorché non svolte sul terreno, che rientrino nel normale esercizio della agricoltura secondo la tecnica che lo governa e che abbiano per oggetto prodotti ottenuti per almeno la metà dal terreno e dagli animali allevati su di esso».
La circostanza che il d.P.R. n. 139 del 1998 abbia separatamente disciplinato, peraltro in coerenza con la delega conferita con la ricordata legge n. 662 del 1996, il carattere della ruralità ai fini fiscali a seconda che l'immobile in questione sia adibito a scopi abitativi ovvero abbia funzione strumentale allo svolgimento della attività agricola, prevedendo espressamente solo per la prima ipotesi la necessaria coincidenza fra titolare dell'immobile e del terreno agricolo cui il primo era asservito, ha fatto ritenere, pur nella presenza, come si vedrà, di voci dissonanti, ad una larga parte degli interpreti, ivi compresa la stessa Corte di legittimità, che anche gli immobili strumentali riferibili alle cooperative agricole potessero godere dei benefici fiscali connessi alla ruralità – fra i quali si è ritenuta compresa anche la esclusione dall'assoggettamento all'ICI – nonostante la distinzione fra titolare del fabbricato (società cooperativa) e titolari dei terreni agricoli asserventi (soci della cooperativa).
A fronte del ricordato prevalente orientamento (Cass., Sez. tributaria, sentenze n. 13334 del 7 giugno 2006, n. 18853 del 27 settembre 2005, n. 13677 del 24 giugno 2005, n. 6884 del 1° aprile 2005, n. 1330 del 21 gennaio 2005) se ne è sviluppato un altro che, soprattutto con sentenze pronunciate successivamente alla data di emissione delle due ordinanze che hanno sollevato la presente questione di legittimità costituzionale, ha ritenuto, almeno ai fini dell'ICI, che la caratteristica della “ruralità” poteva rilevare solo ai fini del “classamento” del fabbricato, ma non ai fini dell'assoggettamento a tale tributo. L'iscrizione dell'unità immobiliare nel “catasto dei fabbricati” che ha sostituito il precedente “nuovo catasto edilizio urbano” costituirebbe «presupposto necessario ma anche sufficiente» per la sottoposizione all'ICI (Cass., Sez. tributaria, sentenze n. 23596 del 15 settembre 2008, n. 20632 del 30 luglio 2008, n. 15321 del 10 giugno 2008).
3.4. – Nel quadro normativo che determinava queste incertezze viene ad inserirsi sia la disposizione contenuta nell'art. 42-bis del decreto-legge n. 159 del 2007, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 222 del 2007, che, nuovamente intervenendo sull'art. 9 del decreto-legge n. 557 del 1993, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 1994, ha sostituito il già novellato comma 3-bis di detta norma, prevedendo che il carattere della ruralità ai fini fiscali debba essere riconosciuto alle «costruzioni strumentali necessarie per lo svolgimento dell'attività agricola di cui all'art. 2135 del codice civile», in particolare a quelle destinate «[…] alla manipolazione, trasformazione, conservazione, valorizzazione o commercializzazione dei prodotti agricoli, anche se effettuate da cooperative e loro consorzi […]», sia la disposizione sospettata di illegittimità costituzionale.
Quest'ultima prevede che «non è ammessa la restituzione di somme eventualmente versate a titolo di imposta comunale sugli immobili ai comuni, per periodi di imposta precedenti al 2008, dai soggetti destinatari delle disposizioni di cui alla lettera i) del comma 3-bis dell'articolo 9 del decreto-legge 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133, introdotta dall'articolo 42-bis del decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222, in relazione alle costruzioni di cui alla medesima lettera i)».
3.5. – È, innanzitutto, necessario precisare, a fronte del più ampio ambito che alcune delle prospettate argomentazioni vengono a configurare, che lo scrutinio di costituzionalità è, ovviamente, limitato al petitum dei rimettenti, vale a dire alla valutazione del rispetto dei parametri invocati per ciò che riguarda il divieto di ripetizione dell'ICI eventualmente versata, senza alcuna estensione agli altri tipi di imposizione fiscale cui il comma 3-bis del novellato art. 9 del d.l. n. 557 del 1993 fa riferimento.
Ne deriva che è irrilevante, a questo fine, la questione del carattere interpretativo o innovativo della modifica introdotta dall'art. 42-bis del d.l. n. 159 del 2007, sulla quale controvertono soprattutto la parte privata e l'Avvocatura dello Stato, posto che è sufficiente, per giungere ad una conclusione, l'esame della norma impugnata.
4. – Questa, come detto, prevede l'irripetibilità di quanto versato a titolo di ICI per le annualità precedenti al 2008 da tutti i soggetti destinatari delle disposizioni di cui alla lettera i) del comma 3-bis dell'art. 9 del decreto-legge n. 557 del 1993, ivi comprese le cooperative agricole cui la citata normativa fa espresso riferimento.
Dalla semplice lettura della disposizione emerge la sua intrinseca contraddittorietà. Se, infatti, il tributo era, per gli anni precedenti al 2008, dovuto, sancirne l'irripetibilità sarebbe del tutto superfluo; se, invece, il tributo non fosse stato dovuto, la disposizione verrebbe ad avere un senso compiuto (quello cioè di impedire il recupero di importi che sono stati versati senza una causa giustificativa) che però urta palesemente con la giurisprudenza di questa Corte.
Un definitivo contributo ad interpretare la censurata disposizione, che già per la sua stessa formulazione presenta aspetti di irragionevolezza, è fornito dal comma 1-bis dell'art. 23 del d.l. 30 dicembre 2008, n. 207 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni finanziarie urgenti), convertito dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14. Esso prevede che «ai sensi e per gli effetti dell'articolo 1, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212, l'articolo 2, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, deve intendersi nel senso che non si considerano fabbricati le unità immobiliari, anche iscritte o iscrivibili nel catasto fabbricati, per le quali ricorrono i requisiti di ruralità di cui all'articolo 9 del decreto-legge 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133, e successive modificazioni».
È opportuno, preliminarmente, precisare che si tratta di una disposizione che, non andando direttamente ad incidere su quella oggetto della questione di costituzionalità, né consentendo una diversa interpretazione di quest'ultima tale da risolvere i dedotti dubbi ma, anzi, semmai, rafforzandoli, non giustifica, pur nella variazione del quadro normativo, la restituzione degli atti ai giudici a quibus per un riesame della perdurante rilevanza della questione.
Con essa si afferma, attribuendo all'enunciazione il valore di norma di interpretazione autentica, e, quindi, con effetti indiscutibilmente retroattivi – dato che si richiama lo specifico comma dello statuto del contribuente che disciplina questo genere di normazione – che le costruzioni rurali aventi le caratteristiche indicate nel più volte citato art. 9 del d.l. n. 557 del 1993, come modificato dall'art. 42-bis del d.l. n. 159 del 2007, non si considerano fabbricati ai fini dell'imposizione ICI.
Alla disposizione impugnata non può, quindi, darsi altro significato che quello di impedire il recupero di un tributo il cui pagamento non era dovuto.
È costante, al riguardo, la giurisprudenza di questa Corte nell'affermare la illegittimità costituzionale di disposizioni le quali, posto che non sia dovuta una prestazione tributaria (o comunque patrimoniale), prevedano poi la irripetibilità di quanto sia stato versato nell'apparente adempimento della (in realtà inesistente) obbligazione (sentenze nn. 330 del 2007, 320 del 2005, 416 del 2000).
Una siffatta disposizione non solo è irragionevole per la chiara contraddizione in cui cade il legislatore il quale, avendo provveduto nel senso della insussistenza dei presupposti per l'insorgere della obbligazione, interviene, sia pure con diversa norma, onde limitare gli effetti della precedente, nel senso di rendere irripetibile quanto già, peraltro sine causa, versato, ma la stessa è incompatibile col rispetto del principio di eguaglianza in quanto fonte di ingiustificata disparità di trattamento di situazioni sostanzialmente uguali, venendo a determinare un trattamento deteriore di chi abbia erroneamente pagato un'imposta non dovuta rispetto a quello di chi, versando nella medesima situazione, non abbia invece effettuato alcun pagamento.
L'accoglimento della questione di costituzionalità con riferimento al parametro costituito dall'art. 3 Cost. assorbe i vizi dedotti in relazione ai restanti parametri.
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 2, comma 4, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge finanziaria 2008).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, 14 luglio 2009.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 22 luglio 2009.