Sentenza n. 320 del 2005

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SENTENZA N. 320

ANNO 2005

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Piero Alberto    CAPOTOSTI         Presidente

- Fernanda          CONTRI                 Giudice

- Guido              NEPPI MODONA          "

- Annibale          MARINI                        "

- Franco             BILE                             "

- Giovanni          Maria FLICK                  "

- Francesco         AMIRANTE                   "

- Ugo                       DE SIERVO                          "

- Romano                VACCARELLA                   "

- Paolo               MADDALENA               "

- Alfio                FINOCCHIARO             "

- Alfonso            QUARANTA                  "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 39 della legge 21 novembre 2000, n. 342 (Misure in materia fiscale), promosso con ordinanza del 9 aprile 2003 dalla Corte di cassazione sui ricorsi riuniti proposti dal Ministero delle finanze ed altri contro Mediocredito centrale S.p.a. ed altro, iscritta al n. 516 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 33, prima serie speciale, dell'anno 2003.

    Visti l'atto di costituzione della Simest S.p.a. nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

    udito nell'udienza pubblica del 7 giugno 2005 il Giudice relatore Annibale Marini;

    uditi l'avvocato Livia Salvini per la Simest S.p.a. e l'avvocato dello Stato Antonio Palatiello per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

    1.– Con ordinanza depositata il 9 aprile 2003 la Corte di cassazione ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 39 della legge 21 novembre 2000, n. 342 (Misure in materia fiscale), nella parte in cui, pur riconoscendo che i fondi pubblici di agevolazione devono intendersi esenti dall'IRPEG, ai sensi dell'art. 88, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), nega, tuttavia, «ai fondi stessi il diritto al rimborso delle imposte sul reddito indebitamente assolte».

    Riferisce il rimettente che il Mediocredito centrale S.p.a., gestore dei fondi di agevolazione costituiti con le leggi 24 maggio 1977, n. 227 (Disposizioni sull'assicurazione e sul finanziamento dei crediti inerenti alle esportazioni di merci e servizi, all'esecuzione di lavori all'estero nonché alla cooperazione economica e finanziaria in campo internazionale), 28 novembre 1980, n. 782 (Nuove norme dirette a sostenere la competitività del sistema industriale, a definire procedure di spesa della Cassa per il Mezzogiorno e a trasferire competenze al comitato tecnico di cui all'art. 4 della legge 12 agosto 1977, n. 675), e 29 luglio 1981, n. 394 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 28 maggio 1981, n. 251, concernente misure a sostegno delle esportazioni italiane), ha impugnato, di fronte al giudice tributario, il silenzio-rifiuto formatosi sulle istanze di rimborso dell'imposta patrimoniale nonché dell'IRPEG e dell'ILOR versate dai detti fondi per gli anni 1992 e 1993.

    Accolta in primo e secondo grado la domanda di rimborso, nel corso del giudizio di cassazione l'amministrazione finanziaria ha invocato l'applicazione del jus superveniens, costituito appunto dall'art. 39 della legge n. 342 del 2000, secondo cui, pur rientrando i fondi in questione nell'ambito applicativo dell'art. 88, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, tuttavia non si fa luogo al rimborso delle imposte già pagate.

    Premessa la sicura rilevanza della questione, discendendo dalla sua soluzione la decisione della causa, la Corte rimettente dubita della legittimità costituzionale della norma suddetta, in quanto contrastante sia con il principio di ragionevolezza sia con quello di eguaglianza.

    Essa, infatti, sarebbe innanzitutto contraddittoria, in quanto riconosce da un lato l'applicabilità dell'art. 88, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986 ai ricordati fondi pubblici di agevolazione, escludendoli in tal modo dall'imposizione sul reddito, ma dall'altro nega il diritto al rimborso delle imposte pagate indebitamente.

    La norma stessa, sotto altro aspetto, si porrebbe in contrasto con il principio di eguaglianza, disciplinando in modo differenziato situazioni sostanzialmente eguali in funzione della circostanza – del tutto casuale e neutra «rispetto alla ragione sottesa» alla disposizione legislativa – dell'essere o meno intervenuto il pagamento dell'indebito fiscale, prevedendosi nell'uno caso la irripetibilità di quanto versato sine titulo e nell'altro caso la non debenza dell'imposta.

    2.– Si è costituita di fronte a questa Corte la Simest S.p.a., parte del giudizio a quo per essere succeduta al Mediocredito nella qualità di gestore del fondo istituito al sensi della legge n. 394 del 1981, concludendo per l'accoglimento della questione di legittimità costituzionale.

    Ad avviso della Simest la disposizione censurata sarebbe caratterizzata da una intima contraddittorietà fra la parte in cui prevede, in via interpretativa e quindi retroattiva, la non imponibilità dei redditi prodotti, e la parte in cui, con disposizione di carattere innovativo, nega la ripetibilità dei tributi indebitamente pagati.

    Esclude d'altro canto la Simest che la ratio giustificatrice della norma possa essere rinvenuta nel fatto che i fondi onerati appartengono giuridicamente allo stesso soggetto (cioè lo Stato) che ha riscosso le imposte.

    Le somme versate a titolo di imposta sono infatti prelevate dalla dotazione economica dei fondi, vincolata ex lege ad uno scopo ben preciso quale è quello (per quanto in particolare riguarda il fondo istituito con la legge n. 394 del 1981) di concedere finanziamenti a tasso agevolato in favore di imprese italiane esportatrici di merci, cosicché il diniego di rimborso delle imposte indebitamente assolte finisce per determinare un pregiudizio nei confronti dei destinatari dei finanziamenti, a causa della contrazione delle somme erogabili in loro favore.

    Lamenta ancora la parte privata, quale ulteriore profilo di irragionevolezza della disposizione impugnata, che la sua unica finalità sarebbe quella di favorire l'amministrazione finanziaria, incidendo sulle controversie ancora pendenti in tema di rimborso di imposte indebitamente versate che la vedono opposta al Mediocredito ed alla stessa Simest.

    Quanto alla disparità di trattamento, la medesima parte, oltre a richiamare le argomentazioni già svolte dal rimettente, rileva altresì che la disposizione impugnata discriminerebbe in modo ingiustificato la posizione dei fondi che abbiano pagato l'imposta non dovuta prima dell'entrata in vigore della legge, i quali non possono ottenerne la ripetizione, da quella dei fondi che, avendo per errore pagato dopo l'entrata in vigore della legge, potrebbero invece agire in ripetizione.

    3.– E' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'inammissibilità o, comunque, la manifesta infondatezza della questione.

    Ad avviso dell'Avvocatura, la norma impugnata ha inteso risolvere i contrasti sorti in giurisprudenza riguardo alla natura giuridica dei fondi in questione disponendo per il futuro e non – come invece postula il rimettente – in via di interpretazione autentica.

    Ove si muova da tale presupposto – del resto conforme al principio enunciato dall'art. 3, comma 1, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente), circa la ordinaria irretroattività delle norme tributarie – non avrebbe senso dubitare della sua ragionevolezza: l'intervenuta modifica della norma impositiva fa, evidentemente, salvi i pagamenti avvenuti sulla base della legislazione anteriore.

    Osserva, infine, la parte pubblica che, trattandosi di imposte relative ad entrate realizzate da fondi statali a gestione separata, non sarebbe comunque irragionevole escluderne la rimborsabilità.

    4.– In prossimità dell'udienza pubblica la difesa della Simest S.p.a. ha depositato una memoria illustrativa nella quale, confutando la tesi sostenuta dall'Avvocatura dello Stato, ribadisce la natura interpretativa dell'art. 39 della legge n. 342 del 2000, in quanto essa non ha introdotto nell'ordinamento una nuova norma di esenzione tributaria relativa ai fondi in discorso, né ha modificato l'art. 88 del decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, sì da ricomprendervi una fattispecie prima non contemplata, ma è intervenuta sul significato da attribuirsi a detta norma.

    Nello stesso senso deporrebbero d'altro canto con chiarezza i lavori preparatori.

     Ricordato, quindi, che è limite costituzionale alla retroattività delle disposizioni interpretative la loro ragionevolezza, la difesa privata ribadisce che tale limite sarebbe, nella fattispecie, violato, in quanto, una volta affermata l'esclusione dei fondi in questione dall'imposta, risulterebbe incomprensibile la ratio della disposizione nella parte in cui non ammette la ripetizione di quanto indebitamente pagato.

Considerato in diritto

    1.– La Corte di cassazione dubita, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell'art. 39 della legge 21 novembre 2000, n. 342 (Misure in materia fiscale), nella parte in cui, pur affermando la riconducibilità dei fondi pubblici di agevolazione istituiti da leggi dello Stato e delle Regioni, anche se gestiti da soggetti privati, nell'ambito dell'art. 88, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica, 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi) – nel testo vigente sino al 31 dicembre 2003 – in materia di applicabilità dell'imposta sul reddito delle persone giuridiche allo Stato ed agli altri enti pubblici,  prevede, poi, che non si fa luogo al rimborso di imposte già pagate.

    Ad avviso del giudice rimettente la norma impugnata sarebbe incoerente e, pertanto, viziata da irragionevolezza, poiché per un verso essa, con disposizione avente carattere interpretativo, esclude la soggezione all'imposta sul reddito delle persone giuridiche dei ricordati fondi pubblici di agevolazione, mentre, per altro verso, sottrae i pagamenti indebiti alla azione di ripetizione.

    Essa determinerebbe, altresì, un'ingiustificata disparità di trattamento fra quanti alla data di entrata in vigore della disposizione censurata già avevano provveduto al pagamento delle imposte e quanti, invece, non lo avevano fatto; mentre i primi, ancorché ne avessero fatto richiesta, non potrebbero ripetere quanto versato, i secondi sarebbero definitivamente liberati dall'obbligo tributario.

    2.– La questione è fondata.

    2.1.– Al fine di chiarire la effettiva portata della norma impugnata va ricordato che in epoca antecedente alla entrata in vigore della legge n. 342 del 2000 era insorto in sede giurisprudenziale un contrasto interpretativo in ordine all'assoggettabilità dei fondi pubblici di agevolazione all'imposta sul reddito, anche se l'orientamento prevalente, specie del giudice di legittimità, era nel senso dell'applicabilità ai suddetti fondi dell'art. 88, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986 che escludeva la soggezione all'imposta dello Stato e degli enti pubblici nella stessa norma specificati.

    Il legislatore, proprio al fine di superare un oneroso contenzioso che vedeva coinvolta l'Amministrazione finanziaria, come è detto nei lavori preparatori, ha scelto, con la legge n. 342 del 2000, la soluzione alla quale era pervenuta, come si è detto, la giurisprudenza di legittimità stabilendo nell'art. 39 che «i fondi pubblici di agevolazione […] devono intendersi riconducibili nell'ambito applicativo dell'articolo 88, comma 1».

    Ed è appena il caso di osservare che sia il testo della norma sia lo scopo dalla stessa perseguito di risolvere le incertezze interpretative sorte in passato sul trattamento tributario dei fondi di agevolazione, non consentono di dubitare sul carattere interpretativo della norma de qua peraltro espressamente affermato sia dai citati lavori preparatori che dalla stessa Amministrazione finanziaria.

    2.2.– Stante, dunque, l'indubbia efficacia retroattiva della prima parte della norma impugnata, la funzione del secondo periodo – oggetto specifico dell'impugnativa – è con evidenza quella di limitare gli effetti economico-finanziari di tale retroattività, escludendo la ripetibilità delle imposte già (indebitamente) pagate.

    Ma proprio siffatta limitazione si pone in palese contrasto con il parametro costituzionale evocato dalla Corte rimettente.

    Questa Corte, infatti, ha già affermato che non è compatibile con il principio di ragionevolezza l'operato del legislatore che qualifichi un pagamento come non dovuto e nello stesso tempo lo sottragga all'azione di ripetizione (sentenze n. 416 del 2000 e n. 421 del 1995).

    L'intrinseca contraddittorietà della disposizione si riflette del resto in una palese violazione del principio di eguaglianza per disparità di trattamento di situazioni sostanzialmente uguali, venendo a riservarsi un trattamento deteriore a chi abbia erroneamente pagato un'imposta non dovuta rispetto a chi, versando nella medesima situazione, non abbia invece effettuato alcun pagamento.

    Di nessun rilievo ai fini dello scrutinio di legittimità costituzionale è, d'altro canto, l'argomento – pur addotto dall'Avvocatura – che fa leva sulla origine statale dei fondi cui la disposizione impugnata si riferisce, per giungere alla conclusione che la disposta irripetibilità, riguardando somme comunque appartenenti all'erario, per ciò solo non contrasterebbe con il canone di ragionevolezza.

    Al riguardo – ed a prescindere dalla circostanza che la norma censurata si applica anche ai fondi istituiti con legge regionale e perciò non riconducibili alla finanza statale – è sufficiente rilevare che i fondi di cui si tratta hanno una specifica destinazione a vantaggio di terzi e si autoalimentano attraverso la produzione di interessi, cosicché la previsione di irripetibilità di somme indebitamente pagate a titolo di imposta sugli interessi determina una obiettiva decurtazione delle disponibilità dei fondi stessi e, quindi, un pregiudizio per la realizzazione proprio di quelle finalità in vista delle quali essi sono stati costituiti.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 39 della legge 21 novembre 2000, n. 342 (Misure in materia fiscale), nella parte in cui dispone che «non si fa luogo a rimborso di imposte già pagate».

    Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 luglio 2005.

Piero Alberto CAPOTOSTI, Presidente

Annibale MARINI, Redattore

Depositata in Cancelleria il 26 luglio 2005.