SENTENZA N. 330
ANNO 2007
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, secondo periodo, della legge 21 novembre 2000, n. 342 (Misure in materia fiscale), promosso con ordinanza depositata il 30 agosto 2006 dalla Commissione tributaria regionale della Sardegna, nel giudizio vertente tra la società semplice Avicola S. Chiara e l' Agenzia delle entrate - Ufficio di Oristano, iscritta al n. 201 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15, prima serie speciale, dell’anno 2007.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 4 luglio 2007 il Giudice relatore Franco Gallo.
Ritenuto in fatto
1. – Con ordinanza pronunciata il 27 febbraio 2006 e depositata il 30 agosto successivo, la Commissione tributaria regionale della Sardegna, nel corso di un giudizio di appello conseguente a rinvio dalla Corte di cassazione, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, secondo periodo, della legge 21 novembre 2000, n. 342 (Misure in materia fiscale), il quale dispone che «Non si fa luogo a restituzione di imposte, soprattasse e pene pecuniarie già pagate».
Il giudice rimettente precisa che tale articolo stabilisce, nel non censurato primo periodo del suo unico comma (composto da due periodi), che «L’articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 10 novembre 1997, n. 442, concernente l’opzione e la revoca di regimi di determinazione dell’imposta o di regimi contabili, si intende applicabile anche ai comportamenti concludenti tenuti dal contribuente anteriormente alla data di entrata in vigore del citato decreto n. 442 del 1997». Il medesimo rimettente, deducendo dalla rubrica del citato art. 4 («Norma interpretativa») la natura interpretativa della norma e rilevato che questa «comunque […] riguarda la portata applicativa dell’art. 1, comma 1, del d.P.R. n. 442 del 1997» (Regolamento recante norme per il riordino della disciplina delle opzioni in materia di imposta sul valore aggiunto e di imposte dirette), afferma che la sollevata questione di legittimità costituzionale concerne l’«art. 4, 1° comma, della legge 21 novembre 2000, n. 342, laddove si dispone che “Non si fa luogo a restituzione di imposte, soprattasse e pene pecuniarie già pagate”, in relazione all’art. 1, 1° comma, del D.P.R. 10 novembre 1997, n. 442».
1.1. – Il giudice a quo riferisce, in punto di fatto, che: la contribuente – la società semplice «Avicola S. Chiara» – aveva presentato, unitamente alla dichiarazione dell’IVA riguardante l’anno 1988, la richiesta di rimborso, con procedura accelerata, di un credito della stessa imposta; la Commissione tributaria di primo grado aveva accolto l’impugnazione proposta dalla contribuente avverso il silenzio-rifiuto formatosi su detta richiesta di rimborso; la Commissione tributaria regionale della Sardegna aveva accolto l’appello proposto dall’amministrazione finanziaria avverso la sentenza di primo grado, rilevando che la contribuente non aveva esercitato per iscritto l’opzione, prevista dall’art. 34 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto), per l’applicazione dell’imposta nei modi ordinari e, quindi, non aveva diritto al rimborso; con sentenza n. 11713 del 2001, la Corte di cassazione aveva accolto il ricorso della contribuente avverso la decisione di appello, cassando quest’ultima pronuncia e rinviando la causa, per un nuovo esame, ad altra sezione della stessa Commissione tributaria regionale. Il giudice rimettente riferisce, inoltre, che, con la citata sentenza, la Corte di cassazione aveva rilevato l’entrata in vigore, successivamente alla pronuncia di appello, dell’art. 4, comma 1, della legge n. 342 del 2000, il quale aveva disposto l’applicazione retroattiva dell’art. 1 del d.P.R. n. 442 del 1997 – secondo cui l’opzione per il regime normale dell’IVA può essere desunta da comportamenti concludenti del contribuente – anche ai comportamenti concludenti tenuti dal contribuente anteriormente all’entrata in vigore di tale decreto presidenziale, avente natura regolamentare (7 gennaio 1998). Il giudice a quo aggiunge che la medesima Corte di cassazione – dopo aver constatato l’omessa considerazione, da parte del giudice di appello, «della concludente condotta» tenuta dalla contribuente in relazione all’anno d’imposta 1988 circa la suddetta opzione per il regime ordinario dell’IVA e dopo aver osservato che il sopravvenuto art. 4 della legge n. 342 del 2000 dispone, tra l’altro, che «Non si fa luogo a restituzione di imposte, soprattasse e pene pecuniarie già pagate» – aveva cassato la sentenza impugnata e rinviato alla stessa Commissione tributaria regionale, per un nuovo esame di merito, «comprensivo – ai fini della valutazione di rilevanza – di eventuali profili di legittimità costituzionale della disposizione» di esclusione dal rimborso, «avuto riguardo alla tecnica legislativa impiegata, tipica dei provvedimenti di “condono” di recente censurata dal giudice delle leggi in analoga fattispecie normativa (Corte cost. 416/2000; cfr. pure Cass., ord. 381/2000)».
1.2. – Poste tali premesse, il giudice rimettente, sulla scorta della indicata sentenza del giudice di legittimità, osserva, in punto di non manifesta infondatezza della questione, che l’art. 4, comma 1, della legge n. 342 del 2000, mentre nel primo periodo valorizza retroattivamente il comportamento concludente tenuto dai contribuenti prima del 7 gennaio 1998, ai fini della manifestazione della menzionata opzione per l’applicazione del regime ordinario dell’IVA, viceversa nel secondo periodo dello stesso comma irragionevolmente esclude che da tale comportamento (e, quindi, dall’applicazione del regime ordinario anteriormente all’entrata in vigore dello stesso art. 4, cioè anteriormente al 10 dicembre 2000) possa derivare l’effetto del rimborso dell’imposta (oltre che delle soprattasse e pene pecuniarie). Ad avviso del giudice a quo, detta normativa, in materia diversa dal “condono fiscale”, crea un regime differenziato di effetti in ragione di una circostanza (l’intervenuto pagamento o no dell’imposta) del tutto neutra (e, di fatto, contingente e casuale) rispetto alla ratio sottesa al disposto del primo periodo del medesimo comma – diretto a porre una norma di interpretazione autentica e, pertanto, con effetti retroattivi –, con conseguente violazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost. Il rimettente richiama, a sostegno di tale conclusione, le sentenze n. 416 del 2000 (in tema di applicazione retroattiva di agevolazioni fiscali per l’acquisto della prima casa) e n. 320 del 2005 (in tema di esenzione soggettiva dall’IRPEG di alcuni fondi pubblici di agevolazione), con le quali la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di norme di esclusione dal rimborso di imposte già pagate. 1.3. – In punto di rilevanza, la Commissione tributaria regionale afferma che la sollevata questione «appare rilevante, nel caso in esame, con riguardo alla modalità della tenuta delle scritture contabili della società Avicola S. Chiara, e posto che alcuni comportamenti posti in essere dalla società, quali emergono dagli atti, sono suscettibili di essere positivamente valutati come comportamenti concludenti ai fini delle previsioni normative di cui all’art. 1, comma 1°, del decreto presidenziale n. 442 del 1997 ed all’art. 4, comma 1°, della legge n. 342 del 2000», tanto che tali «circostanze di fatto […] potrebbero comportare il diritto al rimborso richiesto […], ove non sussistesse il divieto di legge» denunciato.2. – È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la sollevata questione sia dichiarata inammissibile o infondata.Quanto alla eccepita inammissibilità, l’Avvocatura generale osserva che l’ordinanza è priva di motivazione sulla rilevanza, perché il giudice rimettente, da un lato, non ha sufficientemente descritto la fattispecie oggetto del giudizio principale, avendo omesso ogni indicazione circa le modalità di tenuta delle scritture contabili e gli altri elementi (come il tipo di dichiarazione IVA presentata) da cui si dovrebbe desumere il comportamento concludente espressivo dell’opzione del contribuente per l’applicazione dell’imposta nei modi ordinari; dall’altro, «non spiega […] perché ritenga applicabile al rimborso ordinario dell’IVA a monte la disposizione dettata in merito al rimborso di una imposta a valle indebitamente pagata», dal momento che «la fattispecie [...] non riguarda […] il rimborso di una imposta pagata, cioè dell’IVA a debito, e non dovuta, ma la formazione dell’IVA a credito di cui si chiede il rimborso, rigorosamente connessa al regime ordinario dell’IVA», con conseguente inapplicabilità della disposizione censurata, che «testualmente si riferisce ai soli rimborsi di imposte a debito non dovute».Quanto alla dedotta infondatezza, la difesa erariale, dopo aver premesso che le sentenze della Corte costituzionale richiamate dal rimettente non sono pertinenti al caso di specie (in quanto relative a versamenti di imposte a debito, non dovute in base a leggi sopravvenute), afferma che il legislatore, pur avendo inteso «sanare retroattivamente», con la norma denunciata, i comportamenti dei contribuenti che – prima dell’entrata in vigore del d.P.R. n. 442 del 1997 – avevano applicato il regime ordinario dell’IVA senza la previa comunicazione scritta dell’opzione in tal senso, ha tuttavia «discrezionalmente limitato» gli effetti di detta sanatoria in favore dei soli contribuenti che hanno utilizzato il credito riportandolo all’anno successivo e non anche a quelli che hanno «unilateralmente chiesto il rimborso». Per la difesa erariale, la diversità di tali due diversi modi di far valere il credito del contribuente giustifica l’indicata diversità di disciplina ed esclude, pertanto, qualsiasi disparità di trattamento o irragionevolezza costituzionalmente rilevanti della denunciata disposizione.Considerato in diritto
1. – La Commissione tributaria regionale della Sardegna dubita della legittimità costituzionale «dell’art. 4, 1° comma, della legge 21 novembre 2000, n. 342, laddove si dispone che “Non si fa luogo a restituzione di imposte, soprattasse e pene pecuniarie già pagate”, in relazione all’art. 1, 1° comma , del D.P.R. 10 novembre 1997, n. 442». In realtà, l’oggetto della censura riguarda esclusivamente l’art. 4, comma 1, secondo periodo, della legge 21 novembre 2000, n. 342 (Misure in materia fiscale), il quale, nel disporre che «Non si fa luogo a restituzione di imposte, soprattasse e pene pecuniarie già pagate», limita gli effetti del primo periodo dell’unico comma dello stesso art. 4 (composto da due soli periodi), in forza del quale «L’articolo 1 del d.P.R. 10 novembre 1997, n. 442, concernente l’opzione e la revoca di regimi di determinazione dell’imposta o di regimi contabili, si intende applicabile anche ai comportamenti concludenti tenuti dal contribuente anteriormente alla data di entrata in vigore del citato decreto n. 442 del 1997» (cioè anteriormente al 7 gennaio 1998). In altri termini, il rimettente muove dalla premessa che il citato art. 4 ha natura interpretativa e, pertanto, retroattiva (argomentata anche in base alla sua rubrica, «Norma interpretativa») circa l’àmbito di applicazione dell’art. 1, comma 1, del d.P.R. n. 442 del 1997 (Regolamento recante norme per il riordino della disciplina delle opzioni in materia di imposta sul valore aggiunto e di imposte dirette), per il quale «L’opzione e la revoca di regimi di determinazione dell’imposta o di regimi contabili si desumono da comportamenti concludenti del contribuente o dalle modalità di tenuta delle scritture contabili. La validità dell’opzione e della relativa revoca è subordinata unicamente alla sua concreta attuazione sin dall’inizio dell’anno o dell’attività. È comunque consentita la variazione dell’opzione e della revoca nel caso di modifica del relativo sistema in conseguenza di nuove disposizioni normative». Su tale premessa, la Commissione tributaria regionale censura soltanto il secondo periodo del comma 1 dell’art. 4 della legge n. 342 del 2000, nella parte in cui esclude dal rimborso l’imposta che, in base alla riconosciuta efficacia del comportamento concludente a suo tempo tenuto dal contribuente in ordine all’opzione per il regime ordinario dell’IVA, risulta (ora per allora) non dovuta.
In particolare, il giudice a quo afferma che, mentre il primo periodo del comma 1 dell’art. 4 della legge n. 342 del 2000 valorizza retroattivamente il comportamento concludente tenuto dal contribuente prima del 7 gennaio 1998, ai fini dell’opzione prevista dall’art. 34 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto), per l’applicazione dell’IVA nei modi ordinari; viceversa la norma denunciata si pone in contrasto con l’art. 3 della Costituzione, perché irragionevolmente esclude che da tale comportamento concludente possa conseguire l’effetto del rimborso di imposte già pagate, cosí creando un regime differenziato in ragione di una circostanza (l’intervenuto pagamento o no dell’imposta) del tutto neutra (e, di fatto, contingente e casuale) rispetto alla ratio sottesa al disposto del primo periodo del medesimo comma 1 dello stesso art. 4, diretto a porre una norma di interpretazione autentica e, pertanto, con effetti retroattivi.
2. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto in giudizio, ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità della questione per difetto di motivazione sulla rilevanza, sotto il duplice profilo che l’ordinanza di rimessione: a) non contiene una sufficiente descrizione della fattispecie, in difetto di ogni indicazione circa le modalità di tenuta delle scritture contabili e gli altri elementi (come il tipo di dichiarazione IVA presentata) da cui si dovrebbe desumere il comportamento concludente del contribuente espressivo dell’opzione per l’applicazione dell’imposta nei modi ordinari; b) «non spiega […] perché ritenga applicabile al rimborso ordinario dell’IVA a monte la disposizione dettata in merito al rimborso di una imposta a valle indebitamente pagata», dal momento che «la fattispecie [...] non riguarda […] il rimborso di una imposta pagata, cioè dell’IVA a debito, e non dovuta, ma la formazione dell’IVA a credito di cui si chiede il rimborso, rigorosamente connessa al regime ordinario dell’IVA», con conseguente inapplicabilità della disposizione censurata, che «testualmente si riferisce ai soli rimborsi di imposte a debito non dovute».Entrambe le eccezioni sono infondate.
2.1. – Quanto alla prima eccezione, va rilevato che il giudice a quo afferma che, nel caso in esame, sia con riguardo alla modalità della tenuta delle scritture contabili sia con riguardo ad altri comportamenti posti in essere dalla società, «quali emergono dagli atti», è possibile ritenere esercitata per facta concludentia dalla contribuente l’opzione per il regime ordinario dell’IVA relativamente all’anno 1988. Ciò costituisce sufficiente descrizione della fattispecie, avendo il rimettente indicato due diversi elementi (modalità di tenuta delle scritture contabili; altri comportamenti concludenti) ciascuno dei quali è da solo considerato dalla legge idoneo per la manifestazione tacita dell’opzione per il regime ordinario dell’IVA (primo periodo del comma 1 del d.P.R. n. 442 del 1997: «L’opzione e la revoca di regimi di determinazione dell’imposta o di regimi contabili si desumono da comportamenti concludenti del contribuente o dalle modalità di tenuta delle scritture contabili.»). Né il giudice a quo era tenuto a descrivere analiticamente i comportamenti della contribuente da lui presi in considerazione e ad ulteriormente motivare le ragioni per le quali ritiene che essi costituiscano manifestazioni tacite della menzionata opzione: infatti tali valutazioni, in fatto ed in diritto, costituiscono il merito del giudizio principale e, in quanto esclusivamente riservate al giudice rimettente, non sono sindacabili dalla Corte costituzionale, neppure ai fini del controllo della rilevanza della sollevata questione di costituzionalità.
2.2. – Quanto alla seconda eccezione di inammissibilità, è qui sufficiente osservare che il rimborso dell’eccedenza dell’ammontare detraibile rispetto all’ammontare dell’imposta relativa alle operazioni imponibili, richiesto dal contribuente ai sensi dell’art. 30 del d.P.R. n. 633 del 1972, è pur sempre un rimborso dell’imposta versata e, quindi, una «restituzione di imposte», ai sensi della disposizione censurata. Il rimettente osserva, poi, che i suddetti comportamenti concludenti ed il correlativo passaggio al regime ordinario dell’IVA costituiscono «circostanze di fatto che potrebbero comportare il diritto al rimborso richiesto […], ove non sussistesse il divieto di legge» denunciato. Ne consegue che la norma censurata costituisce l’unico ostacolo alla restituzione richiesta dalla contribuente e che la sollevata questione è rilevante.
3. – Nel merito, la questione è fondata.
3.1. – Nel 1988, periodo d’imposta oggetto del giudizio principale, la società contribuente – quale imprenditore agricolo, ai sensi dell’art. 2135 del codice civile – era soggetta al regime speciale dell’IVA previsto per i produttori agricoli dall’art. 34 del d.P.R. n. 633 del 1972 (nel testo all’epoca vigente). In forza di tale regime, la detrazione per le operazioni passive (acquisti ed importazioni) era forfetizzata secondo percentuali di compensazione stabilite con decreto ministeriale e l’imposta sul valore aggiunto si applicava con le aliquote corrispondenti alle suddette percentuali. Il nono comma del citato art. 34 (sempre nel testo all’epoca vigente) attribuiva, però, ai produttori agricoli la facoltà di optare per l’applicazione dell’IVA «nel modo normale», dandone comunicazione scritta al competente ufficio IVA entro il 31 gennaio. La contribuente, pur non avendo effettuato la predetta comunicazione scritta, aveva presentato, unitamente alla dichiarazione dell’IVA riguardante l’anno 1988, la richiesta di rimborso, con procedura accelerata, della stessa imposta applicata in base al regime ordinario, e cioè con detrazione analitica e non forfetizzata.
L’art. 1, comma 1, del d.P.R. n. 442 del 1997 (in vigore dal 7 gennaio 1998) ha successivamente stabilito, «in materia di imposta sul valore aggiunto e di imposte dirette», che «L’opzione e la revoca di regimi di determinazione dell’imposta o di regimi contabili si desumono da comportamenti concludenti del contribuente o dalle modalità di tenuta delle scritture contabili.». Tuttavia, solo con l’art. 4 della legge n. 342 del 2000 (in vigore dal 10 dicembre 2000) il legislatore, con norma che la rubrica dell’articolo qualifica come «interpretativa», ha chiarito che tali comportamenti concludenti hanno efficacia anche se tenuti dal contribuente anteriormente all’entrata in vigore del d.P.R. n. 442 del 1997 (primo periodo dell’unico comma), esclusa, però, la «restituzione di imposte, soprattasse e pene pecuniarie già pagate» (il censurato secondo periodo dello stesso comma).
3.2. – Il primo periodo dell’unico comma del citato art. 4 della legge n. 342 del 2000, cui la rubrica attribuisce natura «interpretativa» (riconosciuta dalla consolidata giurisprudenza della Corte di cassazione), equipara anche per il passato (e non solo per l’avvenire) talune manifestazioni di volontà tacita («comportamenti concludenti del contribuente o […] modalità di tenuta delle scritture contabili») all’opzione o alla revoca comunicate per iscritto circa i regimi contabili o di determinazione dell’imposta (nella specie, si tratta dell’opzione per il regime ordinario dell’IVA). Il censurato secondo periodo dello stesso comma dell’indicato art. 4 limita la retroattività di detto primo periodo, escludendo la ripetibilità («restituzione») di quanto pagato dal contribuente a titolo di imposte, soprattasse e pene pecuniarie, anche nel caso in cui tali pagamenti risultassero non dovuti in conseguenza dell’efficacia delle manifestazioni tacite di volontà poste in essere in data anteriore al 7 gennaio 1998.
Proprio tale limitazione comporta la violazione del principio di uguaglianza evocato dal giudice rimettente quale parametro di costituzionalità. Come piú volte precisato da questa Corte, infatti, «la retroattività propria dell’interpretazione autentica non tollera logicamente eccezioni al significato attribuito alla legge interpretata», con la conseguenza che il legislatore cade in una contraddizione formale quando, da un lato, attribuisce alla disposizione interpretata un significato tale da qualificare come non dovuto, sin dall’origine, un pagamento e, dall’altro, ne esclude la ripetibilità (sentenza n. 421 del 1995, seguita dalle sentenze n. 416 del 2000 e n. 320 del 2005). Nella specie, tale contraddizione tra la finalità di interpretazione autentica dell’art. 4 della legge n. 342 del 2000 e la limitazione degli effetti economici e finanziari di tale interpretazione, si risolve in una ingiustificata disparità di trattamento tra i soggetti che, pur avendo manifestato in via tacita, anteriormente al 7 gennaio 1998, la loro opzione (o revoca) in ordine ai regimi di determinazione dell’imposta od ai regimi contabili, vengono assoggettati ad una disciplina differenziata in ragione di una circostanza – intervenuto pagamento o no delle imposte, soprattasse o pene pecuniarie, non dovute per effetto di detta manifestazione tacita di volontà – del tutto neutra (e, di fatto, contingente e casuale) rispetto alla ratio della norma interpretativa. Il trattamento deteriore riservato a chi – tra l’altro, versando in una situazione di obiettiva incertezza sul significato dell’art. 1, comma 1, del d.P.R. n. 442 del 1997, inteso dalla giurisprudenza della Corte di cassazione anteriore all’entrata in vigore dell’art. 4 della legge n. 342 del 2000 come privo di efficacia retroattiva – abbia pagato le imposte, soprattasse o pene pecuniarie non dovute, rispetto a chi non abbia effettuato alcun pagamento, si risolve, perciò, in una disciplina irragionevolmente diversa di situazioni uguali (per casi analoghi, le citate sentenze n. 320 del 2005 e n. 416 del 2000, nonché, in un obiter dictum, n. 292 del 1997).
3.3. – Né la ragione della rilevata discriminazione può consistere – come sostenuto dalla difesa erariale – nell’obiettivo, discrezionalmente perseguito dal legislatore, di limitare, in materia di imposta sul valore aggiunto, l’utilizzo dell’eccedenza detraibile al riporto di essa in detrazione nell’anno successivo, escludendo la rimborsabilità del credito.
È infatti evidente che, a pena di illegittimità costituzionale, anche detto obiettivo deve trovare una idonea giustificazione della disparità di trattamento. Ma neppure la difesa erariale è stata in grado di indicare le ragioni di un simile divieto di rimborso, oltretutto limitato al solo periodo anteriore al 7 gennaio 1998. In particolare, una volta riconosciuta dal legislatore la possibilità di soddisfare il credito del contribuente attraverso i meccanismi alternativi del rimborso immediato o del computo in detrazione nell’anno successivo, non è ragionevole l’eliminazione, per un determinato periodo di tempo, proprio di quel meccanismo che, almeno in via di principio, dovrebbe assicurare per legge la realizzazione dell’interesse del contribuente in modo pieno, incondizionato ed in tempi brevi (artt. 30 e 38-bis del d.P.R. n. 633 del 1972). La limitazione dell’utilizzo del credito d’imposta al computo in detrazione nell’anno successivo potrebbe porre, infatti, in condizione deteriore il contribuente che, in relazione alle operazioni effettuate ed alle proprie esigenze finanziarie, abbia invece interesse a scegliere il meccanismo del rimborso immediato. E ciò senza tenere conto che il pregiudizio arrecato a detto contribuente sarebbe insanabile in tutte le ipotesi in cui le successive dichiarazioni dell’IVA legittimamente mancassero o avessero un contenuto tale da non consentire lo scomputo. In tali casi, infatti, il medesimo contribuente, in quanto costretto a ricorrere unicamente al meccanismo del computo in detrazione nell’anno successivo, potrebbe non essere in grado di soddisfare, in tutto o in parte, il proprio credito. Nella specie, non verrebbe meno, comunque, la contraddizione della norma che qualifica l’IVA, al contempo, “indebita” (in conseguenza della legittima manifestazione tacita della volontà di essere assoggettato al regime ordinario dell’imposta) e “non ripetibile” (in forza della disposizione denunciata).
4. – La pronuncia di illegittimità costituzionale va mantenuta nei limiti del petitum e, quindi, va circoscritta alla disposizione che vieta la «restituzione di imposte» in materia di IVA. Nell’àmbito di questa materia, tuttavia, le indicate ragioni di illegittimità valgono anche per le «soprattasse e pene pecuniarie» menzionate nell’art. 4, comma 1, secondo periodo, della legge n. 342 del 2000, n. 342, con necessità di estendere consequenzialmente la dichiarazione di incostituzionalità anche a tale parte della disposizione, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87.
per questi motiviLA CORTE COSTITUZIONALEdichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 4, comma 1, secondo periodo, della legge 21 novembre 2000, n. 342 (Misure in materia fiscale), nella parte in cui dispone che non si fa luogo a restituzione dell’imposta sul valore aggiunto;
dichiara, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimità costituzionale dell’articolo 4, comma 1, secondo periodo, della legge n. 342 del 2000, nella parte in cui dispone che non si fa luogo a restituzione di soprattasse e pene pecuniarie in materia di imposta sul valore aggiunto.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 luglio 2007.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Franco GALLO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 27 luglio 2007.