ORDINANZA N. 118
ANNO 2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Alfonso QUARANTA ”
- Franco GALLO ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Maria Rita SAULLE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto degli articoli 171 e 213, comma 2-sexies, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), articolo, quest’ultimo, censurato nel suo testo originario, introdotto dall’art. 5-bis, comma 1, lettera c), numero 2, del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115 (Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità di settori della pubblica amministrazione), introdotto, a sua volta, dalla relativa legge di conversione 17 agosto 2005, n. 168, promosso dal Giudice di pace di S. Anastasia nel procedimento vertente tra D.P.A. e la Prefettura di Napoli con ordinanza del 5 luglio 2006, iscritta al n. 373 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell’anno 2008.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 1° aprile 2009 il Giudice relatore Alfonso Quaranta.
Ritenuto che il Giudice di pace di S. Anastasia, con ordinanza del 20 giugno 2006, ha sollevato – in riferimento all’articolo 3 della Costituzione – questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli articoli 171 e 213, comma 2-sexies, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), articolo, il secondo, censurato nel suo testo originario, introdotto dall’art. 5-bis, comma 1, lettera c), numero 2, del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115 (Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità di settori della pubblica amministrazione), introdotto, a sua volta, dalla relativa legge di conversione 17 agosto 2005, n. 168;
che, in punto di fatto, il remittente premette di dover conoscere del ricorso proposto – dal proprietario di un motociclo – avverso il provvedimento prefettizio del 24 gennaio 2006 con il quale, essendo stata accertata, il 24 settembre 2005, a carico del conducente del veicolo l’infrazione contemplata dall’art. 171 del codice della strada (ovvero, il mancato uso del casco protettivo), veniva disposta la confisca del mezzo, ai sensi dell’art. 213, comma 2-sexies, del medesimo codice della strada;
che, ciò premesso, il giudice a quo – nel sottolineare che il ricorrente ha chiesto sollevarsi questione di legittimità costituzionale dell’art. 213, comma 2-sexies, del codice della strada, deducendo la violazione degli artt. 3 e 27 Cost. (questione dalla quale dipende interamente l’esito del giudizio principale, giacché «il provvedimento impugnato è assolutamente immune da vizi di legittimità che possono condurre alla sua disapplicazione») – assume che tale questione «merita di essere considerata almeno sotto il profilo della disparità di trattamento realizzata dalla legge»;
che, secondo il remittente, sebbene la norma suddetta sia finalizzata a soddisfare «il primario interesse» all’incolumità dei cittadini, ciò che esclude la possibilità di «riscontrare profili di incostituzionalità in relazione alla ragionevolezza e proporzionalità della misura sanzionatoria», essa, nondimeno, presenterebbe profili di contrasto con il principio della «eguaglianza dei cittadini davanti alla legge», il quale esige che quest’ultima consideri «con valutazione paritaria i comportamenti dei cittadini che presentino palesi connotazioni di analogia»;
che, per contro, il legislatore risulta avere assoggettato – quanto all’applicazione della sanzione accessoria della confisca – le infrazioni di cui agli artt. 171 e 172 del codice della strada ad un trattamento tra loro diverso, sebbene entrambe «le disposizioni siano ispirate dall’interesse dello Stato all’incolumità» individuale;
che ancora più evidente, poi, risulterebbe – sempre a dire del giudice a quo – la difformità di trattamento ove il raffronto venga compiuto con le infrazioni previste dagli artt. 186 e 187 del medesimo codice, giacché esse – sebbene integrino delle ipotesi di reato e si presentino idonee a porre a repentaglio anche la integrità fisica di terzi diversi dall’autore della violazione – «non prevedono la confisca dell’automezzo quale sanzione accessoria», né «vengono richiamate nel comma 2-sexies dell’art. 213»;
che su tali basi, quindi, il remittente ha chiesto dichiararsi l’illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 171 e 213, comma 2-sexies, del codice della strada «per il diverso trattamento sanzionatorio dalla legge previsto per gli autori e/o responsabili di fatti illeciti di pari gravità o addirittura di maggiore gravità»;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sollevata sia dichiarata inammissibile o infondata;
che, in via preliminare, la difesa statale dà conto delle modifiche apportate – successivamente alla pronuncia dell’ordinanza di rimessione –alle norme censurate dall’art. 2, comma 169, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), nel testo modificato, a propria volta, dalla relativa legge di conversione 24 novembre 2006, n. 286;
che il suddetto ius superveniens, in particolare, ha limitato l’applicazione della confisca soltanto al caso in cui ciclomotori o motoveicoli vengano utilizzati per commettere un reato, ciò che giustificherebbero – secondo l’Avvocatura generale dello Stato – la restituzione degli atti al giudice remittente (viene richiamata l’ordinanza di questa Corte n. 244 del 2007);
che la difesa statale, in subordine, sottolinea che, con sentenza n. 345 del 2007, è stata comunque dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 213, comma 2-sexies, del codice della strada, nella parte in cui prevede che è sempre disposta la confisca di un ciclomotore o di un motoveicolo adoperato «per commettere un reato»;
che, del pari, l’esito della declaratoria di non fondatezza della questione di legittimità costituzionale si imporrebbe anche nel caso in esame;
che, difatti, se la finalità avuta di mira dalla disciplina in contestazione è quella della «prevenzione del rischio individuale e sociale da trauma cranico, specifico e peculiare della circolazione motociclistica», è sotto tale profilo che si legittima la scelta legislativa di applicare la sanzione accessoria della confisca all’infrazione consistente nel mancato uso del casco protettivo;
che quanto, infine, alla supposta disparità di trattamento tra l’infrazione prevista dall’art. 171 del codice della strada ed altre asseritamente affini, la difesa statale pone in evidenza come la giurisprudenza costituzionale abbia affermato che spetta solo al legislatore «rimodellare il sistema della confisca, stabilendo alcuni canoni essenziali al fine di evitare che l’applicazione giudiziale della sanzione amministrativa produca disparità di trattamento» (sono citate le sentenze n. 345 del 2007 e n. 435 del 1997).
Considerato che il Giudice di pace di S. Anastasia, con ordinanza del 20 giugno 2006, ha sollevato – in riferimento all’articolo 3 della Costituzione – questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli articoli 171 e 213, comma 2-sexies, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), articolo, il secondo, censurato nel suo testo originario, introdotto dall’art. 5-bis, comma 1, lettera c), numero 2, del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115 (Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità di settori della pubblica amministrazione), introdotto, a sua volta, dalla relativa legge di conversione 17 agosto 2005, n. 168;
che il remittente, in via preliminare, ha escluso la possibilità di «riscontrare profili di incostituzionalità in relazione alla ragionevolezza e proporzionalità della misura sanzionatoria» prevista dal combinato disposto delle norme censurate, essendo le stesse finalizzate a soddisfare «il primario interesse» all’incolumità dei cittadini;
che, nondimeno, la disciplina in contestazione presenterebbe profili di contrasto con il principio della «eguaglianza dei cittadini davanti alla legge», e ciò in ragione del «diverso trattamento sanzionatorio dalla legge previsto per gli autori e/o responsabili di fatti illeciti di pari gravità» (quello contemplato dall’art. 172 del codice della strada) «o addirittura di maggiore gravità» (quelli di cui agli artt. 186 e 187 del codice della strada), rispetto all’infrazione sanzionata dall’art. 171 del medesimo codice, la sola soggetta – a dire del remittente – alla sanzione accessoria della confisca del veicolo;
che, in limine, deve disattendersi la richiesta dell’Avvocatura generale dello Stato di restituzione degli atti al giudice remittente, in ragione delle modifiche apportate – dall’art. 2, comma 169, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), nel testo risultante, a sua volta, dalla relativa legge di conversione 24 novembre 2006, n. 286 – al censurato art. 213, comma 2-sexies, del codice della strada e costituenti sopravvenienze normative rispetto alla pronuncia dell’ordinanza di rimessione;
che, difatti, avuto riguardo all’epoca della commessa infrazione (24 settembre 2005), la disposizione suddetta continua, ratione temporis, a trovare applicazione, rispetto alla fattispecie oggetto del giudizio principale, nel suo testo originario, che prevedeva l’operatività della confisca quando «un ciclomotore o un motoveicolo sia stato adoperato per commettere una delle violazioni amministrative di cui agli artt. 169, commi 2 e 7, 170 e 171» del codice della strada;
che la questione sollevata è, peraltro, manifestamente infondata;
che, infatti, circa la presunta disparità di trattamento a cui darebbero luogo le norme censurate, deve rilevarsi, in primo luogo, che il remittente sembra ignorare che, con riferimento almeno ad una delle ipotesi da esso considerate (quella delle fattispecie contemplate dagli artt. 186 e 187 del codice della strada), la sanzione della confisca appare comunque destinata ad operare, e ciò in relazione a quanto stabilito dalla seconda parte dell’art. 213, comma 2-sexies, del codice della strada, secondo cui è sempre disposta la confisca di un ciclomotore o di un motoveicolo adoperato «per commettere un reato»;
che, d’altra parte, in merito all’ulteriore profilo di disparità di trattamento ipotizzato, il giudice a quo omette di considerare che «la scelta del legislatore di reprimere più intensamente, mediante l’irrogazione anche della sanzione accessoria della confisca del mezzo, oltre che di quella pecuniaria», l’infrazione (art. 171 del codice della strada) «consistente nell’inosservanza dell’obbligo di indossare il casco protettivo» risponde alla «necessità di prevenire i rischi specifici conseguenti alla utilizzazione dei veicoli a due ruote», ovvero «i traumi prodotti da incidenti, nei quali siano coinvolti motoveicoli» (sentenza n. 345 del 2007; ordinanza n. 125 del 2008), ciò che pone in evidenza la non omogeneità, rispetto a tale fattispecie, dell’altra (art. 172 del medesimo codice) con essa posta a confronto;
che, in ogni caso, poi, questa Corte – con affermazione non solo costante, ma specificamente ribadita proprio con riferimento alla previsione di cui all’art. 213, comma 2-sexies, codice della strada (sentenza n. 345 del 2007; ordinanza n. 125 del 2008) – ha stabilito che spetta solo al legislatore «rimodellare il sistema della confisca, stabilendo alcuni canoni essenziali al fine di evitare che l’applicazione giudiziale della sanzione amministrativa produca disparità di trattamento»;
che non essendo stati, dunque, prospettati argomenti diversi da quelli già vagliati da questa Corte la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli articoli 171 e 213, comma 2-sexies, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), articolo, il secondo, censurato nel suo testo originario, introdotto dall’art. 5-bis, comma 1, lettera c), numero 2, del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115 (Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità di settori della pubblica amministrazione), introdotto, a sua volta, dalla relativa legge di conversione 17 agosto 2005, n. 168, sollevata – in riferimento all’articolo 3 della Costituzione – dal Giudice di pace di S. Anastasia con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 aprile 2009.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Alfonso QUARANTA , Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 24 aprile 2009.