SENTENZA N. 345
ANNO 2007
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Francesco AMIRANTE Giudice
- Ugo DE SIERVO ”
- Paolo MADDALENA ”
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Alfonso QUARANTA ”
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Maria Rita SAULLE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 213, comma 2-sexies (comma introdotto dall’art. 5-bis, comma 1, lettera c, numero 2, del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115, recante «Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità di settori della pubblica amministrazione», nel testo risultante dalla relativa legge di conversione 17 agosto 2005, n. 168), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), promossi con ordinanze del 5 gennaio 2006 dal Giudice di pace di Aosta, del 2 maggio 2006 dal Giudice di pace di Urbino, del 6 giugno 2006 dal Giudice di pace di Trento, del 22 maggio 2006 dal Giudice di pace di Padova e del 26 ottobre 2006 dal Giudice di pace di Belluno, rispettivamente iscritte ai nn. 152, 320, 687 e 697 del registro ordinanze 2006 e al n. 270 del registro ordinanze del 2007 e pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 21 e 38, prima serie speciale, dell’anno 2006 e nn. 6 e 7, prima serie speciale, dell’anno 2007.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 26 settembre 2007 il Giudice relatore Alfonso Quaranta.
Ritenuto in fatto
1.¾ I Giudici di pace di Aosta (r.o. n. 152 del 2006), Urbino (r.o. n. 320 del 2006), Trento (r.o. n. 687 del 2006), Padova (r.o. n. 697 del 2006) e Belluno (r.o. n. 270 del 2007) hanno sollevato questione di legittimità costituzionale – in riferimento all’art. 3 della Costituzione – dell’art. 213, comma 2-sexies (comma introdotto dall’art. 5-bis, comma 1, lettera c, numero 2, del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115, recante «Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità di settori della pubblica amministrazione», nel testo risultante dalla relativa legge di conversione 17 agosto 2005, n. 168), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), nella parte in cui dispone la confisca di ciclomotori o di motoveicoli nei casi in cui siano stati adoperati per commettere un reato.
1.1.¾ In particolare, il Giudice di pace di Aosta premette di dover giudicare, in sede civile, ai sensi dell’art. 22-bis della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), di un provvedimento di sequestro adottato dall’autorità amministrativa a seguito della contestazione dell’infrazione prevista e punita dall’art. 186, comma 2, del codice della strada.
Evidenzia, pertanto, che in forza di quanto previsto dal citato art. 213, comma 2-sexies, è sempre disposta la confisca in tutti i casi in cui il ciclomotore o il motoveicolo siano stati adoperati per commettere una delle violazioni amministrative di cui agli articoli 169, commi 2 e 7, 170 e 171 o per commettere un reato.
Tale disposizione, tuttavia, darebbe luogo ad una «evidente disparità di trattamento nei confronti dei cittadini che commettono lo stesso reato», e che quindi «si trovano in una situazione identica», atteso che la guida in stato di ebbrezza comporta la sanzione accessoria della confisca del mezzo solo per i motociclisti, mentre per gli automobilisti determina quella, meno afflittiva, della sospensione della patente. Né, d’altra parte, conclude il rimettente, si comprende quali possano essere i «ragionevoli motivi» idonei a giustificare tale trattamento differenziato.
1.2.¾ Analogamente, il Giudice di pace di Urbino – investito dell’opposizione proposta avverso il provvedimento con il quale è stato disposto il sequestro di un motociclo, essendo stata contestata la violazione dell’art. 186, comma 2, del codice della strada – reputa il predetto art. 213, comma 2-sexies, in contrasto con l’art. 3 Cost., «per aperta violazione del principio di ragionevolezza e proporzionalità della sanzione», oltre che per la disparità di trattamento tra le violazioni commesse dai conducenti di ciclomotori o motocicli e dai conducenti di autoveicoli.
Difatti il rimettente, consapevole che lo scrutinio di costituzionalità sulle scelte sanzionatorie compiute dal legislatore è possibile solo quando l’opzione normativa contrasti in modo manifesto con il canone della ragionevolezza (richiama, sul punto, le pronunce della Corte costituzionale n. 144 del 2001, n. 58 del 1999, n. 297 del 1998, n. 313 del 1995), reputa che tale evenienza ricorra nel caso di specie, giacché la norma in esame costituirebbe espressione di un uso distorto della discrezionalità, non essendosi il legislatore conformato all’auspicio, espresso dalla giurisprudenza costituzionale, circa la necessità di «rimodellare il sistema della confisca stabilendo alcuni canoni essenziali al fine di evitare che l’applicazione giudiziale della sanzione amministrativa accessoria produca disparità di trattamento» (sentenze n. 435 e n. 349 del 1997).
1.3.— Anche il Giudice di pace di Trento ipotizza l’illegittimità costituzionale della norma suddetta, della quale chiede la caducazione «nella parte in cui dispone la confisca del motoveicolo nei casi in cui questo sia stato adoperato per commettere un reato».
Nel premettere di dover giudicare dell’opposizione ex artt. 22 e 23 della legge n. 689 del 1981, proposta avverso un verbale di sequestro di motoveicolo emesso a seguito dell’accertamento dell’infrazione consistente nella guida in stato di ebbrezza, il giudice a quo evidenzia che la norma censurata, nel regolare «in termini radicalmente divergenti la situazione del proprietario del motoveicolo rispetto a quella del proprietario di qualsiasi altro veicolo», realizza una «diversificazione del trattamento sanzionatorio nei confronti di comportamenti antigiuridici esattamente identici», violando in tal modo «il principio di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge». Pertanto, pur dicendosi «consapevole che la norma censurata trae origine dalla gravità del fenomeno da sanzionare», che esige «un’azione di prevenzione diretta a ridurre sensibilmente il numero dei reati commessi con l’uso di motoveicoli», reputa che la denunciata disparità di trattamento ponga tale disposizione in contrasto con l’art. 3 Cost.
1.4.— Il Giudice di pace di Padova deduce l’incostituzionalità, sempre in riferimento all’art. 3 Cost., del predetto art. 213, comma 2-sexies, «nella parte in cui prevede la sanzione accessoria della confisca obbligatoria del ciclomotore o motoveicolo», nel caso in cui gli stessi siano utilizzati per commettere tanto le infrazioni amministrative previste dagli artt. 169, commi 2 e 7, 170 e 171 del codice della strada, quanto un reato («nella specie guida in stato di ebbrezza»). Difatti, la norma nel prevedere «la confisca obbligatoria del “mezzo”» solo nel caso di ciclomotori o motocicli, «crea una disparità di trattamento tra cittadini, a fronte di violazioni identiche e condotte analoghe», come, nella specie, la «guida in stato di ebbrezza».
1.5.— Infine, anche il Giudice di pace di Belluno – dopo aver premesso di essere investito di un’«opposizione ad ordinanza ingiunzione» ai sensi della legge n. 689 del 1981 – ha chiesto dichiararsi l’illegittimità costituzionale della norma suddetta, in ragione del fatto che essa dà luogo «ad una disciplina difforme di fronte ad identici comportamenti», a seconda che la violazioni contemplate nel testo del medesimo art. 213, comma 2-sexies, del codice della strada vengano commesse da chi guidi un ciclomotore, un motociclo o (come nel caso sottoposto al suo esame) un quadriciclo, ovvero da «un’automobile o un mezzo più pesante».
Orbene, osserva il rimettente, individuata la ratio della norma nella necessità di «punire severamente chi utilizza un ciclomotore o un motociclo per commettere un reato, risulta difficilmente comprensibile la ragione per cui il legislatore abbia ritenuto meno grave un comportamento tenuto, invece, da un automobilista o un camionista», anche in considerazione dei «ben maggiori danni che potrebbero causare», donde l’ipotizzato contrasto con l’art. 3 della Carta fondamentale.
2.— È intervenuto in ciascuno dei giudizi – salvo quello originato dall’ordinanza di rimessione del Giudice di pace di Aosta – il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.
La difesa erariale – sul presupposto che il testo della norma censurata risulta modificato dall’art. 2, comma 169, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), nel testo modificato dalla relativa legge di conversione 24 novembre 2006, n. 286 – ha chiesto, in via preliminare, alla Corte costituzionale di disporre la restituzione degli atti ai giudici rimettenti «onde consentire una nuova valutazione della rilevanza della questione alla luce dei sopravenuti mutamenti del quadro normativo».
In subordine, quanto alla dedotta «manifesta irragionevolezza» della norma censurata, giacché essa realizzerebbe una «ingiustificata disparità di trattamento rispetto a situazioni analoghe più gravi», l’Avvocatura dello Stato rileva che «la scelta di sanzionare in modo diverso una condotta di guida a secondo del tipo di veicolo guidato non è di per sé irragionevole», rispondendo oltretutto, nella specie, all’esigenza di contenere gli infortuni verificabili con l’uso di motocicli o ciclomotori, in quanto veicoli «dotati evidentemente di minore stabilità e con maggiore difficoltà di controllo».
Considerato in diritto
1.— I Giudici di pace di Aosta (r.o. n. 152 del 2006), Urbino (r.o. n. 320 del 2006), Trento (r.o. n. 687 del 2006), Padova (r.o. n. 697 del 2006) e Belluno (r.o. n. 270 del 2007) hanno sollevato questione di legittimità costituzionale – in riferimento all’art. 3 della Costituzione – dell’art. 213, comma 2-sexies (comma introdotto dall’art. 5-bis, comma 1, lettera c, numero 2, del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115, recante «Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità di settori della pubblica amministrazione», nel testo risultante dalla relativa legge di conversione 17 agosto 2005, n. 168), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), nella parte in cui dispone la confisca di ciclomotori e motoveicoli nei casi in cui tali mezzi siano stati adoperati per commettere un reato.
I rimettenti – investiti dell’opposizione proposta avverso provvedimenti di sequestro dei suddetti veicoli, tutti adottati, in vista della successiva confisca, in relazione alla contestata violazione dell’art. 186 del codice della strada – lamentano l’assoggettamento di motoveicoli e ciclomotori, in forza del censurato art. 213, comma 2-sexies, del codice, ad un trattamento irragionevolmente più grave di quello previsto per gli altri veicoli, per i quali la confisca non è invece stabilita.
2.— In via preliminare, deve esser disposta la riunione dei diversi giudizi, ai fini di un’unica pronuncia, in ragione della identità delle questioni rimesse all’esame di questa Corte.
3.— Prima di affrontare il merito, occorre esaminare le modificazioni legislative che, successivamente alla pronuncia delle ordinanze di rimessione, hanno interessato sia la disposizione censurata che il contesto normativo in cui essa risulta inserita, e ciò al fine di verificarne l’eventuale incidenza sul presente giudizio.
Difatti, dopo che i giudici a quibus hanno sollevato l’indicata questione di costituzionalità, il testo dell’art. 213, comma 2-sexies, del codice della strada è stato modificato dall’art. 2, comma 169, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286. Tuttavia, anche nella sua attuale formulazione, la norma suddetta continua a prevedere l’applicazione della sanzione accessoria della confisca dei (soli) ciclomotori e motoveicoli nel caso in cui gli stessi siano adoperati per commettere un reato, giacché il citato ius superveniens ha unicamente eliminato la previsione dell’applicazione della sanzione nelle ipotesi di violazioni amministrative di cui agli articoli 169, commi 2 e 7, 170 e 171 del codice della strada (si tratta delle norme che disciplinano il trasporto, rispettivamente, «di persone, animali e oggetti sui veicoli a motore», quello «di persone e di oggetti sui veicoli a motore a due ruote», nonché l’uso «del casco protettivo per gli utenti di veicoli a due ruote»).
Orbene, le fattispecie oggetto dei giudizi principali concernono, invece, proprio la commissione di un reato (segnatamente quello di guida in stato di ebbrezza di cui all’art. 186 del codice della strada), sicché risulta evidente come il citato ius superveniens non possa avere alcuna influenza sull’esito di detti giudizi.
Analogamente, priva di effetti rispetto ad essi si presenta la successiva modifica apportata, al testo dell’art. 186 del codice dalla strada, dall’art. 5 del decreto-legge 3 agosto 2007, n. 117 (Disposizioni urgenti modificative del codice della strada per incrementare i livelli di sicurezza nella circolazione), convertito con modificazioni dalla legge 2 ottobre 2007, n. 160. Ed invero, sebbene esso abbia introdotto nel citato art. 186 il comma 2-bis, che ha previsto l’applicazione del «fermo amministrativo del veicolo per novanta giorni» nel solo caso in cui «il conducente in stato di ebbrezza provoca un incidente stradale», la circostanza che in nessuna delle fattispecie oggetto dei giudizi a quibus venga in rilievo l’ipotesi contemplata dalla nuova disposizione – quella, cioè, di un sinistro stradale quale conseguenza della violazione dell’art. 186 del codice della strada – esclude, per definizione, la rilevanza anche di detto ius superveniens nei giudizi principali, con ciò rendendo superfluo stabilire, nel caso di specie, quali siano i rapporti intercorrenti tra la nuova norma ed il censurato art. 213, comma 2-sexies.
4.— Esclusa, dunque, la necessità di restituire gli atti ai giudici rimettenti, la questione di costituzionalità dagli stessi sollevata deve ritenersi non fondata.
5.— Premessa, invero, l’ampia discrezionalità nella individuazione delle sanzioni, atteso che «la valutazione della congruità della sanzione appartiene alla discrezionalità del legislatore, con il solo limite della manifesta irragionevolezza» (così, da ultimo, con riferimento proprio alla disciplina della circolazione stradale, l’ordinanza n. 246 del 2007), il solo scrutinio che, anche nella presente ipotesi, questa Corte è legittimata a svolgere consiste nel verificare se la scelta legislativa, in sé considerata, presenti quel palese difetto di ragionevolezza che giustifichi la declaratoria di illegittimità costituzionale.
Orbene, proprio alla stregua di una valutazione che investa, innanzitutto, la sua ragionevolezza intrinseca (e dunque la coerenza tra il contenuto della norma e la finalità perseguita attraverso la sua previsione), la disposizione in esame si presenta immune dal denunciato vizio di costituzionalità.
Deve ritenersi, infatti, non irragionevole la scelta del legislatore di prevedere una più intensa risposta punitiva, allorché un reato sia commesso mediante l’uso di ciclomotori o motoveicoli, con riferimento all’adozione di una sanzione accessoria, qual è la confisca, idonea a scongiurare la reiterata utilizzazione illecita del mezzo, specie quando (come avviene proprio nel caso contemplato dall’art. 186 del codice della strada, cui si riferiscono le fattispecie oggetto dei giudizi a quibus) sussiste un rapporto di necessaria strumentalità tra l’impiego del veicolo e la consumazione del reato.
Né, d’altro canto, la profilata disparità di trattamento tra utenti della strada (atteso che l’operatività della confisca è stata limitata ad una sola categoria di veicoli e non è stata invece prevista a carico dei conducenti degli altri mezzi) potrebbe comunque comportare l’adozione della richiesta pronuncia caducatoria.
A parte, infatti, il rilievo che tale disparità non è neppure assoluta, come paiono invece ritenere i rimettenti (i quali mostrano di ignorare che per tutte le tipologie di veicoli, sempre adoperati per commettere un reato, l’applicazione della confisca – sebbene essa, in tal caso, operi solo facoltativamente ed alla stregua non di una sanzione accessoria, bensì di una misura di sicurezza reale – potrebbe comunque avvenire ai sensi dell’art. 240 del codice penale), dirimente è la constatazione che ogni iniziativa volta a superare questo trattamento differenziato non potrebbe che spettare al legislatore.
È principio ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui «rimodellare il sistema della confisca, stabilendo alcuni canoni essenziali al fine di evitare che l’applicazione giudiziale della sanzione amministrativa produca disparità di trattamento» costituisce un intervento «riservato alla discrezionalità legislativa» (sentenza n. 435 del 1997).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 213, comma 2-sexies (comma introdotto dall’art. 5-bis, comma 1, lettera c, numero 2, del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115, recante «Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità di settori della pubblica amministrazione», nel testo risultante dalla relativa legge di conversione 17 agosto 2005, n. 168), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dai Giudici di pace di Aosta, Urbino, Trento, Padova e Belluno con le ordinanze in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 ottobre 2007.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Alfonso QUARANTA, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 19 ottobre 2007.