Ordinanza n. 59/99

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ORDINANZA N.59

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott. Renato GRANATA, Presidente

- Prof. Giuliano VASSALLI

- Prof. Francesco GUIZZI

- Prof. Cesare MIRABELLI

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO

- Dott. Riccardo CHIEPPA

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Carlo MEZZANOTTE

- Avv. Fernanda CONTRI

- Prof. Guido NEPPI MODONA

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI

- Prof. Annibale MARINI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 91 e 92, commi 1 e 2, del codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa il 15 giugno 1998 dal Giudice di pace di Firenze nel procedimento civile vertente tra Migliori Monica e Perrotta Domenico, iscritta al n. 598 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell'anno 1998.

  Udito nella camera di consiglio del 10 febbraio 1999 il Giudice relatore Cesare Ruperto.

  Ritenuto che - nel corso di un giudizio avente ad oggetto il pagamento di somme dovute per il mantenimento della prole, in cui il convenuto, dichiarato contumace, era tuttavia comparso personalmente dimostrando l'avvenuto, seppur tardivo, pagamento - il Giudice di pace di Firenze, chiamato a pronunciarsi sulla richiesta di condanna alle spese, ha sollevato, con ordinanza emessa il 15 giugno 1998, questione di legittimità costituzionale degli artt. 91 e 92, comma 1, "fino a "superflue"", e comma 2, cod. proc. civ., in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.;

  che, secondo il rimettente, "gli articoli 91 e 92 cod. proc. civ. non assicurano la effettiva possibilità di pagare le proprie spese di lite con quelle poste a carico della controparte in base alla sentenza di condanna", per cui "la parte attrice, benchè vincente, se non é abbiente, pur non trovandosi nelle condizioni molto restrittive di aver diritto al gratuito patrocinio, può essere nella situazione di non poter far fronte alle spese processuali", con conseguente impedimento dell'esercizio del suo diritto alla difesa tecnica, e può comunque "essere indotta a rinunciare a far valere i propri diritti in giudizio per non correre il rischio di dover rifondere, in caso di soccombenza, le spese processuali alla controparte, spesso di importo molto consistente rispetto alle possibilità economiche di chi ha mezzi limitati", quand'invece "la parte attrice abbiente non ha questi problemi";

  che inoltre - sempre secondo il rimettente - "gli articoli 91 e 92 cod. proc. civ. mettono nelle stesse condizioni di obbligati al pagamento delle spese processuali di soccombenza sia il convenuto che ha la possibilità di effettuarlo e sia il convenuto che non ha tale possibilità, per cui quest'ultimo può trovarsi nella situazione di non essersi costituito in giudizio per non poter pagare un difensore e di essere poi condannato a rifondere le spese processuali della parte attrice, pur non avendo potuto pagare neppure un proprio difensore con il quale costituirsi in giudizio, mentre totalmente diversa é la condizione del convenuto abbiente."

  Considerato che il giudice a quo, omettendo una puntuale motivazione sulla rilevanza della sollevata questione, si limita a notare che "il processo [pendente davanti a lui] ha come residuo oggetto di controversia solamente le spese processuali, in relazione alle quali la decisione va presa in base agli artt. 91 e 92 cod. proc. civ.";

  che già da tale notazione appare evidente, in riferimento ad entrambi i parametri evocati, l'irrilevanza della questione stessa per quanto concerne chi agisce in giudizio, proprio perchè nella specie l'attrice, non solo ha già fatto valere, ma ha anche realizzato la sua pretesa creditoria;

  che altrettanto va detto per quanto concerne il diritto di difesa di chi é chiamato in giudizio, poichè nella specie il convenuto ha avuto modo di paralizzare in concreto l'azione della controparte dimostrando il proprio adempimento;

  che, relativamente poi alla prospettata violazione dell'art. 3 Cost. per ingiustificata parità di trattamento fra convenuti abbienti e convenuti non abbienti, risulta palese l'estraneità della censura alle denunciate disposizioni, le quali si limitano infatti a regolare l'onere delle spese processuali fra attore e convenuto in base al principio di soccombenza, egualmente valido per entrambi e comunque derogabile dal giudice ove sussistano "giusti motivi", mentre invece le condizioni economiche di ciascuno di essi potrebbero semmai assumere rilievo (unicamente) in diversa sede, come può essere quella del gratuito patrocinio, alla cui attuale estensione andrebbe eventualmente rivolta detta censura;

  che pertanto la questione é manifestamente inammissibile.

  Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 91 e 92, comma 1 e comma 2, del codice di procedura civile, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Giudice di pace di Firenze, con l'ordinanza di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 febbraio 1999.

Presidente Renato GRANATA

Redattore Cesare RUPERTO

Depositata in cancelleria il 4 marzo 1999.