SENTENZA N. 105
ANNO 2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio per conflitto di attribuzione tra enti sorto a seguito della ordinanza del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali del 6 agosto 2008 intitolata «Ordinanza contingibile ed urgente concernente misure per l’identificazione e la registrazione della popolazione canina», promosso dalla Provincia autonoma di Trento con ricorso notificato il 20 ottobre 2008, depositato in cancelleria il 22 ottobre 2008 ed iscritto al n. 16 del registro conflitti tra enti 2008.
Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 24 febbraio 2009 il Giudice relatore Maria Rita Saulle;
uditi gli avvocati Giandomenico Falcon e Luigi Manzi per la Provincia autonoma di Trento e l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. – Con ricorso notificato il 20 ottobre 2008 e depositato il successivo 22 ottobre, la Provincia autonoma di Trento ha proposto conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri avverso l’ordinanza 6 agosto 2008 del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, intitolata «Ordinanza contingibile ed urgente concernente misure per l’identificazione e la registrazione della popolazione canina», per violazione:
a) degli artt. 8, n. 1), 9, n. 10), e 16 dello statuto di autonomia di cui al d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige);
b) del d.P.R. 28 marzo 1975, n. 474 (Norme di attuazione dello statuto per la regione Trentino-Alto Adige in materia di igiene e sanità) e del d.P.R. 26 gennaio 1980, n. 197 (Norme di attuazione dello statuto per la regione Trentino-Alto Adige in materia di igiene e sanità approvate con d.P.R. 28 marzo 1975, n. 474), nonché degli artt. 2, 3 e 4 del d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento);
c) degli artt. 117, commi terzo, quarto e sesto, e 118 della Costituzione, in relazione all’articolo 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione);
d) dell’art. 120 della Costituzione;
e) della legge 4 agosto 1991, n. 281 (Legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo), con particolare riferimento all’art. 3;
f) del principio di leale collaborazione e del principio di legalità.
1.1. – La Provincia autonoma di Trento premette di avere competenza legislativa concorrente nelle materie «igiene e sanità, ivi compresa l’assistenza sanitaria e ospedaliera», e «ordinamento degli uffici provinciali e del personale ad essi addetto», ai sensi, rispettivamente, degli artt. 9, comma 1, n. 10), e 8, comma 1, n. 1), dello statuto speciale di autonomia di cui al d.P.R. n. 670 del 1972, precisando di essere dotata, altresì, delle corrispondenti funzioni amministrative (art. 16).
La ricorrente, inoltre, afferma di essere dotata di potestà legislativa concorrente nella materia «tutela della salute», «applicabile per effetto dell’articolo 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, in quanto tale competenza possa risultare più ampia di quella statutaria», aggiungendo che, ai sensi di tale ultima disposizione, godrebbe altresì della potestà legislativa residuale di cui all’art. 117, comma quarto, Cost.
Le competenze in materia sanitaria, precisa ancora la ricorrente, sarebbero state «concretizzate in capo alla Provincia dalle relative norme d’attuazione, ed in particolare da quelle in materia di igiene e sanità», cioè dal d.P.R. n. 474 del 1975 e dal d.P.R. n. 197 del 1980.
1.2. – Nel ricorso si osserva che, già nel quadro del riparto costituzionale di competenze previsto dall’originario titolo V della parte seconda della Costituzione, lo Stato ha adottato la legge 14 agosto 1991, n. 281 (Legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo), con la quale ha disciplinato le competenze delle Regioni nella materia regolata dall’atto impugnato, disponendo in particolare, all’art. 3, che «le Regioni disciplinano con propria legge, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, l’istituzione dell’anagrafe canina presso i Comuni o le Unità sanitarie locali, nonché le modalità per l’iscrizione a tale anagrafe e per il rilascio al proprietario o al detentore della sigla di riconoscimento del cane, da imprimersi mediante tatuaggio indolore».
Inoltre, osserva sempre la ricorrente, il comma 7 dello stesso art. 3 dispone che «le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e di Bolzano adeguano la propria legislazione ai princìpi contenuti nella presente legge e adottano un programma regionale per la prevenzione del randagismo, nel rispetto dei criteri di cui al presente articolo».
1.3. – La Provincia autonoma di Trento evidenzia che, in attuazione di quanto disposto dall’art. 3 della legge n. 281 del 1991, ha emanato la legge provinciale 1° agosto 2003, n. 5 (Disposizioni per la formazione dell’assestamento del bilancio annuale 2003 e pluriennale 2003-2005, nonché per il bilancio annuale 2004 e pluriennale 2004-2006 della Provincia Autonoma di Trento – legge finanziaria). Detta legge, all’art. 10, disciplina la materia dell’istituzione dell’anagrafe ed è stata completata in via regolamentare con il d.P.P. 2 aprile 2007, n. 4-84/Leg (Disposizioni regolamentari per l’applicazione dell’articolo 10 della legge provinciale 1° agosto 2003, n. 5, relativo all’istituzione dell’anagrafe canina e all’attuazione della legge 14 agosto 1991, n. 281, legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo).
2. – Ciò premesso, la ricorrente ritiene che l’ordinanza ministeriale impugnata, dettando disposizioni nella stessa materia da lei già regolata sia a livello primario che secondario, si sarebbe sovrapposta illegittimamente alla citata normativa, invadendo le competenze costituzionali ad essa riservate.
La Provincia autonoma dà conto del contenuto asseritamente lesivo dell’ordinanza impugnata affermando che essa:
a) all’art. 1 definirebbe «termini, modalità e competenze nel processo di identificazione e registrazione» della popolazione canina «in contrasto con la normativa provinciale»;
b) all’art. 3 attribuirebbe «allo Stato, con provvedimento da sancire in Conferenza Stato-Regioni», ma di cui risulterebbe «titolare esclusivamente il Ministro competente, il potere di definire le modalità tecniche e operative per assicurare la interoperabilità delle banche-dati nazionali e regionali nonché per l’individuazione di un unico documento di identificazione e registrazione del cane, in sostituzione dell’attuale certificazione»;
c) all’art. 4 attribuirebbe «funzioni di prevenzione del randagismo agli enti locali, allocando le relative funzioni di lotta al randagismo»;
d) all’art. 6 imporrebbe alle Regioni e alle Province autonome «di individuare e assegnare uno specifico obiettivo di provvedere ai direttori generali delle aziende sanitarie locali, anche con riferimento a quelle istituzioni» che, come la ricorrente, «hanno già definito normativamente l’assetto delle competenze all’esercizio delle funzioni nel proprio ordinamento».
2.1. – Tenuto conto del contenuto dell’atto impugnato e delle conseguenti aree di sovrapposizione con la normativa provinciale, la ricorrente lamenta, in primo luogo, che l’ordinanza ministeriale sia stata adottata «in assenza di idonea base giuridica ed in una situazione del tutto priva del carattere della straordinarietà», con conseguente violazione del «principio di legalità» e delle «regole costituzionali sulla competenza regolamentare».
La difesa provinciale osserva al riguardo che, nonostante il richiamo contenuto nelle premesse dell’atto impugnato agli artt. 32 della legge 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale), e 117 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), concernenti i «poteri di ordinanza dati a salvaguardia della salute pubblica, di fronte ad eventi straordinari che non possano essere fronteggiati con i corrispondenti poteri attribuiti a ciascuna Regione e Provincia autonoma», le successive esplicitazioni delle finalità perseguite – contenute nelle medesime premesse – dimostrerebbero l’estraneità dell’ordinanza impugnata ai poteri di emergenza conferiti dalle citate disposizioni.
Dette finalità, osserva la difesa provinciale – riguardando ad esempio la «necessità di assicurare una compiuta ed uniforme applicazione, sull’intero territorio nazionale, della normativa concernente l’identificazione dei cani e la gestione dell’anagrafe canina, al fine di poter svolgere un efficace controllo della popolazione canina», ovvero la «necessità di far fronte ai problemi di salute pubblica derivanti dal fenomeno del randagismo dei cani, quali il possibile diffondersi di malattie infettive, l’incremento degli incidenti stradali, i casi di aggressione dei cani rinselvatichiti e l’incremento dello stesso randagismo» – non potrebbero validamente giustificare l’adozione, con ordinanza contingibile ed urgente, di una normativa corrispondente «a quella che lo statuto di autonomia e la stessa legge statale attribuiscono alla competenza della Provincia di Trento».
I «poteri di necessità», infatti, prosegue la difesa provinciale, si configurerebbero come extrema ratio del sistema, per far fronte a «situazioni eccezionali e transitorie» e in relazione alle quali manchi «una disciplina stabile ed ordinaria», diversamente dal caso di specie in cui detta disciplina sarebbe stata già dettata sia a livello statale (legge quadro n. 281 del 1991) sia a livello provinciale, in attuazione della legge quadro e degli accordi Stato-Regioni intervenuti nella materia.
Pertanto, secondo la Provincia di Trento, l’ordinanza impugnata avrebbe «natura sostanzialmente regolamentare» in violazione, oltre che del principio di legalità, anche dell’art. 117, sesto comma, Cost., che attribuisce allo Stato potestà regolamentare solo nelle materie di competenza esclusiva.
2.2. – Con il secondo motivo, la ricorrente deduce che anche un’eventuale qualificazione dell’ordinanza impugnata come atto di indirizzo e coordinamento non condurrebbe a conclusioni diverse, posto che, da un lato, essa difetterebbe comunque di un valido fondamento giuridico in violazione del principio di legalità, dall’altro, sarebbe stata adottata in violazione dell’obbligo di consultazione stabilito per la funzione di indirizzo e coordinamento dall’art. 3 del d.lgs. n. 266 del 1992.
2.3. – Con il terzo motivo del ricorso si contesta la legittimità e lesività dell’ordinanza anche nell’ipotesi in cui dovesse essere qualificata «come atto funzionalmente equivalente all’esercizio di un potere sostitutivo».
Ad avviso della difesa provinciale, pur prescindendo dall’assenza nelle premesse di un qualunque riferimento espresso a tale potere, l’illegittimità dell’atto discenderebbe comunque dal fatto di essersi rivolto nei confronti «di istituzioni che – come la Provincia di Trento – dispongono di una disciplina completa, aggiornata e perfettamente vigente ed efficace», e dunque in assenza di un eventuale ritardo nella attuazione della legge quadro statale e degli accordi Stato-Regioni esistenti in materia, nonché di qualunque contestazione sul punto.
2.4. − Con il quarto motivo, la ricorrente lamenta l’illegittimità ed invasività dell’ordinanza in quanto, «sovvertendo l’ordine costituzionale delle fonti», detterebbe «con atto ministeriale una disciplina dettagliata e direttamente operativa della materia, in violazione delle regole costituzionali e statutarie, nonché dell’art. 2 delle norme di attuazione di cui al d.lgs. n. 266 del 1992».
La difesa provinciale osserva, al riguardo, che il contenuto dell’ordinanza impugnata pone innanzitutto «obblighi concreti ed operativi», con precisazioni di dettaglio, come quando stabilisce che «il proprietario o il detentore di un cane deve provvedere a far identificare e registrare l’animale, nel secondo mese di vita, mediante l’applicazione del microchip» e che «il proprietario o il detentore di cani di età superiore ai due mesi è tenuto a identificare e registrare il cane ai fini di anagrafe canina, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente ordinanza» (art. 1, comma 2); ovvero, ancora, quando stabilisce che «il proprietario o detentore di cani già identificati ma non ancora registrati è tenuto a provvedere alla registrazione all’anagrafe canina entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente ordinanza» (art. 1, comma 5).
In secondo luogo, evidenzia sempre la Provincia ricorrente, l’ordinanza impugnata determinerebbe «con precisione le competenze», specificando ad esempio che la registrazione dell’animale deve essere effettuata «dai veterinari pubblici competenti per territorio» o «da veterinari libero professionisti, abilitati ad accedere all’anagrafe canina regionale» (art. 1, comma 3); ovvero che le Regioni e le Province autonome assegnano «ai direttori generali delle aziende sanitarie locali l’obiettivo di provvedere, nell’ambito delle rispettive competenze, alla attuazione della legge 14 agosto 1991, n. 281, dell’Accordo Stato-regioni del 16 febbraio 2003 e della presente ordinanza» (art. 6, comma 1).
In terzo luogo, rileva ancora la difesa provinciale, l’atto impugnato prevederebbe «altri poteri ministeriali, sia normativi che provvedimentali», disponendo, ad esempio, che, con proprio atto (seppur «da sancire in sede di Conferenza Stato-regioni»), il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali «definisce le modalità tecniche ed operative per assicurare l’interoperatività della banca dati canina nazionale con le anagrafi canine regionali» e che «con il medesimo provvedimento individuerà un unico documento di identificazione e registrazione del cane, che dovrà essere adottato in sostituzione dell’attuale certificazione» (art. 3). Sarebbe altresì previsto il potere del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali di registrare i soggetti abilitati alla produzione dei microchip (art. 5, comma 1), nonché di registrare «i produttori e i distributori di microchip», assegnando loro «una serie numerica di codici identificativi elettronici» (art. 5, comma 3).
Infine, l’ordinanza detterebbe «una compiuta disciplina della produzione e del commercio dei microchip, creando un mercato chiuso e ponendo regole limitative della concorrenza».
Ad avviso della Provincia di Trento, pertanto, l’ordinanza ministeriale impugnata, dettando un siffatto «sistema di regole» in assenza di alcun conferimento di potere» e senza rispettare il «riparto di competenze tra Stato e Regioni» nonché i principi che regolano i rapporti tra fonti statali e fonti della Regione Trentino-Alto Adige/SüdTirol e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, risulterebbe radicalmente illegittimo e lesivo delle proprie competenze.
2.5. – Con il quinto motivo, la Provincia ricorrente deduce l’illegittimità e la lesività della disciplina impugnata anche per violazione del principio di leale collaborazione, posto che l’esercizio dei poteri di emergenza «avrebbe dovuto formare oggetto di coordinamento con le Regioni e Province autonome competenti, attraverso sia una consultazione con le singole realtà territoriali per verificare la situazione locale, sia in sede di Conferenza Stato-Regioni».
2.6. – Alla luce di tali motivazioni, la Provincia autonoma di Trento chiede a questa Corte di dichiarare che non spetta allo Stato, e per esso al Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, di emanare con effetto nella Provincia di Trento l’ordinanza 6 agosto 2008, recante «Ordinanza contingibile ed urgente concernente misure per l’identificazione e la registrazione della popolazione canina» e, conseguentemente, di voler annullare l’impugnata ordinanza con riguardo alla Provincia di Trento.
3. – Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso proposto dalla Provincia autonoma di Trento sia rigettato.
3.1. – In primo luogo, risulterebbe privo di fondamento il rilievo secondo il quale l’ordinanza impugnata sarebbe stata adottata in assenza di idonea base giuridica. Ad avviso della difesa erariale, infatti, il fondamento giuridico dell’atto in questione andrebbe rinvenuto negli artt. 32 della legge n. 833 del 1978 e 117 del d.lgs. n. 112 del 1998, espressamente richiamati nelle premesse, che consentirebbero di intervenire con ordinanze contingibili ed urgenti «in caso di emergenze di carattere sanitario o di igiene pubblica afferenti più ambiti territoriali regionali».
In particolare, le motivazioni di carattere sanitario poste a fondamento del provvedimento, quali «l’incremento del randagismo», il «possibile diffondersi di malattie infettive», «l’aumento degli incidenti stradali», nonché «i recenti e numerosi casi di aggressione di cani rinselvatichiti», rappresenterebbero i validi presupposti in base ai quali il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali avrebbe esercitato detto potere di ordinanza.
Tali ragioni infatti, secondo la difesa erariale, avrebbero un’indubbia rilevanza generale, posto che il fenomeno del randagismo investirebbe oggettivamente non soltanto l’originario territorio in cui si manifesta, ma anche ambiti territoriali limitrofi, giustificando un intervento che disponga misure uniformi per tutto il territorio nazionale.
Pertanto, secondo la difesa erariale, l’evidenziato fondamento giuridico del potere esercitato con l’atto impugnato escluderebbe la possibilità di qualificare l’ordinanza ministeriale in questione – così come, invece, ipotizzato dalla Provincia ricorrente – in termini di atto avente natura regolamentare, ovvero di atto di indirizzo e coordinamento, ovvero, ancora, come «atto di esercizio di un potere sostitutivo».
3.2. – Quanto all’asserita violazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, l’Avvocatura generale dello Stato eccepisce che l’atto impugnato risulterebbe adottato nel rispetto del riparto di competenze tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome, in quanto introdurrebbe obblighi a cui attenersi «in conformità alle disposizioni adottate dalle Regioni e dalle Province autonome di Trento e Bolzano» (art. 1, comma 1, dell’ordinanza impugnata). Sotto altro profilo, sempre la difesa erariale osserva che lo stesso art. 2, comma 5, del citato d.lgs. n. 266 del 1992 «fa salvi i poteri di ordinanza diretti a provvedere a situazioni eccezionali di necessità e urgenza nei casi e nei modi previsti dall’ordinamento».
3.3. – Con riferimento alla lamentata violazione del principio di leale collaborazione, la difesa erariale osserva che il potere del ministro di emanare ordinanze contingibili ed urgenti costituirebbe un’eccezione al principio di tipicità dei provvedimenti amministrativi, in ragione dei presupposti che ne legittimano l’esercizio, non potendo, pertanto, «ritenersi ex se lesivo del principio di leale collaborazione».
3.4. – L’Avvocatura generale dello Stato osserva inoltre che, con riferimento alla «necessità di impedire l’aumento degli incidenti stradali» e «di impedire il reiterarsi di fenomeni di aggressione di cani rinselvatichiti nei confronti delle persone», il provvedimento de quo opererebbe nell’ambito della competenza esclusiva statale di cui all’art. 117, comma 2, lettera h), Cost., in materia di ordine pubblico e sicurezza.
In particolare, la difesa erariale deduce, al riguardo, che la competenza legislativa esclusiva dello Stato in ordine alla sicurezza della circolazione stradale sarebbe stata riconosciuta già con la decisione di questa Corte n. 428 del 2004.
Peraltro, l’Avvocatura generale dello Stato evidenzia che, con la sentenza n. 222 del 2006, «in una fattispecie analoga, in tema di fenomeno di aggressività di alcune razze canine», questa Corte avrebbe «preliminarmente rilevato» che «il provvedimento impugnato regolava fattispecie eterogenee, insistendo su una pluralità di materie, ascrivibili non solo alla potestà legislativa concorrente (“tutela della salute”, compresa la polizia veterinaria), ma anche e soprattutto a quella esclusiva dello Stato (“ordine pubblico e sicurezza”)». In tale caso, rileva la difesa erariale, la Corte avrebbe riconosciuto sussistente la competenza statale, «rilevando come le prescrizioni contenute nell’ordinanza impugnata avessero un comune denominatore costituito dall’identica ratio afferente al miglioramento delle condizioni di sicurezza dei cittadini dinanzi al rischio di attacco da parte di cani di razze con un particolare potenziale di aggressività».
Orbene, ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, i principi sopra richiamati sarebbero applicabili anche all’odierno conflitto, posto che l’ordinanza de qua mirerebbe a prevenire «non solo aggressioni dirette alle persone, ma anche incidenti stradali potenzialmente atti a cagionare lesioni alle persone», cosicché si dovrebbero ritenere anche in tal caso prevalenti le esigenze di sicurezza pubblica, con conseguente legittimità del provvedimento impugnato.
4. – In prossimità dell’udienza, con memoria depositata in data 11 febbraio 2009, la Provincia autonoma di Trento ha svolto ulteriori deduzioni in replica a quanto esposto dall’Avvocatura generale dello Stato nell’atto di costituzione in giudizio.
In particolare, ad avviso della ricorrente, «l’applicazione dell’ordinanza in provincia di Trento, lungi dal risolvere un problema non regolato e urgente, si traduce nella sovrapposizione della disciplina dettagliata statale a quella provinciale, in violazione dei parametri indicati nel ricorso», posto che, applicando il criterio della prevalenza, il contenuto dell’atto impugnato andrebbe «ricondotto alla materia della sanità pubblica […] e non a quella della pubblica sicurezza». Tale inquadramento risulterebbe confermato, a detta della ricorrente, anche da altri elementi quali il tenore stesso dell’art. 3 della legge n. 281 del 1991, che attesterebbe la ricorrenza in tale ambito di una ripartizione di competenze di tipo concorrente fra Stato e Regioni, nonché, soprattutto, l’inquadramento della legge da ultimo citata, effettuato da questa Corte nella sentenza n. 123 del 1992, ove si afferma che essa ricade, «nel suo complesso, [...] nella materia della sanità, ivi compresa l’assistenza e la polizia veterinaria».
4.1. – Peraltro, osserva sempre la ricorrente, se anche si assegnasse prevalenza alla «finalità di prevenzione dei danni alle persone», si dovrebbe comunque ricondurre il contenuto dell’atto non alla materia dell’ordine e della sicurezza pubblica, ma a quella della «polizia amministrativa», di competenza provinciale ai sensi dell’art. 9, n. 1), dello statuto di autonomia. Proprio questa Corte, infatti, rileva la ricorrente, avrebbe precisato che la funzione di polizia amministrativa «riguarda […] l’attività di prevenzione e repressione diretta ad evitare danni o pregiudizi a persone o cose nello svolgimento di attività rientranti nelle materie affidate alla competenza regionale» (sentenza n. 290 del 2001).
Né a conclusioni diverse si potrebbe pervenire sulla base della sentenza n. 222 del 2006, citata dall’Avvocatura generale dello Stato, con la quale, sottolinea ancora la ricorrente, la Corte ha deciso il conflitto allora promosso dalla Provincia di Bolzano contro l’ordinanza del Ministro della salute 9 settembre 2003, intitolata «Tutela dell’incolumità pubblica dal rischio di aggressioni da parte di cani potenzialmente pericolosi», riconducendo il provvedimento impugnato alla materia «ordine pubblico e sicurezza», ma solo in quanto il contenuto ineriva «evidentemente alla repressione di contegni suscettibili di rilevanza penale, dati dall’impiego di tecniche di addestramento particolari e dalla somministrazione di sostanze eccitanti, le une e l’altra finalizzate ad accentuare il potenziale di aggressività di taluni cani». Resterebbe, pertanto, «confermata l’estraneità dell’ordinanza impugnata alla materia della “pubblica sicurezza”», posto che «la finalità di prevenzione dei danni alle persone» avrebbe un peso chiaramente ridotto, non essendo finalizzata alla prevenzione della commissione di reati.
5. – Con memoria depositata in pari data, anche il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha svolto ulteriori deduzioni, insistendo nel rigetto del ricorso proposto dalla Provincia autonoma di Trento.
La difesa erariale, nel ribadire le argomentazioni già svolte nell’atto di costituzione in giudizio, sottolinea nuovamente che l’ordinanza impugnata è stata adottata nel rispetto dei limiti e delle procedure espressamente previsti dalle norme attributive del relativo potere.
In particolare, l’Avvocatura generale dello Stato, richiamando i principi affermati da questa Corte con la sentenza n. 222 del 2006, sottolinea che il provvedimento in oggetto, essendo giustificato dalla necessità di «impedire l’aumento degli incidenti stradali», nonché «il reiterarsi di fenomeni di aggressione di cani rinselvatichiti nei confronti delle persone», risulterebbe ascrivibile all’ambito materiale dell’ordine pubblico e sicurezza, di competenza legislativa esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost.
Considerato in diritto1. – La Provincia autonoma di Trento ha proposto conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato, in relazione all’ordinanza 6 agosto 2008 del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, intitolata «Ordinanza contingibile ed urgente concernente misure per l’identificazione e la registrazione della popolazione canina», deducendo la lesione delle proprie competenze normative e amministrative riconosciute dallo statuto speciale di autonomia e dalle relative norme di attuazione in materia di «igiene e sanità, ivi compresa l’assistenza sanitaria e ospedaliera» e in materia di «ordinamento degli uffici provinciali e del personale ad essi addetto», nonché delle competenze riconosciute degli artt. 117, commi terzo, quarto e sesto, e 118 della Costituzione, applicabili per effetto dell’articolo 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, in quanto tali competenze possano risultare più ampie di quelle statutarie, particolarmente in relazione alla materia «tutela della salute».
1.1. – Ad avviso della Provincia autonoma, l’ordinanza ministeriale in questione sarebbe stata adottata in assenza di idonea base giuridica ed in una situazione del tutto priva del carattere della straordinarietà, con conseguente violazione del principio di legalità e delle regole costituzionali sulla competenza regolamentare, senza peraltro che l’atto medesimo possa legittimamente essere qualificato né come atto di indirizzo e coordinamento né come atto funzionalmente equivalente all’esercizio di un potere sostitutivo. L’ordinanza impugnata, inoltre, detterebbe «con atto ministeriale una disciplina dettagliata e direttamente operativa della materia, in violazione delle regole costituzionali e statutarie, nonché dell’art. 2 delle norme di attuazione di cui al d.lgs. n. 266 del 1992», ponendosi, altresì, in contrasto con il principio di leale collaborazione.
2. – Il ricorso è inammissibile.
2.1. – Tutte le censure prospettate dalla ricorrente si fondano sul presupposto della asserita lesione delle competenze normative e amministrative spettanti alla Provincia autonoma nelle materie «igiene e sanità, ivi compresa l’assistenza sanitaria e ospedaliera», «ordinamento degli uffici provinciali e del personale ad essi addetto», «tutela della salute», nonché in non meglio precisati ambiti materiali riconducibili alla potestà legislativa residuale riconosciuta dall’art. 117, quarto comma, Cost.
Senza considerare la palese inammissibilità del richiamo a quest’ultimo parametro, che si presenta del tutto indefinito e quindi generico, nel ricorso non è dato rinvenire alcuna motivazione né in ordine alla riconducibilità del contenuto dell’ordinanza impugnata alle suddette materie, né in ordine alle ragioni che si porrebbero a sostegno di tale riconduzione.
La ricorrente, infatti, si è limitata a evidenziare, in via esemplificativa, alcune aree di sovrapposizione normativa tra la disciplina introdotta con l’ordinanza ministeriale e quella provinciale preesistente, senza tuttavia esplicitare il presupposto logico della lamentata lesione, concernente appunto la ascrivibilità o meno del contenuto del provvedimento censurato alle materie di attribuzione provinciale evocate; motivazione tanto più necessaria posto che le singole prescrizioni dell’ordinanza in questione non presentano contenuto omogeneo.
Soltanto nella memoria depositata in prossimità dell’udienza la Provincia ricorrente, replicando alle deduzioni dell’Avvocatura dello Stato, che aveva prospettato la riconduzione dell’ordinanza alla competenza esclusiva statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., in materia di ordine pubblico e sicurezza, ha fatto esplicito riferimento alla applicabilità del «criterio della prevalenza», in base al quale il contenuto dell’atto impugnato dovrebbe essere ricondotto «alla materia della sanità pubblica».
La riscontrata lacuna – da ritenersi, secondo la giurisprudenza di questa Corte, non sanabile negli atti successivi all’introduzione del giudizio – si traduce in una palese carenza di motivazione del ricorso, determinandone l’inammissibilità.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile il conflitto di attribuzione tra enti promosso dalla Provincia autonoma di Trento con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'1 aprile 2009.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Maria Rita SAULLE, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 2 aprile 2009.