SENTENZA N. 290
ANNO 2001
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Fernando SANTOSUOSSO, Presidente
- Massimo VARI
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 163, comma 2, lettera d), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni e agli enti locali, in attuazione del Capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), promosso con ordinanza emessa l’11 marzo 1999 dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio - sezione staccata di Latina, iscritta al n. 395 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 29, prima serie speciale, dell’anno 1999.
Visto l’atto di costituzione della parte resistente nel giudizio principale, nonchè l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 3 aprile 2001 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte;
uditi l’avvocato Ugo Petronio per la parte resistente nel giudizio principale e l’avvocato dello Stato Ignazio F. Caramazza per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. — Nel corso del procedimento avente ad oggetto la richiesta di annullamento, previa sospensiva, dell’ordinanza in data 24 settembre 1998, con la quale il Sindaco del Comune di Terracina – a seguito della comunicazione del prefetto di Latina che, per esigenze di pubblica sicurezza, evidenziava la insussistenza delle condizioni per consentire l’esercizio dell’attività di agenzia di onoranze funebri – disponeva il divieto di prosecuzione dell’attività avviata con denuncia di inizio di attività del 9 settembre 1998, il Tribunale amministrativo regionale del Lazio – sezione staccata di Latina, con ordinanza in data 11 marzo 1999, solleva, in riferimento all’articolo 77, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 163, comma 2, lettera d), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni e agli enti locali, in attuazione del Capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), nella parte in cui prevede il trasferimento ai Comuni di funzioni e compiti amministrativi in tema di licenza di agenzia per onoranze funebri.
Il remittente premette che le funzioni in ordine alle agenzie di onoranze funebri sono state trasferite ai Comuni dall’art. 163, comma 2, lettera d), del citato d.lgs. n. 112 del 1998, nell’ambito di un generale trasferimento di funzioni concernenti le agenzie di affari di cui all’art. 115 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza).
Per i provvedimenti relativi a tali agenzie, peraltro, il d.lgs. n. 112 del 1998 non ha previsto alcun obbligo di comunicazione al prefetto (o, in genere, all’autorità di pubblica sicurezza), nè la possibilità di un intervento comunale su richiesta del prefetto. In questa situazione, prosegue il remittente, in forza del principio di tipicità degli atti amministrativi, un intervento del tipo di quello posto in essere dal prefetto di Latina (comunicazione ai sensi dell’art. 19 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 "Attuazione della delega di cui all’art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382"), che ha condotto alla adozione del provvedimento impugnato nel procedimento principale, non troverebbe alcun fondamento normativo e il provvedimento del Sindaco del Comune di Terracina, che da quella comunicazione trae origine, sarebbe a sua volta illegittimo. Da qui la rilevanza della questione.
Il giudice a quo rileva quindi che, prima del trasferimento disposto dall’art. 163 del d.lgs. n. 112 del 1998, i compiti relativi alle agenzie di onoranze funebri spettavano al questore, e ciò sulla base della considerazione che nell’esercizio di tale attività potrebbe verificarsi il fenomeno del cosiddetto sciacallaggio (inopportuna concorrenza che più titolari di agenzie di onoranze funebri possono porre in essere, in presenza degli interessati, nell’offrire loro i propri servizi nella immediatezza di eventi luttuosi) ovvero ancora potrebbero essere occultati gravi reati. Proprio per la delicatezza dell’attività delle agenzie di onoranze funebri, l’autorità di pubblica sicurezza procedeva con estrema cautela al rilascio delle relative licenze, accertando le qualità del soggetto richiedente e l’insussistenza di possibili collegamenti con ambienti malavitosi.
Ad avviso del remittente, il trasferimento di funzioni ai Comuni in relazione alle agenzie di onoranze funebri contrasterebbe con la legge di delegazione, giacchè l’art. 1 della legge 15 marzo 1997, n. 59, dopo aver delegato il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi vòlti a conferire alle Regioni e agli enti locali funzioni e compiti amministrativi (comma 1), ha nondimeno escluso dal conferimento le funzioni e i compiti riconducibili all’ordine pubblico e alla sicurezza pubblica e cioé alla materia concernente l’ordinato vivere civile, dal quale deve derivare un senso di tranquillità e di sicurezza per i cittadini. Il trasferimento dei compiti e delle funzioni in esame non troverebbe dunque fondamento nella legge di delegazione e violerebbe per ciò stesso i principî costituzionali in tema di delega legislativa.
2. — Si é costituito nel presente giudizio il Comune di Terracina, eccependo in primo luogo la inammissibilità della questione per difetto di rilevanza.
La difesa del Comune contesta, infatti, l’assunto dal quale muove l’ordinanza di rimessione, e cioé che per i provvedimenti autorizzatori relativi alle agenzie di onoranze funebri l’ordinamento non prevederebbe alcuna comunicazione al prefetto o all’autorità di pubblica sicurezza. Al contrario, premesso che non può dubitarsi del fatto che il rilascio delle licenze per le agenzie di onoranze funebri rientrava nella competenza del questore ex art. 115 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, la difesa comunale rileva che anche nel nuovo sistema delle autorizzazioni, un tempo denominate di polizia amministrativa perchè rimesse al questore, la possibilità che l’autorità di pubblica sicurezza eserciti ancora un controllo in materia si dovrebbe desumere dalla circostanza che la competenza del prefetto é una competenza generale, al pari di quella in precedenza spettante al questore ai sensi degli artt. 100 e 115 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza. Il prefetto, infatti, prosegue la difesa del Comune, ha, in ambito provinciale, la responsabilità generale dell’ordine e della sicurezza pubblica, e l’art. 19 del d.P.R. n. 616 del 1977, là dove ha previsto che i provvedimenti dei Comuni in materia di polizia amministrativa specificamente indicati siano adottati previa comunicazione al prefetto e debbano essere sospesi, annullati o revocati per motivata richiesta del prefetto per ragioni di sicurezza pubblica, intesa quale funzione inerente alla prevenzione dei reati o al mantenimento dell’ordine pubblico (sentenza n. 77 del 1987), costituirebbe espressione di tale principio. E poichè, sul punto, si é formato un diritto vivente nel senso che la richiesta del prefetto fa sorgere l’obbligo per il sindaco di negare, sospendere, annullare o revocare le licenze di polizia, la questione sollevata dal tribunale amministrativo regionale sarebbe priva del necessario requisito della rilevanza.
Se così non fosse, se cioé non si ritenesse di poter riconoscere la legittimità di un intervento del prefetto, neanche se finalizzato alla tutela delle esigenze di sicurezza pubblica, la questione, ad avviso della difesa del Comune, diverrebbe rilevante e fondata. Sarebbe infatti evidente l’eccesso di delega rispetto all’art. 1, comma 3, della legge n. 59 del 1997, il quale riserva allo Stato la materia dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica che, secondo quanto affermato da questa Corte nella sentenza n. 115 del 1995, riguardano "la tutela dei beni giuridici fondamentali o degli interessi pubblici primari sui quali si regge la civile convivenza".
3. — E’ intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.
Nella propria memoria, l’Avvocatura riconosce che il tipo di attività svolto dalle agenzie di onoranze funebri effettivamente sembrerebbe rientrare nella categoria delle agenzie di affari, genericamente indicate dall’art. 115 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, in relazione alle quali, in virtù dell’art. 163 del d.lgs. n. 112 del 1998, le funzioni e i compiti sono stati trasferiti ai Comuni, e riconosce altresì che l’art. 1, comma 3, della legge n. 59 del 1997 ha escluso dal conferimento delle funzioni e dei compiti amministrativi alle Regioni e agli enti locali quelli riconducibili alle materie dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica. Tuttavia, sostiene l’Avvocatura, tali concetti devono essere intesi in senso restrittivo, poichè altrimenti, tenuto conto che l’art. 19 del d.P.R. n. 616 del 1977 attribuisce ai Comuni la competenza al rilascio delle licenze per una serie di attività che certamente interferiscono con l’ordine pubblico e con la sicurezza pubblica, si evidenzierebbe una incongruenza del sistema, in quanto alcuni compiti risulterebbero trasferiti mentre altri, analoghi, permarrebbero in capo allo Stato, con una distinzione difficilmente giustificabile sotto il profilo della ragionevolezza.
Nel ricordare, quindi, che nella interpretazione delle norme che disciplinano le funzioni e i compiti trasferiti agli enti locali deve essere scelta la lettura conforme a Costituzione e coerente con il sistema, l’Avvocatura conclude chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.
Considerato in diritto
1. Viene all’esame della Corte la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 163, comma 2, lettera d), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni e agli enti locali, in attuazione del Capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), con il quale sono stati trasferiti ai Comuni le funzioni e i compiti amministrativi in materia di licenze di agenzie di affari. Sul presupposto che la precedente attribuzione al questore della competenza al rilascio delle licenze per le agenzie di affari, e per quelle di onoranze funebri in particolare, denoterebbe l’inerenza dell’attività di queste ultime alla pubblica sicurezza, si assume, da parte del Tribunale amministrativo regionale del Lazio – sezione staccata di Latina, la violazione dei parametri costituzionali sulla delegazione legislativa, in riferimento all’art. 1, comma 3, lettera l), della legge 15 marzo 1997, n. 59, che, nel delegare il Governo a conferire funzioni e compiti alle Regioni e agli enti locali, riservava allo Stato quelli riconducibili all’ordine pubblico e alla sicurezza pubblica.
2. Prima di esaminare la questione nel merito, appare opportuno descrivere, nelle sue linee generali, il quadro normativo nel quale si inscrive la disposizione censurata.
In occasione del trasferimento di funzioni alle Regioni, il d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (Attuazione della delega di cui all’art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382) disponeva, all’art. 19, primo comma, il trasferimento ai Comuni di alcune funzioni di polizia amministrativa previste dal regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza). L’art. 19 del d.P.R. n. 616, al comma quarto, stabiliva peraltro che i provvedimenti comunali relativi ad alcune soltanto delle funzioni trasferite dovessero essere adottati previa comunicazione al prefetto e dovessero essere sospesi, annullati o modificati per motivata richiesta dello stesso. Questa Corte, con sentenza n. 77 del 1987, ha dichiarato, fra l’altro, la illegittimità costituzionale dell’art. 19, comma quarto, nella parte in cui non limitava i poteri del prefetto, ivi previsti, esclusivamente alle esigenze di pubblica sicurezza, precisando che quest’ultima deve intendersi come funzione inerente alla prevenzione dei reati o al mantenimento dell’ordine pubblico. Sempre in relazione all’art. 19 del d.P.R. n. 616 del 1977, questa Corte aveva poi modo di chiarire che la ripartizione delle attribuzioni tra lo Stato e le Regioni, in relazione alle funzioni di polizia, deve ritenersi fondata sulla distinzione tra le competenze attinenti alla sicurezza pubblica, riservate in via esclusiva allo Stato ex art. 4 del medesimo d.P.R. n. 616 del 1977, e le altre funzioni rientranti nella nozione di polizia amministrativa, trasferite alle Regioni come funzioni accessorie rispetto agli ambiti materiali attribuiti alla loro competenza. La funzione di polizia di sicurezza, osservava la Corte, riguarda quindi le misure preventive e repressive dirette al mantenimento dell’ordine pubblico e, pertanto, si riferisce alla attività di polizia giudiziaria e a quella di pubblica sicurezza; la funzione di polizia amministrativa riguarda, diversamente, l’attività di prevenzione e repressione diretta ad evitare danni o pregiudizi a persone o cose nello svolgimento di attività rientranti nelle materie affidate alla competenza regionale (sentenza n. 218 del 1988).
L’art. 1 della legge 15 marzo 1997, n. 59, ha delegato il Governo ad emanare uno o più decreti legislativi volti a conferire alle Regioni e agli enti locali funzioni e compiti amministrativi (comma 1), estendendo l’ambito del conferimento alla cura degli interessi e alla promozione dello sviluppo delle comunità locali, nonchè allo svolgimento di tutti i compiti e di tutte le funzioni localizzabili nei rispettivi territori, in atto esercitati da qualunque organo o amministrazione dello Stato, centrali o periferiche, ovvero tramite enti o altri soggetti pubblici (comma 2). Il medesimo art. 1, al comma 3, lettera l), ha tuttavia escluso dal conferimento le funzioni e i compiti riconducibili alla materia dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica.
L’art. 159, comma 2, del d.lgs. n. 112 del 1998 precisa che le funzioni e i compiti amministrativi relativi all’ordine pubblico e alla sicurezza pubblica concernono le misure preventive e repressive dirette al mantenimento dell’ordine pubblico, inteso come il complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari sui quali si regge l’ordinata e civile convivenza nella comunità nazionale, nonchè alla sicurezza delle istituzioni, dei cittadini e dei loro beni. E’ opportuno chiarire che tale definizione nulla aggiunge alla tradizionale nozione di ordine pubblico e sicurezza pubblica tramandata dalla giurisprudenza di questa Corte, nella quale la riserva allo Stato riguarda le funzioni primariamente dirette a tutelare beni fondamentali, quali l’integrità fisica o psichica delle persone, la sicurezza dei possessi ed ogni altro bene che assume primaria importanza per l’esistenza stessa dell’ordinamento. E’ dunque in questo senso che deve essere interpretata la locuzione "interessi pubblici primari" utilizzata nell’art. 159, comma 2: non qualsiasi interesse pubblico alla cui cura siano preposte le pubbliche amministrazioni, ma soltanto quegli interessi essenziali al mantenimento di una ordinata convivenza civile. Una siffatta precisazione é necessaria ad impedire che una smisurata dilatazione della nozione di sicurezza e ordine pubblico si converta in una preminente competenza statale in relazione a tutte le attività che vanificherebbe ogni ripartizione di compiti tra autorità statali di polizia e autonomie locali.
Lo stesso art. 159, al comma 1, definisce le funzioni e i compiti di polizia amministrativa regionale e locale, alla quale riconduce le misure dirette ad evitare danni o pregiudizi che possono essere arrecati a soggetti giuridici e alle cose nello svolgimento di attività relative alle materie nelle quali vengono esercitate le competenze, anche delegate, delle Regioni e degli enti locali, purchè non siano coinvolti beni o interessi specificamente tutelati in funzione dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica, poichè in questo caso si esulerebbe dai compiti di polizia amministrativa e si ricadrebbe in un ambito di attività riservate allo Stato.
Senza scendere nel dettaglio delle singole competenze trasferite, che sono estranee al thema decidendum, si deve solo aggiungere che l’art. 163, comma 2, lettera d), del d.lgs. n. 112 del 1998, nel disporre il trasferimento ai Comuni delle funzioni e dei compiti relativi al rilascio delle licenze concernenti le agenzie di affari di cui all’art. 115 del r.d. 18 giugno 1931, n. 773 si é basato proprio sulla distinzione tra ordine e sicurezza pubblica, come sopra interpretati, da un lato, e polizia amministrativa, come funzione accessoria ai compiti spettanti alle Regioni e agli enti locali nelle materie di loro competenza, dall’altro. Il fatto che tra le agenzie di affari di cui al citato art. 115 rientrino anche le agenzie per onoranze funebri é affermato dal remittente sulla base di argomentazioni non implausibili, che trovano riscontro nella giurisprudenza amministrativa, e non é contestato dall’Avvocatura generale dello Stato: tanto basta a ritenere che non deve nuovamente porsi in discussione, in questa sede, l’inquadramento dell’attività delle predette agenzie.
3. Così ricostruito il quadro normativo nel quale si colloca la presente questione di legittimità costituzionale, non può essere accolta l’eccezione secondo cui l’intervenuto conferimento ai Comuni delle funzioni e dei compiti amministrativi relativi alle licenze per le agenzie di affari non avrebbe fatto venir meno le competenze in materia dell’autorità provinciale di pubblica sicurezza, le quali continuerebbero a trovare il proprio fondamento negli artt. 13 e 14 della legge 1° aprile 1981, n. 121 (Nuovo ordinamento dell’Amministrazione della pubblica sicurezza), e potrebbero quindi essere ancora esercitate secondo un modulo procedimentale sostanzialmente assimilabile a quello dell’art. 19 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, che prevedeva l’obbligo dell’autorità comunale di sospendere, revocare o annullare, su richiesta del prefetto, i provvedimenti rilasciati. Deve escludersi che tale disposizione possa ancora fungere da base d’appoggio per argomentare, in questa materia, un sopravvissuto potere provvedimentale del prefetto, giacchè essa é stata abrogata, sia pure con riferimento ad alcuni soltanto dei provvedimenti ivi menzionati, fra i quali, però, quelli che qui interessano, dall’art. 164, comma 1, lettera d), del d.lgs. n. 112 del 1998. Nè la pretesa permanenza, in capo al prefetto o al questore, di un potere analogo a quello previsto dal citato art. 19 del d.P.R. n. 616 del 1977, può desumersi dagli artt. 13 e 14 della legge 1° aprile 1981, n. 121, dal momento che tali disposizioni si limitano ad affermare che l’uno e l’altro sono autorità provinciali di pubblica sicurezza, ma nulla dispongono circa gli specifici poteri ad essi spettanti in relazione alle funzioni amministrative attribuite ai Comuni.
4. Una volta accertata l’intervenuta soppressione di ogni residuo potere provvedimentale del prefetto in tema di agenzie di affari, la questione sollevata dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio si risolve nell’interrogativo se nell’attività di tali agenzie sicurezza e ordine pubblico - rispetto ad ogni altro interesse pubblico e segnatamente rispetto allo sviluppo economico delle comunità locali, in direzione del quale sono prevalentemente orientati i trasferimenti e i conferimenti che si basano sulla legge di delegazione n. 59 del 1997 - assumano un rilievo talmente preminente da imporre, come soluzione costituzionalmente obbligata, che le funzioni e i compiti in materia siano attribuiti non all’autorità locale, ma a quella di pubblica sicurezza o che comunque in capo a questa debba essere mantenuto il potere di disporre sospensioni, revoche o annullamenti.
Ove la risposta a questo interrogativo dovesse essere affermativa, prolungando il ragionamento alle sue conseguenze logiche, ogni potestà amministrativa in campo economico, nell’attuale contesto, nel quale larghi settori dell’economia sono esposti alle insidie della criminalità, dovrebbe essere espressione diretta dell’autorità di pubblica sicurezza o posta sotto la tutela di questa. E così non si riuscirebbe a scorgere la ragione per la quale le sole agenzie di affari dovrebbero essere attratte all’area dei poteri provvedimentali del prefetto e non anche gli esercizi commerciali, i quali, non diversamente da quelle, in base alla stessa legge di delegazione, attuata con d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell’art. 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), ricadono nella gestione dell’autorità amministrativa locale o regionale, con esclusione in ogni caso dei poteri dell’autorità di pubblica sicurezza, discrezionali o meno che essi siano.
Quando venga in considerazione l’attività dei privati a contenuto economico, nelle svariate forme giuridiche nelle quali essa può manifestarsi, la scelta di larga massima compiuta dal legislatore, salvo talune eccezioni contenute nello stesso art. 163 del d.lgs. n. 112 del 1998, che qui non rilevano e che non sono tali da contraddirne l’ispirazione di fondo, é stata quella di rimettere ogni valutazione agli organi che sono espressione diretta o indiretta della comunità locale, sulla non irragionevole premessa che siano in primo luogo questi, per la loro maggiore vicinanza alle popolazioni amministrate, ad averne a cuore lo sviluppo economico, in applicazione del principio di sussidiarietà, la cui realizzazione costituisce uno dei principali obiettivi della legge di delegazione. Ciò non significa che l’ambito delle competenze statali nel rapporto tra attività economica e sicurezza pubblica sia stato interamente soppresso: esso, nel confine mobile segnato dalle opzioni del legislatore in materia di controlli sullo svolgimento delle attività economiche, si é tuttavia considerevolmente ridotto. E’ infatti rimasto integro il potere generale di prevenzione e repressione dei reati, ma si é venuta ridimensionando quella sua proiezione provvedimentale, che si esprimeva in misure direttamente incidenti sull’attività economica, per dar luogo a un nuovo equilibrio di poteri tra Stato ed autonomie che vede riservato al primo l’adozione di misure ablatorie, preventive e repressive, sulla base peraltro di procedimenti interamente giurisdizionalizzati in ossequio ad un’accezione più rigorosa del principio dello Stato di diritto, nei soli casi in cui l’attività economica sia così strettamente compenetrata con la criminalità organizzata da esserne essa medesima espressione (cfr., in particolare, la legge 31 marzo 1965 n. 575 "Disposizioni contro la mafia" e successive modificazioni). E l’esito normativo del bilanciamento compiuto dal legislatore delegato tra istanze di sviluppo economico delle comunità locali ed esigenze di ordine pubblico non contrasta con le direttive contenute nella legge di delegazione, ma risulta anzi in queste già potenzialmente racchiuso.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 163, comma 2, lettera d), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni e agli enti locali, in attuazione del Capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), sollevata, in riferimento all’articolo 77, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio – sezione staccata di Latina, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 luglio 2001.
Fernando SANTOSUOSSO, Presidente
Carlo MEZZANOTTE, Redattore
Depositata in Cancelleria il 25 luglio 2001.