Ordinanza n. 413 del 2008

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ORDINANZA N. 413

ANNO 2008

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-    Giovanni Maria         FLICK                                Presidente

-    Francesco                AMIRANTE                          Giudice

-    Ugo                        DE SIERVO                             "

-    Paolo                      MADDALENA                          "

-    Alfio                       FINOCCHIARO                       "

-    Alfonso                   QUARANTA                            "

-    Franco                    GALLO                                    "

-    Luigi                       MAZZELLA                             "

-    Gaetano                   SILVESTRI                              "

-    Sabino                     CASSESE                                "

-    Maria Rita               SAULLE                                  "

-    Giuseppe                 TESAURO                                "

-    Paolo Maria             NAPOLITANO                         "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 30, comma 4, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio), come modificato dall’art. 1, comma 19, della legge 9 dicembre 1998, n. 426 (Nuovi interventi in campo ambientale), promosso con ordinanza del 21 settembre 2007 dalla Corte di cassazione nel procedimento penale a carico di I. A., iscritta al n. 104 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17, prima serie speciale, dell’anno 2008.

Udito nella camera di consiglio del 22 ottobre 2008 il Giudice relatore Giuseppe Tesauro.

Ritenuto che, con ordinanza del 21 settembre 2007, la Corte di cassazione ha sollevato, in riferimento agli artt. 11 e 117, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 30, comma 4, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio), come modificato dall’art. 1, comma 19, della legge 9 dicembre 1998, n. 426 (Nuovi interventi in campo ambientale), nella parte in cui esclude che gli imprenditori che esercitano la raccolta ed il trasporto di rifiuti propri non pericolosi a titolo professionale abbiano l’obbligo di iscriversi all’Albo nazionale delle imprese che effettuano la gestione dei rifiuti;

che la Corte rimettente riferisce di essere investita del ricorso per cassazione proposto dalla persona sottoposta alle indagini avverso l’ordinanza con la quale il Tribunale del riesame aveva confermato il sequestro preventivo di un autocarro, utilizzato dal ricorrente nell’anno 2005 per trasportare materiali derivanti da attività di demolizione svolta nella sua qualità di imprenditore edile (materiali qualificabili come rifiuti speciali non pericolosi);

che, ad avviso del giudice a quo, nella specie sarebbe astrattamente configurabile il fumus del reato di gestione di rifiuti non autorizzata, previsto dall’art. 51, comma 1, del d. lgs. n. 22 del 1997, vigente al tempo della commissione del fatto, avendo il ricorrente trasportato rifiuti senza essere iscritto all’Albo nazionale delle imprese che effettuano la gestione di rifiuti, di cui all’art. 30 del medesimo decreto legislativo;

che, peraltro, a tale conclusione sarebbe di ostacolo la circostanza che l’art. 1, comma 19, della legge n. 426 del 1998 ha modificato l’art. 30, comma 4, del d. lgs. n. 22 del 1997, gravando dell’obbligo d’iscrizione all’Albo unicamente le «imprese che svolgono attività di raccolta e trasporto di rifiuti non pericolosi prodotti da terzi e le imprese che raccolgono e trasportano rifiuti pericolosi [...]», e non, dunque, gli imprenditori che – come il ricorrente – trasportano rifiuti non pericolosi derivanti dalla loro stessa attività;

che la Corte rimettente precisa di aver già promosso, con ordinanza del 16 gennaio 2006, l’incidente di costituzionalità del citato art. 30, comma 4, del d. lgs. n. 22 del 1997, come modificato dall’art. 1, comma 19, della legge n. 426 del 1998, in riferimento agli artt. 11 e 117, primo comma, della Costituzione, per contrasto con l’art. 12 della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti, modificata dalla direttiva del Consiglio 18 marzo 1991, 91/156/CEE;

che la Corte costituzionale, con ordinanza n. 126 del 2007, ha disposto la restituzione degli atti al giudice a quo, ai fini della valutazione in ordine alla perdurante rilevanza della questione alla luce dello ius superveniens, rappresentato dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), il quale ha integralmente sostituito la disciplina della gestione dei rifiuti, abrogando il d. lgs. n. 22 del 1997 (art. 264, comma 1, lettera i), del d. lgs. n. 152 del 2006) ed obbligando all’iscrizione all’Albo nazionale gestori ambientali – con il presidio della sanzione penale comminata dal comma 1 dell’art. 256 – le imprese che esercitano la raccolta e il trasporto dei propri rifiuti non pericolosi come attività ordinaria e regolare, sia pur secondo un regime sensibilmente agevolato (art. 212, comma 8, del d. lgs. n. 152 del 2006);

che la Corte di cassazione solleva nuovamente la questione di costituzionalità dell’art. 30, comma 4, del d. lgs. n. 22 del 1997, nella predetta formulazione, assumendo che, alla stregua dei principi fissati dall’art. 2 del codice penale e prima ancora dall’art. 25, secondo comma, della Costituzione, esso debba continuare a trovare applicazione nel procedimento principale, in luogo delle nuove disposizioni del d. lgs. n. 152 del 2006, recanti una disciplina meno favorevole, secondo la quale, come già indicato, sussiste un obbligo di iscrizione all’Albo, penalmente sanzionato, a carico degli imprenditori che svolgono in via ordinaria e regolare l’attività di trasporto di rifiuti non pericolosi da essi stessi prodotti;

che, ampiamente richiamando la propria ordinanza del 16 gennaio 2006, il giudice a quo osserva che l’incompatibilità della denunciata norma con l’art. 12 della direttiva 75/442/CEE – il quale stabilisce che le imprese che provvedono alla raccolta o al trasporto di rifiuti propri «a titolo professionale», qualora non siano soggette ad autorizzazione, devono essere iscritte presso le competenti autorità – è stata accertata dalla Corte di giustizia delle Comunità europee con sentenza 9 giugno 2005, in causa C-270/03, emessa a seguito di procedura di infrazione promossa dalla Commissione europea nei confronti della Repubblica italiana ai sensi dell’art. 226 del Trattato che istituisce la Comunità europea del 25 marzo 1957, reso esecutivo con legge 14 ottobre 1957, n. 1203 (come modificato dal Trattato di Amsterdam del 2 ottobre 1997, reso esecutivo con legge 16 giugno 1998, n. 209);

che, non avendo, a parere della Corte di cassazione, la direttiva sui rifiuti 75/442/CEE – e, conseguentemente, anche la sentenza del giudice comunitario che la interpreta – efficacia diretta nell’ordinamento interno, il contrasto con il diritto comunitario non potrebbe esser fatto valere dal giudice italiano, chiamato ad applicare l’art. 30, comma 4, del d. lgs. n. 22 del 1997 nella predetta formulazione, se non mediante l’incidente di costituzionalità;

che la questione – ancorché diretta a provocare una pronuncia in malam partem nella materia penale – sarebbe ammissibile, dovendosi riconoscere alla disposizione censurata la natura di norma penale di favore, dunque di norma che sottrae «una certa classe di soggetti o di condotte ad altra norma, maggiormente comprensiva»: natura che, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale a partire dalla sentenza n. 148 del 1983, fino alla recente sentenza n. 394 del 2006, la renderebbe comunque suscettibile di scrutinio di costituzionalità;

che il legislatore nazionale, infatti, con l’originario testo dell’art. 30, comma 4, del d. lgs. n. 22 del 1997 – in base al quale «le imprese che svolgono a titolo professionale attività di raccolta e trasporto di rifiuti e le imprese che raccolgono e trasportano rifiuti pericolosi, anche se da esse prodotti [...], devono essere iscritte all’Albo» – aveva correttamente attuato la direttiva comunitaria e, solo per effetto della modifica successivamente operata dall’art. 1, comma 19, della legge n. 426 del 1998, la disciplina interna si sarebbe viceversa posta in contrasto con le previsioni comunitarie;

che, di conseguenza, la declaratoria di incostituzionalità della disposizione censurata non comporterebbe un inammissibile ampliamento della sfera applicativa di una fattispecie criminosa al di là dei limiti stabiliti dal legislatore, ma ripristinerebbe la portata di una norma incriminatrice già presente nell’ordinamento (quella di cui al combinato disposto degli artt. 30, comma 4, e 51, comma 1, del d .lgs. n. 22 del 1997 «nel loro testo originario»), che la novella del 1998 ha «parzialmente derogato»;

che, inoltre, in base a quanto chiarito dalla citata sentenza n. 148 del 1983, la questione di costituzionalità dovrebbe ritenersi rilevante nel giudizio principale, sebbene il principio di irretroattività della legge penale sfavorevole impedisca di condannare l’imputato per un fatto commesso nel vigore della norma penale di favore, in quanto l’accoglimento della questione, per un verso, verrebbe ad incidere sulle formule di proscioglimento e si rifletterebbe sullo schema argomentativo della relativa motivazione; e, per un altro verso, avrebbe comunque un «effetto di sistema», la cui valutazione resta affidata ai giudici ordinari;

che, peraltro, la sentenza di accoglimento potrebbe comunque portare alla conferma del sequestro preventivo dell’autocarro utilizzato per il trasporto dei rifiuti, alla luce della consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo cui la misura cautelare di cui all’art. 321 del codice di procedura penale, avendo carattere reale, prescinde dalla personale responsabilità dell’indagato.

Considerato che la Corte di cassazione dubita della legittimità costituzionale dell’art. 30, comma 4, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio), come modificato dall’art. 1, comma 19, della legge 9 dicembre 1998, n. 426 (Nuovi interventi in campo ambientale), nella parte in cui non prevede che gli imprenditori che esercitino la raccolta e il trasporto dei propri rifiuti non pericolosi a titolo professionale siano tenuti all’iscrizione all’Albo nazionale delle imprese che effettuano la gestione dei rifiuti;

che l’art. 30, comma 4, del citato decreto legislativo, nella formulazione originaria gravava dell’obbligo d’iscrizione all’Albo tutte «le imprese che svolgono a titolo professionale attività di raccolta e trasporto di rifiuti», pericolosi o meno, «anche se da esse prodotti»; viceversa, all’esito delle modifiche recate dall’art. 1, comma 19, della legge n. 426 del 1998, imponeva l’adempimento alle sole «imprese che svolgono attività di raccolta e trasporto di rifiuti non pericolosi prodotti da terzi e [...] che raccolgono e trasportano rifiuti pericolosi [...]»;

che, ad avviso della Corte rimettente, la norma impugnata violerebbe gli artt. 11 e 117, primo comma, della Costituzione, in ragione dell’incompatibilità – accertata dalla Corte di giustizia delle Comunità europee nella sentenza 9 giugno 2005, in causa C-270/03, emessa all’esito di procedura di infrazione promossa dalla Commissione europea nei confronti della Repubblica italiana – con l’art. 12 della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti, dapprima modificata dalla direttiva del Consiglio 18 marzo 1991, 91/156/CEE ed in seguito abrogata dalla nuova direttiva relativa ai rifiuti del Parlamento europeo e del Consiglio 5 aprile 2006, 2006/12/CE, il cui art. 12 analogamente impone l’iscrizione presso le competenti autorità a tutte le imprese che provvedono a titolo professionale alla raccolta o al trasporto di rifiuti propri, anche non pericolosi, qualora non soggette ad autorizzazione;

che la questione di costituzionalità così posta sarebbe rilevante – secondo la Corte rimettente – nonostante l’abrogazione della norma censurata ad opera dell’art. 264, comma 1, lettera i), del d .lgs. n. 152 del 2006, giacché, in forza del principio di irretroattività sancito dall’art. 25, secondo comma, della Costituzione, nel procedimento principale non potrebbe trovare applicazione la previsione incriminatrice di cui al combinato disposto degli artt. 212, comma 8, e 256, comma 1, del d. lgs. n. 152 del 2006, considerazione, questa, da ritenere valida anche all’esito delle innovazioni apportate alla norma precettiva di cui al citato art. 212, comma 8, successivamente all’ordinanza di rimessione, dall’art. 2, comma 30, del decreto legislativo 16 gennaio 2008, n. 4 (Ulteriori disposizioni correttive ed integrative del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale);

che la Corte di cassazione intende in realtà ottenere una pronuncia che consenta di ripristinare, rispetto alle condotte poste in essere nella vigenza della denunciata norma, il regime penale previsto dal testo originario del combinato disposto degli artt. 30, comma 4, e 51, comma 1, del d. lgs. n. 22 del 1997;

che un siffatto intervento in malam partem eccede i compiti di questa Corte, senza che, in senso contrario, possa richiamarsi l’orientamento che ha ritenuto suscettibili di sindacato di costituzionalità le norme penali di favore, ossia le norme che stabiliscono, per determinati soggetti o ipotesi, un trattamento penalistico più favorevole di quello che risulterebbe dall’applicazione di norme generali o comuni;

che, invero, nelle più recenti pronunce si è precisato che la nozione di norma penale di favore costituisce la risultante di un giudizio di relazione fra due o più norme compresenti nell’ordinamento in un dato momento (sentenze n. 324 del 2008 e n. 394 del 2006);

che, dunque, la detta qualificazione va esclusa quando, come nella specie, la norma sottoposta a scrutinio sia messa a raffronto con una norma anteriore, dalla prima sostituita con conseguente contrazione dell’area di rilevanza penale; in tal caso, infatti, la richiesta di sindacato mira, non già a far riespandere la portata di una norma contemporaneamente vigente nell’ordinamento, quanto piuttosto ad ottenere la reintroduzione di una norma incriminatrice abrogata, in contrasto con il principio, più volte ribadito da questa Corte, secondo cui l’individuazione delle condotte ai fini della repressione penale è espressione di una scelta discrezionale riservata al legislatore (sentenze n. 324 del 2008, n. 394 del 2006, n. 330 del 1996; ordinanza n. 175 del 2001), fermo ovviamente il rispetto del principio di irretroattività già sopra richiamato;

che, inoltre, una mera dichiarazione d’illegittimità costituzionale della denunciata disposizione non potrebbe mai determinare il ripristino della previsione incriminatrice indicata dalla Corte rimettente, giacché l’intero d. lgs. n. 22 del 1997 è stato espressamente abrogato dall’art. 264, comma 1, lettera i), del d. lgs. n. 152 del 2006;

che, peraltro, avuto riguardo ai parametri costituzionali del presente giudizio, l’intervento sollecitato dal giudice a quo, se non è consentito alla stregua dei principi operanti nell’ordinamento interno, non è neppure preteso dal diritto comunitario; invero, rispetto a fatti verificatisi nella vigenza della norma censurata, venuta meno la norma nazionale di recepimento della direttiva sui rifiuti, quest’ultima non può essere invocata in quanto tale per farne derivare obblighi di singoli assistiti da sanzione penale, poiché una direttiva non può avere, di per sé e indipendentemente da una legge interna di uno Stato membro, l’effetto di determinare o aggravare la responsabilità penale di coloro che agiscono in violazione delle sue disposizioni (Corte di giustizia, sentenze 26 settembre 1996, causa C‑168/95, Arcaro; 11 novembre 2004, causa C-457/02, Niselli);

che le conclusioni raggiunte esonerano dall’approfondire l’ulteriore profilo concernente l’ammissibilità della questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento agli artt. 11 e 117, primo comma, della Costituzione, per il contrasto della norma nazionale con le disposizioni di una direttiva, quando la Corte di giustizia, all’esito di procedura d’infrazione contro la Repubblica italiana, precisamente di quella norma abbia dichiarato l’incompatibilità comunitaria.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 30, comma 4, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio), come modificato dall’art. 1, comma 19, della legge 9 dicembre 1998, n. 426 (Nuovi interventi in campo ambientale), sollevata, in riferimento agli artt. 11 e 117, primo comma, della Costituzione, dalla Corte di cassazione con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 dicembre 2008.

F.to:

Giovanni Maria FLICK, Presidente

Giuseppe TESAURO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 17 dicembre 2008.