Ordinanza n. 116 del 2008

 CONSULTA ONLINE 

 

ORDINANZA N. 116

ANNO 2008

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-    Franco                      BILE                                    Presidente

-    Giovanni Maria           FLICK                                    Giudice

-    Francesco                  AMIRANTE                                "

-    Ugo                          DE SIERVO                                "

-    Paolo                        MADDALENA                             "

-    Alfonso                     QUARANTA                               "

-    Luigi                         MAZZELLA                                "

-    Gaetano                     SILVESTRI                                 "

-    Sabino                       CASSESE                                   "

-    Maria Rita                 SAULLE                                     "

-    Giuseppe                   TESAURO                                   "

-    Paolo Maria               NAPOLITANO                            "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 2-bis della legge 12 giugno 1990, n. 146 (Norme sull’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati. Istituzione della Commissione di garanzia dell’attuazione della legge), promosso con ordinanza del 15 dicembre 2006  dal Tribunale di Pesaro nel procedimento penale a carico di B.B., iscritta al n. 672 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell’anno 2007.

         Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 12 marzo 2008 il Giudice relatore Luigi Mazzella.

Ritenuto che, con ordinanza emessa in data 15 dicembre 2006, il Tribunale di Pesaro ha sollevato, con riferimento agli articoli 3, 40, 39 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli articoli 2 e 2-bis della legge 15 giugno 1990, n. 146 (Norme sull'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati. Istituzione della Commissione di garanzia dell'attuazione della legge), nelle parti in cui non prevedono l’imposizione a carico degli avvocati che intendono astenersi dalle udienze, in adesione ad astensioni collettive proclamate dagli organismi sindacali dell’Avvocatura, di oneri economici equiparabili alla mancata percezione del salario o dello stipendio dal lavoratore dipendente;

che il rimettente riferisce che il difensore dell’imputato ha comunicato la propria adesione all’astensione collettiva nazionale dalle udienze proclamata dall’Organismo Unitario dell'Avvocatura per i giorni 14, 15 e 16 dicembre 2007, con delibera del 30 novembre 2006 e che è stato quindi nominato un difensore di ufficio, in sostituzione del difensore di fiducia, ex art. 97, quarto comma,del codice di procedura penale;

che, prosegue il Tribunale, la Corte costituzionale, con sentenza n. 171 del 1996, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, commi 1 e 5, della legge n. 146 del 1990, nella parte in cui non prevedeva, in caso di astensione collettiva dall’attività giudiziaria degli avvocati e dei procuratori legali, l’obbligo d’un congruo preavviso e di un ragionevole limite temporale dell’astensione e non prevedeva altresì gli strumenti idonei a individuare e assicurare le prestazioni essenziali, nonché le procedure e le misure conseguenziali nell’ipotesi di inosservanza;

che, nel giudizio pendente, la proclamazione dell’astensione dalle udienze per i giorni 14, 15 e 16 dicembre è stata effettivamente comunicata con congruo preavviso;

che, tuttavia, a parere del rimettente, nell’attuale disciplina dell’astensione collettiva degli avvocati dalle udienze residuerebbero elementi di contrasto con principi costituzionali, che, in caso di dichiarazione di illegittimità, comporterebbero l’illiceità dell’astensione collettiva proclamata e, conseguentemente, l’inammissibilità del rinvio del processo ad altra udienza;

che, prosegue il rimettente, nella sentenza n. 171 del 1996 si ribadisce che, per quanto l’astensione collettiva dalle udienze promossa dalle organizzazioni forensi non è riconducibile alla nozione di sciopero, nondimeno alla stessa deve ritenersi applicabile in parte qua la disciplina della legge n. 146 del 1990;

che, secondo il rimettente, presupposto logico dell’applicazione della disciplina dello sciopero nei servizi pubblici essenziali all’astensione degli avvocati dalle udienze, affermata dalla Corte nella citata sentenza, è il fatto che tale astensione presenti gli elementi essenziali dello sciopero, uno dei quali certamente è costituito dal costo economico che grava sul singolo lavoratore, concretantesi nella perdita del salario o dello stipendio relativo al periodo di sciopero;

che tale perdita costituirebbe anche una remora all’eccesso o all’abuso del diritto di sciopero;

che, secondo il rimettente, il rispetto e la tutela che progressivamente lo sciopero ha acquistato, sarebbero dovuti anche al fatto che ogni sciopero ha un costo per il lavoratore, laddove l’astensione dalle udienze non costerebbe nulla all’avvocato, dato che il rinvio dell’udienza ad altra data, a suo dire, comporterebbe al massimo il rinvio della maturazione e percezione dei diritti ed onorari che l’avvocato avrebbe conseguito a seguito dell’attività processuale rinviata, ma non la loro perdita;

che inoltre, aggiunge il rimettente, poiché generalmente, nel processo penale, l’imputato ha interesse a procrastinare la conclusione del processo perché il tempo gioca a suo favore, l’astensione dalle udienze non solo non costerebbe nulla all’avvocato ma nella maggior parte dei casi, giovando alla parte, gioverebbe anche a lui;

che la mancanza di remore di carattere economico alla proclamazione delle astensioni dalle udienze farebbe sì che gli organismi professionali possano ricorrervi con notevole libertà e disinvoltura, ben diversamente da quanto è concesso ai sindacati dei lavoratori dipendenti, ai quali ogni giorno di sciopero costa una corrispondente quota della retribuzione, con la conseguente attribuzione all’avvocatura di un enorme potere di incidenza sulle condizioni di funzionamento dell’amministrazione della giustizia e turbativa della dialettica sindacale;

che ciò determinerebbe l’illegittimità costituzionale della legge n. 146 del 1990 nella parte in cui, per effetto della sentenza n. 171 del 1996 della Corte costituzionale, disciplina, oltre all’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, l’esercizio del diritto di astensione dalle udienze proclamato dalle organizzazioni sindacali degli avvocati, senza prevedere a carico degli avvocati oneri economici equiparabili alla mancata percezione del salario o dello stipendio dal lavoratore dipendente;

che secondo il rimettente, il fatto che gli avvocati non siano lavoratori dipendenti ma liberi professionisti non esclude, anzi impone la previsione legislativa dell’obbligo, a carico dell’avvocato che intenda astenersi dall’udienza, di versare ad un fondo apposito, costituito eventualmente presso l’amministrazione della giustizia, in quanto danneggiata dall’astensione, una somma corrispondente al valore-udienza, da determinarsi per legge in relazione alla natura dell’attività giudiziaria in concreto mancata per effetto dell'astensione, o comunque la previsione di strumenti che consentano di equiparare in concreto, sotto il profilo economico, l’astensione dell’avvocato a quella del lavoratore dipendente;

che la mancata previsione legislativa di siffatto obbligo sarebbe in contrasto con gli articoli 3, 40, 39 e 97 della Costituzione;

che la violazione dell’art. 3 discenderebbe dalla macroscopica e irragionevole disparità di trattamento tra situazioni analoghe con riferimento sia alla condotta (astensione dalle udienze) che agli effetti (turbativa dell'amministrazione della giustizia), a causa delle diverse condizioni personali e sociali dei soggetti che si astengono dalle udienze: lavoratori autonomi gli avvocati, lavoratori dipendenti i magistrati e il personale amministrativo;

che la violazione dell’art. 40, unica fonte di legittimità della legge n. 146 del 1990, si concreterebbe nella equiparazione allo sciopero di una attività priva di un elemento essenziale, inscindibile dalla nozione storica e giuridica dello sciopero;

che la violazione dell’art. 39 sarebbe insita nella disparità di trattamento riservato dalla legge n. 146 del 1990 alle attività sindacali comportanti l’astensione dalle udienze poste in essere dalla organizzazione degli avvocati rispetto a quelle poste in essere dalle organizzazioni dei magistrati e del personale amministrativo.

che, infine, la violazione dell'art. 97 conseguirebbe al fatto che ogni astensione determina il rinvio di processi e di udienze, anche a data lontana di mesi e talora di anni, e sconvolge i calendari delle udienze;

che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata;

che, sottolinea in primo luogo l’Avvocatura, il rimettente avrebbe del tutto omesso la motivazione circa la rilevanza della questione in relazione all’art. 2 della legge n. 146 del 1990, a suo giudizio inapplicabile alla fattispecie, interamente regolata dall’art. 2-bis;

che, quanto a quest’ultima norma, il rimettente avrebbe poi omesso di illustrare le ragioni per cui, a suo avviso, la regolamentazione dell’astensione collettiva dalle udienze, prevista dal predetto articolo e affidata alla Commissione di Garanzia di cui all’art. 12 della legge citata, non consentirebbe di ritenere superati gli evidenziati profili di incostituzionalità; o, in ogni caso, le ragioni per le quali egli non abbia ritenuto di disapplicare direttamente la regolamentazione provvisoria adottata dalla Commissione di garanzia, di rango subprimario;

che, in secondo luogo, l’Avvocatura dello Stato sottolinea la inammissibilità della questione per il carattere additivo della invocata pronuncia;

che, nel merito, l’Avvocatura evidenzia l’infondatezza della questione, sia per l’erroneità del presupposto logico da cui parte il rimettente, ossia l’equiparazione dell’astensione degli avvocati allo sciopero dei lavoratori subordinati, che presuppone un rapporto di subordinazione, del tutto assente nel mandato professionale, come dimostrato dalle responsabilità professionali gravanti sull’avvocato anche in caso di sua adesione all’astensione; sia per l’infondatezza dell’affermazione circa la mancanza di ogni danno economico per gli avvocati nell’adesione all’astensione dalla propria attività professionale, danno da ravvisarsi nel rischio di perdita del cliente e nella perdita degli onorari.

Considerato che il Tribunale di Pesaro dubita, con riferimento agli articoli 3, 40, 39 e 97 della Costituzione, della legittimità costituzionale degli articoli 2 e 2-bis della legge 15 giugno 1990, n. 146 (Norme sull'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati. Istituzione della Commissione di garanzia dell'attuazione della legge), nelle parti in cui non prevedono l’imposizione, a carico degli avvocati che intendono astenersi dalle udienze, in adesione ad astensioni collettive proclamate dagli organismi sindacali dell’Avvocatura, di oneri economici equiparabili alla mancata percezione del salario o dello stipendio dal lavoratore dipendente;

che le due norme vengono censurate nella parte in cui non prevedono a carico degli avvocati «oneri economici equiparabili alla mancata percezione del salario o dello stipendio dal lavoratore dipendente», senza che il rimettente specifichi, se non a titolo meramente esemplificativo, la natura, le modalità di pagamento e la destinazione degli oneri che dovrebbero essere imposti;

che lo stesso rimettente, sostanzialmente, invoca una sentenza additiva, in una materia riservata alla discrezionalità del legislatore, proprio in virtù della varietà e  pluralità delle soluzioni possibili (in tal senso, ex plurimis, ordinanze n. 380 del 2006, n. 199 e n. 225 del 2007);

che, pertanto, la questione deve ritenersi, sotto l’indicato profilo, manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli articoli 2 e 2-bis della legge 15 giugno 1990, n. 146 (Norme sull'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati. Istituzione della Commissione di garanzia dell'attuazione della legge), sollevata dal Tribunale di Pesaro, in riferimento agli articoli 3, 39, 40 e 97 della Costituzione, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, 14 aprile 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Luigi MAZZELLA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 24 aprile 2008.