ORDINANZA N. 83
ANNO 2008
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE ”
- Ugo DE SIERVO ”
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Alfonso QUARANTA ”
- Franco GALLO ”
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Maria Rita SAULLE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZAnel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 183, comma 1, lettera n), quarto periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), promosso con ordinanza del 20 settembre 2006 dal Tribunale di Venezia, sezione distaccata di Dolo, iscritta al n. 123 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell’anno 2007.
Visti l’atto di costituzione di P.S. nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 27 febbraio 2008 il Giudice relatore Gaetano Silvestri.
Ritenuto che il Tribunale di Venezia, sezione distaccata di Dolo, con ordinanza del 20 settembre 2006, ha sollevato, in riferimento agli artt. 11 e 117, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 183, comma 1, lettera n), quarto periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), nella parte in cui qualifica le ceneri di pirite come sottoprodotto non soggetto alla disciplina sui rifiuti, a prescindere dalle caratteristiche indicate dalla giurisprudenza comunitaria per la nozione di sottoprodotto;
che il rimettente riferisce di essere chiamato a giudicare, nell’ambito di un procedimento iniziato in data 22 marzo 2002 con il sequestro preventivo di un deposito di ceneri di pirite in località Gambarare di Mira, due imputati nei cui confronti è stato emesso decreto di citazione diretta per la violazione, tra l’altro, degli artt. 51, commi 1 e 5, e 51-bis, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione della direttiva 91/156/CEE sui rifiuti, della direttiva 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e della direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio);
che il giudice a quo prende in esame i mutamenti del quadro normativo interno verificatisi dopo la commissione dei fatti di reato contestati, avuto riguardo all’entrata in vigore, in data 29 aprile 2006, del d.lgs. n. 152 del 2006, il quale ha proceduto al riordino della materia ambientale, con espressa abrogazione del d.lgs. n. 22 del 1997;
che il rimettente evidenzia come i fatti di reato in esame siano in parte sussumibili sotto le nuove disposizioni sanzionatorie previste dal d.lgs. n. 152 del 2006, ritenendo che vi sia coincidenza tra il disposto dell’art. 256, commi 1 e 5, del citato decreto, e quello dell’art. 51, commi 1 e 5, del previgente d.lgs. n. 22 del 1997, ma non anche tra la fattispecie delineata nell’art. 51-bis del d.lgs. n. 22 del 1997 e quella prevista nell’art. 257 del d.lgs. n. 152 del 2006, atteso che quest’ultima prevede, come ulteriore elemento costitutivo del reato, il superamento delle concentrazioni soglia di rischio;
che inoltre, avuto riguardo al quadro normativo comunitario, il giudice a quo richiama la direttiva 2006/12/CE – entrata in vigore il 27 aprile 2006, che sostituisce ed abroga la precedente direttiva 75/442/CEE e tutte le modifiche alla stessa apportate – ritenendo che essa costituisca il «nuovo punto di riferimento normativo per il trattamento dei rifiuti nell’ambito dell’Unione Europea»;
che il Tribunale rimettente pone a raffronto la nozione di rifiuto contenuta nella direttiva 2006/12/CE e quella presente nel d.lgs. n. 152 del 2006, evidenziandone la sostanziale analogia;
che il rimettente rileva come il citato art. 183 del d.lgs. n. 152 del 2006, al comma 1, lettera n), contenga altresì la definizione di «sottoprodotto», riguardante «i prodotti dell’attività dell’impresa che, pur non costituendo l’oggetto dell’attività principale, scaturiscono in via continuativa dal processo industriale dell’impresa stessa e sono destinati ad un ulteriore impiego o consumo», e stabilisca che non sono soggetti alle disposizioni penali contenute nella parte quarta del d.lgs. n. 152 del 2006 «i sottoprodotti di cui l’impresa non si disfi, non sia obbligata a disfarsi e non abbia deciso di disfarsi ed in particolare i sottoprodotti impiegati direttamente dall’impresa che li produce o commercializzati a condizioni economicamente favorevoli per l’impresa stessa direttamente per il consumo o per l’impiego, senza la necessità di operare trasformazioni preliminari in un successivo processo produttivo. L’utilizzo del sottoprodotto non deve comportare per l’ambiente o per la salute condizioni peggiorative rispetto a quelle delle normali attività produttive»;
che, in riferimento al quadro normativo comunitario, il rimettente osserva come la nozione di sottoprodotto, di cui non si rinviene traccia nella direttiva 2006/12/CE, sia stata enucleata dalla giurisprudenza comunitaria, la quale ha ritenuto possibile, in presenza di particolari condizioni, escludere i «residui di produzione» dal novero dei rifiuti (Corte di giustizia, sentenza 18 aprile 2002, in causa C-9/00; sentenza 11 settembre 2003, in causa C-114/01; sentenza 11 novembre 2004, in causa C-457/02; sentenza 8 settembre 2005, in causa C-416/02; ordinanza del 15 aprile 2004, in causa C-235/02);
che il giudice a quo non si sofferma sulla nozione interna di sottoprodotto, dettata dal richiamato art. 183, lettera n), del d.lgs. n. 152 del 2006, limitandosi in proposito a richiamare quanto affermato dalla Corte costituzionale nell’ordinanza n. 288 del 2006, secondo cui la disposizione citata ripropone, seppure in termini più precisi e puntuali, l’art. 14 del decreto-legge 8 luglio 2002, n. 138 (Interventi urgenti in materia tributaria, di privatizzazioni, di contenimento della spesa farmaceutica e per il sostegno delle aree svantaggiate), convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 2002, n. 178;
che, infatti, oggetto di censura da parte del rimettente è la norma contenuta nel medesimo art. 183, comma 1, lettera n), quarto periodo, che qualifica in termini di sottoprodotto le ceneri di pirite, individuate come «polveri di ossido di ferro, provenienti dal processo di arrostimento del minerale noto come pirite o solfuro di ferro per la produzione di acido solforico e ossido di ferro, depositate presso stabilimenti di produzione dimessi, aree industriali e non, anche se sottoposte al procedimento di bonifica o ripristino ambientale»;
che, a parere del giudice a quo, tale qualificazione contrasta con il quadro normativo comunitario in quanto prescinde dalla ricorrenza delle condizioni richieste dalla Corte di giustizia per poter sottrarre un residuo di produzione dal novero dei rifiuti, avuto riguardo alla necessità che il produttore originario non se ne sia disfatto, che il riutilizzo della sostanza sia certo ed effettivo già al momento della sua produzione, e che dalla bonifica o dal ripristino della sostanza, ai fini del riutilizzo, non derivi pregiudizio per l’ambiente e per la salute;
che il rimettente evidenzia le ragioni, anche storiche, per effetto delle quali tali condizioni non sussistono in riferimento al particolare residuo di produzione costituito dalle ceneri di pirite, sicché, in definitiva, la qualificazione operata dal legislatore si configura come «norma penale di favore» che restringe illegittimamente la nozione di rifiuto, ponendosi in contrasto con gli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., i quali impongono il rispetto, nell’esercizio della potestà legislativa, dei vincoli che discendono dall’ordinamento comunitario;
che il giudice a quo esclude di poter procedere alla disapplicazione della norma denunciata, sul rilievo che, per un verso, le direttive comunitarie in materia di tutela dell’ambiente non sono autoapplicative, e, per altro verso, le sentenze della Corte di giustizia sono prive di effetti caducatori sulla norma interna (Corte costituzionale, sentenza n. 389 del 1989);
che, inoltre, avuto riguardo alle conseguenze in malam partem cui darebbe luogo l’accoglimento della questione, il rimettente evidenzia come la caducazione della previsione relativa alle ceneri di pirite non determinerebbe la violazione del principio di irretroattività della norma penale, sancito dall’art. 25, secondo comma, Cost., atteso che all’epoca dei fatti di reato era vigente l’art. 51 del d.lgs. n. 22 del 1997, e il predetto materiale costituiva rifiuto;
che, infine, con riferimento al profilo della rilevanza, il giudice a quo richiama la sentenza n. 148 del 1983 della Corte costituzionale, per affermare che l’accoglimento della questione inciderebbe comunque sul dispositivo o sulle argomentazioni della decisione del giudizio principale;
che, con atto depositato il 5 aprile 2007, è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale, dopo aver segnalato la predisposizione, ad opera del Governo di un provvedimento normativo di revisione del d.lgs. n. 152 del 2006, ha concluso con la richiesta di una pronuncia di inammissibilità o, comunque, di infondatezza della questione;
che, a parere della difesa erariale, la pretesa del rimettente di risolvere l’asserita antinomia tra diritto interno e diritto comunitario attraverso la prospettazione della questione di legittimità costituzionale della norma interna, sarebbe in contrasto con il sistema di verifica voluto dai Trattati dell’Unione europea;
che, inoltre, l’Avvocatura rileva la genericità dell’ordinanza di rimessione riguardo alle conseguenze che deriverebbero nel giudizio principale dalla eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale della norma censurata in quanto, trattandosi di un giudizio di responsabilità penale, il rimettente avrebbe dovuto affrontare le problematiche connesse alla prospettata reviviscenza della normativa previgente, alla luce del principio del favor rei;
che, con memoria depositata il 6 aprile 2007, si è costituito in giudizio P.S., imputato nel procedimento a quo, per chiedere che la questione sia dichiarata inammissibile, o, comunque, infondata;
che, quanto al primo profilo, la parte privata richiama la giurisprudenza costituzionale sui limiti del sindacato in malam partem, ammissibile solo a fronte di norme penali di favore (sentenza n. 161 del 2004), ritenendo che, a differenza di queste ultime, la norma censurata non intervenga sul regime sanzionatorio dei reati commessi in materia di gestione dei rifiuti, ma introduca «la definizione di una categoria di prodotti che, nell’ambito dell’attività d’impresa e a certe condizioni, sono assoggettati ad una disciplina differenziata rispetto a quella configurata nella normativa sui rifiuti»;
che pertanto l’intervento della Corte, nei termini auspicati dal rimettente, avrebbe l’effetto di ampliare l’area di operatività della sanzione penale, costituendo una invasione del campo riservato alle scelte del legislatore dall’art. 25, secondo comma, Cost.;
che, quanto al merito, la difesa della parte privata osserva come il rimettente muova da una lettura dell’art. 183, comma 1, lettera n), del d.lgs. n. 152 del 2006, che trascura l’unicità del contesto e l’identità di ratio delle diverse disposizioni in esso contenute, potendosi, diversamente, ritenere che la previsione concernente le ceneri di pirite non deroghi alla regola generale che definisce il sottoprodotto;
che, in data 12 febbraio 2008, l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato una memoria integrativa evidenziando come il decreto legislativo 16 gennaio 2008, n. 4 (Ulteriori disposizioni correttive ed integrative del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale), abbia modificato, tra l’altro, la definizione di «sottoprodotto» contenuta nell’art. 183 del d.lgs. n. 152 del 2006, dal quale è stato eliminato il riferimento alle ceneri di pirite;
che, inoltre, l’Avvocatura generale svolge argomentazioni ulteriori a sostegno delle conclusioni già rassegnate nell’atto di intervento, nel senso dell’inammissibilità o, comunque, dell’infondatezza della questione.
Considerato che il giudice rimettente solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 183, comma 1, lettera n), quarto periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), in riferimento agli artt. 11 e 117, primo comma, della Costituzione, in quanto, nel classificare le ceneri di pirite come sottoprodotto non soggetto alla disciplina sui rifiuti, supererebbe i limiti entro i quali la normativa e la giurisprudenza comunitaria consentono che i residui di produzione siano considerati sottoprodotto;
che, successivamente all’ordinanza di rimessione, il decreto legislativo 16 gennaio 2008, n. 4 (Ulteriori disposizioni correttive ed integrative del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale), ha introdotto una nuova definizione di sottoprodotto ed ha eliminato il riferimento particolare alle ceneri di pirite (art. 183, comma 1, lettera p, che sostituisce l’art. 183, comma 1, lettera n);
che tale nuova disposizione modifica il quadro normativo in modo sostanziale sul punto specifico che costituisce oggetto della proposta questione di legittimità costituzionale;
che ogni valutazione sugli effetti della nuova disciplina sulla fattispecie oggetto del giudizio a quo è di competenza del giudice del processo principale, anche in considerazione della successione di leggi che, dopo l’inizio del suddetto processo, hanno sinora variamente regolato la materia dei rifiuti e dei sottoprodotti;
che si rende pertanto necessaria la restituzione degli atti al giudice rimettente, perché quest’ultimo valuti l’incidenza della nuova disciplina sul procedimento principale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
ordina la restituzione degli atti al Tribunale di Venezia, sezione distaccata di Dolo.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 marzo 2008.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Gaetano SILVESTRI, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 28 marzo 2008.