Ordinanza n. 6 del 2008

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ORDINANZA N. 6

ANNO 2008

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-    Franco                    BILE                                  Presidente

-    Giovanni Maria         FLICK                                 Giudice

-    Francesco                AMIRANTE                             "

-    Ugo                        DE SIERVO                             "

-    Paolo                      MADDALENA                          "

-    Alfio                       FINOCCHIARO                       "

-    Alfonso                   QUARANTA                            "

-    Franco                    GALLO                                    "

-    Luigi                       MAZZELLA                             "

-    Gaetano                   SILVESTRI                              "

-    Sabino                     CASSESE                                "

-    Maria Rita               SAULLE                                  "

-    Giuseppe                 TESAURO                                "

-    Paolo Maria             NAPOLITANO                         "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 2190 del codice civile promosso con ordinanza del 19 dicembre 2006 dal Giudice del registro delle imprese del Tribunale ordinario di Milano sull’istanza proposta dal Conservatore del registro delle imprese presso la Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Milano, iscritta al n. 578 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 34, prima serie speciale, dell’anno 2007.

Udito nella camera di consiglio del 12 dicembre 2007 il Giudice relatore Giuseppe Tesauro.

Ritenuto che il Giudice del registro delle imprese del Tribunale ordinario di Milano, con ordinanza del 19 dicembre 2006, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 2190 del codice civile, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione;

che, secondo il rimettente, la norma censurata, disponendo che, quando un’iscrizione obbligatoria nel registro delle imprese non sia stata effettuata, nonostante l’invito del conservatore di detto registro, la medesima è disposta, d’ufficio, dal giudice del registro, violerebbe l’art. 111 Cost., in quanto l’iniziativa d’ufficio del giudice non sarebbe giustificata da un interesse pubblico e l’iscrizione potrebbe essere effettuata dal citato conservatore, con provvedimento reclamabile innanzi al giudice;

che, a suo avviso, l’art. 2190 cod. civ., prevedendo un «diretto intervento» del giudice e la sola reclamabilità del provvedimento da questi pronunciato, priverebbe, «di fatto, la parte interessata di una fase della cognizione giurisdizionale di primo grado, (normalmente articolata nelle due fasi della cognizione del Giudice del Registro e della cognizione del Collegio del reclamo)», ponendosi in tal modo in contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione;

che, infine, l’onerosa procedura di iscrizione d’ufficio da parte del giudice –caratterizzata dalla fissazione di udienze in contraddittorio con gli interessati e dai relativi avvisi ai medesimi – sarebbe altresì priva di giustificazione, con conseguente violazione del principio di ordinata ed efficiente organizzazione della funzione giurisdizionale, stabilito dagli artt. 24 e 111 della Costituzione.

Considerato che la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Giudice del registro delle imprese del Tribunale ordinario di Milano investe, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, l’art. 2190 del codice civile, il quale dispone che, se un’iscrizione obbligatoria non è stata richiesta, l’ufficio del registro delle imprese invita l’imprenditore a richiederla entro un congruo termine e, decorso inutilmente detto termine, il giudice del registro può ordinarla con decreto;

che, preliminarmente, va osservato che le questioni incidentali di legittimità costituzionale possono essere sollevate dal giudice esclusivamente nel corso di un giudizio del quale egli sia investito (art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 ed art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87) e che, pertanto, affinché possa ritenersi sussistente il presupposto processuale richiesto da dette norme, non è sufficiente il solo requisito soggettivo;

che, infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’intervento di un magistrato, di per sé solo, non è idoneo ad alterare la struttura di un procedimento ed a connotarlo per ciò stesso quale “giudizio” ai sensi delle norme sopra richiamate, restando escluso che ciò accada nel caso in cui tale intervento consista nello svolgimento di una funzione di carattere formale, per una finalità garantistica, e sia preordinato alla verifica della regolarità della documentazione necessaria per ottenere una determinata iscrizione (sentenza n. 96 del 1976; ordinanza n. 170 del 2005), ovvero per ordinarla d’ufficio;

che, affinché la questione possa ritenersi sollevata nel corso di un “giudizio”, l’applicazione della legge da parte del giudice deve essere caratterizzata da entrambi gli attributi dell’obiettività e «della definitività, nel senso dell’idoneità (del provvedimento reso) a divenire irrimediabile attraverso l’assunzione di un’efficacia analoga a quella del giudicato», poiché è in questo caso che il mancato riconoscimento della legittimazione comporterebbe la sottrazione delle norme al controllo di costituzionalità (sentenza n. 387 del 1996);

che, in applicazione di siffatti principi, deve escludersi la legittimazione del rimettente a sollevare questione di legittimità costituzionale;

che il giudice del registro delle imprese è, infatti, chiamato a svolgere un’indagine di legittimità, la quale ha natura ed oggetto omologhi a quelli demandati all’ufficiale del registro ed è compiuta da un organo dell’autorità giudiziaria, anziché da un altro organo della pubblica amministrazione, poiché consiste in un controllo esteriore di legalità concernente la gestione di un pubblico registro, stabilito a tutela di interessi generali, che non incide su diritti soggettivi con efficacia di giudicato e non definisce una controversia;

che, in tal senso, la Corte suprema di cassazione, con orientamento costante, espresso anche in riferimento alla disciplina stabilita dall’art. 8 della legge 29 dicembre 1993, n. 580 (Riordinamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura), ha affermato che il provvedimento reso dal tribunale su reclamo avverso il decreto pronunciato dal giudice del registro delle imprese è privo dei caratteri della decisorietà (intesa quale idoneità del provvedimento a decidere o incidere su situazioni soggettive aventi consistenza di diritti soggettivi o di status con l’efficacia propria della cosa giudicata), in quanto consiste in un intervento ordinatorio in sede non contenziosa, che si esaurisce in un mero atto di gestione di un pubblico registro a tutela di interessi generali, senza statuire sui diritti dei soggetti coinvolti, e della definitività, poiché la validità dell’atto iscritto può costituire oggetto di un ordinario giudizio di cognizione;

che, pertanto, la questione va dichiarata manifestamente inammissibile per difetto di legittimazione del rimettente.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 2190 del codice civile sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, dal Giudice del registro delle imprese presso il Tribunale ordinario di Milano con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 gennaio 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Giuseppe TESAURO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 18 gennaio 2008.