Ordinanza n. 410 del 2007

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ORDINANZA N. 410

ANNO 2007

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-  Franco                                             BILE                                      Presidente

-  Giovanni Maria                     FLICK                           Giudice

-  Francesco                             AMIRANTE                        “

-  Ugo                                     DE SIERVO                         “

-  Paolo                                    MADDALENA                          “

-  Alfio                                    FINOCCHIARO                  “

-  Alfonso                                 QUARANTA                       “

-  Franco                                   GALLO                               “

-  Luigi                                     MAZZELLA                        “

-  Gaetano                                SILVESTRI                         “

-  Sabino                                  CASSESE                            “

-  Maria Rita                             SAULLE                             “

-  Giuseppe                               TESAURO                          “

-  Paolo Maria                           NAPOLITANO                        “

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 8, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003), promosso con ordinanza depositata il 3 ottobre 2006 dalla Commissione tributaria regionale del Lazio, nel giudizio vertente tra l’Agenzia delle entrate – ufficio di Roma 6 e Cristina Fazione, iscritta al n. 424 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell’anno 2007.

            Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

            udito nella camera di consiglio del 7 novembre 2007 il Giudice relatore Franco Gallo.

Ritenuto che, con ordinanza pronunciata il 25 maggio 2005 e depositata il 3 ottobre 2006, la Commissione tributaria regionale del Lazio – affermando di essere chiamata a pronunciarsi sull’appello proposto dell’Agenzia delle entrate avverso una sentenza con la quale la Commissione tributaria provinciale di Roma aveva accolto il ricorso di un contribuente per l’impugnazione di una cartella esattoriale – ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 8, «del D.Lgs. 546/92» [recte: della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003)];

che il giudice a quo riferisce che: a) il contribuente aveva impugnato, di fronte alla Commissione tributaria provinciale di Roma, una cartella esattoriale emessa dall’Agenzia delle entrate, ufficio di Roma 6, concernente l’IVA dell’anno 1989, sostenendo l’illegittimità dell’atto impugnato «per difetto di motivazione, per decadenza e prescrizione della pretesa erariale» e chiedendone l’annullamento; b) l’Agenzia delle entrate, costituitasi in giudizio, aveva chiesto il rigetto del ricorso, rilevando che non erano ancora scaduti i termini per l’emissione della cartella esattoriale; c) la Commissione adita aveva accolto il ricorso; d) l’Agenzia delle entrate aveva proposto appello avverso la sentenza di primo grado, sostenendo che l’avviso di liquidazione era «perfettamente motivato» e che non erano intervenute la decadenza e la prescrizione dedotte dalla contribuente;

che il giudice a quo riferisce, altresì, che «successivamente, l’Agenzia, avendo appurato che il contribuente aveva presentato istanza per la definizione di cui all’ex art. 16 della legge n. 289/2002, procedeva a notificare il provvedimento di diniego per l’istanza presentata» e che il «suddetto provvedimento venne regolarmente impugnato dal contribuente, con […] ricorso diretto alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio»;

che lo stesso rimettente afferma che il contribuente si è costituito nel giudizio di appello, «chiedendo il rigetto dell’appello dell’Agenzia e la conferma della sentenza impugnata»;

che il medesimo giudice a quo osserva che l’impugnazione prevista dal censurato art. 16 della legge n. 289 del 2002 in ordine al diniego di definizione della lite fiscale pendente «deve essere effettuata nel termine di sessanta giorni dalla notificazione dell’atto dinanzi all’organo giurisdizionale presso il quale pende la lite» e che ciò comporterebbe una «netta differenziazione rispetto all’impugnazione generale degli altri atti»;

che, secondo il rimettente, «la diretta connessione dell’impugnazione del diniego davanti al giudice ove pende la lite, e non davanti alla Commissione tributaria provinciale, determina la privazione di uno o più gradi di gravame a seconda dello stato del giudizio pendente da svolgersi eventualmente anche in sede di appello dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale e, quindi, in sede di legittimità dinanzi alla Corte di Cassazione»;

che, sempre per il rimettente, la norma censurata «non sembra in linea con i principi del giusto processo anche tributario, che prevede un generale diritto a tre gradi di impugnativa nei confronti di un atto accertativo di un obbligo tributario o sulla legittimità di una pretesa tributaria dell’ufficio»;

che il rimettente aggiunge che «l’indicazione del giudice presso il quale pende l’originaria controversia, quale giudice esclusivo dell’impugnazione dell’atto di diniego comporta una mutazione della tipicità degli atti di gravame, sia per l’appello (art. 53 del D.Lgs. n. 546/1992) che, a maggior ragione, per il ricorso in Cassazione (art. 360 del Codice di Procedura Civile)», perché «oggetto del processo, è un vizio della sentenza e mai la legittimità di un atto accertativo dell’Amministrazione Finanziaria» e «ci si trova quindi, davanti ad una forzatura processuale che implica l’adeguamento dello strumento di gravame a seconda del giudice»;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la Corte costituzionale dichiari inammissibile o manifestamente infondata la questione proposta;

che la difesa erariale rileva che il giudice rimettente non ha indicato i parametri alla stregua dei quali andrebbe condotto il vaglio di costituzionalità richiesto e che, in ogni caso, la questione è già stata esaminata e ritenuta manifestamente infondata dalla Corte costituzionale con l’ordinanza n. 107 del 2007.

Considerato che la Commissione tributaria regionale del Lazio dubita della legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 8, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003), in relazione ai «principi del giusto processo anche tributario, che prevede un generale diritto a tre gradi di impugnativa nei confronti di un atto accertativo di un obbligo tributario o sulla legittimità di una pretesa tributaria dell’ufficio»;

che la questione è manifestamente inammissibile, per difetto di rilevanza;

che, infatti, il rimettente, mentre da un lato riferisce che il giudizio a quo consiste soltanto nell’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza di accoglimento del ricorso del contribuente contro una cartella esattoriale ed esclude così che tale giudizio abbia ad oggetto l’impugnazione del diniego dell’Agenzia delle entrate alla richiesta del contribuente di definire detta lite, dall’altro, invece, censura una norma – quella che disciplina detta impugnazione – la quale, per sua stessa ammissione, concerne una fattispecie diversa da quella oggetto del giudizio a quo;

che pertanto, in base alle stesse affermazioni del rimettente, la norma denunciata non trova applicazione nel giudizio principale;

che, anche a voler prescindere dalla riscontrata manifesta inammissibilità, la questione sollevata non potrebbe essere accolta nel merito: questa Corte infatti, sia pure con riferimento al parametro dell’art. 3 Cost., ha già ritenuto manifestamente infondata un’analoga questione avente ad oggetto il censurato art. 16, comma 8, della legge n. 289 del 2002, affermando che «l’attribuzione alla cognizione del giudice investito della lite fiscale pendente della competenza sull’impugnazione del diniego di definizione rientra tra le scelte, non arbitrarie o non manifestamente irragionevoli, del legislatore» e che, per costante giurisprudenza (sentenza n. 288 del 1997, ordinanze n. 84 del 2003 e n. 585 del 2000), non rientra fra i princípi del giusto processo la garanzia del doppio grado della giurisdizione di merito, la quale «non ha copertura costituzionale generalizzata» (ordinanza n. 107 del 2007).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 8, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003), sollevata, in riferimento ai «principi del giusto processo», dalla Commissione tributaria regionale del Lazio con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 novembre 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Franco GALLO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 30 novembre 2007.