Ordinanza n. 84/2003

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ORDINANZA N.84

ANNO 2003

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori Giudici:

- Riccardo CHIEPPA, Presidente

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA        

- Carlo MEZZANOTTE         

- Fernanda CONTRI   

- Guido NEPPI MODONA    

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI    

- Franco BILE 

- Giovanni Maria FLICK        

- Ugo DE SIERVO     

- Romano VACCARELLA    

- Paolo MADDALENA          

- Alfio FINOCCHIARO        

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 5, ultima parte, del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti), convertito, con modificazioni, nella legge 14 gennaio 1994, n. 19, promosso con ordinanza del 4 luglio 2002 dalla Corte dei conti – sezione giurisdizionale d’appello per la Regione Siciliana, sul ricorso proposto da Romano Maria Annunziata, nella qualità di tutrice di C.M., contro il Ministero della difesa, iscritta al n. 409 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, prima serie speciale, dell’anno 2002.

Visti l’atto di costituzione di Romano Maria Annunziata, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 12 febbraio 2003 il Giudice relatore Paolo Maddalena.

Ritenuto che la Corte dei conti – sezione giurisdizionale d’appello per la Regione Siciliana, con ordinanza del 4 luglio 2002, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 5, ultima parte, del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti), convertito, con modificazioni, nella legge 14 gennaio 1994, n. 19, sostituito dall’art. 1 del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543 (Disposizioni urgenti in materia di ordinamento della Corte dei conti), convertito, con modificazioni, nella legge 20 dicembre 1996, n. 639, nella parte in cui prevede l’appello in materia di pensioni per soli motivi di diritto e definisce questioni di fatto quelle relative alla dipendenza di infermità, lesioni o morte da causa di servizio o di guerra e quelle relative alla classifica o all’aggravamento di infermità o lesioni;

che il giudice a quo ha esposto, in fatto, di essere stato investito dell’appello in ordine alla richiesta di concessione di un trattamento pensionistico di privilegio per una patologia mentale che il ricorrente assume dipendente da causa di servizio militare di leva;

che il remittente ha ritenuto la questione rilevante ai fini del decidere e non manifestamente infondata;

che, secondo il giudice a quo, la disposizione in questione sarebbe "al suo interno" incongruente, in quanto, allo stesso tempo, limita l’appello pensionistico ai soli motivi di diritto e qualifica come questioni di fatto quelle relative alla dipendenza di infermità, lesioni o morte da causa di servizio o di guerra e quelle relative alla classifica o all’aggravamento di infermità o lesioni, con ciò precludendo "in ogni caso" l’appello nelle materie specificate, e cioè tanto nell’ipotesi in cui l’appello sia fondato su motivi di fatto, quanto in quella in cui sia basato su questioni di diritto;

che detta limitazione dell’appello pensionistico "a particolari motivi di impugnazione" non è sorretta da una "ragionevole giustificazione", perché l’intento del legislatore di non trasferire in appello il notevole numero di cause già pendenti in primo grado costituisce un "elemento estrinseco" alle ragioni di tutela del pensionato;

che, inoltre, la norma in questione determina per il ricorrente una "disparità sostanziale di trattamento in ordine alla garanzia del doppio grado di giurisdizione", secondo che gli venga negato, in primo grado, un trattamento pensionistico per motivi di diritto ovvero per motivi di fatto, trattandosi "di situazioni di identica natura";

che si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale venga dichiarata manifestamente infondata;

che si è costituito, fuori termine, il ricorrente nel giudizio a quo.

Considerato che la Corte dei conti – sezione giurisdizionale d’appello per la Regione Siciliana, con l’ordinanza in parola, ritiene che l’art. 1, comma 5, ultima parte, del decreto-legge n. 453 del 1993, convertito, con modificazioni, nella legge n. 19 del 1994 sarebbe lesivo degli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione, poiché la scelta legislativa, limitando ad un solo grado di giudizio la tutela dei diritti del pensionato nei confronti degli atti amministrativi illegittimi, sarebbe, allo stesso tempo, intrinsecamente incongrua, priva di ragionevole giustificazione e determinerebbe una disparità di trattamento tra situazioni di identica natura;

che, in ordine alle lamentate censure, va innanzitutto ricordata la costante giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il legislatore gode di un’ampia discrezionalità nella regolamentazione dei diversi istituti processuali e nella previsione di forme differenziate di tutela con riguardo alla particolarità del rapporto dedotto in giudizio, nel rispetto del criterio della ragionevolezza (ex plurimis: sentenze n. 82 del 1996, n. 429 del 1998 e n. 165 del 2000);

che non esiste un principio costituzionale del doppio grado della cognizione di merito, non inerendo tale istituto alla garanzia del diritto di difesa, sicché il legislatore può diversamente strutturare il giudizio di appello (sentenza n. 585 del 2000);

che la garanzia della difesa si realizza non tanto con la duplicità della cognizione della causa da parte di giudici di merito diversi, ma con la possibilità concreta che nel processo vengano prospettate le domande e le ragioni delle parti, che non siano legittimamente precluse (sentenza n. 117 del 1973);

che ragionevolmente il legislatore, data la specificità della materia, ha limitato l’appello ai soli motivi di diritto e, definendo questioni di fatto quelle relative alla dipendenza di infermità, lesioni o morte da causa di servizio o di guerra e quelle relative alla classifica o all’aggravamento di infermità o lesioni, non è incorso in alcuna incongruenza, in quanto detti giudizi, a meno che non si tratti di difetto assoluto di motivazione (Corte dei conti, sezioni riunite, n. 10/QM del 2000), non richiedono necessariamente un doppio grado di cognizione. Essi, infatti, si configurano, in prime cure, come riesame di un complesso procedimento amministrativo improntato ai principi della trasparenza e del contraddittorio e riguardano essenzialmente il problema dell’insorgenza del diritto, verificabile con la piena garanzia dell’impiego di tutti i mezzi istruttori per la "ricerca della verità" (sentenze n. 146 del 1987 e n. 251 del 1989; ordinanza n. 131 del 1998);

che dette limitazioni, diversamente da quanto ritiene il giudice a quo, appaiono pienamente ragionevoli, anche perché non si fondano su motivi estrinseci, ma ineriscono alla specificità della materia;

che, per quanto infine concerne la censura di una irragionevole disparità di trattamento in ordine alla garanzia del doppio grado di giurisdizione in presenza di situazioni di identica natura, va tenuto presente che non possono considerarsi di "identica natura" le questioni concernenti l’interpretazione di norme giuridiche e quelle riguardanti aspetti medico-legali del contenzioso pensionistico, essendo fondate su presupposti e logiche ontologicamente diversi;

che, per i profili anzidetti, la questione di legittimità costituzionale della norma denunciata in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione deve ritenersi manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi innanzi alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 5, ultima parte, del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti), convertito, con modificazioni, nella legge 14 gennaio 1994, n. 19, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione, dalla Corte dei conti – sezione giurisdizionale d’appello per la Regione Siciliana, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 marzo 2003.

Riccardo CHIEPPA, Presidente

Paolo MADDALENA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 27 marzo 2003.