Ordinanza n. 393 del 2007

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ORDINANZA N. 393

ANNO 2007

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco                    BILE                      Presidente

- Francesco               AMIRANTE              Giudice

- Ugo                                DE SIERVO                          "

- Paolo                      MADDALENA             "

- Alfio                      FINOCCHIARO          "

- Alfonso                  QUARANTA                "

- Franco                    GALLO                        "

- Luigi                      MAZZELLA                 "

- Sabino                    CASSESE                    "

- Maria Rita             SAULLE                      "

- Giuseppe               TESAURO                   "

- Paolo Maria            NAPOLITANO             "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 48 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), così come modificato dall’art. 45 del decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali a norma dell'articolo 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80), promosso con ordinanza del 27 giugno 2006 dal Tribunale ordinario di Brescia nel procedimento civile vertente tra il Fallimento Panatronic S.r.l. e Poste Italiane S.p.A., iscritta al n. 278 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17, prima serie speciale, dell’anno 2007.

       Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 10 ottobre 2007 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano.

Ritenuto che, con ordinanza depositata il 27 giugno 2006, il Tribunale ordinario di Brescia ha sollevato questione incidentale di costituzionalità, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, dell’art. 48 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), così come modificato dall’art. 45 del decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali a norma dell'articolo 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80), nella parte in cui tale disposizione non prevede più che la corrispondenza diretta al fallito debba essere consegnata direttamente al curatore del fallimento;

che il rimettente è chiamato a giudicare in ordine al reclamo presentato dal curatore del fallimento di una società di capitali avverso il provvedimento col quale era stata rigettata la richiesta di emissione di misura cautelare volta ad ottenere, ai sensi dell’art. 48 legge fall., l’ordine a Poste Italiane S.p.A. di consegnare al predetto curatore la corrispondenza che «fosse giacente, pervenisse o fosse indirizzata» alla società fallita;

che, affermata l’applicabilità al fallimento de quo, dichiarato con sentenza del 4 febbraio 2006, dell’art. 48 legge fall. nel testo riformato dall’art. 45 del d. lgs. n. 5 del 2006, il giudice a quo ha precisato che, mentre il testo previgente della citata disposizione prevedeva che la corrispondenza inviata al fallito dovesse essere consegnata al curatore, il quale tratteneva presso di sé solo quella riguardante il fallimento, l’attuale testo normativo prevede che sia il fallito, ricevuta la corrispondenza a lui indirizzata, a dover consegnare al curatore quella inerente i rapporti compresi nel fallimento;

che, secondo il rimettente, alla luce della vigente legislazione, il reclamo cautelare dovrebbe essere respinto, con ciò evidenziandosi, sotto il profilo della rilevanza, la ammissibilità della questione di legittimità costituzionale;

che, quanto alla non manifesta infondatezza, il Tribunale di Brescia, ritenuto di doverla esaminare alla stregua degli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, rileva che l’art. 142 legge fall., nel testo vigente a decorrere dal 16 luglio 2006, prevede che l’imprenditore fallito, se persona fisica, possa ottenere il beneficio della “esdebitazione” a condizione di non aver violato le disposizioni di cui all’art. 48 della stessa legge, mentre, per il caso dell’amministratore della società di capitali, non è prevista, in caso di violazione dell’art. 48 legge fall., alcuna “sanzione”;  

che, ad avviso del rimettente, sarebbe, in tal modo, di fatto consentito agli amministratori di società di non consegnare al curatore del fallimento la corrispondenza indirizzata alla società medesima, occultando informazioni utili per l’individuazione dei beni sottoposti alla procedura, con nocumento dei creditori che risulterebbero così privi di adeguata tutela processuale, risultando in tal modo violato l’art. 111 della Costituzione;

che, per il giudice a quo, sarebbe, altresì, violato l’art. 24 della Costituzione, poiché la tutela dei creditori fallimentari sarebbe subordinata alla volontà del soggetto passivo della procedura;

che, infine, la norma impugnata si porrebbe in contrasto anche con l’art. 3 della Costituzione, in quanto prevede la medesima disciplina sia nei riguardi dell’imprenditore individuale, in relazione al quale possono effettivamente sussistere le esigenze di tutela della riservatezza richiamate a livello costituzionale dall’art. 15 della Costituzione, sia nei riguardi dell’imprenditore che operi sotto forma di società di capitali, la cui corrispondenza, necessariamente relativa a soli rapporti commerciali, non giustifica la medesima tutela;

che l’applicabilità della medesima disciplina a situazioni fra loro così difformi sarebbe indice della sua irragionevolezza;

che ulteriore profilo di irragionevolezza sarebbe rappresentato dal fatto che, essendo la preclusione all’accesso alla esdebitazione applicabile solo all’imprenditore individuale che non consegni al curatore la corrispondenza inerente al fallimento, solo questo sarà “spinto” ad adempiere all’obbligo di consegna, strumentale alla tutela dei creditori;

che in tal modo, però, il bilanciamento degli interessi fra tutela della segretezza della corrispondenza e tutela dei creditori concorsuali risulterà irragionevolmente sperequato, nel senso che, là dove è minore – se non inesistente – l’interesse alla riservatezza, di fatto minore sarà anche la tutela dei creditori, che risulterà più intensa là dove è, invece, riscontrabile un’apprezzabile esigenza di riservatezza;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso per la infondatezza della questione;

che per l’Avvocatura la norma in questione è volta ad assicurare tutela alla segretezza della corrispondenza, secondo quanto previsto dall’art. 15 della Costituzione, senza porsi in contrasto con gli artt. 111 e 24 della Costituzione, poiché i creditori fallimentari possono agire nei confronti del fallito per l’adempimento dell’obbligo di consegna su di lui gravante;

che la previsione della impossibilità di accedere alla esdebitazione solo nei confronti delle persone fisiche è conseguenza della diversità strutturale fra queste ultime e le persone giuridiche;

che la necessità del generale rispetto di quanto dettato dall’art. 15 della Costituzione giustifica la ampiezza della portata della norma denunciata della quale, in quanto collegata al ricordato precetto costituzionale, non è concepibile la secca rimozione;

che, infine, violerebbe la discrezionalità del legislatore la introduzione di un regime alternativo a quello esistente;

che, con memoria illustrativa depositata il 18 settembre 2007, la Avvocatura dello Stato ha informato che il Consiglio dei ministri, nella seduta del 6 settembre 2007, ha approvato lo schema di un decreto legislativo correttivo delle modifiche introdotte alla legge fallimentare;

che fra le norme oggetto di “correzione” vi è anche il nuovo art. 48, il quale, nel testo scaturito dal recente provvedimento governativo, prevede che l’obbligo di trasmissione al curatore del fallimento della corrispondenza ricevuta concerna solo il fallito persona fisica, mentre al comma 2,  di nuova introduzione, prevede che «La corrispondenza diretta al fallito che non sia persona fisica è consegnata al curatore»;

che, in considerazione della imminente pubblicazione di tale provvedimento, la difesa erariale chiede che gli atti siano restituiti al rimettente, per una nuova valutazione della rilevanza della questione.  

Considerato che il Tribunale ordinario di Brescia dubita, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 48 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), così come modificato dall’art. 45 del decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali a norma dell'articolo 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80), nella parte in cui, senza distinguere fra imprenditore persona fisica e imprenditore persona giuridica, non prevede più che la corrispondenza diretta a soggetto del quale sia stato dichiarato il fallimento debba essere direttamente consegnata al curatore fallimentare, il quale aveva diritto di trattenere quella riguardante interessi patrimoniali, prevedendo, invece, l’obbligo per l’imprenditore fallito, o per gli amministratori o i liquidatori in caso di fallimento di persona giuridica, di consegnare al curatore la corrispondenza riguardante i rapporti compresi nel fallimento;

che deve, preliminarmente, essere disattesa la richiesta di restituzione degli atti al giudice rimettente, formulata dalla Avvocatura generale dello Stato nella sua memoria illustrativa del 18 settembre 2007 e fondata sulla intervenuta modificazione della disposizione censurata per effetto della approvazione da parte del Consiglio dei ministri di uno schema di decreto legislativo il quale apporta modifiche sostanziali al testo della disposizione censurata;

che, infatti, così come formulata, la richiesta non può essere accolta, posto che l’avvenuta approvazione in sede governativa dello schema di decreto legislativo, prima del perfezionamento della procedura volta alla formazione degli atti aventi forza di legge, non ha alcuna idoneità a modificare il diritto oggettivo e, quindi, a giustificare, sulla premessa di un mutamento normativo, la restituzione degli atti al giudice rimettente onde consentire a questo di esaminare la perdurante rilevanza della questione;

che deve, tuttavia, rilevarsi che, successivamente al deposito da parte della Avvocatura erariale della ricordata memoria illustrativa, è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 241 del 16 ottobre 2007 il decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 169 (Disposizioni integrative e correttive al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nonché al decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, in materia di disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa, ai sensi dell’art. 1, commi 5, 5-bis e 6, della legge 14 maggio 2005, n. 80), il quale, all’art. 4, comma 1, modifica la norma censurata;

che, peraltro, neppure tale circostanza appare idonea a giustificare la restituzione degli atti al giudice rimettente, una volta che si consideri che, pur prescindendosi dai profili relativi alla applicabilità delle modifiche introdotte col decreto legislativo n. 169 del 2007 alle procedure fallimentari già pendenti, la data della sua entrata in vigore è fissata, dall’art. 22, comma 1, del medesimo decreto legislativo, al 1° gennaio 2008;

 che il giudice rimettente ravvisa una violazione degli artt. 24 e 111 della Costituzione nel fatto che l’art. 48 legge fall. non preveda alcuna “sanzione” (rectius: conseguenza pregiudizievole) a carico dell’amministratore di società di capitali che ometta di consegnare al curatore fallimentare la corrispondenza a contenuto patrimoniale da lui ricevuta, avendo questi la possibilità di «occultare […] informazioni utili per l’individuazione dei beni sottoposti ad esecuzione concorsuale», così cagionando nocumento ai creditori, privi di «adeguata tutela nel processo» in quanto questa sarebbe subordinata «alla volontà del soggetto passivo del fallimento»;

che, anche a non voler considerare che l’evenienza, paventata dal ricorrente, – per cui non sarebbe sanzionabile il comportamento dell’amministratore di una società di capitali fallita il quale, attraverso la mancata trasmissione al curatore della corrispondenza riguardante i rapporti compresi nel fallimento, venga a nascondere beni fallimentari – è esclusa in quanto l’ordinamento prevede quale reato la condotta di chi, rivestendo, fra l’altro, la qualità di amministratore o liquidatore di società dichiarata fallita, occulti beni del fallimento (artt. 216 e 223 legge fall.), deve rilevarsi che, in realtà, il rimettente si limita a denunciare una presunta situazione di contrasto tra la disciplina censurata e gli evocati parametri costituzionali, senza indicare uno specifico petitum e senza precisare quale intervento di questa Corte sarebbe necessario onde ricondurre la  norma censurata a legittimità costituzionale;

che analoghe considerazioni valgono in relazione alla dedotta violazione dell’art. 3 della Costituzione, argomentata sulla base della asserita diversità fra imprenditore persona fisica e imprenditore persona giuridica, tale da non giustificare, sotto il profilo della ragionevolezza, la adozione, quanto alla tutela della libertà e segretezza della corrispondenza a tali soggetti indirizzata, di una medesima disciplina;

che, in particolare, sul punto, oltre alla indeterminatezza del petitum formulato a questa Corte, emerge il fatto che il rimettente, di fronte ad una fattispecie normativa che realizza un bilanciamento di interessi fra i valori costituzionali in giuoco – quello che della segretezza e libertà della corrispondenza, direttamente presidiato dall’art. 15 della Costituzione, e quello della tutela giudiziaria della iniziativa economica – sollecita a questa Corte, sulla base di una sua personale sensibilità alla tematica in questione, la adozione di un altro, diverso, criterio di bilanciamento la cui individuazione, nella molteplicità delle soluzioni possibili, è, però, rimessa alla prudente discrezionalità del legislatore;  

che, attese le considerazioni che precedono e  conformemente alla costante giurisprudenza di questa Corte (ordinanze n. 279, n. 186 e n. 35 del 2007 quanto al primo profilo, nonché sentenza n. 377 del 1994 e ordinanza n. 302 del 1998 quanto al secondo), la questione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 48 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), così come modificato dall’art. 45 del decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali a norma dell'articolo 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Brescia con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 novembre 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 23 novembre 2007.