ORDINANZA N. 186
ANNO 2007
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 39 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 (Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’art. 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300), promosso con ordinanza del 3 marzo 2006 dal Tribunale di Gela nel procedimento penale a carico di Costanzo Vincenzo, iscritta al n. 416 del registro ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell’anno 2006.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 9 maggio 2007 il Giudice relatore Sabino Cassese.
Ritenuto che il giudice monocratico del Tribunale di Gela ha sollevato, in riferimento agli artt. 24 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 39 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 (Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’art. 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300);
che la disposizione impugnata prevede che l’ente partecipa al procedimento penale con il proprio rappresentante legale, salvo che questi sia imputato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo (comma 1); disciplina le modalità di costituzione dell’ente che intende partecipare al procedimento (comma 2), nonché la procura e le modalità di deposito della stessa; infine, stabilisce che, se non compare il rappresentante legale, l’ente costituito è rappresentato dal difensore (comma 4);
che, in ordine al processo innanzi a lui pendente, il giudice rimettente afferma solo che la società è stata tratta a giudizio, con decreto del Giudice dell’udienza preliminare, in persona del legale rappresentante e che quest’ultimo è stato «tratto a giudizio personalmente come imputato dei medesimi reati»;
che il giudice a quo – descritto in generale il quadro normativo, anche con riferimento alla legge delega – mette in risalto il conflitto di interessi che può determinarsi tra l’ente e il proprio rappresentante legale, quando questi è imputato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo, oltre a soffermarsi sulla scelta del legislatore delegato di affidare ogni determinazione in ordine alla difesa dell’ente al rappresentante legale dello stesso, quale soggetto idoneo ad una efficace difesa, stante la conoscenza della relativa organizzazione;
che, tutto ciò premesso, il giudice afferma che la questione di legittimità costituzionale è rilevante ai fini della decisione del processo e non manifestamente infondata in riferimento agli artt. 24 e 111 Cost.;
che, in particolare, la mancanza di una disciplina volta a garantire una adeguata difesa alla persona giuridica, «tratta in giudizio» in conflitto di interessi con il proprio legale rappresentante, mediante il superamento del conflitto (ad esempio secondo lo schema previsto dall’art. 71 del codice di procedura penale in materia di sospensione del procedimento per incapacità dell’imputato), oltre che l’assenza di un «regime processuale sanzionatorio» per l’ipotesi in cui «comunque, l’ente venga tratto a giudizio in persona del legale rappresentante in conflitto», violerebbero l’art. 24 Cost., a tenore del quale la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del processo;
che lo stesso vuoto normativo, «eludendo di fatto» la possibilità per l’ente di partecipare efficacemente al giudizio mediante la predisposizione delle proprie difese nei confronti del (eventualmente contro il) proprio rappresentante legale in conflitto, violerebbe il generale principio del giusto processo fissato dall’art. 111 Cost.;
che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e, in subordine, infondata;
che, secondo la difesa erariale, la questione sarebbe inammissibile per difetto di rilevanza perché, ai fini della sussistenza del conflitto, non è sufficiente – come ritenuto dal giudice rimettente – che il legale rappresentante sia imputato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo, ma è «necessario precisare, in concreto, in relazione alla fattispecie, in cosa il dedotto conflitto si sostanzi»;
che, comunque, sarebbe infondata perché la persona giuridica può risolvere il conflitto con gli strumenti societari – nominando un nuovo rappresentante legale o un rappresentante legale con poteri limitati alla gestione del processo – e partecipare così pienamente al processo a suo carico; invece, se conferma come legale rappresentante l’imputato persona fisica, sceglie consapevolmente la posizione di contumace.
Considerato che nell’ordinanza di rimessione si rinvengono gravi carenze nella descrizione della fattispecie;
che, infatti, non risulta di quali reati risponde in proprio il legale rappresentante e di quali reati risponde la società; né se la società si è costituita, ai sensi dell’art. 39 censurato, con il rappresentante legale imputato personalmente, ovvero con un nuovo rappresentante legale, o con un rappresentante nominato appositamente per il processo; oppure se la società non si è costituita ed è stata dichiarata contumace;
che, pertanto, non risultando dall’ordinanza l’esistenza delle condizioni per l’applicabilità della norma censurata nel giudizio principale, la questione va dichiarata manifestamente inammissibile per difetto di motivazione sulla rilevanza (ordinanza n. 36 del 2007);
che, inoltre, il giudice lamenta: a) l’esistenza di un «vuoto normativo», non avendo il legislatore dettato «una compiuta disciplina» idonea a garantire una adeguata difesa alla persona giuridica, «tratta in giudizio» in conflitto di interessi con il proprio legale rappresentante, mediante il superamento del conflitto; b) «la mancata previsione di un regime processuale sanzionatorio» per l’ipotesi in cui «comunque, l’ente venga tratto a giudizio in persona del legale rappresentante in conflitto»;
che il giudice rimettente si limita a invocare una soluzione dei problemi denunciati, senza formulare alcuna domanda specifica, lasciando così indeterminato il possibile intervento di questa Corte, con conseguente manifesta inammissibilità della questione anche per tale profilo (ordinanza n. 35 del 2007).
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 39 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 (Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’art. 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300), sollevata, in riferimento agli artt. 24 e 111 della Costituzione, dal giudice monocratico del Tribunale di Gela con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 giugno 2007.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Sabino CASSESE, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 12 giugno 2007.