ORDINANZA N. 327
ANNO 2007
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 593 del codice di procedura penale, come sostituito dall’art. 1 della legge 20 febbraio 2006 n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento), e dell’art. 10 della stessa legge, promosso con ordinanza del 5 maggio 2006 dalla Corte d’appello di Palermo nel procedimento penale a carico di M.C., iscritta al n. 391 del registro ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell’anno 2006.
Visto l’atto di costituzione di M.C.;
udito nella camera di consiglio del 4 luglio 2007 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.
Ritenuto che la Corte d’appello di Palermo ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 111, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 593 del codice di procedura penale, come sostituito dall’art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento), nella parte in cui non consente al pubblico ministero di proporre appello avverso le sentenze di proscioglimento, se non nel caso previsto dall’art. 603, comma 2, del codice di procedura penale, ossia quando sopravvengano o si scoprano nuove prove dopo il giudizio di primo grado e sempre che tali prove risultino decisive;
che la Corte d’appello rimettente dubita altresì, in riferimento all’art. 3 Cost., della legittimità costituzionale dell’art. 10 della citata legge n. 46 del 2006, nella parte in cui non prevede, «per i processi in corso e, dunque, anche in sede di giudizio a seguito di rinvio dalla Cassazione (comma 4)», che il pubblico ministero possa proporre appello avverso le sentenze di proscioglimento nelle ipotesi di cui al sopra menzionato art. 603, comma 2;
che la Corte d’appello rimettente premette, ai fini della rilevanza, di essere chiamata a celebrare il giudizio a seguito di annullamento con rinvio, da parte delle Sezioni unite della Corte di cassazione, della sentenza di condanna pronunciata dal giudice d’appello, su impugnazione proposta dal pubblico ministero, in riforma della sentenza assolutoria di primo grado;
che essendo entrata in vigore, successivamente al rinvio disposto dalla Cassazione, la legge n. 46 del 2006 − il cui art. 1, sostituendo l’art. 593 cod. proc. pen., ha sottratto al pubblico ministero il potere di appellare le sentenze di proscioglimento − l’appello dovrebbe essere dichiarato inammissibile in forza del richiamo operato dal comma 4 dell’art. 10 della medesima legge al comma 2 dello stesso articolo;
che, nel merito, la rimettente dubita in primo luogo della legittimità costituzionale dell’art. 593 cod. proc. pen. nel testo novellato, assumendone il contrasto con gli artt. 3 e 111, secondo comma, della Costituzione per irragionevolezza e violazione del principio della parità tra le parti;
che, richiamata la giurisprudenza costituzionale in tema di giudizio abbreviato (ordinanze n. 165 del 2003, n. 347 del 2002, n. 421 del 2001), il giudice a quo osserva che, sebbene la previsione di limiti al potere di impugnazione del pubblico ministero non si ponga di per sé in contrasto con la Costituzione, la diversità dei poteri processuali riconosciuti alle parti deve pur sempre essere assistita da idonee ragioni giustificatrici: ragioni che la Corte ha individuato nella peculiare posizione istituzionale del pubblico ministero, nella funzione allo stesso affidata e nelle esigenze connesse alla corretta amministrazione della giustizia;
che la preclusione all’appello del pubblico ministero avverso le sentenze di proscioglimento introdotta dalla legge n. 46 del 2006 non troverebbe invece «ragionevole giustificazione nei limiti richiesti dalle richiamate pronunce della Corte» e sempre collegati a «istituti deflativi in cui rinunce dell’imputato producono il risultato apprezzabile della definizione più sollecita del processo»;
che la disciplina censurata, nel riservare «esclusivamente all’imputato lo strumento di un nuovo giudizio di merito per vedere riconosciuta la propria innocenza», si porrebbe inoltre in contrasto con il principio di ragionevolezza, tenuto conto di quanto la stessa Corte costituzionale ha finora affermato in ordine alla garanzia del doppio grado di giurisdizione: e cioè che, in un sistema in cui il doppio grado non forma oggetto di garanzia giurisdizionale (ordinanza n. 421 del 2001), «non è la doppia istanza che garantisce la completa difesa, ma piuttosto la possibilità di prospettare al giudice ogni domanda ed ogni ragione che non siano legittimamente precluse» (ordinanza n. 316 del 2002);
che di conseguenza il legislatore non potrebbe che assicurare ad entrambe le parti il potere di sottoporre la decisione ad un «controllo critico da parte di un giudice sovraordinato», salvo che sussistano ragionevoli motivi che giustifichino una diversa disciplina;
che un ulteriore profilo di irragionevolezza emergerebbe dal raffronto con il potere di proporre appello avverso le sentenze di condanna che il legislatore ha mantenuto in capo al pubblico ministero;
che, con riferimento alla disciplina transitoria, la Corte d’appello rimettente evidenzia invece la violazione del principio di uguaglianza nel differente trattamento riservato a «situazioni assolutamente identiche», atteso che «la valutazione dell’ammissibilità dell’appello del pubblico ministero contro le sentenze di proscioglimento, in caso di sopravvenuta nuova prova decisiva, dipende esclusivamente dal fatto che l’impugnazione sia stata proposta prima o dopo l’entrata in vigore della nuova legge»;
che tale ultima questione sarebbe rilevante nel giudizio a quo, avendo il Procuratore generale formulato «la richiesta di esame di un nuovo collaboratore di giustizia le cui dichiarazioni sono prospettate come decisive»;
Considerato che il dubbio di costituzionalità sottoposto a questa Corte ha per oggetto la preclusione, conseguente alla modifica dell’art. 593 del codice di procedura penale ad opera dell’art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento), dell’appello delle sentenze dibattimentali di proscioglimento da parte del pubblico ministero e l’immediata applicabilità di tale regime, in forza dell’art. 10 della legge, ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della medesima;
che, successivamente all’ordinanza di rimessione, questa Corte, con sentenza n. 26 del 2007, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della citata legge n. 46 del 2006 «nella parte in cui, sostituendo l’art. 593 del codice di procedura penale, esclude che il pubblico ministero possa appellare contro le sentenze di proscioglimento, fatta eccezione per le ipotesi previste dall’art. 603, comma 2, del medesimo codice, se la nuova prova è decisiva», e dell’art. 10, comma 2, della medesima legge, «nella parte in cui prevede che l’appello proposto contro una sentenza di proscioglimento dal pubblico ministero prima della data di entrata in vigore della medesima legge è dichiarato inammissibile»;
che, alla stregua della richiamata pronuncia di questa Corte, gli atti devono pertanto essere restituiti al giudice rimettente per un nuovo esame della rilevanza delle questioni, tenuto conto in particolare, per quel che concerne la dedotta incostituzionalità della disciplina transitoria, che il comma 4 dell’art. 10 fa espresso richiamo al comma 2 (già dichiarato, come detto, costituzionalmente illegittimo) del medesimo articolo, stabilendo che tale disposizione «si applica anche nel caso in cui sia annullata, su punti diversi dalla pena o dalla misura di sicurezza, una sentenza di condanna di una corte d’assise d’appello o di una corte d’appello che abbia riformato una sentenza di assoluzione».
LA CORTE COSTITUZIONALE
ordina la restituzione degli atti alla Corte d’appello di Palermo.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 luglio 2007.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Giovanni Maria FLICK, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 24 luglio 2007.