Sentenza n. 305 del 2007

SENTENZA N. 305

ANNO 2007

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori:

-         Franco                                          BILE                                      Presidente

-         Giovanni Maria                            FLICK                                               Giudice

-         Francesco                                     AMIRANTE                               “

-         Ugo                                              DE SIERVO                               “

-         Paolo                                            MADDALENA                          “

-         Alfio                                            FINOCCHIARO                        “

-         Alfonso                                        QUARANTA                             “

-         Franco                                          GALLO                                      “

-         Luigi                                            MAZZELLA                              “

-         Gaetano                                       SILVESTRI                                “

-         Sabino                                          CASSESE                                   “

-         Maria Rita                                    SAULLE                                    “

-         Giuseppe                                      TESAURO                                 “

-         Paolo Maria                                  NAPOLITANO                          “

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della deliberazione della Camera dei deputati del 30 luglio 2003, relativa alla insindacabilità, ai sensi dell’art. 68, primo comma, Cost., delle opinioni espresse dal deputato Umberto Bossi nell’intervista rilasciata al quotidiano “Il Messaggero” pubblicata nell’edizione del 25 marzo 2002, promosso con ricorso del Tribunale di Roma notificato il 21 febbraio 2006, depositato in cancelleria il 2 marzo 2006 ed iscritto al n. 27 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2005, fase di merito.

Visto l’atto di costituzione della Camera dei deputati nonché l’atto di intervento della C.G.I.L., Confederazione Generale Italiana del Lavoro e di Cofferati Sergio;

udito nell’udienza pubblica del 3 luglio 2007 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro;

uditi gli avvocati Franco Coccia per la C.G.I.L., Confederazione Generale Italiana del Lavoro e per Cofferati Sergio e Massimo Luciani per la Camera dei deputati.

Ritenuto in fatto

1. – Con ricorso del 17 febbraio 2005, il Tribunale di Roma, in composizione monocratica – nel corso di un procedimento civile promosso dalla Confederazione Generale Italiana del Lavoro e da Sergio Cofferati nei confronti del deputato Umberto Bossi, oltre che della società “Il Messaggero S.p.A.”, di Mario Conti e di Paolo Graldi, rispettivamente editrice, giornalista e direttore responsabile del quotidiano “Il Messaggero”, al fine di ottenerne la condanna in solido, previo accertamento del reato di diffamazione, al risarcimento dei danni derivanti dalla pubblicazione, nell’edizione del 25 marzo 2002, di un articolo-intervista avente ad oggetto l’omicidio del prof. Marco Biagi ad opera delle Brigate Rosse in Bologna – ha sollevato conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato, nei confronti della Camera dei deputati, in relazione alla delibera adottata dall’Assemblea, su conforme proposta della Giunta per le autorizzazioni, nella seduta del 30 luglio 2003 (Doc. IV-quater, n. 55), con la quale è stato dichiarato che i fatti per i quali è in corso il predetto procedimento riguardano opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni parlamentari e sono, in quanto tali, insindacabili, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.

Il Tribunale ricorrente fa presente che gli attori addebitano al deputato in questione, intervistato dal giornalista Conti, le seguenti affermazioni: – che il sindacato ha «attuato una politica delle bugie che l’ha portato al terrorismo»; – che il Cofferati è «andato in giro per le fabbriche a raccontare delle balle, come quella che (la politica del governo) licenziava i lavoratori, così portando al terrorismo»; – che «la sinistra prima aveva ammazzato (il Biagi) e poi si era appropriata del morto»; – che «gli assassini non erano “chissà chi”, venivano da quel mondo e l’alibi erano le balle che Cofferati aveva raccontato in fabbrica»; – che il Cofferati «andando in giro a dire che ci saranno licenziamenti, sarebbe diventato anche segretario della sinistra ma aveva aperto la strada al terrorismo»; affermazioni aventi la chiara finalità di suggerire ai lettori la sussistenza di un collegamento di causa ed effetto tra l’azione del sindacato a tutela dei diritti dei lavoratori e l’omicidio del prof. Biagi, nonché di individuare nel sindacato il mondo di provenienza dei terroristi, spinti al delitto dall’opera del Cofferati e dell’organizzazione da lui guidata.

Il ricorrente aggiunge che, nella relazione della Giunta per le autorizzazioni, a sostegno del giudizio di insindacabilità, si richiamano le argomentazioni svolte in relazione alla analoga vicenda riguardante il deputato Taormina, secondo le quali le dichiarazioni rese dal parlamentare, pur al di fuori delle sedi parlamentari, nell’àmbito di un più ampio contesto facente riferimento a questioni sindacali, e, in particolare alla riforma dell’art. 18 dello statuto dei lavoratori, erano strettamente connesse all’ampio dibattito politico sviluppatosi nei giorni seguenti l’omicidio del prof. Biagi, mentre, contemporaneamente, si era svolta anche una discussione in sede parlamentare, nel corso della quale molti esponenti dei partiti di maggioranza avevano argomentato sul nesso esistente tra il grave delitto ed il dibattito politico sulla riforma del mercato del lavoro; e secondo le quali, ancora, la funzione di ministro ricoperta dal deputato Bossi rendeva implicito che, intervistato sull’azione politica del Governo in relazione a fatti specifici, egli avesse espresso opinioni in tale veste, e nell’esercizio di tale funzione.

Il Tribunale di Roma – richiamata la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo 3 giugno 2004, emessa nella causa De Jorio c. Italia – osserva che non risulta che il deputato Bossi abbia effettuato in aula un intervento nella immediatezza dell’omicidio del prof. Biagi, o comunque che abbia svolto un’attività nell’àmbito del dibattito politico sulla riforma del mercato del lavoro, nel cui contesto abbia affrontato le tematiche dei rapporti tra sindacato e terrorismo e, più specificamente, argomentato nei termini di cui alla intervista del 25 marzo 2002.

Inoltre, si rileva nel ricorso, il richiamo al contemporaneo dibattito politico e parlamentare sulle connessioni tra detto omicidio e la riforma del mercato del lavoro in via di attuazione da parte della maggioranza di governo è estremamente generico, mancando non solo di ogni riferimento ad una personale attività del deputato Bossi, ma soprattutto del requisito della identità sostanziale di contenuto con la specifica opinione espressa nell’articolo-intervista; e nulla di analogo alle affermazioni contestate al deputato in questione è, secondo il ricorrente, riscontrabile negli interventi dei deputati Cicchitto di Forza Italia e Cristaldi di Alleanza Nazionale, effettuati in aula il 20 marzo 2002 e richiamati dalla Giunta a conferma della centralità assunta dall’omicidio del prof. Biagi nel dibattito politico-parlamentare dell’epoca.

Infine, ad avviso del ricorrente, il richiamo dell’incarico di governo ricoperto dal deputato Bossi introdurrebbe un irrilevante elemento di confusione, poiché nessuna immunità per le opinioni espresse è invocabile a tutela della funzione di ministro della Repubblica.

In definitiva, la Camera dei deputati, secondo il ricorrente, avrebbe interpretato in modo erroneo la nozione di esercizio delle funzioni parlamentari, ledendo la sfera di attribuzioni della magistratura, in quanto le dichiarazioni rese dal deputato Bossi nella intervista di cui si tratta non potrebbero ritenersi collegate alle sue funzioni parlamentari, sicché non sarebbe invocabile, in relazione ad esse, l’immunità di cui all’art. 68, primo comma, della Costituzione.

Il predetto Tribunale ha, pertanto, chiesto l’annullamento della deliberazione di insindacabilità adottata dalla Camera dei deputati nella seduta del 30 luglio 2003, relativa alla intervista in questione.

2. – Il conflitto è stato dichiarato ammissibile da questa Corte con la ordinanza n. 53 del 2006, depositata il 10 febbraio 2006.

3. – Il ricorso introduttivo del presente giudizio, unitamente alla citata ordinanza, è stato notificato il 21 febbraio 2006 e depositato presso la cancelleria di questa Corte il 2 marzo 2006.

4. – Con atto depositato l’11 marzo 2006, si è costituita la Camera dei deputati, che ha eccepito la inammissibilità del ricorso, per carenza di una puntuale descrizione delle dichiarazioni rese dal deputato Bossi extra moenia e ritenute prive di nesso funzionale con atti parlamentari. Il Tribunale ricorrente si sarebbe, infatti, limitato ad estrapolare alcune frasi pronunciate dal predetto deputato senza nemmeno riportare l’atto di citazione in giudizio dello stesso: ciò che renderebbe impossibile l’accertamento dello stesso thema decidendum e le ragioni del conflitto.

Nel merito, la difesa della Camera dei deputati conclude per il rigetto del ricorso, ritenendo sussistente una connessione funzionale, anche se non materiale, tra le dichiarazioni di cui si tratta e la politica parlamentare, ferma restando la irrilevanza della generica attività politica svolta dal deputato.

Nella specie, ad avviso della difesa della Camera, le dichiarazioni espresse extra moenia dal deputato Bossi si inserivano in pieno nella politica parlamentare, ed anzi riproducevano opinioni espresse in atti tipici di funzione. Dette dichiarazioni erano successive al dibattito che, il 20 marzo 2002, si era svolto alla Camera sull’omicidio del prof. Biagi. Ma, soprattutto, è in alcuni successivi interventi e interrogazioni di numerosi parlamentari – alcuni dei quali appartenenti allo stesso gruppo parlamentare del deputato Bossi – che la questione da lui posta nelle sue dichiarazioni extra moenia, quella, cioè, della connessione terrorismo-questione sociale e delle relative responsabilità, sarebbe messa particolarmente in luce. Né varrebbe opporre che detti atti tipici provenissero da parlamentari diversi dal deputato Bossi. Al riguardo, la difesa della Camera sollecita una revisione dell’orientamento della Corte costituzionale contrario alla estensione della insindacabilità alle dichiarazioni rese extra moenia da un deputato e riproduttive di atti tipici compiuti da altri parlamentari.

5. – Nel giudizio innanzi alla Corte sono intervenuti la C.G.I.L. e Sergio Cofferati, i quali hanno preliminarmente sottolineato l’ammissibilità del loro intervento, in quanto soggetti offesi dalle dichiarazioni in questione, richiamando la giurisprudenza costituzionale in materia di insindacabilità dei consiglieri regionali e di immunità del Presidente della Repubblica; e, nel merito, hanno concluso per la non spettanza alla Camera dei deputati del potere di dichiarare la insindacabilità delle opinioni espresse dal deputato Bossi, ritenendo insufficiente a radicare il nesso funzionale necessario allo scopo l’argomento della centralità assunta nel dibattito politico-parlamentare dall’episodio tragico dell’assassinio di Marco Biagi. Si rileva al riguardo, nell’atto di intervento, che né in epoca precedente, né successivamente alle dichiarazioni rese extra moenia dal deputato di cui si tratta, lo stesso ha reso in Parlamento alcuna dichiarazione neanche lontanamente assimilabile a quanto gli viene contestato nel giudizio civile dal quale ha tratto origine il conflitto.

Si aggiunge, infine, che l’orientamento della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo è consolidato nel senso della contrarietà ad una eccessiva latitudine applicativa della insindacabilità parlamentare, come dimostrato, da ultimo, dalla sentenza del 6 dicembre 2005, nel caso Ielo c. Italia.

6. – Nella imminenza della pubblica udienza, la difesa della Camera dei deputati e quella della C.G.I.L. e di Sergio Cofferati hanno depositato memoria.

La prima insiste nella eccezione di inammissibilità per la non compiuta descrizione delle dichiarazioni in contestazione e per la omessa indicazione della data in cui le stesse sarebbero state rilasciate.

Nel merito, ribadisce le conclusioni già assunte, e richiama una serie di interventi in Parlamento e di interrogazioni sul tema della responsabilità politica di chi avrebbe alimentato un clima di scontro nel Paese.

La seconda ribadisce, in punto di ammissibilità del ricorso, la identificabilità dell’oggetto del medesimo, in considerazione della indicazione, in esso inserita, del contenuto delle doglianze della parte attrice nel processo civile da cui trae origine il conflitto, nonché della testata e della data di pubblicazione della intervista contestata. Nel merito, insiste per la non spettanza alla Camera dei deputati del potere di deliberare la insindacabilità delle dichiarazioni del deputato di cui si tratta, tenuto conto che il contenuto degli atti tipici richiamati dalla stessa a sostegno della legittimità della delibera adottata – oltre al fatto di risalire ad altri deputati, pur se appartenenti al medesimo gruppo parlamentare del deputato Bossi – non è affatto assimilabile all’accusa a Sergio Cofferati e alla C.G.I.L. di essere i mandanti morali dell’omicidio del prof. Biagi.

Considerato in diritto

1. – Il Tribunale di Roma, in composizione monocratica, ha sollevato conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato in relazione alla deliberazione adottata dalla Camera dei deputati nella seduta del 30 luglio 2003 (Doc. IV-quater, n. 55), con la quale è stato dichiarato che le opinioni espresse dal deputato Umberto Bossi, in ordine alle quali la Confederazione Generale Italiana del Lavoro (C.G.I.L.) e Sergio Cofferati hanno promosso azione civile di risarcimento dei danni pendente innanzi allo stesso giudice, ritenendole lesive del loro onore e della loro reputazione, concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni e sono, pertanto, insindacabili ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.

2. – Con ordinanza n. 53 del 2006, questa Corte ha dichiarato, in sede di prima e sommaria delibazione, ammissibile il conflitto, sussistendone i presupposti soggettivi ed oggettivi, riservando espressamente alla fase del merito, nel contraddittorio delle parti, ogni ulteriore decisione, anche relativa all’ammissibilità del ricorso.

3. – Preliminarmente deve essere dichiarato ammissibile l’intervento spiegato nel presente giudizio dalla Confederazione Generale Italiana del Lavoro e da Sergio Cofferati.

Anche se di regola, nei giudizi per conflitto di attribuzione non è ammesso l’intervento di soggetti diversi da quelli legittimati a promuovere il conflitto e a resistervi, tuttavia può verificarsi che l’oggetto del conflitto sia tale da coinvolgere in modo immediato e diretto, situazioni soggettive di terzi il cui pregiudizio o la cui salvaguardia dipendono imprescindibilmente dall’esito del conflitto. In tali casi questa Corte ritiene ammissibile l’intervento di soggetti che sarebbero incisi, senza possibilità di far valere le loro ragioni, dall’esito del giudizio relativo al conflitto (sentenze n. 195 del 2007, n. 386 del 2005 e n. 154 del 2004).

E’ questa la situazione che si riscontra nel presente giudizio, in quanto il suo oggetto incide sulla definitiva affermazione o negazione dello stesso diritto delle parti intervenienti di agire nel giudizio comune.

4. – Il ricorso è inammissibile.

La difesa della Camera dei deputati ha eccepito la mancanza, nel ricorso, di una compiuta descrizione dei fatti rilevanti, osservando che il ricorrente, pur dando conto del fatto che il deputato in questione aveva rilasciato al quotidiano “Il Messaggero” alcune dichiarazioni relative all’omicidio del prof. Biagi, poi contestate in giudizio dalla C.G.I.L e da Sergio Cofferati, tuttavia non le riporta puntualmente, non le “virgoletta”, ma indica, introdotte, in alcuni casi, da un trattino, frasi e parole non pronunciate dal deputato stesso, ma ascrivibili al ricorrente o agli istanti nel giudizio civile. Mancherebbero, in definitiva, nel ricorso citazioni testuali attribuibili al parlamentare. Né viene precisata la data cui risale l’intervista, ma solo quella di pubblicazione della stessa. Manca, altresì, al riguardo un rinvio alla descrizione dei fatti contenuta nella Relazione della Giunta per le autorizzazioni presentata alla Presidenza della Camera dei deputati il 30 gennaio 2003 (a prescindere dalla possibilità di una descrizione dei fatti per relationem). Del resto, tale relazione, a sua volta, si limita a riportare un atto di parte, qual è l’atto di citazione, inidoneo di per sé a dare contezza dell’effettivo contenuto delle dichiarazioni del deputato di cui si tratta, e che comunque riferisce di dichiarazioni ben più articolate di quelle cui il ricorso fa cenno.

Per di più, secondo la Camera, è mancata da parte del ricorrente una valutazione specifica delle singole dichiarazioni contestate.

Sul punto, va osservato che, secondo la giurisprudenza costituzionale, la mancanza di una compiuta esposizione dei presupposti di fatto del conflitto di attribuzione preclude alla Corte di accertare se sussista il nesso funzionale tra le frasi pronunciate e gli eventuali atti parlamentari tipici, di cui le frasi stesse potrebbero costituire la divulgazione esterna (ex plurimis, sentenze n. 236 del 2007, n. 336 del 2006, n. 79 del 2005).

Nella specie, in effetti, manca una condizione di autosufficienza del ricorso per conflitto di attribuzione, e cioè la riproduzione delle dichiarazioni del deputato Bossi. Ed infatti, il ricorrente riporta, in modo parziale, solo alcune delle dichiarazioni che gli attori del giudizio a quo attribuiscono al parlamentare. E’ pur vero che viene indicata la data della pubblicazione nel quotidiano “Il Messaggero” della intervista nel corso della quale tali dichiarazioni sarebbero state rilasciate. Ma è proprio la mancanza nel testo del ricorso della puntuale riproduzione delle dichiarazioni medesime che determina il vizio, non potendo soccorrere a colmare detta lacuna gli atti del procedimento e non avendo il ricorrente neanche fatto esplicito richiamo, per tale aspetto, alla relazione della Giunta per le autorizzazioni – ove, peraltro, si fa riferimento alle affermazioni contenute nell’atto di citazione – richiamata, invece, con riguardo alle sole argomentazioni a sostegno della insindacabilità, e non allegata (sentenza n. 331 del 2006).

Quanto precede si traduce nel difetto di un requisito essenziale del ricorso che deve, conseguentemente, essere dichiarato inammissibile.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 luglio 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Alfio FINOCCHIARO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 20 luglio 2007.