Sentenza n. 236 del 2007

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SENTENZA N. 236

ANNO 2007

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco                                  BILE                                  Presidente

- Giovanni Maria                    FLICK                                  Giudice

- Francesco                             AMIRANTE                               "

- Ugo                                      DE SIERVO                               "

- Paolo                                    MADDALENA                          "

- Alfio                                     FINOCCHIARO                        "

- Alfonso                                QUARANTA                             "

- Franco                                  GALLO                                      "

- Luigi                                     MAZZELLA                              "

- Gaetano                                SILVESTRI                                "

- Sabino                                  CASSESE                                   "

- Maria Rita                            SAULLE                                    "

- Giuseppe                              TESAURO                                 "

- Paolo Maria                          NAPOLITANO                          "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della deliberazione della Camera dei deputati del 18 ottobre 2001 relativa alla insindacabilità, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, delle opinioni espresse dall’on. Silvio Berlusconi nei confronti del dott. Giancarlo Caselli ed altri, promosso con ricorso della Corte d’Appello di Milano – sezione quinta penale, notificato il 12 gennaio 2005, depositato in cancelleria il 31 gennaio 2005 ed iscritto al n. 5 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2005, fase di merito.

Visto l’atto di costituzione della Camera dei deputati;

udito nell’udienza pubblica dell’8 maggio 2007 il Giudice relatore Sabino Cassese;

udito l’avvocato Massimo Luciani per la Camera dei deputati.

Ritenuto in fatto

1. – Con ricorso dell’8-17 luglio 2002, la Corte d’appello di Milano ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Camera dei deputati, in relazione alla delibera adottata nella seduta del 18 ottobre 2001, con la quale è stato dichiarato che i fatti per i quali è in corso il procedimento penale per il reato di diffamazione nei confronti del deputato Silvio Berlusconi devono ritenersi insindacabili, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.

1.1. – La Corte ricorrente premette che: a) in data 9 giugno 1999 i magistrati Giancarlo Caselli, Guido Lo Forte, Domenico Gozzo, Antonio Ingroia, Mauro Terranova, Lia Sava e Umberto Giglio (all’epoca tutti in servizio presso la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo) avevano proposto querela nei confronti del deputato Silvio Berlusconi, nonché di Gianna Fregonara e Ferruccio De Bortoli – questi ultimi giornalisti e l’ultimo anche direttore del «Corriere della Sera» – per le dichiarazioni asseritamente diffamatorie rese in loro danno da detto deputato e pubblicate in una intervista dal titolo «Berlusconi: i DS usano i magistrati a fini politici», apparsa sul predetto quotidiano di Milano il 10 marzo 1999; b) con sentenza del 17 gennaio 2002, il giudice per l’udienza preliminare, preso atto della deliberazione della Camera dei deputati a norma dell’art. 68, Cost., dichiarava non doversi procedere nei confronti del deputato Berlusconi in ordine al reato ascrittogli, ritenendo sussistente l’esimente personale dell’esercizio delle funzioni parlamentari e il pubblico ministero proponeva appello, chiedendo che la Corte d’appello sollevasse conflitto di attribuzione nei confronti della Camera dei deputati.

1.2. – La Corte milanese osserva che la Camera dei deputati ha ritenuto l’insindacabilità delle opinioni oggetto del processo penale in quanto riconducibili al ruolo svolto, all’epoca dei fatti, dal deputato Berlusconi quale capo dell’opposizione politica e parlamentare, veste in cui egli avrebbe «denunciato quello che gli appariva come un oggettivo squilibrio nell’esercizio della giurisdizione […]».

Ad avviso della Corte ricorrente, questa attività configurerebbe, invece, un’attività politica in riferimento alla quale non sarebbe identificabile il «nesso di funzione», atteso che l’unico atto parlamentare dell’on. Berlusconi sarebbe «rappresentato da una remota interpellanza in tema di giustizia, datata 1996, generica e non collegata (né logicamente collegabile) al futuro arresto dell’On. Dell’Utri» e che non vi sarebbe quindi alcuna connessione tra essa e le specifiche accuse mosse ai magistrati di Palermo, né potrebbero essere valorizzati «atti tipici» posti in essere da altri parlamentari.

In particolare, il nesso funzionale non sarebbe ravvisabile nelle esternazioni ove si afferma che «il cancro della nostra democrazia è l’uso della Giustizia a fini politici», che «la richiesta di arresto dell’On. Dell’Utri era frutto di un complotto, poiché si era ormai in campagna elettorale (di fatto anche se non diritto)» e che «normalmente anche nelle altre (campagne elettorali) sono state avanzate procedure e notizie che hanno interferito pesantemente».

La ricorrente conclude sostenendo che la delibera in esame sarebbe «illegittima ed ingiustamente menomativa dell’esercizio della giurisdizione» e chiedendone, perciò, l’annullamento.

2. – Si è costituita in giudizio la Camera dei deputati, sostenendo che il ricorso sarebbe inammissibile in quanto la Corte ricorrente avrebbe omesso di esaminare e specificamente valutare ogni singola dichiarazione dell’on. Berlusconi. In particolare, la Corte milanese non avrebbe considerato che al deputato venivano attribuite anche «frasi sintetiche e di collegamento» adoperate solo dalla giornalista «per riferire della conversazione con l’allora capo dell’opposizione, come, per esempio: «provocazione, cancro, falsità, teoremi, macigni, invenzioni, attacco alla democrazia: il Cavaliere sfodera tutta la sua grinta per difendere dalla richiesta di arresto Marcello Dell’Utri, amico dai tempi dell’università, fondatore di Forza Italia»; «successione di termini che» «l’onorevole Berlusconi non ha usato e che, pertanto, non gli dovrebbe essere attribuita». Né la stessa avrebbe valutato la circostanza che «l’onorevole Berlusconi non abbia mai, nell’intervista, fatto nomi di chicchessia e, in ispecie, dei magistrati che lo hanno querelato». Inoltre, la Camera dei deputati eccepisce la contraddittorietà di impostazione del gravame.

Nel merito, la Camera dei deputati chiede il rigetto del ricorso, attesa la sussistenza del nesso funzionale tra opinioni manifestate extra ed intra moenia. Nell’articolo di stampa l’on. Berlusconi, difatti, aveva affermato non solo che vi sarebbe stato un eccesso di credito offerto ai «pentiti», ma anche che una parte della magistratura avrebbe agito mossa da intenti squisitamente politici, anche nel contesto di un rapporto organico con il PCI-PDS-DS, e che i tempi di talune iniziative giudiziarie avrebbero dovuto indurre a riflettere, a causa della loro connessione e interferenza con i tempi della politica. Secondo la Camera dei deputati, il «fondamento politico» di tali affermazioni «è di decisiva importanza nel presente giudizio, poiché (al contrario di quanto può accadere per affermazioni ritenute di carattere schiettamente personale: sentenza n. 421 del 2002) in simili ipotesi è assai probabile la sussistenza di un nesso funzionale tra le dichiarazioni rese extra moenia e gli atti tipici di funzione».

Sottolinea la difesa della Camera dei deputati come l’on. Berlusconi avesse «già molto tempo addietro» manifestato l’opinione che l’azione della magistratura fosse animata da intenti politici (interpellanze n. 2/00252 del 21 ottobre 1996 e n. 2/00748 del 14 novembre 1995, nonché le dichiarazioni programmatiche del Governo rese alla Camera il 18 giugno 2001).

Inoltre, la Camera dei deputati richiama il contenuto di altri numerosi atti tipici che provengono da componenti del medesimo gruppo parlamentare dell’on. Berlusconi.

2.1. – In prossimità della data fissata per l’udienza, la Camera dei deputati ha depositato memoria con la quale, nel ribadire l’eccezione di inammissibilità del conflitto, osserva che la Corte ricorrente non solo ha operato un «ritaglio» delle numerose dichiarazioni rese dall’on. Berlusconi nell’articolo di stampa in esame, ma ha anche operato una «libera interpretazione e rielaborazione» di esse, attribuendo allo stesso deputato, ad esempio, una frase mai da questi pronunciata e pubblicata, ovvero che «la richiesta di arresto dell’on. Dell’Utri era il frutto di un complotto».

Nel merito, la Camera dei deputati esprime l’auspicio di un ripensamento dell’orientamento giurisprudenziale assunto dalla Corte costituzionale secondo cui «sono irrilevanti gli atti di altri parlamentari» (sentenza n. 97 del 2006) in ordine alla verifica della sussistenza, o meno, del nesso funzionale; insiste, pertanto, perché il sollevato conflitto venga respinto.

Considerato in diritto

1. – Il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, promosso dalla Corte d’appello di Milano con ricorso dell’8-17 luglio 2002 avverso la Camera dei deputati, ha ad oggetto la delibera adottata nella seduta del 18 ottobre 2001, con la quale è stato dichiarato che i fatti per i quali è in corso il procedimento penale per il reato di diffamazione nei confronti del deputato Silvio Berlusconi devono ritenersi insindacabili, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.

Le espressioni ritenute offensive erano state pubblicate in una intervista dal titolo «Berlusconi: i DS usano i magistrati a fini politici» apparsa sul quotidiano «Il Corriere della Sera» il 10 marzo 1999 e si riferivano – nel contesto della vicenda scaturita dalla richiesta di arresto nei confronti del deputato Marcello Dell’Utri – alla gestione dei collaboratori di giustizia e all’uso delle indagini svolte da una certa parte della magistratura a fini politici nel corso della campagna elettorale.

2. – Con ordinanza n. 435 del 2004, questa Corte ha ritenuto, in sede di prima e sommaria delibazione, ammissibile il conflitto, riservando espressamente alla fase del merito nel contraddittorio delle parti ogni ulteriore decisione, anche relativa all’ammissibilità del ricorso.

3. – Il ricorso è inammissibile.

La difesa della Camera dei deputati ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per conflitto sotto vari profili, sostenendo, tra l’altro, che la Corte ricorrente non avrebbe esaminato e specificamente valutato ogni singola esternazione del deputato.

In effetti, la Corte di appello ricorrente non ha riprodotto in modo testuale il contenuto delle dichiarazioni esterne rese dal parlamentare interessato, ma si è limitata a dar conto di alcuni stralci delle dichiarazioni ritenute diffamatorie.

Inoltre, ha omesso di compiere un’analitica ricognizione del contenuto delle esternazioni del parlamentare. Gli ha attribuito una frase («la richiesta di arresto dell’on. Dell’Utri era frutto di un complotto»), che non compare nel capo di imputazione a suo carico, così effettuando una rielaborazione delle dichiarazioni.

Infine, non ha esaminato una serie di espressioni («provocazione, cancro, falsità, teoremi, macigni, invenzioni, attacco alla democrazia»), che l’imputazione riferisce sia al parlamentare sia alla giornalista che ha eseguito l’intervista, né ha valutato un’altra frase («il Cavaliere sfodera tutta la sua grinta per difendere dalla richiesta di arresto Marcello Dell’Utri, amico dei tempi di università, fondatore di Forza Italia»), richiamata dalla difesa della Camera dei deputati e citata nella relazione della Giunta per le autorizzazioni a procedere in giudizio, anch’essa attribuita ad entrambi indistintamente.

Il riferimento solo parziale della Corte ricorrente alle dichiarazioni esterne del parlamentare, la rielaborazione di parte di esse e la mancata individuazione di quelle sicuramente attribuibili al deputato rendono inammissibile il ricorso.

La mancata riproduzione testuale delle dichiarazioni esterne, la sovrapposizione tra il contenuto delle esternazioni del deputato e l’interpretazione dell’autorità giudiziaria ricorrente, non consentono di cogliere in modo completo l’oggetto del contendere (sentenze n. 383 del 2006 e n. 79 del 2005).

Le carenze descritte comportano la non autosufficienza dell’atto introduttivo che si traduce, a norma degli artt. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), e 26 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, nel difetto di un requisito essenziale del ricorso, che deve essere conseguentemente dichiarato inammissibile.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto dalla Corte d’appello di Milano nei confronti della Camera dei deputati, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 giugno 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Sabino CASSESE, Redattore

Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 26 giugno 2007.