ORDINANZA N. 118
ANNO 2007
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Francesco AMIRANTE Giudice
- Ugo DE SIERVO “
- Romano VACCARELLA “
- Paolo MADDALENA “
- Alfio FINOCCHIARO “
- Alfonso QUARANTA “
- Franco GALLO “
- Luigi MAZZELLA “
- Gaetano SILVESTRI “
- Sabino CASSESE “
- Maria Rita SAULLE “
- Giuseppe TESAURO “
- Paolo Maria NAPOLITANO “
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 6, commi 1 e 1-ter, del decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347 (Misure urgenti per la ristrutturazione industriale di grandi imprese in stato di insolvenza), convertito, con modificazioni, nella legge 18 febbraio 2004, n. 39, come, rispettivamente, modificato dall’art. 4-ter e aggiunto dall’art. 4-quater del decreto-legge 3 maggio 2004, n. 119 (Disposizioni correttive ed integrative della normativa sulle grandi imprese in stato di insolvenza), convertito, con modificazioni, nella legge 5 luglio 2004, n. 166, nonché del combinato disposto degli artt. 6, comma 1, e 4-bis, comma 10, del medesimo decreto-legge n. 347 del 2003, come, rispettivamente, modificato dall’art. 4-ter e sostituito dall’art. 3 del decreto-legge n. 119 del 2004, modificati dalla legge di conversione n. 166 del 2004; promossi con due ordinanze del 25 febbraio 2006 e del 20 febbraio 2006 dal Tribunale ordinario di Parma nei procedimenti civili vertenti, rispettivamente, tra Parmalat s.p.a. in amministrazione straordinaria ed altra e Banca Agricola Mantovana s.p.a., e tra Parmalat s.p.a. in amministrazione straordinaria ed altra e Banca Popolare di Milano soc. coop. a r.l., iscritte ai numeri 328 e 329 del registro ordinanze del 2006 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, prima serie speciale, dell’anno 2006.
Visti gli atti di costituzione di Parmalat s.p.a. in amministrazione straordinaria e Banca Popolare di Milano soc. coop a r.l., nonché gli atti di intervento di Parmalat s.p.a. e del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 21 febbraio 2007 il Giudice relatore Romano Vaccarella.
Ritenuto che, nel corso di due giudizi civili, con distinte ordinanze del 25 febbraio 2006 (n. 328 r.o. del 2006) e del 20 febbraio 2006 (n. 329 r.o. del 2006), il Tribunale ordinario di Parma – premesso che Parmalat s.p.a., con decreto del Ministro delle attività produttive del 24 dicembre 2003, è stata assoggettata a procedura di amministrazione straordinaria e che lo stesso Tribunale, con sentenza del 27 dicembre 2003, ha dichiarato lo stato di insolvenza della predetta società, con estensione della procedura concorsuale a Parmalat Finanziaria s.p.a. e ad altre società facenti parte di un unico gruppo – ha sollevato questioni di legittimità costituzionale:
a) in riferimento agli artt. 3 e 41 della Costituzione, dell’art. 6, comma 1, del decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347 (Misure urgenti per la ristrutturazione industriale di grandi imprese in stato di insolvenza), convertito, con modificazioni, nella legge 18 febbraio 2004, n. 39, come modificato dall’art. 4-ter del decreto-legge 3 maggio 2004, n. 119 (Disposizioni correttive ed integrative della normativa sulle grandi imprese in stato di insolvenza), convertito, con modificazioni, nella legge 5 luglio 2004, n. 166, nella parte in cui consente l’esercizio delle azioni revocatorie previste dagli artt. 49 e 91 del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270 (Nuova disciplina dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, a norma dell’articolo 1 della legge 30 luglio 1998, n. 274), in costanza di un programma di ristrutturazione;
b) nonché, con la sola ordinanza del 20 febbraio 2006, in riferimento all’art. 3 Cost., dell’art. 6, comma 1-ter, del medesimo decreto-legge n. 347 del 2003, aggiunto dall’art. 4-quater del decreto-legge n. 119 del 2004, come modificato dalla legge di conversione n. 166 del 2004, nella parte in cui dispone che i termini stabiliti dalle disposizioni della sezione III del capo III del titolo secondo del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), si computano a decorrere dalla data di emanazione del decreto di ammissione dell’impresa alla procedura di amministrazione straordinaria e rende applicabile tale disposizione anche in tutti i casi di conversione della procedura in fallimento;
c) in riferimento all’art. 42 Cost., del combinato disposto degli artt. 6, comma 1, e 4-bis, comma 10, del medesimo decreto-legge n. 347 del 2003, come, rispettivamente, modificato dall’art. 4-ter e sostituito dall’art. 3 del decreto-legge n. 119 del 2004, modificati dalla legge di conversione n. 166 del 2004, nella parte in cui prevede «una sostanziale espropriazione del credito» di cui all’art. 71 del regio decreto n. 267 del 1942 (legge fallimentare);
che nella prima ordinanza di rimessione (n. 328 r.o.del 2006) si riferisce che Parmalat s.p.a. in amministrazione straordinaria, in persona del commissario straordinario, ha convenuto in giudizio Banca Agricola Mantovana s.p.a., per sentir revocare, ai sensi dell’art. 67 della legge fallimentare, i pagamenti effettuati da Parmalat s.p.a. a favore della convenuta nel corso del “periodo sospetto” per l’importo complessivamente indicato in citazione, chiedendo, quindi, la condanna della banca al pagamento della corrispondente somma;
che nella seconda ordinanza di rimessione (n. 329 r.o. del 2006) si riferisce che Parmalat s.p.a. in amministrazione straordinaria, in persona del commissario straordinario, ha convenuto in giudizio Banca Popolare di Milano soc. coop. a r. l., per ottenere la revoca, ai sensi dell’art. 67, secondo comma, della legge fallimentare, dei pagamenti eseguiti dalla debitrice a favore della convenuta nel “periodo sospetto”, e, conseguentemente, la condanna della stessa banca alla restituzione della corrispondente somma da essa percepita;
che le banche convenute, costituitesi ritualmente nei rispettivi giudizi, hanno resistito alle domande, eccependo in via pregiudiziale l’illegittimità costituzionale dell’art. 6 del decreto-legge n. 347 del 2003, per contrasto con gli artt. 3, 24 e 41 Cost.;
che, quanto alla rilevanza delle sollevate questioni, il giudice rimettente afferma che essa è insita «nella possibilità stessa di proporre l’azione revocatoria» fallimentare, «pur in presenza di autorizzazione all’esecuzione del programma di ristrutturazione», grazie alla previsione dell’art. 6, comma 1, del decreto-legge n. 347 del 2003, e che «la rilevanza riverbera, poi, anche sotto il profilo del computo dei termini del così detto periodo sospetto, in quanto è evidente, che, qualora si superasse la questione precedente, nel corso del processo sarebbe indispensabile esaminare i crediti revocandi a partire da un determinato momento storico in poi, integrante, appunto, il già detto periodo sospetto, all’interno del quale deve ricadere l’atto solutorio oggetto dell’azione revocatoria»;
che, quanto alla non manifesta infondatezza della questione sub a), in riferimento all’art. 3 Cost., il giudice a quo, riproducendo la motivazione di altre ordinanze di rimessione pronunciate dallo stesso Tribunale nelle date del 18 novembre 2005, e del 16, 20 e 23 febbraio 2006, osserva che l’amministrazione straordinaria cosiddetta “accelerata” (introdotta dal decreto-legge n. 347 del 2003) e la procedura di amministrazione straordinaria “ordinaria” (disciplinata dal d.lgs. n. 270 del 1999) si differenziano per quanto attiene alle «fasi di ingresso» ed ai requisiti dimensionali concernenti il numero dei dipendenti e l’entità dei debiti, senza che le innovazioni introdotte dal decreto-legge n. 347 del 2003 alterino i caratteri comuni con quelli della procedura disciplinata dal d.lgs. n. 270 del 1999;
che in entrambe le procedure è prevista l’esperibilità dell’azione revocatoria fallimentare, ma che questa, nella procedura cosiddetta “ordinaria”, è consentita «soltanto se è stata autorizzata l’esecuzione di un programma di cessione dei complessi aziendali» (art. 49, comma 1, del d.lgs. n. 270 del 1999), e ciò coerentemente con la ratio dell’azione, che, secondo la concezione “indennitaria”, mira a ricostituire il patrimonio dell’imprenditore, ovvero, secondo la configurazione “antindennitaria”, tende a distribuire le perdite nell’ambito di una cerchia di creditori più ampia rispetto a quella che comprende soltanto i soggetti che sono tali al tempo dell’apertura della procedura;
che, nonostante questa duplice finalità, recuperatoria e redistributiva, non sia conciliabile con una procedura strumentale alla conservazione dell’impresa, la norma denunciata ha irragionevolmente esteso a questa ipotesi l’ambito di applicabilità dell’azione revocatoria fallimentare, interrompendo «immotivatamente quel legame di continuità […] tra finalità concretamente perseguita dalla procedura e strumenti alla stessa connessi»;
che l’ammissibilità dell’azione nella fase di risanamento dell’impresa ha «ampliato il sacrificio dei terzi, ribaltando la scelta consapevolmente operata con l’art. 49» del d.lgs. n. 270 del 1999, in violazione del canone di ragionevolezza, poiché le azioni disciplinate dai succitati artt. 6 e 49 riguardano procedure analoghe, che coinvolgono interessi omogenei e perseguono il medesimo obiettivo;
che non vale sostenere la compatibilità dell’azione revocatoria con l’ipotesi di cessione dell’attività d’impresa, realizzata mediante un concordato, ad un soggetto terzo (l’assuntore o una diversa società), in quanto la norma censurata prevede in linea generale la proponibilità dell’azione revocatoria anche qualora sia stato autorizzato il programma di ristrutturazione, indipendentemente dalla circostanza che questo sia realizzato secondo le modalità ordinarie (art. 4 del decreto-legge n. 347 del 2003), ovvero mediante un concordato, che può costituire uno degli strumenti del programma di ristrutturazione (art. 4-bis, comma 1, dello stesso decreto-legge);
che, sempre quanto alla non manifesta infondatezza della medesima questione, in riferimento all’art. 41 Cost., il giudice a quo osserva che il risanamento dell’impresa attuato mediante l’esperimento dell’azione revocatoria fallimentare costituisce un ingiustificato privilegio per l’impresa ammessa alla procedura e realizza un effetto distorsivo della concorrenza, in quanto il ricavato dell’azione revocatoria non è destinato al soddisfacimento dei creditori, ma costituisce una forma di finanziamento forzoso a favore dell’impresa insolvente ed a carico dei terzi;
che, quanto alla non manifesta infondatezza della questione sub b), relativa all’art. 6, comma 1-ter, del decreto-legge n. 347 del 2003, il quale fa decorrere il cosiddetto periodo sospetto «dalla data di emanazione del decreto di cui al comma 2 dell’articolo 2», ossia del decreto ministeriale di ammissione alla procedura, e «si applica anche in tutti i casi di conversione della procedura in fallimento», il Tribunale – rilevato che l’art. 49, comma 2, del d.lgs. n. 270 del 1999 fa decorrere i medesimi termini dalla dichiarazione dello stato di insolvenza, e dunque da un momento successivo a quello indicato dalla norma denunciata – osserva che tale anticipazione sarebbe «del tutto ingiustificata e irragionevole», sì da violare l’art. 3 Cost.;
che, quanto alla non manifesta infondatezza della questione sub c), sollevata in riferimento all’art. 42 Cost., relativa al combinato disposto degli artt. 6, comma 1, e 4-bis, comma 10, del decreto-legge n. 347 del 2003, il giudice rimettente – premesso che, in caso di vittorioso esperimento dell’azione revocatoria fallimentare, il creditore soccombente, che abbia restituito la somma percepita, diviene «titolare di un corrispondente diritto di credito, d’ammontare pari a quello della soccombenza», e che il citato art. 4-bis, comma 10, stabilisce che, in caso di approvazione del concordato, «la sentenza è provvisoriamente esecutiva e produce effetti nei confronti di tutti i creditori per titolo, fatto, ragione o causa anteriore all’apertura della procedura di amministrazione straordinaria» – osserva che la lettera di tale disposizione non consente al creditore convenuto, che risulti soccombente a seguito dell’esercizio dell’azione revocatoria fallimentare, di far valere, ai sensi dell’art. 71 della legge fallimentare, nei confronti dell’assuntore il suo credito in quanto originato da «un fatto sicuramente posteriore all’apertura della procedura»;
che, nel giudizio di cui all’ordinanza n. 329 r.o. del 2006, si è costituita Banca Popolare di Milano soc. coop. a r. l., parte convenuta nel processo principale, chiedendo che le questioni siano accolte;
che in entrambi i giudizi dinanzi alla Corte si è, altresì, costituita Parmalat s.p.a. in amministrazione straordinaria, in persona del commissario straordinario, la quale ha concluso per l’inammissibilità o, in subordine, per l’infondatezza delle questioni;
che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l’inammissibilità e, comunque, per l’infondatezza delle questioni, richiamando le considerazioni già svolte nei precedenti giudizi e, in particolare, in quelli definiti con la sentenza n. 172 del 2006 di questa Corte, e deducendo l’irrilevanza delle questioni sub b) e sub c);
che è intervenuta, altresì, Parmalat s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, la quale ha concluso per l’inammissibilità o, in subordine, per l’infondatezza delle questioni;
che in entrambi i giudizi Parmalat s.p.a. in amministrazione straordinaria e Parmalat s.p.a. hanno depositato memorie illustrative delle rispettive conclusioni, riproducendo le argomentazioni già svolte nei giudizi definiti con l’ordinanza n. 456 del 2006 di questa Corte.
Considerato che il Tribunale ordinario di Parma, con due ordinanze del 20 e del 25 febbraio 2006, dubita della legittimità costituzionale:
a) dell’art. 6, comma 1, del decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347 (Misure urgenti per la ristrutturazione industriale di grandi imprese in stato di insolvenza), convertito, con modificazioni, nella legge 18 febbraio 2004, n. 39, come modificato dall’art. 4-ter del decreto-legge 3 maggio 2004, n. 119 (Disposizioni correttive ed integrative della normativa sulle grandi imprese in stato di insolvenza), convertito, con modificazioni, nella legge 5 luglio 2004, n. 166, nella parte in cui consente l’esercizio delle azioni revocatorie previste dagli artt. 49 e 91 del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270 (Nuova disciplina dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, a norma dell’articolo 1 della legge 30 luglio 1998, n. 274), in costanza di un programma di ristrutturazione; questione sollevata in riferimento agli artt. 3 e 41 della Costituzione;
b) nonché, con la sola ordinanza del 20 febbraio 2006 (n. 329 r.o. del 2006), dell’art. 6, comma 1-ter, del medesimo decreto-legge n. 347 del 2003, aggiunto dall’art. 4-quater del decreto-legge n. 119 del 2004, come modificato dalla legge di conversione n. 166 del 2004, nella parte in cui dispone che i termini stabiliti dalle disposizioni della sezione III del capo III del titolo secondo del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), si computano a decorrere dalla data di emanazione del decreto di ammissione dell’impresa alla procedura di amministrazione straordinaria e rende applicabile tale disposizione anche in tutti i casi di conversione della procedura in fallimento; questione sollevata in riferimento all’art. 3 Cost.;
c) del combinato disposto degli artt. 6, comma 1, e 4-bis, comma 10, del medesimo decreto-legge n. 347 del 2003, come, rispettivamente, modificato dall’art. 4-ter e sostituito dall’art. 3 del decreto-legge n. 119 del 2004, modificati dalla legge di conversione n. 166 del 2004, nella parte in cui prevede «una sostanziale espropriazione del credito» di cui all’art. 71 del regio decreto n. 267 del 1942 (legge fallimentare); questione sollevata in riferimento all’art. 42 Cost.;
che, ponendosi con entrambe le ordinanze di rimessione questioni analoghe, i relativi giudizi devono essere riuniti;
che, relativamente alla questione sollevata in riferimento agli artt. 3 e 41 Cost., concernente l’esperibilità delle azioni revocatorie nel corso di una procedura di amministrazione straordinaria il cui programma preveda un concordato con assuntore, non sono addotte argomentazioni, nemmeno negli scritti difensivi delle parti private, che possano indurre questa Corte a pervenire a conclusioni diverse da quelle di cui alla sentenza n. 172 del 2006 ed alla successiva ordinanza n. 409 del 2006;
che tale questione, dunque, è manifestamente infondata, dovendosi ribadire che la procedura di amministrazione straordinaria ai sensi della cosiddetta “legge Marzano”, ove nel programma di ristrutturazione sia inserito un concordato con assunzione, quale «parte integrante» di esso (art. 4-bis, comma 5, del decreto-legge n. 347 del 2003), al fine di provvedere alla «soddisfazione dei creditori» (art. 4-bis, comma 1, del decreto-legge n. 347 del 2003), si caratterizza come procedura liquidatoria, e non già di risanamento, sin dalla fase iniziale, posto che il complesso delle attività dell’imprenditore insolvente è destinato ad essere trasferito all’assuntore, per cui è escluso in radice che la procedura sia indirizzata a consentire allo stesso debitore di recuperare «la capacità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni» alla scadenza del programma (artt. 70, comma 1, lettera b, e 74, comma 1, lettera b, del d.lgs. n. 270 del 1999);
che la finalità liquidatoria della procedura giustifica il promovimento delle «azioni revocatorie previste dagli articoli 49 e 91» del d.lgs. n. 270 del 1999 (art. 6, comma 1, del decreto-legge n. 347 del 2003), in vista della cessione delle medesime all'assuntore «come patto di concordato» (art. 4-bis, comma 1, lettera c-bis, del decreto-legge n. 347 del 2003), essendo proprio tale cessione lo strumento che consente di incrementare le risorse da destinare (direttamente o indirettamente) al soddisfacimento dei creditori concorrenti, sicché non può dirsi che dette azioni siano esercitate a vantaggio dell’imprenditore insolvente, il quale non è affatto rimesso in condizione di riprendere l’attività economica, ma viene espropriato di tutti i suoi beni, né dell’assuntore del concordato, il quale è tenuto ad attribuzioni corrispettive della cessio bonorum a beneficio dei creditori;
che la finalità liquidatoria della procedura, e, quindi, la proponibilità o meno dell’azione revocatoria, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. 10 marzo 2006, n. 5301), deve essere accertata con riferimento al momento della decisione sull’azione medesima, e non già con riferimento al momento dell’apertura della procedura;
che, pertanto, conclusivamente, deve escludersi che, nella indicata fattispecie, in cui si realizza la condizione di proponibilità delle azioni revocatorie posta dall’art. 6, comma 1, del decreto-legge n. 347 del 2003 («purché si traducano in un vantaggio per i creditori»), l’esercizio delle medesime azioni, da un lato, contrasti con le finalità recuperatorie e redistributive proprie di esse e, dall’altro, possa produrre alcun effetto distorsivo della concorrenza, essendo evidente che dette azioni assolvono la medesima funzione per la quale sono previste nel fallimento;
che, peraltro, esula del tutto dal thema decidendum ogni valutazione di conformità costituzionale di ogni altro profilo dell’attuale disciplina delle azioni revocatorie, quanto a presupposti, condizioni ed effetti, nell’ambito del sistema concorsuale, come pure delle disposizioni del decreto-legge n. 347 del 2003 concernenti il concordato;
che analoga pronuncia di manifesta infondatezza deve emettersi riguardo alle altre questioni sollevate in ordine al dies a quo del cosiddetto “periodo sospetto” ed in ordine alla «sostanziale espropriazione» che, del suo credito, subirebbe il soggetto nei cui confronti sia stata vittoriosamente esperita l’azione revocatoria, non essendo state prospettate argomentazioni diverse da quelle già esaminate da questa Corte con l’ordinanza n. 456 del 2006;
che, infatti, quanto alla scelta del legislatore di far decorrere il termine per le azioni revocatorie, a ritroso, dal decreto ministeriale di ammissione alla procedura in luogo che dalla sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza, essa non può dirsi lesiva del principio di parità di trattamento di situazioni analoghe, né irragionevole, dal momento che la procedura di cui al d.lgs. n. 270 del 1999 inizia con la sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza, la quale sentenza, invece, nella procedura ex decreto-legge n. 347 del 2003, segue il decreto ministeriale di ammissione; è proprio tale atto a determinare «lo spossessamento del debitore e l’affidamento al commissario straordinario della gestione dell’impresa e dell’amministrazione dei beni dell’imprenditore insolvente» (art. 2, comma 2, del decreto-legge n. 347 del 2003); analogamente, nella liquidazione coatta amministrativa il termine per l’esercizio delle azioni revocatorie decorre dal provvedimento di apertura della procedura (art. 203 della legge fallimentare) e, pertanto, dal decreto ministeriale che ordina la liquidazione, se questo precede la sentenza di accertamento dello stato di insolvenza;
che, quanto alla pretesa «espropriazione», che subirebbe il terzo soccombente in revocatoria, a prescindere dalla pertinenza del parametro costituzionale evocato, appare erroneo il presupposto interpretativo da cui muove il rimettente, essendo principio giurisprudenziale incontroverso quello secondo il quale la revoca del pagamento elimina l’effetto estintivo dell’adempimento e, pertanto, non crea ex novo un credito, ma fa risorgere, insoddisfatto, il credito originario con il suo carattere concorsuale e, conseguentemente, rende applicabile il disposto dell’art. 71 della legge fallimentare.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 6, commi 1 e 1-ter, del decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347 (Misure urgenti per la ristrutturazione industriale di grandi imprese in stato di insolvenza), convertito, con modificazioni, nella legge 18 febbraio 2004, n. 39, come, rispettivamente, modificato dall’art. 4-ter e aggiunto dall’art. 4-quater del decreto-legge 3 maggio 2004, n. 119 (Disposizioni correttive ed integrative della normativa sulle grandi imprese in stato di insolvenza), convertito, con modificazioni, nella legge 5 luglio 2004, n. 166, nonché del combinato disposto degli artt. 6, comma 1, e 4-bis, comma 10, del medesimo decreto-legge n. 347 del 2003, come, rispettivamente, modificato dall’art. 4-ter e sostituito dall'art. 3 del decreto-legge n. 119 del 2004, modificati dalla legge di conversione n. 166 del 2004, questioni sollevate, in riferimento agli artt. 3, 41 e 42 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Parma con le ordinanze in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 marzo 2007.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Romano VACCARELLA, Redattore
Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 5 aprile 2007.