ORDINANZA N. 409
ANNO 2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE “
- Ugo DE SIERVO “
- Romano VACCARELLA “
- Paolo MADDALENA “
- Alfio FINOCCHIARO “
- Alfonso QUARANTA “
- Franco GALLO “
- Luigi MAZZELLA “
- Gaetano SILVESTRI “
- Sabino CASSESE “
- Maria Rita SAULLE “
- Giuseppe TESAURO “
- Paolo Maria NAPOLITANO “
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 6 del decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347 (Misure urgenti per la ristrutturazione industriale di grandi imprese in stato di insolvenza), convertito, con modificazioni, nella legge 18 febbraio 2004, n. 39, come modificato dagli artt. 4-ter e 4-quater del decreto-legge 3 maggio 2004, n. 119 (Disposizioni correttive ed integrative della normativa sulle grandi imprese in stato di insolvenza), convertito, con modificazioni, nella legge 5 luglio 2004, n. 166, promossi con ordinanze del 16 e del 23 febbraio 2006 dal Tribunale ordinario di Parma nei procedimenti civili vertenti tra Parmalat s.p.a. in amministrazione straordinaria e G.E. Capital Finance s.p.a. e tra Parmalat Finance Corporation B. V. in amministrazione straordinaria e UBS Limited ed altra, iscritte ai numeri 162 e 163 del registro ordinanze 2006 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell’anno 2006.
Visti gli atti di costituzione di Parmalat s.p.a. in amministrazione straordinaria e di Parmalat Finance Corporation B. V. in amministrazione straordinaria, di G.E. Capital Finance s.p.a., di UBS Limited, nonché gli atti di intervento di Parmalat s.p.a. e del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio dell’8 novembre 2006 il Giudice relatore Romano Vaccarella.
Ritenuto che, nel corso di due giudizi civili, il Tribunale ordinario di Parma, con distinte ordinanze di pressoché identico contenuto, emesse l’una il 16 febbraio 2006 e l’altra il 23 febbraio 2006, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 41 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 6 del decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347 (Misure urgenti per la ristrutturazione industriale di grandi imprese in stato di insolvenza), convertito, con modificazioni, nella legge 18 febbraio 2004, n. 39, come modificato dagli artt. 4-ter e 4-quater del decreto-legge 3 maggio 2004, n. 119 (Disposizioni correttive ed integrative della normativa sulle grandi imprese in stato di insolvenza), convertito, con modificazioni, nella legge 5 luglio 2004, n. 166, nella parte in cui stabilisce che le azioni revocatorie previste dagli artt. 49 e 91 del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270 (Nuova disciplina dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, a norma dell’articolo 1 della legge 30 luglio 1998, n. 274), possono essere proposte anche in costanza di un programma di ristrutturazione dell’impresa sottoposta ad amministrazione straordinaria;
che entrambe le ordinanze di rimessione premettono, in punto di fatto, che la Parmalat s.p.a., con decreto del Ministro delle attività produttive del 24 dicembre 2003, è stata assoggettata alla procedura di amministrazione straordinaria ai sensi del decreto-legge n. 347 del 2003 e del decreto legislativo n. 270 del 1999, e che il Tribunale ordinario di Parma, con sentenza del 27 dicembre 2003, ha dichiarato lo stato di insolvenza della medesima società, con estensione della procedura concorsuale a Parmalat Finanziaria s.p.a. e ad altre società facenti parte di un unico gruppo;
che, nel primo giudizio (n. 162 r.o. 2006), Parmalat s.p.a. in amministrazione straordinaria, in persona del commissario straordinario, ha convenuto in giudizio G.E. Capital Finance s.p.a. per ottenere la revoca dei pagamenti eseguiti da Parmalat s.p.a., a favore della convenuta, nell’anno precedente alla dichiarazione giudiziale dello stato di insolvenza per un importo complessivo di euro 82.463.693,47, ovvero, in subordine, per ottenere la declaratoria di inefficacia, ai sensi dell’art. 7 della legge 21 febbraio 1991, n. 52 (Disciplina della cessione dei crediti d’impresa), di cessioni di crediti per un importo complessivo di euro 62.062.693,40;
che, nel secondo giudizio (n. 163 r.o. 2006), il commissario straordinario di Parmalat Finance Corporation B. V., anch’essa sottoposta alla procedura di amministrazione straordinaria, ha convenuto in giudizio UBS Limited per ottenere la revoca degli accordi intercorsi tra la stessa Parmalat Finance Corporation B. V., Parmalat s.p.a. e la convenuta UBS Limited in data 9 giugno 2003, e, in particolare, dell’acquisto da parte della prima «delle CLN Banco Totta» e, conseguentemente, la condanna di UBS Limited alla restituzione della somma di euro 290.000.000,00;
che, in entrambi i giudizi, le convenute hanno resistito alla domanda, eccependo in via pregiudiziale l’illegittimità costituzionale dell'art. 6 del decreto-legge n. 347 del 2003, per contrasto con gli artt. 3 e 41 Cost.;
che, quanto alla rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale, i giudici rimettenti affermano che essa è insita «nella proposizione dell’azione revocatoria» fallimentare, resa ammissibile anche «in presenza di autorizzazione all’esecuzione del programma di ristrutturazione» proprio in virtù della norma censurata;
che, quanto alla non manifesta infondatezza, i giudici a quibus, riproducendo la motivazione di altra ordinanza di rimessione pronunciata dallo stesso Tribunale in data 18 novembre 2005, osservano che l’amministrazione straordinaria cosiddetta “accelerata” (introdotta dal decreto-legge n. 347 del 2003) e la procedura di amministrazione straordinaria “ordinaria” (disciplinata dal d.lgs. n. 270 del 1999) si differenziano per quanto attiene alle «fasi di ingresso» ed ai requisiti dimensionali concernenti il numero dei dipendenti e l’entità dei debiti, senza che le innovazioni introdotte dal decreto-legge n. 347 del 2003 alterino i caratteri comuni a quelli della procedura disciplinata dal d.lgs. n. 270 del 1999;
che in entrambe le procedure è prevista l’esperibilità dell’azione revocatoria fallimentare, ma che essa, nella procedura cosiddetta “ordinaria”, è consentita «soltanto se è stata autorizzata l’esecuzione di un programma di cessione dei complessi aziendali» (art. 49, comma 1, del d.lgs. n. 270 del 1999), e ciò coerentemente con la ratio dell’azione, che, secondo la concezione indennitaria, mira a ricostituire il patrimonio dell’imprenditore, ovvero, secondo la configurazione antindennitaria, tende a distribuire le perdite nell’ambito di una cerchia di creditori più ampia rispetto a quella che comprende soltanto i soggetti che sono tali al tempo dell’apertura della procedura;
che, nonostante questa duplice finalità, recuperatoria e redistributiva, non sia conciliabile con una procedura strumentale alla conservazione dell’impresa, la norma denunciata ha irragionevolmente esteso a questa ipotesi l’ambito di applicabilità dell’azione revocatoria fallimentare, interrompendo «immotivatamente quel legame di continuità […] tra finalità concretamente perseguita dalla procedura e strumenti alla stessa connessi»;
che l’ammissibilità dell’azione nella fase di risanamento dell’impresa ha «ampliato il sacrificio dei terzi, ribaltando la scelta consapevolmente operata con l’art. 49» del d.lgs. n. 270 del 1999, in violazione del canone di ragionevolezza, poiché le azioni disciplinate dai succitati artt. 6 e 49 riguardano procedure analoghe, che coinvolgono interessi omogenei e perseguono il medesimo obiettivo;
che non vale sostenere la compatibilità dell’azione revocatoria con l’ipotesi di cessione dell’attività d’impresa, realizzata mediante un concordato, ad un soggetto terzo (l’assuntore o una diversa società), in quanto la norma impugnata prevede in linea generale la proponibilità dell’azione revocatoria anche qualora sia stato autorizzato il programma di ristrutturazione, indipendentemente dalla circostanza che questo sia realizzato secondo le modalità ordinarie (art. 4 del decreto-legge n. 347 del 2003), ovvero mediante un concordato, che può costituire uno degli strumenti del programma di ristrutturazione (art. 4-bis, comma 1, del decreto-legge citato);
che «le censure di illegittimità si incentrano sulla disciplina generale della procedura» disciplinata dal decreto-legge n. 347 del 2003, «nell’ambito della quale l’epilogo naturale del processo di risanamento è costituito dal ritorno dell’imprenditore all’ordinaria operatività industriale, a conclusione del programma di ristrutturazione con qualunque modalità attuato (artt. 4 e 4-bis), ivi compreso il concordato con assunzione, che costituisce un’ipotesi del tutto eventuale e residuale di conclusione del programma di ristrutturazione dell’impresa, cui il legislatore assegna la sola valenza di determinare l’immediata chiusura della procedura rispetto alla fisiologica durata ed al suo naturale espletamento»;
che, in riferimento all’art. 41 Cost., i giudici a quibus osservano che il risanamento dell’impresa attuato mediante l’esperimento dell’azione revocatoria fallimentare costituisce un ingiustificato privilegio per l’impresa ammessa alla procedura e realizza un effetto distorsivo della concorrenza, in quanto il ricavato dell’azione revocatoria non è destinato al soddisfacimento dei creditori, ma costituisce una forma di finanziamento forzoso a favore dell’impresa insolvente ed a carico dei terzi;
che nel primo giudizio (n. 162 r.o. del 2006) dinanzi a questa Corte si è costituita Parmalat s.p.a. in amministrazione straordinaria, in persona del commissario straordinario, la quale ha concluso per l’inammissibilità o, comunque, l’infondatezza delle questioni, richiamando la sentenza di questa Corte n. 172 del 2006, con la quale sono state dichiarate non fondate analoghe questioni;
che, nel medesimo giudizio, si è costituita G. E. Capital Finance s.p.a., parte convenuta nel processo principale, chiedendo che la questione sia accolta, in quanto l’art. 6 del citato decreto-legge n. 347 del 2003, consentendo al commissario straordinario di «proporre le azioni revocatorie previste dagli articoli 49 e 91 del decreto legislativo n. 270 anche nel caso di autorizzazione all’esecuzione del programma di ristrutturazione, purché si traducano in un vantaggio per i creditori», e non soltanto nel caso previsto dall’art. 49 della “legge Prodi-bis”, determina disparità di trattamento «tra le imprese (ed i loro creditori concorsuali) che possono essere ammesse alla procedura di cui alla legge Prodi-bis rispetto alle imprese che possono essere ammesse alla procedura di cui alla legge Marzano»; «tra un’impresa (ed i suoi creditori concorsuali) ammessa alla procedura di cui alla legge Prodi-bis, su istanze dei creditori o d’ufficio, e altra impresa – avente le stesse caratteristiche patrimoniali e dimensionali – ammessa invece, su istanza del debitore, alla procedura di cui alla legge Marzano»; nonché «tra i terzi che hanno contratto con l’impresa insolvente ammessa alla procedura di cui alla legge Prodi-bis rispetto ai terzi che hanno contratto con un’impresa insolvente ammessa alla procedura di cui alla legge Marzano»;
che, secondo G. E. Capital Finance s.p.a., la sentenza di questa Corte n. 172 del 2006 non ha considerato, in primo luogo, che la “legge Prodi-bis”, non diversamente dalla “legge Marzano”, consente che il programma di ristrutturazione possa prevedere che i creditori siano soddisfatti mediante un concordato proposto da un terzo assuntore (artt. 56, comma 3, e 78 del d.lgs. n. 270 del 1999) e ciò nondimeno vieta, anche in tal caso, la proposizione di azioni revocatorie, e, in secondo luogo, che, poiché l’esperibilità delle revocatorie sarebbe ammissibile, nell’ambito della procedura di amministrazione straordinaria di cui alla “legge Marzano”, ove sia approvato un programma di ristrutturazione mediante concordato con assunzione, sarebbe necessario che tale concordato effettivamente comporti la liquidazione del patrimonio dell’impresa insolvente con trasferimento ad un terzo nuovo imprenditore dell’intera organizzazione produttiva e la soddisfazione dei creditori mediante pagamento di una percentuale prevista e accettata quale corrispettivo del trasferimento, laddove il concordato “Parmalat” è solo formalmente orientato in senso liquidatorio, ma «ha tutte le caratteristiche tipiche di un “piano di ristrutturazione”»;
che, essendo nel caso di specie la scelta del concordato con assunzione dipesa unicamente dall’iniziativa del commissario straordinario, «se fosse sufficiente, per caratterizzare la procedura come “liquidatoria”, la decisione della procedura di utilizzare lo strumento tecnico del “concordato con assunzione” e la formale interposizione di un assuntore creato dalla stessa procedura, indipendentemente da ogni considerazione circa l’effettiva natura liquidatoria della procedura, la stessa ammissibilità delle azioni revocatorie ex art. 6 legge Marzano verrebbe a dipendere (del tutto irrazionalmente) dalla mera volontà degli organi della procedura, anziché dalle caratteristiche sostanziali della procedura medesima»;
che nel secondo giudizio dinanzi alla Corte (n. 163 r.o. del 2006) si è costituita UBS Limited, parte convenuta nel processo principale, chiedendo che la questione sia accolta, in quanto – premesso che nel decreto-legge n. 347 del 2003, e successive modificazioni, la funzione legislativa sarebbe stata «piegata allo scopo di offrire posteriore legittimazione e sostegno giuridico al contenuto del programma di ristrutturazione predisposto dal commissario del gruppo Parmalat, ossia al contenuto di uno specifico atto amministrativo, onde consentirne l’approvazione da parte della competente autorità» – la norma censurata si porrebbe in contrasto con l’art. 49 del d.lgs. n. 270 del 1999, il quale vieta l’esercizio delle azioni revocatorie nella procedura di ristrutturazione, consentendole solo nella procedura di tipo liquidatorio;
che la distinzione fra «risanamento su base soggettiva», finalizzato al salvataggio dell’imprenditore, e «risanamento su base oggettiva», finalizzato al salvataggio dell’attività d’impresa, non ha pregio, perché nella procedura disciplinata dalla “legge Marzano” si attuano entrambi per effetto del concordato, previsto dall’art. 4-bis del decreto-legge n. 347 del 2003, e cioè «si realizza la soddisfazione dei creditori e i debiti dell’imprenditore insolvente vengono integralmente estinti permettendo a quest’ultimo di tornare in bonis e, qualora desiderasse farlo, di riavviare l’attività»;
che la norma denunciata contrasterebbe, altresì, con il principio di ragionevolezza, in quanto la previsione dell’esperibilità delle revocatorie nell’ambito di una procedura di risanamento dell’impresa «è incompatibile con la funzione e la struttura della stessa azione revocatoria», e il «vittorioso esperimento di un’azione revocatoria fallimentare non rappresenterebbe altro che una forma di finanziamento forzoso (a carico delle parti che il commissario abbia deciso di convenire in giudizio con l’azione revocatoria) a favore dell’impresa insolvente, atteggiandosi a strumento di reperimento di liquidità volto a sovvenire l’impresa insolvente e a favorirne il percorso di risanamento»;
che la norma in questione colliderebbe con l’art. 41 Cost., sotto il profilo della libertà di concorrenza, in quanto determinerebbe effetti distorsivi sul mercato;
che si è costituita Parmalat Finance Corporation s.p.a. in amministrazione straordinaria, in persona del commissario straordinario, la quale ha concluso per l’inammissibilità o, comunque, l’infondatezza delle questioni;
che in entrambi i giudizi dinanzi alla Corte è intervenuta Parmalat s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, la quale ha svolto argomentazioni coincidenti con quelle di Parmalat s.p.a. in amministrazione straordinaria e ha formulato identiche conclusioni;
che nei medesimi giudizi dinanzi alla Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha eccepito l’inammissibilità e, comunque, l’infondatezza delle questioni, richiamando quanto statuito da questa Corte con la sentenza n. 172 del 2006, e ribadendo quanto dedotto nei precedenti giudizi (numeri 1 e 56 r.o. 2006), aventi il medesimo oggetto;
che, in prossimità della camera di consiglio, hanno presentato memorie, nel giudizio n. 162 r.o. 2006, GE Capital Finance s.p.a. e Parmalat s.p.a. in amministrazione straordinaria, unitamente a Parmalat s.p.a., nel giudizio n. 163 r.o. 2006, UBS Limited e Parmalat Finance Corporation s.p.a. in amministrazione straordinaria, unitamente a Parmalat s.p.a;
che GE Capital Finance s.p.a. riprende le argomentazioni già svolte nell’atto di costituzione, mentre UBS Limited aggiunge, a quanto già rappresentato nell’atto di costituzione, che non è condivisibile la tesi, sostenuta nella sentenza di questa Corte n. 172 del 2006, secondo cui la “legge Marzano” «non esclude affatto che la procedura si evolva − fin dalla redazione del programma, o anche successivamente − verso programmi aventi un indirizzo ed un esito diversi da quello indicato nella sua istanza dall’impresa insolvente», ovvero verso «esiti conservativo-liquidatori» propri di un programma di cessione dei complessi aziendali di cui all’art. 27, comma 2, del d.lgs. n. 270 del 1999, giacché simile evoluzione, ad avviso della deducente, «può avvenire solamente a seguito del diniego dell’autorizzazione al programma di ristrutturazione originariamente proposto», ma «non può avvenire semplicemente per la scelta di attuare il programma di ristrutturazione, ai sensi dell’art. 4 della “legge Marzano”, con la modalità del concordato con assuntore», come in concreto è avvenuto nel caso della procedura “Parmalat”, essendo, sempre a suo avviso, il concordato «un elemento assolutamente neutro rispetto alle finalità cui si ispira e cui è volta la procedura» e, quindi, «al fine della qualificazione dell’indirizzo della procedura concorsuale»;
che la citata sentenza n. 172 del 2006 – laddove afferma che nel concordato con assuntore «le azioni revocatorie assolvono la loro tipica funzione redistributiva […] e recuperatoria […]; ciò che deve a fortiori affermarsi quando i creditori chirografari accettino, come nella specie, di essere pagati con azioni della società assuntrice, e pertanto con la prospettiva, a parziale riduzione della falcidia subita, di ricevere “vantaggio”, quali azionisti, dall’esito vittorioso delle revocatorie» – non considera che non è ammissibile «che il vantaggio dei creditori venga individuato in una generica e indeterminata possibilità che il valore delle azioni assegnate in pagamento del credito vantato possa aumentare, in funzione eventualmente anche dell’esperimento delle azioni revocatorie; né può ritenersi che il vantaggio dei creditori consista nell’eventuale distribuzione di utili della nuova Parmalat s.p.a.», dal momento che il «vantaggio dei creditori» deve essere «concreto e immediato nonché predeterminato al momento dell’approvazione del concordato».
Considerato che il Tribunale ordinario di Parma, con due ordinanze di contenuto pressoché identico, solleva questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 41 della Costituzione, dell’art. 6 del decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347 (Misure urgenti per la ristrutturazione industriale di grandi imprese in stato di insolvenza), convertito, con modificazioni, nella legge 18 febbraio 2004, n. 39, come modificato dagli artt. 4-ter e 4-quater dal decreto-legge 3 maggio 2004, n. 119 (Disposizioni correttive ed integrative della normativa sulle grandi imprese in stato di insolvenza), convertito, con modificazioni, nella legge 5 luglio 2004, n. 166, nella parte in cui consente l’esercizio delle azioni revocatorie, previste dagli articoli 49 e 91 del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270 (Nuova disciplina dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, a norma dell’articolo 1 della legge 30 luglio 1998, n. 274), in costanza di un programma di ristrutturazione dell’impresa sottoposta ad amministrazione straordinaria;
che i due giudizi, avendo ad oggetto la medesima norma e ponendo identiche questioni, devono essere riuniti;
che le sollevate questioni sono sostenute da argomentazioni del tutto coincidenti con quelle che questa Corte ha già esaminato e disatteso con la sentenza n. 172 del 2006, dichiarando l’infondatezza di analoghe questioni;
che, conseguentemente, deve essere dichiarata la manifesta infondatezza, non essendo le considerazioni svolte dalle parti private intervenute idonee a far pervenire questa Corte a diverse conclusioni;
che, infatti, – ribadito che entrambe le procedure di amministrazione straordinaria, «accelerata» ed «ordinaria», hanno finalità «conservativa del patrimonio produttivo», anche quando sono adottati programmi liquidatori – non ha pregio dedurre il carattere di risanamento di una procedura dalla circostanza che resti integro, nel caso di programma che contempli ab initio un concordato con assuntore, il «patrimonio produttivo»;
che il concordato di cui all’art. 56, comma 3, del d.lgs. n. 270 del 1999 non può che essere compatibile con la procedura di ristrutturazione, nella quale – eventualmente e, comunque, sempre successivamente alla formulazione del relativo programma – si inserisce, sicché esso può, in ipotesi, assumere la figura di concordato con assuntore solo a seguito dell’insuccesso del programma di ristrutturazione e del passaggio dalla fase conservativa ad una liquidatoria (così anche Cass. 10 marzo 2006, n. 5301, la quale sottolinea che «di un risultato di risanamento, senza liquidazione dei beni, può parlarsi solo quando sia il medesimo originario imprenditore a riprendere l’attività produttiva e/o di scambio»);
che, a prescindere dalla loro condivisibilità, i rilievi svolti relativamente alle modalità di soddisfacimento dei creditori sono irrilevanti in giudizi il cui oggetto non è l’omologazione del concordato, con il quale quelle modalità sono state stabilite.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 6 del decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347 (Misure urgenti per la ristrutturazione industriale di grandi imprese in stato di insolvenza), convertito, con modificazioni, nella legge 18 febbraio 2004, n. 39, come modificato dagli artt. 4-ter e 4-quater del decreto-legge 3 maggio 2004, n. 119 (Disposizioni correttive ed integrative della normativa sulle grandi imprese in stato di insolvenza), convertito, con modificazioni, nella legge 5 luglio 2004, n. 166, sollevate, in riferimento agli articoli 3 e 41 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Parma, con le ordinanze in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 dicembre 2006.
Franco BILE, Presidente
Romano VACCARELLA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 7 dicembre 2006.