ORDINANZA N. 106 ANNO 2007
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai Signori:
- Giovanni Maria FLICK Presidente
- Francesco AMIRANTE Giudice
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 567, secondo comma, del codice penale, promosso con ordinanza del 31 agosto 2005 dalla Corte di cassazione nel procedimento penale a carico di M.G. ed altro, iscritta al n. 16 del registro ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell’anno 2006.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 24 gennaio 2007 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro.
Ritenuto che, con ordinanza del 31 agosto 2005, la Corte di cassazione ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 567, secondo comma, del codice penale nella parte in cui prevede – quale sanzione in caso di falsità nella formazione dell’atto di nascita di un neonato – la pena della reclusione da cinque a quindici anni, per violazione dell’art. 3 della Costituzione, in quanto la pena comminata sarebbe irragionevolmente elevata se comparata con quelle, più miti, previste per condotte non solo simili ma addirittura più gravi;
che il Collegio rimettente espone che, con sentenza del Tribunale di Salerno, R.C. e G.M. sono stati dichiarati colpevoli del delitto di alterazione di stato previsto dall’art. 567, secondo comma, cod. pen., per avere reso false dichiarazioni di paternità naturale – rispettivamente in data 31 luglio 1982 e 18 agosto 1983 – in relazione a due neonate partorite da donne che non consentivano di essere nominate, e che, con il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, gli imputati sono stati condannati alla pena di tre anni e quattro mesi di reclusione ciascuno;
che avverso la sentenza della Corte d’appello di Salerno – che in data 26 maggio 2004 ha confermato la decisione di primo grado – gli imputati hanno proposto ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento per diversi motivi;
che il Procuratore generale presso la Corte di cassazione, nel sostenere l’infondatezza di tali motivi, ha chiesto che venisse sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 567, secondo comma, cod. pen., per violazione dei principi di uguaglianza e di proporzionalità delle pene;
che il giudice a quo osserva che oggetto delle norme incriminatici di cui all’art. 567 cod. pen. è la tutela dello status filiationis, e non della fede pubblica in quanto tale, giacché per la tutela di quest’ultima sarebbe già sufficiente la previsione del delitto di falso ideologico per induzione del pubblico ufficiale, mentre è evidente, nelle ipotesi di cui si tratta, un quid pluris, che investe l’interesse del minore e la rilevanza sociale del rapporto familiare riconosciuto per legge sulla base di un supporto naturalistico;
che il Collegio rimettente rileva che nella fattispecie di cui all’art. 567, primo comma, cod. pen., che punisce con la reclusione da tre a dieci anni l’alterazione dello stato civile di un neonato mediante la sostituzione di quest’ultimo, «si verifica un accordo – il quale può essere anche anteriore alla dichiarazione all’ufficiale di stato civile – mediante il quale si attribuisce a due neonati uno status filiationis oggettivamente falso, perché diverso da quello formale»;
che tale condotta, secondo il giudice a quo, è più grave rispetto a quella contemplata dal secondo comma dello stesso art. 567, perché l’attribuzione di un falso status «presuppone una condotta materiale più complessa, un accordo che investe un numero maggiore di persone, con conseguente attribuzione di un falso status a due soggetti anziché ad uno»;
che ciò consentirebbe di affermare, nella previsione sanzionatoria del secondo comma dell’art. 567 del codice penale, l’esistenza di una lesione del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.;
che, aggiunge il Collegio rimettente, pur costituendo la vita umana, nella coscienza sociale, in tutto il sistema penale e nella cultura occidentale, il bene fondamentale, tuttavia il delitto di alterazione previsto dall’art. 567, secondo comma, cod. pen. è punito più gravemente dell’infanticidio in condizioni di abbandono materiale o morale (art. 578 dello stesso codice), per il quale è comminata la sanzione della reclusione da quattro a dodici anni;
che la grave pena edittale prevista dalla norma censurata sposta notevolmente i tempi di compimento della prescrizione, con la conseguenza che, nella specie, dovrebbe oggi «affermarsi la colpevolezza degli imputati […] quando le persone, il cui status fu in ipotesi alterato, hanno raggiunto l’età di ventidue e ventitre anni»;
che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l’inammissibilità e, comunque, per l’infondatezza della questione.
Considerato che la Corte di cassazione dubita della legittimità costituzionale dell’art. 567, secondo comma, del codice penale, nella parte in cui commina la reclusione da cinque a quindici anni a chiunque, nella formazione di un atto di nascita, altera lo stato civile di un neonato, mediante false dichiarazioni, false attestazioni o altre falsità, per violazione dell’art. 3 della Costituzione, in quanto la pena comminata è irragionevolmente elevata se comparata con quelle, più miti, previste per condotte non solo simili ma addirittura più gravi;
che, quali tertia comparationis, il giudice a quo richiama gli art. 567, primo comma, cod. pen., che punisce con la reclusione da tre a dieci anni l’alterazione dello stato civile di un neonato, mediante la sostituzione di quest’ultimo, e l’art. 578 dello stesso codice, che punisce con la reclusione da quattro a dodici anni la madre che cagiona la morte del proprio neonato immediatamente dopo la nascita o del feto durante il parto, quando il fatto è determinato da condizioni di abbandono materiale e morale connesse al parto;
che questa Corte ha, anche di recente (ordinanza n. 229 del 2006), ribadito il proprio orientamento – espresso sin dalla sentenza n. 26 del 1979 – secondo il quale la determinazione del trattamento sanzionatorio per condotte penalmente rilevanti rientra nella discrezionalità del legislatore, salvo il sindacato di costituzionalità su scelte normative palesemente arbitrarie o radicalmente ingiustificate, tali da evidenziare un uso distorto di tale discrezionalità (sentenza n. 325 del 2005);
che detto sindacato è possibile qualora ci si dolga del fatto che per un certo reato sia prevista una pena troppo elevata e siano indicate, come tertia comparationis, norme che prevedano, in relazione a “fattispecie di reato sostanzialmente identiche”, una pena più mite;
che le fattispecie descritte dal primo comma (scambio di neonati senza commettere alcun falso) e dal secondo comma (falsa attestazione all’ufficiale dello stato civile in ordine alla identità dei genitori del neonato) dell’art. 567 del codice penale sono oggettivamente diverse perché, seppure in entrambe è tutelato il medesimo bene giuridico (l’interesse del minore alla verità dell’attestazione ufficiale della propria ascendenza), nel caso del primo comma la condotta consiste in uno scambio materiale di neonati, mentre la fattispecie prevista dal secondo comma si realizza mediante la commissione di altro reato (quello di falso ideologico, che non concorre con quello di alterazione di stato), rivelando una più intensa carica criminosa, di tal che il principio di eguaglianza appare rispettato, avendo il legislatore trattato, dal punto di vista sanzionatorio, situazioni diverse in modo diverso;
che proprio la rilevata diversità tra le condotte criminose prese in esame, unitamente al fatto che la fattispecie prevista dal secondo comma dell’art. 567 del codice penale si concreta in un comportamento che già di per sé realizzerebbe un reato di falso, hanno, tra l’altro, ripetutamente indotto la Corte di cassazione a ritenere manifestamente infondata la questione all’odierno esame;
che, parimenti, non sono assimilabili le fattispecie previste dall’art. 578 del codice penale e dalla norma censurata, per la diversità della condotta contemplata e del bene giuridico protetto;
che, pertanto, la questione è manifestante infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 567, secondo comma, del codice penale, sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dalla Corte di cassazione, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 marzo 2007.
F.to:
Giovanni Maria FLICK, Presidente
Alfio FINOCCHIARO, Redattore
Depositata in Cancelleria il 23 marzo 2007.