ORDINANZA N. 180
ANNO 2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Annibale MARINI Presidente
- Franco BILE Giudice
- Giovanni Maria FLICK “
- Francesco AMIRANTE “
- Ugo DE SIERVO “
- Romano VACCARELLA “
- Alfio FINOCCHIARO “
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545 (Ordinamento degli organi speciali di giurisdizione tributaria ed organizzazione degli uffici di collaborazione in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), promosso con ordinanza depositata il 13 ottobre 2005 dalla Commissione tributaria provinciale di Milano, nel giudizio tributario vertente tra Antonio Di Dio e l’Agenzia delle entrate, Ufficio di Milano 1, iscritta al n. 3 del registro ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 2, prima serie speciale, dell’anno 2006.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 5 aprile 2006 il Giudice relatore Franco Gallo.
Ritenuto che, nel corso di un giudizio promosso da un contribuente nei confronti dell’Agenzia delle entrate avverso il silenzio-rifiuto formatosi sulla richiesta di rimborso di quanto corrisposto a titolo di IRPEF e della correlativa addizionale regionale relative al 2001, la Commissione tributaria provinciale di Milano, con ordinanza depositata il 13 ottobre 2005, ha sollevato – in riferimento all’art. 111, secondo comma, della Costituzione – questione incidentale di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545 (Ordinamento degli organi speciali di giurisdizione tributaria ed organizzazione degli uffici di collaborazione in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), nella parte in cui prevede, per i giudici tributari, «un compenso aggiuntivo per ogni ricorso definito»;
che, per la Commissione tributaria provinciale, tale compenso, «fondato sul cottimo», sarebbe incompatibile con l’esercizio della funzione giurisdizionale e, in particolare, con il principio dell’imparzialità del giudice sancito dal vigente art. 111, secondo comma, Cost., perché renderebbe i giudici personalmente ed economicamente interessati a decidere nel minor tempo il maggior numero di cause, creando nel giudicante un’aspettativa di vantaggi che ostacolerebbe l’obiettività della decisione e contrasterebbe con il suddetto principio, secondo cui i giudici debbono non solo essere, ma anche apparire indipendenti, obiettivi ed imparziali;
che, quanto alla rilevanza, il giudice rimettente premette che l’eventuale accoglimento dell’eccezione di inammissibilità od improponibilità del ricorso del contribuente – sollevata dalla resistente Agenzia delle entrate sotto il profilo che la richiesta di rimborso contenuta (come nella specie) nella dichiarazione dei redditi non sarebbe idonea a formare un silenzio-rifiuto giudizialmente impugnabile – «potrebbe» contribuire alla generale diminuzione del contenzioso tributario per casi simili e, quindi, potrebbe avere effetti economici pregiudizievoli per i giudici tributari, i quali sono retribuiti in base ai ricorsi decisi;
che la questione sarebbe rilevante nel giudizio a quo sia direttamente, perché riguarderebbe la composizione dell’organo giudicante, sia «quanto meno indirettamente», perché la decisione sulla predetta eccezione potrebbe influire sulla proposizione di altri ricorsi e, per l’effetto, sull’entità dei compensi o delle indennità dovuti al giudice, nuocendo all’immagine di questo ed all’obiettività del giudizio;
che il rimettente sollecita sul punto una nuova decisione della Corte costituzionale rispetto a quella, di manifesta inammissibilità, di cui all’ordinanza n. 326 del 1987, che, sempre per il rimettente, concernerebbe una questione solo apparentemente analoga, perché, in realtà, relativa ad un altro parametro e ad altre prospettazioni del giudice a quo;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la declaratoria di manifesta inammissibilità per irrilevanza o di manifesta infondatezza della questione;
che la difesa erariale deduce, a sostegno di tali conclusioni: a) che la norma denunciata non attiene alla composizione del giudice; b) che la medesima norma non contiene la regula iuris da applicare nel giudizio principale; c) che analogo provvedimento di rimessione è già stato dichiarato inammissibile dalla Corte, con ordinanza n. 326 del 1987; d) che il novellato art. 111 Cost. non ha innovato al principio di terzietà del giudice e che, pertanto, la mera evocazione di tale parametro non introduce profili della questione nuovi rispetto a quelli già esaminati dalla Corte costituzionale nella citata ordinanza; e) che il contrasto tra una indimostrabile deflazione del contenzioso e l’interesse economico del giudice tributario ad adottare quante più pronunce possibili non ha riflessi nel giudizio a quo.
Considerato che la Commissione tributaria provinciale di Milano dubita della legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545 (Ordinamento degli organi speciali di giurisdizione tributaria ed organizzazione degli uffici di collaborazione in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), nella parte in cui prevede per i giudici tributari «un compenso aggiuntivo per ogni ricorso definito»;
che, per il giudice rimettente, tale disposizione violerebbe l’art. 111, secondo comma, della Costituzione, perché detto compenso, «fondato sul cottimo», sarebbe incompatibile con l’esercizio della funzione giurisdizionale e, in particolare, con l’imparzialità del giudice, in quanto renderebbe quest’ultimo personalmente ed economicamente interessato a decidere nel minor tempo il maggior numero di cause, creando nel giudicante un’aspettativa di vantaggi che ostacolerebbe l’obiettività della decisione e contrasterebbe con il principio secondo cui i giudici debbono non solo essere, ma anche apparire indipendenti, obiettivi ed imparziali;
che la questione sarebbe rilevante, perché atterrebbe alla «composizione del giudice», e comunque perché, nella specie, il giudice tributario avrebbe obiettivamente l’interesse a respingere l’eccezione di inammissibilità od improponibilità del ricorso sollevata nel giudizio a quo dall’Agenzia delle entrate (secondo la quale la richiesta di rimborso contenuta nella dichiarazione dei redditi non sarebbe idonea a formare un silenzio-rifiuto giudizialmente impugnabile), in quanto l’accoglimento dell’eccezione «potrebbe» scoraggiare, in generale, la proposizione di analoghe cause da parte dei contribuenti e far cosí diminuire i compensi o le indennità dovuti al giudice;
che la questione è manifestamente inammissibile per difetto di rilevanza;
che, infatti, la norma censurata riguarda esclusivamente la misura del compenso del giudice tributario e, pertanto, non attiene né alla «composizione», né alla costituzione del giudice medesimo, cioè alla legittimazione di questo ad esercitare le proprie funzioni, e neppure deve essere applicata dal rimettente nel giudizio principale;
che, inoltre, lo stesso rimettente, per affermare la rilevanza della questione in riferimento al principio dell’imparzialità del giudice, è costretto ad ipotizzare una diretta correlazione causale sia tra la propria decisione sull’ammissibilità del ricorso del contribuente ed una consistente deflazione del contenzioso tributario di cause simili; sia tra tale deflazione del contenzioso ed una eventuale futura diminuzione dei propri compensi;
che, tuttavia, tali correlazioni causali – del resto prospettate in via soltanto ipotetica dal giudice a quo, il quale afferma che l’accoglimento della predetta eccezione di inammissibilità del ricorso del contribuente «potrebbe» contribuire alla diminuzione del contenzioso tributario, in quanto «può» scoraggiare la proposizione di altri ricorsi riguardanti casi simili – non sono plausibili, non risultando ragionevolmente ipotizzabile né che le decisioni di un giudice di primo grado, privo di funzioni nomofilattiche, possano significativamente modificare la tipologia del contenzioso tributario, né che la conseguente prospettata diminuzione del numero dei ricorsi avverso il silenzio-rifiuto, formatosi sulla richiesta di rimborso contenuta nella dichiarazione dei redditi del contribuente (contenzioso la cui incidenza statistica sul complesso dei ricorsi non è stata in alcun modo valutata dal rimettente), possa in futuro far diminuire in concreto il compenso complessivo di ciascun componente della Commissione tributaria provinciale di Milano;
che, dunque, l’influenza nel giudizio a quo della norma censurata è meramente affermata, ma non dimostrata dalla Commissione tributaria provinciale di Milano;
che, del resto, questa Corte, con riguardo ad analoghe questioni – aventi ad oggetto la norma contenuta nel previgente art. 12, primo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 (Revisione della disciplina del contenzioso tributario), relativa anch’essa al compenso dei componenti delle commissioni tributarie commisurato al numero dei ricorsi decisi, e che, secondo i rimettenti, avrebbe determinato nei giudici un interesse economico personale a decidere il maggior numero di ricorsi, incompatibile con l’indipendenza del giudice garantita dall’art. 108, secondo comma, Cost. – ha già piú volte concluso per la manifesta inammissibilità, per difetto di rilevanza, delle questioni medesime, in quanto la norma all’epoca denunciata, concernendo (al pari di quella oggetto del presente giudizio di legittimità costituzionale) i compensi previsti per i componenti delle commissioni tributarie, non incide né sul rapporto in ordine al quale il giudice rimettente è chiamato a decidere, né sulla composizione dell’organo giudicante, con la conseguenza che essa non trova né può trovare applicazione, sotto alcun profilo, da parte del giudice a quo (sentenza n. 196 del 1982; ordinanze n. 447 del 1991 e n. 326 del 1987).
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545 (Ordinamento degli organi speciali di giurisdizione tributaria ed organizzazione degli uffici di collaborazione in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), sollevata, in riferimento all’art. 111, secondo comma, della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Milano con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 aprile 2006.
F.to:
Annibale MARINI, Presidente
Franco GALLO, Redattore
Depositata in Cancelleria il 28 aprile 2006.