SENTENZA N. 138 ANNO 2006
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Annibale MARINI Presidente
- Franco BILE Giudice
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 3, ultimo periodo, della legge della Regione Umbria 20 gennaio 1998, n. 3 (Ordinamento del sistema sanitario regionale), promosso dal Tribunale di Orvieto, nel procedimento civile vertente tra G. G. C. e la Regione Umbria ed altra, con ordinanza del 4 aprile 2003, iscritta al n. 363 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell’anno 2003.
Visti gli atti di costituzione di G. G. C., della Regione Umbria e dell’Azienda Sanitaria Locale n. 4 di Terni;
udito nell’udienza pubblica del 21 febbraio 2006 il Giudice relatore Francesco Amirante;
uditi gli avvocati Maurizio Pedetta per la Regione Umbria, Giovanni Tarantini e Nicoletta Baleani per l’Azienda Sanitaria Locale n. 4 di Terni.
Ritenuto in fatto
1.— Nel corso di una controversia di lavoro promossa da un ex direttore generale di un’azienda unità sanitaria locale nei confronti dell’azienda stessa e della Regione Umbria, il Tribunale di Orvieto ha sollevato nuovamente questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3 e 117 della Costituzione, dell’art. 34, comma 3, ultimo periodo, della legge della Regione Umbria 20 gennaio 1998, n. 3 (Ordinamento del sistema sanitario regionale), nella parte in cui prevede la risoluzione di diritto dei rapporti di lavoro in corso alla data di entrata in vigore della legge stessa.
In punto di fatto, il giudice a quo deduce che il ricorrente aveva assunto l’incarico di direttore generale dell’azienda sanitaria n. 4 della Regione Umbria con contratto del 14 febbraio 1995 e che, a seguito della soppressione della medesima azienda mediante incorporazione nell’azienda sanitaria n. 5 che aveva acquisito il numero 4, la Regione Umbria, con deliberazione della Giunta in data 13 maggio 1998, aveva comunicato al direttore generale l’intervenuta cessazione del rapporto di lavoro per sopravvenuta impossibilità di svolgimento dell’incarico, ai sensi dell’art. 2228 del codice civile.
Impugnato il provvedimento suddetto, il ricorrente aveva chiesto al giudice del lavoro di dichiarare l’insussistenza dell’impossibilità sopravvenuta, con conseguente condanna della Regione al pagamento degli importi che egli avrebbe avuto diritto a percepire in caso di regolare continuazione del rapporto di lavoro.
Il Tribunale, dopo aver riconosciuto la propria giurisdizione (con sentenza del 2 marzo 2001), con ordinanza del 3 marzo 2001 provvedeva a sollevare, per la prima volta, la presente questione di legittimità costituzionale, ma questa Corte, con ordinanza n. 117 del 2002, disponeva la restituzione degli atti al giudice a quo per un nuovo esame della rilevanza, in conseguenza della modifica dell’art. 117 Cost. sopravvenuta nelle more della pronuncia della Corte ad opera della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.
Ciò premesso, il Tribunale nell’attuale ordinanza di rimessione specifica di dover sollevare nuovamente la questione come sopra indicata, in quanto, a suo parere, la modifica costituzionale non fa venire meno i requisiti della rilevanza e della non manifesta infondatezza.
In ordine al requisito della rilevanza, il Tribunale osserva che, benché la Regione Umbria, nella citata delibera del 13 maggio 1998, abbia fatto esclusivo riferimento all’impossibilità sopravvenuta della prestazione ai sensi dell’art. 2228 cod. civ. e non anche alla risoluzione di diritto dei contratti disposta dalla norma impugnata, appare tuttavia logico ricomprendere nella fattispecie di cui all’art. 34, comma 3, ultimo periodo, anche la situazione oggetto dell’art. 36 della medesima legge regionale, perché quest’ultima norma non è esaustiva di tutti gli aspetti del fenomeno successorio e non è incompatibile con il citato art. 34. Il remittente, anzi, precisa che, poiché la risoluzione dei contratti di cui alla norma impugnata opera di diritto, egli deve comunque porsi il problema della legittimità costituzionale di siffatta disposizione, dal momento che «sarebbe del tutto inutile negare, in ipotesi, la verificazione della impossibilità sopravvenuta della prestazione […] se poi si dovesse ugualmente dichiarare cessato il rapporto di lavoro del ricorrente in considerazione dell’operatività della risoluzione di diritto». A suo parere, inoltre, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 3, ultimo periodo, della legge reg. Umbria n. 3 del 1998 sarebbe comunque rilevante ai fini della determinazione degli importi spettanti al ricorrente, perché «una volta negata in ipotesi la causa di estinzione della impossibilità sopravvenuta allegata dalla Giunta regionale, occorrerebbe, però, accertare se successivamente si sia verificata la risoluzione di diritto del rapporto in seguito alla nomina del nuovo direttore generale della ASL», e la diversità delle date di scadenza del contratto nelle varie ipotesi determina effetti ben diversi nella quantificazione delle spettanze.
Così chiarito il requisito della rilevanza, il Tribunale osserva, sotto il profilo della non manifesta infondatezza, che la norma in esame si pone in contrasto, innanzitutto, con l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., che riserva alla potestà normativa esclusiva dello Stato la materia dell’ordinamento civile. Poiché il contratto stipulato tra il direttore generale della ASL e la Regione è un contratto di natura privatistica, esso deve essere disciplinato soltanto da norme statali, le quali sono le uniche che possono prevedere cause di risoluzione o di estinzione del contratto medesimo. La norma regionale impugnata, prevedendo la risoluzione di diritto dei contratti in corso, si è posta in contrasto con la legislazione statale in una materia sottratta alla sua competenza, non potendo farsi rientrare la regolamentazione dei contratti di lavoro nell’ambito dell’assistenza sanitaria ed ospedaliera. Secondo il remittente, quindi, alla legge regionale potrebbe essere consentito, al più, di «disciplinare elementi accessori del contratto, in via generale ed astratta», ma non di incidere – com’è invece avvenuto nel caso di specie – sul momento principale del contratto, ossia quello della sua stessa esistenza.
Alla menzionata violazione dell’art. 117 Cost. il giudice a quo affianca la presunta violazione dell’art. 3 Cost., perché, trattandosi di norma destinata all’applicazione in pochi casi concreti, la stessa difetterebbe dei necessari requisiti di generalità ed astrattezza, creando così un’ingiustificata disparità di trattamento tra i destinatari della norma e gli altri soggetti che vedono il loro rapporto di lavoro disciplinato soltanto dalla legge statale.
2.— Si è costituito in giudizio il ricorrente, chiedendo l’accoglimento della questione.
3.— Si è costituita in giudizio, altresì, l’azienda unità sanitaria locale n. 4 della Regione Umbria, concludendo per l’inammissibilità o l’infondatezza della questione.
La ASL osserva, innanzitutto, che il giudizio pendente davanti al Tribunale di Orvieto ha per oggetto la domanda del ricorrente tesa ad ottenere la condanna della Regione Umbria al pagamento degli importi per il titolo indicato nel ricorso, ossia come conseguenza della delibera del 13 maggio 1998 della Giunta regionale con la quale il rapporto di lavoro tra il dirigente della ASL e la Regione venne dichiarato risolto per impossibilità sopravvenuta della prestazione; in quella delibera nessun riferimento era fatto alla norma oggi sospettata di illegittimità costituzionale, poiché la soppressione della ASL cui era preposto il ricorrente è regolata dall’art. 36 della legge reg. n. 3 del 1998, ossia da una norma diversa da quella impugnata dal giudice remittente. L’art. 34, comma 3, all’esame della Corte non riguarderebbe, secondo la parte, la soppressione di una ASL in conseguenza dell’incorporazione in un’altra, poiché in questo caso la cessazione del rapporto di lavoro del direttore generale è conseguenza diretta della impossibilità sopravvenuta della prestazione, come risulta dal menzionato art. 36.
Difetterebbe, pertanto, il requisito della rilevanza, il che risulta in modo evidente dallo stesso ragionamento del Tribunale di Orvieto che, a detta della parte, avrebbe sollevato una questione di legittimità costituzionale del tutto ipotetica, nella convinzione di doversi porre comunque il dubbio prospettato alla Corte indipendentemente dalla verifica circa l’esistenza della impossibilità sopravvenuta della prestazione, invocata dalla Regione.
Quanto al merito, l’azienda costituita fa presente di non condividere l’assunto del giudice a quo circa la presunta violazione, da parte della norma impugnata, del limite costituito dalla materia dell’ordinamento civile, di competenza esclusiva dello Stato. Anche a prescindere dall’indubbia difficoltà di individuare gli esatti confini di tale materia, nella memoria si osserva che la giurisprudenza di questa Corte, espressa, nel precedente assetto costituzionale, a proposito del c.d. limite del diritto privato per la potestà normativa regionale, non può automaticamente ritenersi valevole a proposito della materia dell’ordinamento civile. Quest’ultima nozione pare piuttosto «volta a riconoscere allo Stato il solo potere di dettare norme a tutela di principi generali e diritti fondamentali che assumono un valore costitutivo ed essenziale dell’ordinamento», in ciò andando a completare ed integrare la riserva di legge statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., a proposito di prestazioni essenziali in materia di diritti civili. E, d’altra parte, la stessa giurisprudenza di questa Corte riconosce che il limite del diritto privato non ha valenza assoluta (sentenze n. 352 del 2001 e n. 282 del 2002).
Nel caso in esame, inoltre, la legge regionale in questione avrebbe uno specifico profilo di organizzazione del settore sanitario, settore che è in stretto collegamento con la materia della salute; la razionalizzazione dell’ordinamento sanitario regionale è il vero obiettivo della legge, la cui realizzazione passa attraverso la modifica delle ASL esistenti ed il conseguente azzeramento dei contratti in corso con i dirigenti. La norma impugnata, quindi, anziché essere destinata ad incidere, come vorrebbe l’ordinanza di rimessione, su di un aspetto fondamentale del contratto, ha piuttosto lo scopo di esaurire i propri effetti con riferimento ai rapporti esistenti alla data di entrata in vigore della legge stessa.
Quanto all’ulteriore censura di violazione dell’art. 3 Cost. conseguente al presunto difetto di generalità ed astrattezza della norma, la ASL costituita sostiene che tale censura è infondata, poiché la norma è «di prima applicazione, di carattere eccezionale, strumentale alla disciplina generale del nuovo ordinamento del servizio sanitario regionale dell’Umbria e come tale perfettamente ragionevole».
4.— Si è costituita in giudizio pure la Regione Umbria, chiedendo, anche in una memoria depositata in prossimità dell’udienza, che la questione sia dichiarata inammissibile e, in subordine, infondata.
In primo luogo, la questione sarebbe inammissibile poiché irrilevante in ordine alla decisione del giudizio a quo. Anche in riferimento a quella parte della domanda con la quale il ricorrente ha chiesto la condanna della Regione alla corresponsione degli emolumenti dovuti dal momento della anticipata risoluzione fino a quello della naturale scadenza del rapporto contrattuale, infatti, la Regione Umbria fa presente che la norma della cui legittimità costituzionale si dubita non sarebbe quella da applicare al caso di specie. Invero, la legge regionale impugnata, al fine di dare al sistema sanitario dell’Umbria un assetto nuovo, ha dettato, con gli artt. 34 e 36, due norme volte a disciplinare il passaggio dal vecchio al nuovo ordinamento. Con il primo si è disposta la decadenza degli organi delle aziende sanitarie regionali in carica alla data di entrata in vigore della legge, con contestuale risoluzione “di diritto” dei relativi contratti di lavoro; con il secondo, invece, si è disposta la soppressione della ASL n. 4 dell’orvietano e la sua incorporazione nella n. 5 del ternano, con conseguente venire meno degli organi (fra i quali il direttore generale) dell’azienda soppressa. L’art. 34 è, perciò, una norma generale, mentre l’art. 36 è una norma speciale ed è evidente che alla controversia pendente davanti al Tribunale di Orvieto dovrebbe applicarsi soltanto l’art. 36, in base al quale la cessazione dell’incarico di direttore generale è da considerarsi dovuta alla sopravvenuta impossibilità della prestazione di cui all’art. 2228 cod. civ., conseguente alla soppressione della azienda cui il ricorrente era preposto. Questo confermerebbe l’inammissibilità della questione, irrilevante ai fini della decisione del giudizio a quo.
A parere della Regione, d’altra parte, l’inammissibilità deriverebbe anche dal modo in cui la questione è formulata dal Tribunale, il quale ammette di doversi porre il dubbio di costituzionalità soltanto per l’ipotesi in cui venga ritenuta insussistente l’impossibilità sopravvenuta della prestazione invocata nei confronti del ricorrente. La norma impugnata, quindi, non è applicabile nel caso di specie, ovvero lo è soltanto ipoteticamente, il che dovrebbe tradursi nell’inammissibilità della presente questione, per mancanza del requisito della concretezza.
Nel merito, poi, la questione appare alla Regione infondata.
Anche volendo richiamare, infatti, la giurisprudenza costituzionale secondo cui la potestà normativa regionale sarebbe soggetta al c.d. limite del diritto privato (si richiamano le sentenze n. 51 del 1990 e n. 35 del 1992), dovrebbe sempre ritenersi possibile l’introduzione di alcune deroghe e, peraltro, nel caso specifico, la Regione Umbria si sarebbe limitata a fare uso della propria competenza in materia di assistenza sanitaria e ospedaliera così come prevista dall’art. 117 Cost. nel testo vigente all’epoca dell’entrata in vigore della legge impugnata, competenza definita dagli artt. 27 e seguenti del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, e dagli artt. 112 e seguenti del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112. La Regione, perciò, aveva già il potere di suddividere il proprio territorio in unità sanitarie locali, nominando e revocando i titolari dei vari uffici di vertice, ivi compresi i direttori generali. Una simile competenza risulta vieppiù rafforzata alla luce dell’attuale testo dell’art. 117 Cost., nel quale la materia dell’assistenza sanitaria e ospedaliera, non essendo più esplicitamente menzionata, dovrebbe rientrare nella sfera di competenza residuale delle Regioni o, quantomeno, in quella concorrente designata come “tutela della salute”.
Tra gli obiettivi della legge della Regione Umbria n. 3 del 1998, infatti, c’era anche quello di riorganizzare le ASL modificando i criteri di nomina dei direttori generali, per cui la risoluzione del contratto di lavoro del ricorrente discenderebbe comunque dalla decadenza degli organi delle ASL esistenti; il direttore generale, pur stipulando un contratto di natura privatistica, è in posizione di connessione inscindibile con la carica che esercita, sicché ben può parlarsi di rapporto di parasubordinazione; ne deriva che la sua posizione segue le sorti dell’organo al quale è preposto, con la conseguenza che la soppressione dell’azienda sanitaria non può che determinare la risoluzione del rapporto di lavoro. Se, d’altra parte, si ritiene conforme a Costituzione il primo periodo del comma 3 dell’art. 34 impugnato – norma che prevede la decadenza degli organi delle aziende sanitarie regionali in carica alla data di entrata in vigore della legge medesima – non si comprende come possa essere costituzionalmente illegittimo l’ultimo periodo del citato comma 3, ossia la norma da scrutinare, che si limiterebbe «a esplicitare la naturale conseguenza di tale decadenza», ossia la risoluzione di diritto dei contratti di lavoro.
Esclusa, per le ragioni menzionate, ogni possibile violazione dell’art. 117 Cost., la Regione Umbria ritiene insussistente anche la violazione dell’art. 3 Cost. ipotizzata dal giudice remittente. Dalla norma in questione, infatti, non deriverebbe alcuna disparità di trattamento, poiché essa ha come destinatari tutti i direttori generali delle aziende sanitarie e non si comprende quali tra costoro possano essere esclusi dalla sfera di operatività della medesima.
Considerato in diritto
1.–– Il Tribunale di Orvieto dubita, in riferimento agli artt. 117 e 3 Cost., della legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 3, ultimo periodo, della legge della Regione Umbria 20 gennaio 1998, n. 3 (Ordinamento del sistema sanitario regionale), nella parte in cui prevede che «i relativi rapporti e contratti sono risolti di diritto dalla stessa data».
Il remittente espone che la questione viene sollevata in un giudizio promosso dal direttore generale dell’unità sanitaria locale n. 4, soppressa per incorporazione in altra unità sanitaria locale ai sensi dell’art. 36 della stessa legge, per impugnare la deliberazione della Giunta regionale la quale aveva dichiarato risolto, per impossibilità della prestazione conseguente alla soppressione dell’ufficio, il contratto di lavoro. In punto di rilevanza il giudice a quo osserva che, pur essendo stata disposta la risoluzione del rapporto di lavoro per effetto della soppressione dell’unità sanitaria locale n. 4, tuttavia, poiché l’art. 34 stabilisce la risoluzione di diritto di tutti i rapporti di lavoro dei direttori generali alla data di entrata in vigore della legge stessa, qualora si accertasse la non ricorrenza dell’impossibilità sopravvenuta si dovrebbe poi ritenere risolto il rapporto ai sensi della censurata disposizione dell’art. 34, da applicare comunque per la quantificazione del risarcimento dei danni.
Riguardo alla non manifesta infondatezza, il remittente denuncia la lesione dell’art. 117, comma secondo, lettera l), Cost. perché la legge regionale, incidendo su rapporti di lavoro privato, ha invaso la sfera di attribuzione dello Stato in materia di ordinamento civile.
Il Tribunale di Orvieto denuncia altresì il contrasto della norma censurata con l’art. 3 Cost., in quanto essa, applicabile ad un numero ristretto di persone ben individuabili, manca dei caratteri della generalità e dell’astrattezza e produce «una ingiustificata disparità di trattamento tra i direttori generali delle USL dell’Umbria e tutti coloro che hanno stipulato contratti analoghi sulla base della stessa normativa statale e non vedono compromessa la loro posizione dalla legge regionale».
2.–– La questione è inammissibile per diverse concorrenti ragioni.
Anzitutto il remittente, nel descrivere l’oggetto della controversia sottoposta alla sua cognizione, lo individua nell’illegittimità del provvedimento di risoluzione del rapporto di lavoro intercorrente tra l’attore e l’amministrazione sanitaria in conseguenza della soppressione della struttura cui egli era preposto, stabilita da altra disposizione non censurata.
Il giudice a quo solleva la questione nella eventualità che egli accerti la fondatezza della suindicata domanda – sulla quale però non si pronuncia – e che per effetto di eccezioni e tesi difensive, che allo stato non risultano prospettate, egli debba applicare la norma censurata.
La questione viene quindi sollevata in modo ipotetico, al di fuori degli attuali termini della controversia.
In secondo luogo, il giudice a quo ha delimitato la questione alla illegittimità del solo ultimo periodo del comma 3 dell’art. 34 della legge della Regione Umbria n. 3 del 1998, che prevede la risoluzione dei rapporti di lavoro dei direttori generali. Egli non si è soffermato ad esaminare se tale parte della disposizione abbia una sua autonomia normativa o non sia inscindibilmente legata al primo periodo dello stesso comma 3, che stabilisce la decadenza dalla carica dei direttori generali al momento dell’entrata in vigore della legge.
In conclusione, il remittente non ha fornito plausibile motivazione dell’attuale rilevanza della questione e non ha in alcun modo motivato in ordine alla individuazione della norma da espungere dall’ordinamento per contrarietà ai precetti costituzionali.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 3, ultimo periodo, della legge della Regione Umbria 20 gennaio 1998, n. 3 (Ordinamento del sistema sanitario regionale), sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 117 della Costituzione, dal Tribunale di Orvieto, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 aprile 2006.
Annibale MARINI, Presidente
Francesco AMIRANTE, Redattore
Depositata in Cancelleria il 7 aprile 2006.