ORDINANZA N. 448
ANNO 2005
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Giudice
- Giovanni Maria FLICK ”
- Francesco AMIRANTE ”
- Ugo DE SIERVO ”
- Romano VACCARELLA ”
- Paolo MADDALENA ”
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Alfonso QUARANTA ”
- Franco GALLO ”
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Maria Rita SAULLE ”
- Giuseppe TESAURO ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 126-bis, comma 1-bis, secondo alinea, e comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), introdotto dall’art. 7, comma 1, del decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e correttive del nuovo codice della strada, a norma dell’articolo 1, comma 1, della legge 22 marzo 2001, n. 85), nel testo risultante all’esito della modifica apportata dall’art. 7, comma 3, del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), come convertito, con modificazioni, nella legge 1° agosto 2003, n. 214, promosso con ordinanza del 24 gennaio 2005 dal Giudice di pace di Sestri Ponente, nel procedimento civile vertente tra Delfino Santo e il Prefetto di Genova, iscritta al n. 282 del registro ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell’anno 2005.
Udito nella camera di consiglio del 16 novembre 2005 il Giudice relatore Alfonso Quaranta.
Ritenuto che il Giudice di pace di Sestri Ponente, con ordinanza del 24 gennaio 2005, ha sollevato questione di legittimità costituzionale – per contrasto con gli articoli 2, 3, 23, 24, 25 e 41 della Costituzione – dell’articolo 126-bis, commi 1-bis, secondo alinea, e 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), introdotto dall’articolo 7, comma 1, del decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e correttive del nuovo codice della strada, a norma dell’articolo 1, comma 1, della legge 22 marzo 2001, n. 85), nel testo risultante all’esito della modifica apportata dall’articolo 7, comma 3, del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con modificazioni, nella legge 1° agosto 2003, n. 214;
che il rimettente premette di essere chiamato a giudicare dell’opposizione, proposta dal legale rappresentante di una società in nome collettivo, avverso verbale di contestazione di infrazione stradale, iniziativa intrapresa sul duplice presupposto che il veicolo a carico del quale risulta accertato l’illecito amministrativo sia un «mezzo aziendale», alla cui conduzione «più persone erano autorizzate» all’interno della predetta società;
che nel premettere di non poter accogliere «la richiesta preliminare di sospensione» formulata dal ricorrente, «giacché non prevista» nell’ipotesi in questione, il giudice a quo – sul presupposto che il citato articolo 126-bis del codice della strada «precluderebbe all’opponente di provare la propria estraneità alla vicenda di cui alla causa», ponendo, anzi, a suo carico, una volta scaduto il termine previsto per la comunicazione delle generalità del trasgressore all’organo di polizia, una ulteriore responsabilità «ex art. 180, comma 8, del codice della strada» – reputa di dover sollevare la suddetta questione di legittimità costituzionale;
che viene censurato, innanzitutto, il comma 1-bis, secondo alinea, del predetto articolo 126-bis del codice della strada, il quale stabilisce che le «disposizioni del presente comma» (secondo cui, qualora siano accertate contemporaneamente più violazioni di norme stradali comportanti l’applicazione della decurtazione dei punti dalla patente di guida, siffatta misura potrà, al più, interessare «un massimo di quindici punti») «non si applicano nei casi in cui è prevista la sospensione o la revoca della patente»;
che tale previsione normativa, a dire del rimettente, «introduce un doppio illogico binario» teso a “ritagliare” indebitamente i poteri del Giudice di pace;
che questi, infatti, se in via generale può esercitare – a norma dell’art. 22 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale) – «il potere di sospensione, per gravi motivi, del provvedimento principale e della sanzione accessoria limitativa del diritto alla locomozione», si vedrebbe, invece, preclusa, nel caso in esame, tale possibilità, con conseguente lesione del principio del giudice naturale di cui all’articolo 25, primo comma, della Costituzione;
che il giudice rimettente, impugna, inoltre, sotto un duplice profilo, il comma 2 del citato articolo 126-bis;
che viene censurata, in primo luogo, la «irragionevolezza del termine» (di trenta giorni) «fissato per la comunicazione dei dati del trasgressore»;
che se, infatti, sul piano generale l’articolo 6 della già citata legge n. 689 del 1981 «consente al giudice ampia acquisizione di prova ai fini dell’accertamento giudiziale del trasgressore» (e dunque agevola l’esonero da responsabilità del proprietario della cosa che “servì” o “fu destinata” a commettere l’illecito amministrativo), la norma impugnata, viceversa, realizza – nel settore specifico dell’illecito stradale – una «inversione palese dell’onere della prova», richiedendo «che i dati del trasgressore vengano forniti dal soggetto colpito dall’accertamento», e ciò oltretutto «in termini estremamente ridotti che vanno a scadere ben prima della data dell’udienza di comparizione» ex art. 23 della già ricordata legge n. 689 del 1981;
che, in tal modo, non solo «si sottrae» al giudice naturale «una parte dei propri poteri», ma si lede anche «il principio dell’inviolabilità della difesa», donde l’ipotizzata violazione degli articoli 25, primo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione;
che si deduce, in secondo luogo, la «irritualità dell’accertamento del trasgressore», giacché lo stesso «va a gravare» su di un privato, «legale rappresentante di una società, privo di ogni potere pubblico», e ciò «in contrasto con varie norme costituzionali»;
che si ipotizza, nell’ordine, il contrasto: «con il diritto alla riservatezza tutelato dall’art. 2 della Costituzione»; «con il criterio di eguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione» (giacché la disposizione censurata porrebbe «una preminenza dell’imprenditore sul dipendente» che non trova fondamento nei poteri previsti dal codice civile); «con l’art. 23 della Costituzione perché si impone all’imprenditore una “prestazione personale” coattiva in carenza di una corrispondente funzione pubblica»; «con l’art. 41 della Costituzione perché si limita l’autonomia dell’iniziativa economica dell’imprenditore, solennemente garantita»;
che, infine, si contesta l’attribuzione al proprietario del veicolo – nel caso in cui questi non ottemperi all’invito a comunicare i dati personali e della patente del conducente, autore dell’illecito stradale – della «responsabilità giuridica esclusiva di un’infrazione dallo stesso non commessa», e ciò «compromettendo il diritto alla difesa e ledendo il principio della responsabilità personale».
Considerato che il Giudice di pace di Sestri Ponente, con ordinanza del 24 gennaio 2005, ha sollevato questione di legittimità costituzionale – per contrasto con gli articoli 2, 3, 23, 24, 25 e 41 della Costituzione – dell’articolo 126-bis, commi 1-bis, secondo alinea, e 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), introdotto dall’articolo 7, comma 1, del decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e correttive del nuovo codice della strada, a norma dell’articolo 1, comma 1, della legge 22 marzo 2001, n. 85), nel testo risultante all’esito della modifica apportata dall’articolo 7, comma 3, del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con modificazioni, nella legge 1° agosto 2003, n. 214;
che il giudice rimettente censura, innanzi tutto, la norma di cui al comma 1-bis, secondo alinea, del predetto articolo 126-bis del codice della strada, la quale stabilisce che le «disposizioni del presente comma» – secondo cui, qualora siano accertate contemporaneamente più violazioni di norme stradali comportanti l’applicazione della decurtazione dei punti dalla patente di guida, siffatta misura potrà, al più, interessare «un massimo di quindici punti» – «non si applicano nei casi in cui è prevista la sospensione o la revoca della patente»;
che la questione relativa alla suddetta norma si presenta formulata in modo del tutto incomprensibile;
che il rimettente, difatti, non chiarisce in quale modo siffatta previsione normativa – che si limita a sancire il cumulo materiale di quelle decurtazioni dei punti dalla patente di guida che siano conseguenza di infrazioni stradali comportanti anche la sanzione accessoria della sospensione o della revoca della patente (derogando alla norma di maggior favore, ricavabile dal primo alinea del medesimo comma 1-bis, secondo cui il provvedimento di decurtazione non può interessare, di regola, più di quindici punti) – introduca «un doppio illogico binario» teso a “ritagliare” indebitamente i poteri del Giudice di pace;
che, invero, essendo quella impugnata una norma che attiene unicamente al sistema di cumulo della sanzione suddetta (decurtazione del punteggio dalla patente di guida), non si vede come la stessa possa incidere – secondo l’oscura prospettazione del giudice a quo – sul «potere di sospensione, per gravi motivi, del provvedimento principale e della sanzione accessoria limitativa del diritto alla locomozione», con conseguente lesione del principio del giudice naturale di cui all’articolo 25, primo comma, della Costituzione;
che anche la questione concernente il comma 2 dell’art. 126-bis (prescindendo peraltro dal rilievo che – con sentenza n. 27 del 2005, sopravvenuta all’iniziativa dell’odierno rimettente – questa Corte ha affermato come «la peculiare natura della sanzione» de qua, e segnatamente la sua incidenza sulla «legittimazione soggettiva alla conduzione di ogni veicolo», riveli «l’irragionevolezza della scelta legislativa di porre la stessa a carico del proprietario del veicolo che non sia anche il responsabile dell’infrazione stradale», pervenendo così alla declaratoria di illegittimità costituzionale della norma stessa) non si presenta del tutto chiaramente formulata;
che, in particolare, non si comprende né in quale misura la norma impugnata derogherebbe al principio che «consente al giudice ampia acquisizione di prova ai fini dell’accertamento giudiziale del trasgressore», né quale sia esattamente il fondamento costituzionale di tale principio, la cui fonte è, difatti, indicata in una norma di legge ordinaria (art. 6 della legge 24 novembre 1981, n. 689, recante «Modifiche al sistema penale»);
che, inoltre, vieppiù oscuro si presenta il riferimento del rimettente ai parametri di cui agli articoli 23 e 41 della Costituzione, motivato in base al rilievo secondo cui, con la disposizione impugnata, «si impone all’imprenditore una “prestazione personale” coattiva in carenza di una corrispondente funzione pubblica», nonché «si limita l’autonomia di iniziativa economica dell’imprenditore, solennemente garantita»;
che, pertanto, deve concludersi nel senso che l’ordinanza di rimessione del Giudice di pace di Sestri Ponente si connota per la scarsa chiarezza dell’esposizione e per la faticosa enucleazione delle questioni proposte, «laddove la chiarezza dell’esposizione costituisce requisito necessario per una adeguata valutazione in ordine sia alla rilevanza che alla fondatezza della questione» (così, ex multis, ordinanza n. 217 del 2003).
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 126-bis, commi 1-bis, secondo alinea, e 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), introdotto dall’articolo 7, comma 1, del decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e correttive del nuovo codice della strada, a norma dell’articolo 1, comma 1, della legge 22 marzo 2001, n. 85), nel testo risultante all’esito della modifica apportata dall’articolo 7, comma 3, del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con modificazioni, nella legge 1° agosto 2003, n. 214, sollevata – in riferimento agli articoli 2, 3, 23, 24, 25 e 41 della Costituzione – dal Giudice di pace di Sestri Ponente con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 novembre 2005.
Annibale MARINI, Presidente
Alfonso QUARANTA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 13 dicembre 2005.